UN FATTO GRAVISSIMO!

UN FATTO GRAVISSIMO!

riceviamo e condividiamo

COME RETE JIN MILANO VI CHIEDIAMO DI CONDIVIDERE QUESTO MESSAGGIO SULLE
VOSTRE PAGINE, GRAZIE.

LA PAGINA DI RETE JIN MILANO è STATA OSCURATA!
La censura di Facebook colpisce ancora.
La pagina di Rete Jin Milano è stata oscurata per i suoi contenuti
politici, e così anche le pagine private di alcune delle compagne della
Rete.
In particolare, il post che sta causando il blocco è un articolo pubblicato
sul sito di Rete Jin nazionale sulle compagne martiri Sakine Cansiz, Fidan
Dogan e Leyla Seylemez, assassinate a Parigi dallo Stato turco.
In aiuto delle compagne di Rete Jin, denunciamo la vergognosa censura di
Facebook che le sta colpendo, e che troppo spesso colpisce le pagine
delle/degli attivist*.
BASTA CENSURA! #censura #retejin

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Idea di natura e rapporti sociali di sesso e di razza

«Idea di natura» e rapporti sociali di sesso e di razza: l’epistemologia della dominazione di Colette Guillaumin

di Marcella Farioli  da carmillaonline.com

Nel 1972 esce in Francia nelle edizioni Mouton il volume di Colette Guillaumin L’idéologie raciste. Genèse et langage actuel. La sociologa e militante femminista e antirazzista, ricercatrice del CNRS e dal 1977 collaboratrice della rivista teorica del femminismo materialista francese Questions féministes, opera in questo saggio una vera svolta epistemologica nell’analisi dei «rapporti sociali di razza». Guillaumin scardina infatti la concezione dominante all’epoca secondo cui il razzismo si definisce in quanto trattamento ostile di gruppi “naturali” preesistenti, rovesciando questa prospettiva e il rapporto causale di matrice idealista che essa sottende: se l’ideologia razzista si diffonde parallelamente alla diffusione su larga scala dello schiavismo e del colonialismo, soprattutto a partire dal XVII secolo, è perché essa è chiamata a giustificare una dominazione e uno sfruttamento già in atto. La legittimazione dei rapporti sociali di razza avviene attraverso «l’idea di natura», ovvero la credenza nell’esistenza di categorie naturali, chiuse e dotate di un determinismo interno e di caratteristiche particolari: tale concezione, attraverso il procedimento della naturalizzazione, permette di perennizzare e di pensare come immutabile la subordinazione da parte del gruppo dominante, la «razza bianca», del gruppo sociale minoritario e dominato, la «razza nera». Se le razze non esistono sul piano biologico, esiste tuttavia la brutale realtà delle razze socialmente costruite.

Il razzismo dunque, lungi dal configurarsi come un fenomeno culturale “curabile” attraverso strumenti educativi che dissolvano la “paura del diverso”, come oggi sovente si proclama, non costituisce la causa, ma l’effetto, l’espressione ideologica e discorsiva di un rapporto sociale materiale preesistente, che Guillaumin definisce «appropriazione»: non solo la dominazione e lo sfruttamento della forza lavoro di un individuo, ma la sua completa reificazione fisica e psicologica, la sua riduzione a «macchina-forza-lavoro» (machine-à-force-de-travail). I neri, per intendersi, non erano e non sono schiavizzati e sfruttati perché sono neri, ma il colore della pelle diviene a posteriori rilevante per marcare e legittimare la loro schiavitù e il loro sfruttamento.

Negli anni successivi, Guillaumin riflette sulle analogie che accomunano il razzismo e il sessismo in quanto espressione ideologica di rapporti sociali concreti: il concetto di razza in quanto prodotto di determinati rapporti potere e il procedimento di razzizzazione (racisation) dei gruppi oppressi attraverso l’ideologia naturalistica si prestano, secondo la sociologa, ad essere estesi anche ai rapporti sociali di sesso. Il volume Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de nature, pubblicato per la prima volta nel 1992 dalle Éditions côté-femmes e ora curato e tradotto in italiano da Sara Garbagnoli, Vincenza Perilli e Valeria Ribeiro Corossacz, è il frutto di questa riflessione. Il rapporto sociale di appropriazione in quanto accaparramento fisico e psicologico dell’individuo, del suo tempo, della sua sessualità, dei prodotti del suo corpo e della sua forza lavoro si applica in maniera pertinente alla dominazione e allo sfruttamento delle donne attraverso il sexage (un neologismo di Guillaumin che le traduttrici scelgono opportunamente di tradurre con il calco «sessaggio»). Tale appropriazione è, anche nel caso delle donne, giustificata dall’«idea di natura»: alcuni tratti biologici in sé privi di una specifica pertinenza, come il colore della pelle o la morfologia dell’apparato riproduttivo, divengono “marchi naturali” utili a fondare processi di categorizzazione e gerarchizzazione.

Colette Guillaumin mostra così che il sesso e la razza sono costruzioni sociali su base economica e politica proprio come la classe, e che essi sono empiricamente imbricati. L’articolo Razza e Natura. Sistema dei marchi, idea di gruppo naturale e rapporti sociali tradotto nel volume (pp. 181-201) illustra il funzionamento del sistema dei marchi, che, mentre rende visibili i dominati in quanto alterità e naturalizza la loro oppressione, invisibilizza i rapporti di dominio e i dominanti, che vengono a coincidere con la norma, l’implicito, il neutro universale. Ciò avviene sia nel razzismo sia nel sessismo; «l’invenzione della natura» insomma «non può essere separata dalla dominazione e dall’appropriazione degli esseri umani» (p. 201). Il marchio, che facilita a causa della sua evidenza concreta i processi di naturalizzazione, non è percepito come tale, ma come fonte dei rapporti sociali di dominio.

Guillaumin mutua la categoria di «classe di sesso» da un altra sociologa materialista e fondatrice di Questions féministes, Christine Delphy, che applica all’asse del sesso la categoria marxiana di classe sociale.

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Ascoltate stasera Zardins Magnetics/giovedì 4 febbraio 2021

Zardins Magnetics di giovedì 4 febbraio 2021

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

FM 90.0 MHz https://radioondefurlane.eu/
https://www.facebook.com/radiazioneinfo/
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

Gli argomenti:
– “L’hardcore è accanto a te in ogni tua battaglia”: una riflessione a
partire da una canzone dei Kontrasto
– Le lotte nelle carceri di Vigevano, Torino e Trieste
– Il resoconto della battitura del 1° febbraio alla sezione femminile del
carcere del Coroneo di Trieste
– Le chiamate per le prossime iniziative: presidio solidale davanti al
carcere di Tolmezzo, sabato 6 febbraio; nuova battitura al carcere del
Coroneo di Trieste, lunedì 15 febbraio

Per contatti
Assemblea permanente contro il carcere e la repressione
liberetutti@autistiche.org

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La coordinamenta verso l’8 marzo 2021/ PREMESSA 3

La coordinamenta verso l’8 marzo

PREMESSA/3

“Sparare sul quartier generale”

(Mai contro sole, pp.52,55)

Il femminismo degli anni ’70 era il portato della carica liberatoria che le donne avevano accumulato come saperi, come consapevolezza, come scoperta, come assunzione su di sé della necessità di capire i propri desideri e della possibilità di prendere in carico la capacità di realizzarli. Era un impegno a sottrarsi alla società patriarcale e capitalista, nel desiderio della possibilità di una felicità collettiva. La via della liberazione non si opponeva a dei soggetti, ma alla totalità del presente inteso come totalità organizzata di un sociale, cioè l’insieme delle relazioni sociali che riproducevano continuamente una società sessista e classista. Era il tentativo cosciente di sconfiggere l’ambiente costituito dai dispositivi semantici, discorsivi, di controllo che rendono possibile il perpetuarsi del patriarcato e del capitalismo. Era un processo che circolava in tutte le situazioni in cui era in grado di vivere e ha permesso la sperimentazione e l’attuazione di pratiche di liberazione concrete e autonome che hanno conferito a chi le ha percorse una capacità di riappropriarsi della propria vita anche attraverso momenti di grande fatica e di conflittualità con la stessa coscienza illusoria che ognuna di noi si porta dentro, frutto della manipolazione con cui avviene la costruzione del femminile.

Ma è successo al femminismo quello che è successo al movimento tutto: il sistema ha fatto balenare l’idea che le lotte categoriali e corporative fossero vincenti, dividendo così il fronte di lotta, insinuando il tarlo della separazione fra soluzione immediata di esigenze materiali  e liberazione futura collocata in un fumoso avvenire, spettro di un’utopia di poche/i, irrazionali e sognatori/trici. Nello specifico femminista ha usato le femministe socialdemocratiche che hanno presentato l’emancipazionismo come la soluzione e la panacea in contrapposizione alla radicalità del femminismo liberatorio e alla sua netta opposizione alla struttura di questa società. Continua a leggere

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La coordinamenta verso l’8 marzo 2021/PREMESSA 2

La coordinamenta verso l’8 marzo

PREMESSA/ 2

“Femminismo senza femminismo” 

( Mai contro sole/pp.154,157)

La peculiarità della nostra stagione che coincide con il neoliberismo è caratterizzata dal dato che il capitale è reale cioè totale e pertanto è un rapporto sociale globale che occupa tutto il territorio del vivere. Il movimento femminista è movimento di decolonizzazione del quotidiano patriarcale ed è un processo sociale che non può essere ristretto negli steccati dell’emancipazione. E’ un processo che non può essere arrestato né in punto né in una fase storica determinata e per questo è stato conferito alle patriarche e alla socialdemocrazia il compito di deviarlo e rimandarlo.

Il fatto che il movimento femminista debba fare i conti con una lettura falsa e manipolata, con una promozione sociale personale, con una correità di chi questa promozione sociale l’ha ottenuta, non significa che non abbia sempre un progetto sociale implicito.

Il patriarcato attraverso il suo Stato, parcellizza nell’ambito di interessi parziali e corporativi l’esigenza di libertà che è di noi tutte e, con noi di tutti i segmenti della società oppressi.

La sfida per il movimento femminista è di realizzare un progetto antagonista che si misuri con la globalità dell’oppressione di genere e con la critica del vivere quotidiano perché il patriarcato oggi essendo stato assunto in una reciprocità di azioni e di intenti, dal neoliberismo, si è costituito a tutto campo nel suo metabolismo sociale. Pertanto è nodale, in questa stagione, scontrarsi con il patriarcato inteso come rapporto sociale, socializzare lo scontro e riannodare la solidarietà rivoluzionaria di noi tutte, solidarietà che passa, mai come ora, attraverso lo smascheramento dei ruoli e della collocazione delle soggettività colluse.

Il patriarcato è diventato più forte perché il movimento femminista non è stato in grado di smascherare e di opporsi a questo processo. Continua a leggere

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La coordinamenta verso l’8 marzo 2021/ PREMESSA 1

La coordinamenta verso l’8 marzo

PREMESSA/1

Un anno fa, all’inizio dell’emergenza-pandemia, avevamo scritto un contributo  per <Continuare a pensare/Continuare a lottare…> . Dopo questo tempo trascorso sarebbe importante e utile rileggerlo come premessa necessaria proprio per continuare a lottare anche perché quello che è stato messo in campo da parte del sistema di potere in questi mesi non ha avuto risposta adeguata, a parte eccezioni che si contano sulle dita di una mano, da parte del movimento antagonista nel suo complesso e tanto meno da parte del movimento femminista, anzi l’atteggiamento dominante è stato l’adeguarsi alle imposizioni e disposizioni governative stigmatizzando addirittura chi la pensava diversamente. Con tutto questo è indispensabile fare i conti  perché sicuramente l’emergenza creata intorno alla così detta pandemia un risultato l’ha prodotto anche se drammatico sia per quanto riguarda la chiarezza di quello che il potere si propone sia per quanto riguarda il posizionamento antagonista: il re è nudo.

Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”.*

[…] È in atto una pandemia da Coronavirus. Non riteniamo utile entrare nei dettagli di tipo scientifico e tecnico. Non servirebbe perché scienza e ricerca non sono affatto neutrali. Ci interessa piuttosto indagare a capire le cause e gli effetti, attuali e futuri, di quello che sta succedendo.

Punto in comune tra le molteplici teorie: la pandemia è prodotto del modo di produzione capitalistico (v. https://jacobinitalia.it/la-pandemia-del-tardo-capitalismo/ + altri riferimenti in bibliografia).

L’emergenza sanitaria, d’altra parte, è il risultato delle politiche neoliberiste, ossia della deregulation, delle privatizzazioni e dello smantellamento dello stato sociale.

Tutti lo dicono, ma ben attenti a occultare il fatto che tutte/i quelle/i che negli ultimi decenni hanno opposto le loro idee, le loro azioni e il loro corpo (sì, perché per fare politica c’è bisogno di metterci anche il corpo) a queste politiche sono state/i criminalizzate/i, represse/i, marginalizzate/i. Nel periodo “prepandemico” erano loro, eravamo noi, gli irresponsabili: quelle/i che resistevano agli appelli al senso del sacrificio imposto dalle politiche dell’austerità. 

Le crepe nella normalità.

Già in numerose occasioni ci siamo confrontate su quello che significa oggi l’azione politica e sui numerosi ostacoli che si frappongono, in una società neoliberista, alla costruzione di un discorso e di percorsi realmente antagonisti.

Abbiamo ad esempio più volte discusso le trasformazioni che attraversano il campo giuridico. Il doppio binario, repressivo e premiale (https://coordinamenta.noblogs.org/post/2018/05/27/podcast-delliniziativa-la-norma-e-la-legalita-del-25-maggio-2018/), che caratterizza il nostro presente, nel senso di attribuire sempre più spazio – accanto a misure prettamente coercitive e sanzionatorie (siano penali o, sempre più, amministrative) riservate a chi sciopera, a chi manifesta, alle donne che si difendono da sole dalla violenza, a chi, in generale, si oppone al sistema o a singoli suoi aspetti – a strumenti “incentivanti”, atti comunicativi e retorici (di cui i decreti emergenziali di questa fase rappresentano l’ennesimo esempio, v. ad es. https://jacobinitalia.it/lemergenza-per-decreto/) e varie misure di tipo premiale, volte a creare e diffondere, anche mediante l’estorsione del nostro coinvolgimento affettivo, un’ adesione “spontanea” a determinati modelli di comportamento “standard” (https://coordinamenta.noblogs.org/post/2019/10/20/autovalorizzazione-etica-della-devozione-profilazione/). Una diffusione sempre più capillare di norme, normette, codici di comportamento e prassi istituzionali mirate a creare e alimentare la cultura della gerarchia, della valutazione ossessiva, della meritocrazia, del politicamente corretto e quindi della colpa, della vergogna e della delazione.

L’egemonia culturale del pensiero neoliberista – alla quale hanno ampiamente contribuito tutti i movimenti “riformisti”, cresciuti infatti in gran numero negli ultimi anni – si è insediata nel senso comune che ha oggi perso ogni connessione con il buon senso.

In tempi di Corona Virus risuona tutta l’attualità di quel passaggio dei Promessi Sposi: “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” …

Questa pandemia rappresenta, però, un momento di alterazione della “normalità neoliberista” e le “rotture”, le “crepe” del tessuto di quella che ci presentano come normalità sono spazi di possibilità per l’azione politica… come, ad esempio, lo è stata la prima guerra mondiale per la rivoluzione d’ottobre.

Ma quante/i di noi vogliono davvero uscire da questo sistema?  

Ci sarà sicuramente un salto di qualità nella normalità imposta, perché, come insegna l’esperienza storica, le misure di governo adottate in momenti emergenziali difficilmente decadono con il passare dell’emergenza, tendendo invece a stabilizzarsi e a instaurare una «nuova normalità».

Per questo, la critica e l’attivazione politica (sebbene in modalità tutte da immaginare) non possono essere procrastinate al “post-pandemia”. Per questo, occorre respingere con forza la retorica individualizzante e spoliticizzata del “qui si muore” (brillantemente identificata e criticata in questo articolo: https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/la-viralita-del-decoro/#more-42374), e rivendicare lo spazio pubblico della riflessione critica e politica.

Contro la normalizzazione di questo momento emergenziale, con questo contributo collettivo vorremmo contribuire alla costruzione di discorso in duplice senso: Continuare a pensare/Continuare a lottare[…]

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Premessa della premessa/ la coordinamenta verso l’8 marzo

Premessa della premessa

Il quinto incontro di autoformazione femminista di sabato 30 gennaio su “Il multilavoro delle donne nel capitalismo neoliberista” è stato molto bello e interessante e Nic e le Donne In Cantiere hanno accolto le partecipanti con questo striscione con cui ci fa molto piacere aprire il percorso di analisi e di organizzazione verso l’8 marzo! Grazie a tutte!

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Dalle detenute del carcere di Trieste

Riceviamo e pubblichiamo

DALLE #DETENUTE DEL CARCERE DI TRIESTE

Proposta di #battitura nazionale dentro le carceri per il 1 febbraio

Oggi 23 gennaio si è svolto un presidio sotto il carcere di Trieste.
Fin da subito i detenuti e le detenute hanno raccontato che da giorni vanno avanti gli scioperi del carrello, e questa mattina si è svolta anche una battitura. Notizia quest’ultima uscita anche su TgR del FVG.
Come altre volte dalla sezione femminile ci sono arrivate notizie sulla situazione interna. Situazione che si presenta simile in tutte le carceri italiane in questo periodo. Le detenute raccontano della totale assenza di attività al di fuori della cella. Questa situazione fa si che esse stiano la maggior parte del tempo rinchiuse, dinamica questa che va avanti da mesi portando all’esasperazione le persone. Alcune si rifugiano nelle cosiddette “terapie”, altre iniziano ad avere problemi di tenuta psicofisica, senza contare l’assenza dell’assistenza sanitaria, come una detenuta epilettica che da 4 mesi attende delle visite, o altre che non vedono la psicologa da molto tempo nonostante le loro problematiche e richieste. Inoltre la posta raccomandata arriva sempre in ritardo di 14 giorni, senza contare che alla nostra casella postale non arrivano lettere né dal maschile né dal femminile nonostante la posta inviata.
È evidente che la situazione dentro è il risultato delle politiche del Ministero di Giustizia e del DAP, ma anche dei magistrati di sorveglianza, i quali fanno si che le carceri rimangono sovraffollate. Dalle loro parole si capisce che la discussione dentro sul ruolo di psicofarmaci, terapie alternative, prevenzione della diffusione del Covid-19 e vaccini, è in corso.
Le detenute chiedono esplicitamente di divulgare a tutti i detenuti e detenute delle carceri, a parenti, amici e solidali fuori, a giornali e media, le ragioni della battitura che faranno il 1 febbraio alle ore 15.30 e chiedono una presenza di supporto all’esterno.
Le loro rivendicazioni sono:
1) Essere sottoposte a tamponi ed esami del sangue sierologici, piuttosto che essere costrette alla vaccinazione.
2) Indulto
3) Domiciliari per le persone con problemi sanitari e gravi patologie e per i detenuti in residuo di pena
Seguiranno aggiornamenti riguardo al presidio di sostegno alla battitura delle detenute.
Invitiamo i compagni e compagne a divulgare con i propri canali questa proposta delle detenute di Trieste.
Assemblea contro il carcere e la repressione

liberetutti@autistiche.org

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Gli incestuosi sono uomini come gli altri

Alcuni giorni fa, ai primi di quest’anno, in Francia è stato reso pubblico da Camille Kouchner un caso di incesto all’interno della sua famiglia che ha fatto molto scalpore. Questa la notizia: <Accusato di abusi e incesto, si dimette il noto politologo francese Olivier Duhamel. Il racconto nel libro della figlia acquisita, Camille Kouchner, in cui denuncia il suo patrigno di aver abusato del fratello gemello quando erano adolescenti.>

Riportiamo da incendo.noblogs.org un’intervista ad un’antropologa francese che si è occupata per molti anni di questa problematica e che ha scritto un libro riedito da poco sull’argomento. Mentre condividiamo l’analisi che lei fa dell’incesto come elemento strutturante della società patriarcale in quanto legato alla figura maschile di dominio  ed uso dei corpi che il maschio ritiene gli appartengano e condividiamo il fatto che gli incestuosi siano uomini come gli altri, troviamo debole la conclusione che auspica una sensibilizzazione della società come se una problematica strutturale non mettesse in causa l’organizzazione sociale nel suo complesso.

N.B. nell’intervista vengono nominati i bambini al maschile ma ci si riferisce a bambini e bambine, ragazzini e ragazzine…

<GLI INCESTUOSI SONO UOMINI COME GLI ALTRI>

Per l’antropologa Dorothé Dussy non dovremmo vedere l’incesto come una patologia ma come un meccanismo strutturale dell’ordine sociale.

L’antropologa Dorothé Dussy, autrice dell’opera <Le Berceau des dominations, amthropologie de l’inceste>(La culla delle dominazioni, antropologia dell’incesto) (fuori catalogo, ripubblicato da Pocket in aprile) ha condotto per anni interviste a vittime e autori d’incesto.

-Nel tuo libro parli della banalità dell’incesto e arrivi al punto di dire che struttura l’ordine sociale …

-Questo è l’intero paradosso di un ordine sociale che ammette l’incesto ma lo proibisce in teoria. Da settant’anni in Nord America, in Europa, in Francia: resta la stessa prevalenza di abusi sessuali su minori all’interno della famiglia, che varia dal 5% al ​​10% dei bambini secondo i sondaggi. Non è una successione di piccole congiunture che si accumulano, piuttosto un meccanismo strutturante dell’ordine sociale. Si fonda sul silenzio attorno alle pratiche incestuose: i bambini – e i loro parenti con loro – vengono socializzati con questa ingiunzione a tacere e a perpetuarla una volta che sono adulti. Viene così trasmesso di generazione in generazione.

-Quali sono i meccanismi di questa legge del silenzio?

-Non possiamo capire come funzioni l’incesto se ci atteniamo strettamente al rapporto tra chi mette in atto e chi subisce l’incesto: dobbiamo considerare anche l’intorno. L’incestuoso – non necessariamente il padre, ma il patrigno, lo zio, il cugino, il fratello maggiore – è quasi sempre un uomo che gode di una posizione dominante all’interno della famiglia. Ed è tutta quanta vincolata al silenzio: il coniuge, gli altri figli, i nonni, il resto dell’entourage frequentato nella quotidianità o in vacanza. Dall’aggressore alla vittima, il vincolo al silenzio si gioca su più registri: quello della seduzione, della clandestinità (“È il nostro piccolo segreto”) o della minaccia (“Tua madre soffrirà se parli”). Spesso non servono nemmeno le parole. L’incesto funziona sempre attraverso un meccanismo di retribuzione: quelli che mettono in atto l’incesto costruiscono la sensazione di aver estorto un servizio sessuale al bambino in cambio di un regalo. Questo dà loro l’impressione di aver pagato la vittima e che l’atto non sia quindi un problema.

-Anche una volta rivelato, la famiglia spesso preferisce negare o sminuire l’incesto e fare quadrato attorno all’autore?

Sì. Il cuore dell’ordine sociale è il funzionamento incestuoso della famiglia. Questa può funzionare molto bene, anche con un membro che ne aggredisce altri quotidianamente per anni. D’altro canto se il fatto venisse svelato, si fermerebbe tutto. Quindi, per mantenere l’ordine familiare, la famiglia si chiude nel silenzio. In generale, escludendo la vittima che svela i fatti. La famiglia Duhamel è un caso da manuale: i bambini Kouchner non vedevano più la loro madre. A parte la zia e alcune persone che hanno preso le distanze, tutti hanno continuato a frequentare questa cerchia familiare. Chi ha svelato è stato escluso.

-Gli autori di incesto sono spesso molto ben integrati nella società. Dobbiamo scostarci quindi dal mito del mostro incestuoso? Continua a leggere

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I Puntini sulle A/Materiali per il quinto incontro

Materiali per il quinto incontro de                                            <I Puntini sulle A>

<Il multilavoro delle donne nel capitalismo neoliberista>

Storia e memoria

-M. C. Cappello, Nel dominio del tabacco, Edizioni Kurumuny, Palermo 2019 …sullo sfondo di un miracolo economico impercettibile, il libro indaga il lavoro, la vita, le lotte collettive delle tabacchine salentine nel primo ventennio repubblicano.

-Il lavoro delle donne nella grande guerra/uno snodo per l’ingresso delle donne nel lavoro fuori dalla famiglia

-La storia politica del pantalone

Sul lavoro salariato

-L’immondo del lavoro/le cottimiste del lusso da radiocane.info

-Avete visto il film <Louise-Michel> Francia 2008? assolutamente da vedere!

-La lotta delle facchine della Youx<“Tu devi scegliere tra me, Dio e lo stipendio, perché lo stipendio te lo do io e io sono il tuo Dio …”

Per Maria<Non si può vivere per anni sul ciglio del burrone…>

Sul lavoro riproduttivo e di cura

“Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato. La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo. Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà è un incidente sul lavoro.” <Il punto zero della rivoluzione>Silvia Federici. Ombre Corte 2012

Mariarosa Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Venezia, Marsilio Editori, 1977/Gruppi per il salario al lavoro domestico.1972

Lavoro: materiali per una discussione femminista sul lavoro e oltre

Nel nostro specifico il rifiuto del lavoro riproduttivo e di cura rappresenta la consapevolezza del ruolo che ci è attribuito in questa società patriarcale e capitalista, rifiuto coniugato a quello del lavoro produttivo che ci viene assegnato come lavoratrici all’interno del percorso emancipatorio e che ci divide in due percorsi, quello di serie B a cui è destinata la stragrande maggioranza delle donne che possono essere ricacciate nel ruolo domestico e tradizionale qualora non servano e quello di serie A delle donne che si prestano in cambio della propria promozione personale a diventare partecipi attive del neoliberismo e del patriarcato.

-due trasmissioni de “I nomi delle cose”  una su “Il rifiuto del lavoro” del 15/05/2013 e l’altra su “Il rifiuto del non-lavoro, lavoro di cura e lavoro riproduttivo” del 22/05/2013, con i link e i riferimenti degli articoli che legano l’attualità alla storia e alla teoria.

-L. Abbà, G. Ferri, G. Lazzaretto, E. Medi, S. Motta, La coscienza di sfruttata, ed. Mazzotta 1975

Sulla flessibilità

Michelle Perrot, Le tre età della disciplina industriale nella Francia del XIX secolo, in Cultura operaia e disciplina industriale, annali della fondazione Basso, Milano, 1982;

A. Bellavitis, S. Piccone Stella, Flessibili, precarie, in Genesis, rivista della società italiana delle storicheottobre 2008, n. VII/1-2

E. Betti, Donne e precarietà del lavoro in Italia, in I. Massulli, Precarietà del lavoro e società precaria nell’Europa contemporanea, Roma 2004;

E. Betti, Precarietà e fordismo. Le lavoratrici dell’industria bolognese tra anni Cinquanta e Sessanta, in Zazzara G.,Tra luoghi e mestieri. Spazi e culture del lavoro nell’Italia del Novecento, Venezia, 2013

A. Groppi, Il lavoro delle donne, Roma 1996

Sull’emancipazionismo

-E.Teghil, Le patriarche/in Femminismo materialista, Bordeaux, 2015

-C Morini, La serva serve/le nuove forzate del lavoro domestico, Deriveapprodi 2002

-C.Morini, Per amore o per forza/femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Ombre Corte,2010

Sulla patriarcalizzazione della società

S.Ongaro, Le donne e la globalizzazione, Rubettino, 2001

-Autovalorizzazione, etica della devozione, profilazione

-Il lavoro e il tempo della vita < “Ho pensato a quanto spiacevole sia essere chiusi fuori e ho pensato a quanto peggio sia essere chiuse dentro”   Virginia Woolf

[…] Ma tutto questo a noi non è nuovo. A noi donne è sempre stata chiesta la dedizione assoluta al nostro lavoro-non lavoro, il lavoro riproduttivo e di cura. Nel lavoro di cura e riproduttivo non esiste la differenziazione tra il tempo del lavoro e il tempo libero, non esistono ferie e vacanze. Il coinvolgimento nelle sorti dell’impresa, vale a dire della famiglia, intesa anche nella sua accezione più varia ed allargata o ristretta, moderna o post moderna, è totale. Il tempo della vita è assimilato al tempo del lavoro e il tempo del lavoro a quello della vita in una perenne sovrapposizione e coincidenza. Il capitale, in particolare, è stato così bravo, poi, da ammantare il tutto di connotati romantici. L’amore romantico è quello che permette il nostro asservimento volontario al lavoro di cura e riproduttivo, quell’alienazione gioiosa che il neoliberismo vuole oggi dai lavoratori e dalle lavoratrici per cui ci si realizza solamente in una dedizione assoluta e senza rimpianti perché questo è il nostro unico orizzonte possibile. E per chi non ci sta, come per le streghe, stigma, condanna ed esclusione sociale. La nostra esperienza di genere oppresso può essere più che mai utile in questo passaggio storico per suggerire, escogitare, trovare e mettere in atto vie di fuga e percorsi di ribellione. Più che mai genere e classe e meno che mai quote rosa e recinti protetti.[…]

-Lo sciopero delle donne: interclassismo e spoliticizzazione

-Trasformazioni in corso nei rapporti di riproduzione Paola Tabet

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Far vivere il grido

Il capitalismo E’ la pandemia

“Muovetevi il meno possibile perché altrimenti il sistema non reggerà”.

da https://vitalista.in/  31 ottobre 2020Niente e nessuno è neutrale in questo mondo. Niente e nessuno può essere neutrale in un mondo ordinato dalla guerra di classe, sulla linea della razza, nella riproduzione del patriarcato e per la predazione di tutto il vivente.
Un comando è tale perché rivolto a chi deve sottomettere.
Un comando di sistema è necessario per la irriducibilità di un sistema alla vita.
Quello che il sistema non reggerà è l’irriducibilità delle nostre vite al sacrificio cui le destina.
Il sistema non reggerà perché non può funzionare per la riproduzione della nostra vita invece che per quella dell’economia. Che il sistema non reggerà è un dato di fatto a misura di un mondo fatto dal capitale.
Se lo sfruttamento non può ammalarsi ma può solo ammalare noi non possiamo ammalarci nel tempo di lavoro: dunque diventa quarantena tutto e solo il tempo che resta fuori dal lavoro. Ovvero deve cessare di esistere un tempo fuori dal lavoro.
Bar e ristoranti sono contagiosi nel tempo libero ma non quando vai al lavoro o a un pranzo di lavoro.
Nel tempo libero bisogna confinare chi consuma ma non chi lavora correndo di casa in casa per fare consumare anche nel confinamento.
Ammassarsi sui mezzi pubblici contagia ma i mezzi pubblici non possono aumentare.
Sui mezzi pubblici per diminuire il contagio non devono diminuire i lavoratori ma chi non lavora.
Bisogna tenere a casa gli studenti ma non i bambini: il cui confinamento graverebbe sul lavoro.
Il virus contagia nella scuola secondaria superiore ma non nella scuola dell’obbligo.
Non bisogna muoversi, bisogna stare in casa, ma gli sfratti non si possono fermare.
Gli uffici vanno svuotati con il telelavoro, ma non possono andarci le fabbriche, i campi e gli hub della logistica.
Le carceri e i lager del sistema di apartheid istituzionale sono esclusi dalla preoccupazione del contagio, devono continuare a riempirsi per trattenere, sottomettere dividere e ricattare la forza lavoro necessaria agli hub, ai campi, alle fabbriche.
Si possono istituire nuovi focolai di contagio se si tratta di istituire nuovi lager come sulle navi dette di quarantena. E si istituiscono nuove estensioni dello stato di eccezione che regola le vite oppresse in questo mondo.

Lo stato di eccezione si prende il mare che ci circonda per prendere il controllo delle vite da sottomettere proprio come prende il controllo del nostro tempo per prenderci interamente sotto il capitale.
È vero: è una questione di vita o di morte. Nella pandemia come nella predazione del vivente e del pianeta.
Tutta la vita messa al lavoro. Tutta la vita sottomessa al capitale. Tutta la vita messa in questione.
Un grido dalle carceri a marzo. Un grido dai lager, dai campi, dagli hub ogni giorno. Un grido dalle strade di Napoli, di Torino, di Milano da una settimana.
Come una eco del grido che sale da maggio a oggi da Minneapolis a Philadelphia.

Il sistema deve saltare. Il sistema è il capitalismo. Il capitalismo è la pandemia.
Nessuna risposta possiamo avere sulla vita.
Nessuna richiesta dobbiamo fare se si tratta della nostra vita.
Dobbiamo agire. Imparare a fare eco. Fare vivere il grido.
Cessare di vivere sotto la regola dello stato di eccezione.
Creare il reale stato di eccezione.
Muoverci. Fermare tutto.
Attaccare le infrastrutture produttive. Andare a prendere il denaro.
Distruggere la merce. Scioperare la metropoli. Abitare senza pagare.
Sovvertire i saperi. Distruggere ogni carcere. Abolire la polizia.
Vivere altrimenti. Fare vivere ogni eco. Imparare a vivere come un grido di vita del mondo.
Essere infanzia del mondo. Ridare vita alla terra.

La vita trova una via.

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I Puntini sulle A/ il nuovo appuntamento!

Quinto appuntamento de <I Puntini sulle A>

sabato 30 gennaio 2021

<Il multilavoro delle donne nel capitalismo neoliberista>

con Concetta Cappello/ Tania Lombardo/ Elisabetta Teghil

dalle 15 alle 18 al Cantiere Sociale Versiliese , Via Belluomini 18 a Viareggio, gli incontri sono per sole donne.

Anche se le date sulla locandina della seconda parte degli incontri, per cause non dovute alla volontà delle organizzatrici, sono variate e si naviga a vista, la riportiamo comunque come riferimento generale.

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Il vecchio capo come il nuovo capo

Negli Stati Uniti in concomitanza con l’insediamento di Biden sono scesi in piazza i movimenti anticapitalisti e contro il neoliberismo e il suo portato neocoloniale, suprematista, distruttivo consapevoli delle scelte politiche neoliberiste e guerrafondaie che hanno sempre caratterizzato Biden e, noi femministe, ricordiamoci sempre chi è Kamala Harris.

da infoaut.org

“Mentre la transizione da Trump a Biden cambierà sicuramente drasticamente il contesto delle lotte sociali, dei conflitti di classe e dei movimenti di massa negli Stati Uniti – le realtà fondamentali della disuguaglianza razziale e della ricchezza, la repressione statale, le ricadute ecologiche e il declino delle condizioni materiali non lo faranno molto presto, non importa chi è il presidente. Il compito dei movimenti autonomi anticapitalisti e anticoloniali quindi non è solo quello di adattarsi e crescere con il terreno in evoluzione, ma di continuare a organizzarsi e mobilitarsi nelle rispettive comunità; costruire basi di sostegno e comunità di resistenza di fronte al capitalismo neoliberista e al suprematismo bianco.”

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Con le/gli studenti del liceo Kant in lotta

Questa mattina le/gli studenti del Liceo Kant, qui a Roma, in occupazione, sono stati aggrediti dalla polizia.

Qui un video https://www.facebook.com/watch/?v=113544600650417

La così detta pandemia ha dato e sta dando modo al sistema di potere di portare a termine una ristrutturazione della scuola, a tutti i livelli, che distrugge, con la DAD e con tutti i dispositivi di controllo gerarchico, selettivo, di isolamento, di selezione classista, l’idea stessa di didattica come accesso al sapere sociale per permettere la costruzione di individualità isolate e disponibili a qualsiasi forma di sfruttamento incapaci di riflettere e reagire. Per fortuna serpeggia insofferenza e consapevolezza.

A proposito del percorso neoliberista nel mondo della scuola vi linkiamo le riflessioni femministe che abbiamo fatto in questi anni.

1-Scuole sicure, controllo assicurato

2-Al liceo Virgilio è arrivato anche il SAP(sindacato autonomo di polizia)

3-I carabinieri al Liceo Virgilio!

4-DOSSIER/DALL’UNIVERSITA’ AI CONTESTI CIVILI: LA MILITARIZZAZIONE DEL SOCIALE“La paura determinerà la politica europea e internazionale dei prossimi anni” Marco Minniti, Ministro dell’Interno.

5-Riflessioni femministe sulla scuola

6-Delle prassi infami dell’alternanza scuola-lavoro

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sabato 23 gennaio 2021 /presidio contro il carcere a Trieste

Dalle compagne dell'<Assemblea permanente contro il carcere e la repressione>

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