I nomi delle cose

“I NOMI DELLE COSE”

Abbiamo deciso di chiudere la trasmissione “I Nomi delle Cose” su Radio Onda Rossa.

Questo il nostro comunicato a ROR (ottobre 2016)

Care compagne e cari compagni,
siamo qui per mettervi al corrente di una decisione sulla quale abbiamo 
ragionato molto e che confidiamo accoglierete con lo stesso animo di rispetto 
reciproco con cui noi ve la comunichiamo. Abbiamo deciso di chiudere la 
trasmissione ” I nomi delle cose”.  Crediamo che sia una necessità per la radio ridefinire la propria linea politica e condividerla con tutt* coloro che collaborano con la radio. Tuttavia questo rinnovamento ha reso evidenti  differenze politiche che non possono essere portate a sintesi e che ci impediscono di continuare.  Nonostante questo, 
crediamo che le discussioni, anche accese, affrontate nelle riunioni di 
redazione negli ultimi anni su questioni femministe e internazionali abbiano 
avuto una notevole funzione dialettica.
Vi salutiamo con l’augurio di ogni bene personale.

Coordinamenta femminista e lesbica

ma “I Nomi delle Cose” continua!!!!!!

si trasforma in una Riflessione/Dibattito a viva voce sulle più svariate questioni lette da un punto di vista femminista, come abbiamo sempre fatto, che pubblicheremo sul blog e anche  la “Parentesi di Elisabetta” prosegue. Troverete tutto cliccando le Tags:  I Nomi delle Cose/ Podcast/La parentesi di Elisabetta.

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“I Nomi delle Cose”

“I Nomi delle Cose” è la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica, in onda tutti i mercoledì dalle ore 20.00 alle 21.00 sugli 87.90 di Radio Onda Rossa.

L’abbiamo chiamata così perchè siamo convinte che sia estremamente vero, soprattutto nell’attuale stagione neoliberista, quello che afferma Rosa Luxemburg:

“Il mondo si comincia a cambiare chiamando le cose con il loro nome”

La parola è un campo di battaglia a cominciare dallo stravolgimento che se ne fa.

E’ ricorrente l’uso, nel lessico politico, di termini che si impongono senza che ne sia data una definizione preliminare ed, altre volte, con un significato completamente diverso da quello del passato.

E’ questo il caso di parole come “riforma”, “sicurezza”, “modernizzazione”….. che hanno assunto un significato completamente diverso ed ,anzi opposto, a quello che hanno avuto per un secolo e mezzo.
Le riforme di cui parlano hanno tutte carattere reazionario: quella del mondo del lavoro è la trasformazione della precarietà da fatto eccezionale a condizione normale e normata, quella dello stato sociale significa abolizione delle tutele e svendita dei servizi al privato, i nuovi rapporti padronato –lavoratori/trici significano la rinuncia alla contrattazione collettiva e l’introduzione del rapporto personalizzato con il datore di lavoro .
L’attacco alle libertà personali, alla libertà di scelta, all’autodeterminazione è a tutto campo.
Le scelte neoliberiste di controllo totale delle esistenze si esplicano dovunque.

Tutto avviene attraverso due passaggi complementari: da una parte la demonizzazione di ogni forma di resistenza al neoliberismo – lavoratori pubblici fannulloni, operai scansafatiche, insegnanti rubastipendio, pensionati parassiti, politica sporca, partiti corrotti, collettivi e centri sociali covi di terroristi ed estremisti, resistenti della Val Susa irragionevoli e violenti, solidali contro i Cie istigatori e fomentatori di rivolta, “forconi siciliani” mafiosi, disoccupati napoletani camorristi, pastori sardi malavitosi – dall’altra la promozione delle associazioni di categoria, delle ong, delle onlus, elevate al rango di una fantomatica società civile con cui dialogare.
Sostituendo i lavoratori e le lavoratrici e le loro forme di rappresentanza, la conflittualità e la lotta di classe vengono rimosse, l’impegno politico e l’ideologia annullate, così quest’ultima rimane monopolio esclusivo della borghesia neoliberista.
E rinominando le guerre neocoloniali con il termine di “umanitarie” si ottengono due risultati: presentare l’occidente come democratico, difensore dei diritti umani sul fronte esterno e strumentalizzare la violenza razzista, sessista e sulle diversità sul fronte interno.
Poi c’è l’uso selettivo delle parole.
Tutti quei governi che, per un motivo o un altro, si sottraggono alla logica colonialista che consiste nel dettare l’agenda politica e nel sottrarre le ricchezze, sono etichettati come “regimi”. Altri termini che potrebbero sembrare neutri per l’utilizzo che ne viene fatto prendono un connotato negativo, per esempio “raìs”, sostantivo che viene utilizzato per quei dirigenti del mondo arabo che sono asimmetrici agli interessi occidentali. Per i paesi sudamericani si utilizza il termine “caudillo” e, magari, “populista”.
“Genocidio” e “feroce dittatura” sono un marchio itinerante che viene applicato sempre nei confronti di tutto quello che entra ,in qualche modo in contrasto con gli interessi occidentali. Tra l’altro banalizzando, per l’uso inflazionato e strumentale che se ne fa, il genocidio e le dittature.

Altri termini sono, invece, di nuovo conio e si rivelano, una volta affermati, per quello che erano fin dall’inizio : non semplici parole, ma elementi strutturanti di una costruzione ideologica.
E’ il caso dell’espressione “governance”.
Questa non è altro che una vera e propria destrutturazione delle forme attuali della democrazia rappresentativa ed è una vera e propria “privatizzazione” della decisione pubblica, iniziata con la distruzione del proporzionale, la rimozione dell’immunità parlamentare, e che sfocia in una delegittimazione del parlamento.

E’ la destrutturazione di tutte le forme di resistenza al neoliberismo.

Il neoliberismo è un’ideologia e costruisce, a sua immagine e somiglianza, tutto il metabolismo sociale, avendo, come modello, la direzione autoritaria e verticale della fabbrica e dell’impresa.
E le scelte politiche che la borghesia fa, vengono celate dietro lo schermo di una presunta neutralità, necessarietà, inevitabilità.

Non ci sono zone neutre, non c’è niente che sia apolitico. Il principio femminista che il privato è politico è sempre valido ed attuale.
Tutto questo presuppone anche il rifiuto delle leggi securitarie e del controllo sociale, nonché il disvelamento dei meccanismi che opprimono e dividono buone/i e cattive/i, omologate/ e non omologate/i, “normali” e diverse/i.

Di conseguenza anche la lotta contro i linguaggi e gli atteggiamenti e i comportamenti sessisti deve essere accompagnata dallo smascheramento delle parole politicamente corrette come “convivenza civile”, “sereno confronto fra i sessi”, “affido condiviso”, “partecipazione e scelta responsabile”, “educazione alla convivenza”……. che strumentalizzano le lotte delle donne , confondono l’aggredita con l’aggressore e mettono sullo stesso piano chi la violenza la subisce e chi la esercita.
Ma se sono le parole che fanno le cose , disfare quelle parole che sono allo stesso tempo categorie di rappresentazione e strumenti di mobilitazione ha contribuito alla smobilitazione dei movimenti antagonisti, femministi e di classe.

Militanza, collettivi, impegno…..sono forme di resistenza all’ideologia neoliberista a cui non vogliamo e non possiamo rinunciare per gettare qualche granello nella macchina disumanizzante di questa società.
Mai come in questo momento serve il movimento femminista autonomo e autorganizzato, con la sua elaborazione teorica, le sue lotte e la sua lettura di genere e di classe.

 

Che cos’è per noi una radio militante

E’ inutile sottolineare l’importanza dell’informazione e della comunicazione per veicolare i valori dominanti.
Ma, informazione e comunicazione, sono anche strumenti di resistenza e di lettura alternativa, al servizio dei cambiamenti sociali.
Dovremmo sgombrare il campo, subito, da un equivoco.

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Come nella società non si superano le lotte corporative facendo la loro somma matematica, dato che il dominio del capitale è verticale, ma è la sintesi delle lotte che le fa diventare di classe, così, nel campo della comunicazione, quella che si chiama opinione pubblica o, più correttamente, pensiero collettivo, non è la somma di pensieri individuali, ma un pensiero che assorbe ed investe la società nel suo complesso.
E’ corrente la manipolazione delle notizie che, tra l’altro, in una società come la nostra, avviene, quasi sempre, senza che ci sia stata censura o un ordine diretto di falsificazione.
Ma, l’influenza più importante, esercitata dai media, non dipende da ciò che viene pubblicato, ma da ciò che non viene pubblicato.
Si esiste politicamente se si esiste mediaticamente.
Pertanto, diventa importante per una radio come ROR, perché questo ci importa, raccontare quello che non viene detto.
Ne deriva che ci dovremmo vantare di essere una radio di parte.
Da questa scelta, per certi versi naturale e obbligatoria, discende che, contrariamente a quanto qualcuna/o può credere, la radio si rafforza anche negli ascolti e si riporta ad unità il dilemma radio del movimento o di movimento.
La radio dovrebbe camminare su tutte e due le gambe, ma, quella d’appoggio, è di essere una radio di movimento.
Nell’attuale stagione della grande diffusione delle notizie in rete, acquista, poi, un’importanza notevole avere un legame organico tra il momento radiofonico e la notizia in rete, dove andrebbe sviluppata l’attenzione alla scrittura e all’immagine, in sintonia con la sensibilità, tutta odierna, di recepire le notizie.
In ultimo, ma non per questo meno importante, siamo costrette/i a fare i conti con il fatto che la vittoria del capitale ha prodotto una forma di neo-analfabetismo di ritorno rispetto alla politica.
Se sono le parole che fanno le cose, disfare, annullare, dimenticare, quelle parole che sono state categorie di rappresentazione e strumenti di mobilitazione, ha contribuito al balbettio con cui si manifesta la lotta di classe, dal momento che il neoliberismo, prima ancora che una lettura economica della società, è un’ideologia, l’unica che parla e si rappresenta.
E’ necessario recuperare parole e categorie come ideologia,teoria,linea politica,rapporti e lotta di classe,rimuovere il revisionismo sulla storia del movimento operaio e sulle lotte degli anni ’70.
Questo compito,per una radio militante, assume importanza vitale con riferimento all’attuale stagione politica.