8 marzo 2024/ SI! la questione palestinese è una questione femminista.

8 marzo 2024/ Il femminismo e la questione palestinese

SI! la questione palestinese è una questione femminista.

Qualche mese fa un collettivo femminista palestinese ha detto che “la questione palestinese è una questione femminista” Si, è vero, è una questione femminista. Ma non lo è perché le donne palestinesi vengono uccise a migliaia, non lo è perché si sono caricate e si caricano sulle spalle la lotta quotidiana per la sopravvivenza del loro popolo e della loro terra, non lo è perché vengono arrestate, incarcerate, torturate nelle carceri israeliane e anche qui dimostrano coraggio, determinazione, capacità di azione e di autorganizzazione. Non è una questione femminista nemmeno perché le donne partecipano attivamente alla resistenza e alla lotta anche in armi. Tutto questo è importantissimo e di grande spessore. Ma la questione palestinese è una questione femminista perché il femminismo è un movimento politico di liberazione delle donne dall’oppressione e, con le donne, degli oppressi tutti e si fonda su alcuni principi imprescindibili, inderogabili e non negoziabili.

Il femminismo si batte contro il dominio e il possesso, lotta contro il patriarcato, contro l’autoritarismo e la gerarchia che sia tra persone, tra sessi, tra popoli, tra stati ed è quindi antimperialista, rifiuta la mercificazione della vita, è anticapitalista, antirazzista, anticoloniale, antisessista, antifascista.  Si batte contro la normatività e le discriminazioni, contro le strumentalizzazioni, contro il militarismo, contro la legge del più forte.

In questa società la legittimità dei mezzi garantisce la giustezza dei fini. La legalità è legittimità riconosciuta, la violenza legale è, pertanto, l’unica violenza legittima. Infatti la violenza viene praticata in e nei confronti di un’area sociale che non coincide con quella dei detentori del potere. E lo sforzo è tutto teso affinché questo uso della forza e i relativi comportamenti violenti siano accettati e interiorizzati nel costume dei più. (Coordinamenta femminista e lesbica, Femminismo: paradigma della violenza/non violenza, 2022, p.11)

Il femminismo si può definire tale se, e solo se, percorre strade di liberazione negli infiniti modi in cui queste strade possono essere percorse. Non può essere ridotto all’emancipazionismo, che deve essere un mezzo e non un fine, né alle lotte categoriali, agli orticelli protetti, alle quote rosa, alle promozioni personali, alle cordate per la spartizione del potere, al collaborazionismo.

Si batte per l’autodeterminazione e l’autodifesa e ritiene importantissima l’analisi politica rivolta all’individuazione del nemico, che si tratti del fronte esterno o del fronte interno.

È proprio in questo senso che la nostra storia e la nostra esperienza ci hanno insegnato a distinguere sempre tra aggressore ed aggredita. Sappiamo fin troppo bene che cosa significhi mettere sullo stesso piano chi esercita sistematicamente violenza per scelta, per impostazione, per quell’abitudine all’arroganza che deriva dalle posizioni di potere, e chi invece si difende, si organizza, resiste e cerca di liberarsi. Sappiamo fin troppo bene cosa significhi il tentativo sistematico nei tribunali, da parte delle istituzioni, delle forze di polizia, della società benpensante, di mettere sullo stesso piano l’uomo che la violenza la esercita e la donna che la subisce, con un ribaltamento mistificante delle posizioni attraverso il quale è la vita della donna che finisce per essere giudicata e rivoltata come un calzino.  Sappiamo fin troppo bene tutto questo e sappiamo anche benissimo che le donne aggredite non sono e non devono essere per forza buone e perfette: sono intelligenti o stupide, paurose o coraggiose, attente o superficiali… come tutti gli altri esseri umani, ma sono oppresse e sono aggredite e sono sfruttate e sono uccise, e questo è inaccettabile!

Tutto ciò vale nei rapporti interpersonali, nei rapporti con il maschile, vale nei rapporti fra popoli, vale nella collocazione rispetto all’aggressione imperialista portata avanti in questo momento storico dagli Stati Uniti e dalla Nato, con la collaborazione attiva in particolare dei paesi europei, Italia in prima fila, nei confronti della Russia con la guerra in Ucraina.

Vale per l’aggressione sistematica e continua, per il colonialismo spietato, per l’arroganza sionista di Israele nei confronti della Palestina.

Ma Israele non è solo questo. Ricopre anche un ruolo particolarmente importante nel quadro dell’imperialismo occidentale. È la punta di diamante dell’avanguardia tecnologico-militare: sperimentazioni testate direttamente sul campo nei confronti della popolazione palestinese e poi esportate. E questo vale per le tecnologie di controllo militare e sociale, per l’Intelligenza Artificiale, per le modificazioni genetiche in campo umano e agroalimentare… è dello scorso settembre la notizia pubblicata su “Nature” da un’equipe israeliana dell’Istituto scientifico Weizmann a Rehovot di aver creato un feto senza ovulo e spermatozoi. A detta degli scienziati coinvolti è stato distrutto dopo 14 giorni.

Tutto questo ci riguarda direttamente e pericolosamente perché gli strumenti di controllo territoriale, ambientale, sociale ma anche le impostazioni e i modi di questo controllo e la mentalità coloniale saranno, e sono già per alcuni aspetti, usati nei nostri territori e contro di noi.

Inoltre Israele si è assunta il compito di essere elemento di destrutturazione dell’ambito mediorientale anche in funzione della destabilizzazione degli equilibri geopolitici mondiali ed è portatore di interessi economici occidentali ben precisi che riguardano lo sfruttamento dei territori palestinesi.

Ma Israele non è solo questo. È anche l’emblema della strumentalizzazione delle lotte delle donne e delle diversità sessuali, cioè di quello che viene definito pinkwashing: una pratica di governo che consente ai poteri costituiti di autorappresentarsi come esempio di democrazia perché particolarmente sensibili ai diritti e alle esigenze delle donne, degli omossessuali, delle persone trans. Una modalità (a volte meramente propagandistica, a volte farcita di meccanismi premiali, perciò ancor più pericolosa) utilizzata in tutti i Paesi occidentali, che in questo caso si accompagna a una vergognosa demonizzazione del mondo arabo, rappresentato come retrivo, misogino e omofobo, in modo da nascondere la vera essenza teocratica, razzista e violenta dello Stato di Israele. Il patriarcato intride profondamente tutte le società, nessuna esclusa. Sono le donne palestinesi a decidere come quando dove e in che modo combattere il patriarcato a casa loro.

Dicevano le femministe negli anni settanta: non ci importa la libertà sessuale, la possibilità di essere lesbiche e di baciarci per strada se poi arrestano e si portano via il vicino di casa…

È necessario prendere atto e denunciare politicamente il fatto che molte donne, molte diversità sessuali e persone razzializzate si sono vendute al nemico e sono diventate attive nell’oppressione delle classi e dei gruppi da cui provengono. Ci corre un brivido lungo la schiena ogni volta che vediamo e sentiamo le patriarche e le donne da cortile pontificare sui destini di tutte le altre e degli oppressi tutti.  Linda Thomas-Greenfield, donna e nera, rappresentante permanente per gli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite, ha posto per 4 volte il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il cessate il fuoco umanitario a Gaza. May Golan, ministra di Israele per l’uguaglianza sociale e il progresso delle donne ha detto: “Personalmente, sono orgogliosa delle rovine di Gaza e del fatto che ogni bambino, anche tra 80 anni racconterà ai propri nipoti cosa hanno fatto gli ebrei”. E gli ebrei dovrebbero preoccuparsi tantissimo di essere usati in questo modo dal sionismo e dal colonialismo israeliano.

Quella del posizionamento è una teorizzazione precisa del movimento femminista. Non esistono zone neutre, è sempre necessario scegliere da che parte stare. Il “né né” significa sempre stare dalla parte del più forte.

Con la resistenza palestinese senza distinguo.

Coordinamenta femminista e lesbica

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