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Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza
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Lezioni di storia
Lezioni di storia/piccole riflessioni sull’asservimento e sul controllo.
Elisabetta Teghil da Femminismo materialista, Bordeaux 2015, p.219
Theodor W. Adorno e Max Horkheimer scrissero nel 1947 “Dialettica dell’Illuminismo”. Il libro fece molto scalpore perché nazismo tedesco e mercificazione americana erano posti sullo stesso piano, tanto più scalpore perché i due, di origine ebraica, erano fuggiti dalla Germania negli anni ’30 e sarebbero tornati nel paese di origine negli anni ’50 ed entrambi erano in un posto di osservazione privilegiato perché sia in Germania che negli Stati Uniti avevano esercitato la professione di professori universitari
Entrambi, riflettendo sull’Europa che avevano lasciato e sulla società americana che li aveva accolti nel loro esilio, sottolinearono l’asservimento totalitario delle masse non solo attraverso i metodi tipici del fascismo, ma anche attraverso la mercificazione propria della società americana.
Denunciavano la riconversione di questo mondo al fascismo, la sua corruzione guidata soprattutto dalla TV che ricostruisce il mondo visibile a immagine del capitale e , più in generale, del potere. Questa interagisce con il telespettatore/trice che, in definitiva non è altro che il cittadino/a, per manipolarlo/a, dominarlo/a e, come obiettivo, produrne uno nuovo/a.
Invitavano a demistificare la verità del potere e concludevano che l’antidoto contro il falso, il manipolato, il filtrato che veniva dall’informazione, e in particolare da quella televisiva, sulla lettura dell’esistente doveva necessariamente ancorarsi alla trasformazione del mondo, che vivere dentro le strutture del capitale aveva un senso solo in maniera antagonistica e che pertanto ciò avrebbe richiesto all’individuo la necessità di prendere posizione, di schierarsi. Solo questo avrebbe potuto dare la speranza di una vita che non fosse impostata gerarchicamente e prefigurata da chi il potere lo detiene e ha la pretesa di programmare ognuno/a di noi ancora prima della sua nascita. E ravvisavano l’assoluta necessità di cominciare a recuperare la memoria della storia.
E’ qui, nel mezzo dell’essere vivente, che si apre una creatività utile a fertilizzare il mondo in cui viviamo.
Avevano individuato come l’uomo occidentale si rappresentasse come il punto centrale verso cui tutto e tutti dovessero tendere e come tutto quello che si allontanava da quel modello fosse considerato barbaro e incivile.
Questa lettura si è rivelata precisa e puntuale.
Oggi si realizza compiutamente nel momento in cui la vita intera è metabolizzata dal neoliberismo che ha prodotto una società messa al lavoro in ogni aspetto dell’esistente, in cui le dinamiche dello sfruttamento si diffondono sull’intero tessuto sociale.
Lo sfruttamento si irradia a tutto campo in tutti i segmenti della società.
Non c’è nessuna crisi, ma il trionfo del neoliberismo che ha esteso le modalità del comando che c’erano nella fabbrica alla società intera. Il tessuto sociale ne è sconvolto: tutto è merce, la precarietà è diffusa, la disoccupazione provocata volutamente, l’istruzione e la sanità pubbliche smantellate, spezzettate e svendute al privato, le guerre si susseguono a ritmi sempre più serrati e sono utilizzate per creare un nuovo ordine.
Violenza ed ingiustizia, violazione delle sovranità nazionali, del diritto internazionale, azzeramento delle conquiste frutto delle lotte sono le coordinate dentro cui il neoliberismo, forma compiuta dell’autoespansione del capitale, si muove.
Noi viviamo in questa stagione, in questo passaggio storico, perciò dobbiamo coltivare la passione per la libertà politica, l’amore per l’uguaglianza sociale, la rivolta contro la povertà e l’impegno per la sconfitta del patriarcato e tutte insieme dobbiamo camminare per ottenere la liberazione senza la quale siamo come dei criceti che girano in tondo e non vanno da nessuna parte..
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Il tempo è adesso.
Orologi e cacciaviti. Tempo, praxis, storia.
da https://www.carmillaonline.com/2020/09/08/orologi-e-cacciaviti-tempo-praxis-storia/
una recensione di Silvia De Bernardinis all’ultimo libro di Barbara Balzerani, Lettera a mio padre, DeriveApprodi, Roma 2020, pp. 112, 12,00 euro
Una lettera al padre. Un viaggio nelle fenditure della propria storia personale, dove arriva forte l’eco della storia collettiva degli oppressi. Trasmissione di esperienza, di lasciti del Novecento operaio, ed anche di fratture insanabili. Storie personali tra padre e figlia che sono al tempo stesso storie di classe e di appartenenza che scorrono lungo il secolo breve delle rivoluzioni. Conti da far quadrare, in cui come sempre l’umano e il politico si tengono indissolubilmente.
Come nei libri precedenti di Barbara Balzerani, anche Lettera a mio padre, edito da DeriveApprodi, è una discesa e un’immersione nelle crepe della Storia, tra gli scarti della storia ufficiale senza i quali però nessuna storia può essere raccontata se non trasfigurandola, e nessuna via di fuga collettiva da un sistema sociale basato su profitto, sfruttamento e miseria, pensata. È questa la scrittura e la concezione della Storia che Barbara propone nei suoi libri, messa a punto con sempre più affinata maestria nel suo ormai ultraventennale percorso letterario.
Una prospettiva che permette di cogliere le dissonanze, i punti di frattura che smentiscono la presunta linearità del tempo e dei fatti. Un viaggio che posa lo sguardo sugli “invisibili al potere”, interni alle “dissonanze della vita collettiva”, compagni di viaggio che Barbara ha incontrato sulle strade percorse in questi anni di difficile resistenza, fuori dal terreno viscido dell’indistinto che tutto fagocita, laddove è possibile lo squarcio di luce che smaschera i meccanismi pervasivi di un sistema di sfruttamento stritolante, dove è possibile la rottura imprevista, l’incontrollabilità al potere. Ma anche lontano dai sentieri ormai infertili di quel Novecento che ha attraversato e che l’ha attraversata nelle viscere. E da questo viaggio torna restituendoci un quadro a più colori, a più voci e accenti, tessuto in trame di inconciliabilità al capitale che assumono un volto che si fa sempre più riconoscibile. Continua a leggere
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C’eravamo, ci siamo e ci saremo!!!!
Dana e Stefano liberi subito!!!!
Sono venuti che era ancora notte e sono venuti in forze. Hanno la paura di chi sa di avere torto.
Questa mattina alle 5, con un blitz in pieno stile, con blindati e celerini, le forze dell’ordine hanno applicato la paradossale sentenza nei confronti di Dana emessa dal Tribunale di sorveglianza di Torino nella persona della giudice Elena Bonu. Ma ad attenderli hanno trovato il popolo No Tav deciso a sostenere Dana in questo momento e a non far passare sotto silenzio questa vergognosa prepotenza contro una donna, una compagna e contro un intero territorio.
<<<<Per questo motivo stasera, alle 20:30 ci troveremo a Bussoleno in Piazza Cavour per una fiaccolata in cui portare tutta la nostra solidarietà a Dana e a Stefano, gridare il nostro disgusto e la nostra determinazione. Resisteremo un metro, un giorno, un’ora più di loro!>>>>
Un intero quartiere di Bussoleno è stato militarizzato per ore, impediti gli accessi agli abitanti del paese che volevano testimoniare con un gesto d’affetto la loro vicinanza a Dana. Nonostante il dispiegamento di forze però i No Tav sono riusciti a raggiungere la casa e a gridare forte il dissenso verso questa ingiustizia. Una marcia della vergogna per chi è venuto a prelevare Dana, che ha reagito con spintoni a giovani e anziani, minacce e insulti. La Digos di Torino si è distinta come al solito nell’esercizio dell’arroganza verso chi lotta per difendere la propria valle. Continua a leggere
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La parola e la cosa.
La parola e la cosa.A proposito di progetto rivoluzionario
Editoriale
Come è già stato scritto da più parti, l’epidemia di Covid19 ha messo nelle mani dei padroni un formidabile “coltello” per accelerare il modo di produzione informatico. Storicamente il capitalismo ha prima privato gli umani dei propri mezzi di produzione e sussistenza, e solo successivamente ha potuto sfruttarne il lavoro. Si tratta di quella che Marx, deturnando polemicamente un’espressione dell’economista borghese Adam Smith, chiamava “accumulazione originaria” o “accumulazione primaria”. La divisione sociale tra sfruttati e sfruttatori, ragionava il pensatore tedesco, non si basa affatto sulla maggiore parsimonia che avrebbe permesso agli uni di possedere i mezzi di produzione e comprare il lavoro degli altri, possessori unicamente delle proprie braccia: a preparare la rivoluzione industriale furono almeno tre secoli di furto delle terre comuni e di leggi draconiane contro i poveri. Se oggi questa storia «scritta negli annali dell’umanità a caratteri di sangue e di fuoco» si sta ripetendo tale e quale in Africa (dove a partire dai primi anni Ottanta gli espropri della terra vengono operati dagli Stati locali su spinta della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale), il capitale non ha mai smesso di rinnovare la propria accumulazione prendendo di mira le “risorse” più diverse. La cosiddetta digitalizzazione, verso cui i governi indirizzeranno buona parte dei “fondi per la ripresa”, trova la propria fonte nell’esperienza umana, che per divenire “big data” dev’essere letteralmente vampirizzata dalle macchine dette “intelligenti”. In questa nuova opera di rapina organizzata del vivente, tutto ciò che non viene filtrato da una rete di computer e sensori – la solitudine della coscienza o l’imprevedibilità dell’incontro faccia a faccia – dev’essere sostanzialmente eliminato. Il tipo di propaganda mediatica che sta circolando in questo periodo è indicativo oltre che inquietante, e ci dice molto di quanto il capitale stia investendo – non solo in termini monetari o militari, ma anche culturali e simbolici – su un mondo a distanza, dove tra umano e umano, tra umano e natura, si collochi sempre un dispositivo informatico (“distanti ma uniti”, dice infatti la propaganda governativa). Tra criminalizzazione delle passeggiate, inviti alla delazione e costante disciplinamento poliziesco, i vari media di regime hanno annunciato l’inizio di una nuova èra, in cui il gesto della stretta di mano va a finire in un museo (come in una vignetta di un giornale straniero), gli amanti si masturbano davanti a una webcam, gli amici fanno “party” in rete ecc. In quest’opera di condizionamento di massa, ciò che più rileva è che il “distanziamento sociale” non viene affatto porto come consiglio per affrontare una situazione temporanea, o registrato come semplice dato di fatto legato a circostanze comunque transitorie. Al contrario lo si dà per scontato, come si dovesse vivere in “stato di emergenza pandemico” per l’eternità. Altro segnale di investimento propagandistico e ideologico è il modo in cui tutti i media hanno attribuito i diversi attacchi subiti dalle antenne 5G in varie parti del mondo a forme di complottismo più o meno deliranti. Alla base di questa operazione mediatica stanno alcuni studi scientifici particolarmente apprezzati negli ambienti steineriani, studi secondo i quali l’elettromagnetismo di reti e antenne indebolirebbe l’apparato immunitario dei viventi favorendo la propagazione di malattie. Non solo il fatto che queste ricerche abbiano attirato l’interesse di chi vede “cospirazioni” ovunque non squalifica affatto il loro valore; ma soprattutto, restringere ad esse le ragioni per opporsi al mondo “smart” (ovvero al tecno-totalitarismo in preparazione di cui il 5G è l’infrastruttura materiale) è un’operazione che si commenta da sola, spacciando il tutto per una sua (minima) parte. Non c’è affatto bisogno di vedere un legame diretto tra Coronavirus e 5G per avversare il modo di produzione informatico: per combattere un progetto che mira a privarci di tutto ciò che ci rende umani le ragioni non solo si sprecano, ma sono semplicemente assolute. Tocca anche riconoscere, come spesso accade, che la propaganda menzognera di regime ha anche un suo rovescio di verità. È purtroppo vero che un mondo come questo – con i suoi allevamenti intensivi, le sue devastazioni dell’ambiente naturale, la sua titanica produzione di nocività e, per chi può permetterseli, i suoi spostamenti “facili” tra i cinque continenti – produrrà sempre più epidemie, e più in generale delle catastrofi di cui gli Stati si arrogheranno la gestione militarizzata. Ma le “soluzioni” dello Stato e dei suoi comprimari tecnoindustriali, ovvero dei principali responsabili di tutte queste sciagure, non potranno che aggravarle. Per guardare solo a un aspetto, nel mondo ci sono circa 3 milioni di server, ospitati da mezzo milione di data center, diversi dei quali consumano ogni giorno tanta elettricità quanto una città di 30.000 abitanti. Anche senza pensare alla loro ricaduta diretta sulla salute, pensiamo a quanto questi mega-server già incidano sul surriscaldamento globale e cosa comporterà il loro incremento, quando la rete mira a coprire la totalità delle interazioni umane sul pianeta. Senza per forza rimarcare quanto sia patogena una vita senza rapporti diretti, o con rapporti ridotti al minimo, basterebbe già questo per capire come le “cure” del governo – il tracciamento tramite app che renderà gli smartphone ancora più necessari a fare qualsiasi cosa, la promozione del lavoro da remoto ecc. – siano ben peggiori del male.
La retorica di regime va rovesciata anche da un altro punto di vista. Nell’inaugurare i primi passi della “fase 2” – che mentre ha allentato un po’ le briglie ai passeggiatori solitari, ha sciolto completamente gli ormeggi alle industrie, “perché l’economia deve ripartire” – il premier Conte ha parlato di rischio calcolato. Dobbiamo anche noi assumerci fino in fondo questa prospettiva, ma dal nostro punto di vista. Se ci pensiamo bene, non solo vivere è sempre rischiare, ma è ontologicamente impossibile farlo senza interagire con gli altri e con la materia. Una vita in cui tutti fossero sempre tra le mura domestiche significherebbe semplicemente l’estinzione umana per fame e sete: per sopravvivere dobbiamo per forza uscire e avere contatti tra noi, almeno in una certa misura e secondo certe modalità. Rovesciare il discorso significa scegliere misure e modalità in autonomia. Ragionarne e trovarle adesso, prima che il guinzaglio governativo si accorci di nuovo col ricatto di nuove ondate epidemiche, è letteralmente cruciale. Come già hanno urlato alcuni facchini in lotta, bisogna dire con forza che “se possiamo lavorare, allora possiamo anche protestare”, spezzando il ricatto terroristico del manovratore che non vuole essere disturbato da “assembramenti”. Più in generale, bisogna affermare chiaro e tondo che quale sia il rischio da correre, e perché e come, ce lo calcoliamo da soli; perché ad essere in gioco è la nostra vita, e nient’affatto solo per il virus. Piano piano lo stanno cogliendo in diversi, come quei genitori, studenti, bambini ed educatori che hanno di recente protestato contro la didattica a distanza o le mascherine imposte ai più piccoli, con tutto il loro carico di disumanizzazione. Affrontare un’epidemia è senz’altro complicato. Nessuno, neppure i pretesi “esperti”, è in grado di fornire una visione “oggettiva” della situazione, e men che meno di come potrà svilupparsi. È quindi importante che nei diversi contesti – come quelli di lotta – ci sia un confronto anche sulle precauzioni da prendere, con rispetto e ascolto delle diverse esigenze e ragionamenti, senza dar niente per scontato. Ma come vogliamo vivere, e cosa rende una vita degna di essere vissuta, è e sarà sempre di più la vera posta in gioco. Continua a leggere
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Vogliono arrestare le nostre idee ma le idee sono come il vento
Domani mercoledì 16 settembre presidio permanente a Bussoleno!
da https://www.notav.info/
Di questo si tratta, la sentenza che ha colpito Dana è il frutto di un vero e proprio processo alle idee. Ad indicarlo chiaramente sono le motivazioni, non ancora depositate ma trapelate, che la giudice Elena Bonu ha addotto nel rifiuto delle misure alternative al carcere, ma è anche la natura stessa della pena comminata.
Una pena evidentemente spropositata: due anni per aver partecipato ad un’iniziativa durata 10 minuti, in cui la “colpa” di Dana sarebbe stata quella di spiegare ad un megafono i motivi della protesta.
Il movimento No Tav all’epoca dei fatti era in mobilitazione permanente da lunedì 27 febbraio, in seguito alla caduta di Luca dal traliccio. Giorni di rabbia e dolore, ma anche di determinazione, nonostante le cariche e gli scontri che continuavano a susseguirsi.
I No Tav quel giorno avevano deciso di liberare i caselli di una delle autostrade più care d’Italia, la Torino Bardonecchia, che dal lunedì della stessa settimana fino al giovedì era già stata occupata in maniera permanente dal movimento. Il senso di quella iniziativa era, ancora una volta, sottolineare l’enorme sperpero di denaro pubblico destinato alla costruzione dell’opera.
Il reato di Dana non è stato tanto quello di aver partecipato alla liberazione dei caselli, di per sé un reato trascurabile (sono centinaia i casi in cui processi che riguardavano iniziative del genere si sono risolti in pene modeste o addirittura in assoluzioni), ma è evidentemente quello di essere parte con determinazione e protagonismo di una delle lotte popolari più longeve ed efficaci del nostro paese, che ha messo in discussione governi e assetti istituzionali e che è la bestia nera di chi specula e devasta l’ambiente. La sua “responsabilità” è quella di essere stata per anni uno dei volti pubblici, una delle voci con cui il movimento ha parlato, ha gridato le proprie accuse verso un sistema ingiusto che ignora i reali bisogni dei territori.
Una delle motivazioni della sentenza con cui sono state rifiutate le misure alternative è che Dana non si sarebbe allontanata nè dal movimento No Tav nè dal territorio continuando a vivere in valle a Bussoleno. Lei è colpevole dunque di non aver abiurato le sue idee, di non essersi fatta intimidire dalle persecuzioni che quotidianamente colpiscono gli attivisti e le attiviste del movimento e di aver continuato a lottare con generosità, senza risparmiarsi. E’ colpevole di non aver voluto lasciare un territorio dove risiedono i suoi affetti, dove resistono le montagne che ha imparato ad amare e conoscere: un territorio che viene dipinto come un tessuto criminogeno. Gli abitanti della valle che si schierano contro il TAV in questa narrazione vengono considerati alla stregua di banditi invece che cittadini preoccupati per il proprio futuro e quello del territorio, già ferito, in cui vivono. Un processo alle idee che ricorda altri tempi, tempi in cui in giro per la valle venivano affissi cartelli con scritto “achtung banditen”, tempi in cui le donne che si opponevano al potere costituito erano soggette alla “caccia alle streghe”. Continua a leggere
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Podcast degli Incontri pubblici su Corpi tra confino e conflitto a Milano e a Tradate
Pubblichiamo i podcast di alcuni stralci degli Incontri pubblici svoltisi a Milano e a Tradate su <Corpi tra confino e conflitto>
con Nicoletta Poidimani e Elisabetta Teghil, coautrici in <KRISIS.Corpi, confino e conflitto> (Ed, Catartica) e i curatori di <Lo spillover del profitto/ capitalismo, guerre ed epidemie>>(a cura di Calusca City Lights)
Gli incontri sono stati estremamente interessanti e tantissimi gli spunti emersi, ringraziamo tantissimo gli organizzator* di entrambi!
<<<<<Mercoledì 9 settembre 2020 incontro pubblico organizzato da Calusca City Lights, Archivio Primo Moroni, Csoa Cox 18 in via Conchetta 18, alle 18 e 30 a Milano su <Corpi tra confino e conflitto>
Ascolta qui l’introduzione e l’intervento di Elisabetta Teghil
<<<<<Giovedì 10 settembre 2020 incontro pubblico dalle ore 20:30 alle 23:55 <CORPI TRA CONFINO E CONFLITTO> organizzato da Kinesis, Via Carducci 3, Tradate (Varese)
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sabato 12 settembre 2020- I/le Gilets Jaunes stanno manifestando a Parigi
I/le Gilets Jaunes stanno manifestando in questo momento a Parigi!!!!!
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La Parentesi di Elisabetta del 9/09/2020
“Il progetto e la sponda”
Dalla distruzione delle istanze collettive alla distruzione del soggetto
< Dire fare baciare lettera testamento…> Filastrocca per un gioco infantile
Vi ricordate questo gioco infantile? Era basato sulle penitenze. Il malcapitato/a doveva pagare pegno e sottostare a delle penitenze che suo malgrado era lui/lei stesso/a a scegliere. Ad occhi chiusi doveva toccare la mano di un compagno/a scegliendo un dito: le cinque dita della mano corrispondevano a dire, fare, baciare, lettera, testamento e ad una relativa penitenza ed era veramente difficile dire quale fosse la peggiore.
Con riferimento alla situazione politica, economica, sociale e personale, gli italiani non sanno quale dito scegliere, qualunque sia la loro scelta pagheranno pesantemente. E non solo gli italiani/e, parliamo del nostro paese solo per semplicità di riferimenti e perché siamo qui.
Il neoliberismo si è caratterizzato per la distruzione delle istanze e delle strutture collettive, per la destituzione di partiti, sindacati, forme politiche organizzate, delle stesse istituzioni rappresentative delle nostre democrazie occidentali diventate democrazie autoritarie e democrazie di mercato in cui l’uno e l’altro aspetto non sono in contraddizione bensì due facce della stessa medaglia. Le grandi raffigurazioni politiche ma anche sociali ma anche religiose che costituivano nei secoli passati il riferimento in cui la persona poteva ritrovarsi e costituirsi sono state smontate in nome dell’autonomia del soggetto a cui è stato imposto il farsi da sé in una costruzione personale che viene propagandata come il massimo della libertà di scelta, di azione, di realizzazione. Si sperimenta così una nuova condizione soggettiva della quale però nessuno possiede le chiavi di interpretazione, tanto meno le nuove generazioni a cui è stata negata perfino la conoscenza e l’esperienza del passato recente.
Il neoliberismo ha la pretesa di spingere l’individuo a definirsi attraverso la sua autonomia, e non più mediante il suo riconoscimento in uno spazio collettivo e a dare di sé una definizione autoreferenziale. Autonomia che è in particolare giuridica, vale a dire che l’autonomia giuridica, così come la libertà mercantile, eventualmente totale, sono assolutamente congruenti con la definizione autoreferenziale del soggetto. E l’economia di mercato avrebbe la pretesa di farsi carico dell’insieme del legame personale e del legame sociale. Il soggetto resta così invischiato in un presente dove si gioca tutto e se fallisce come succede nella stragrande maggioranza dei casi la sensazione di impotenza è totale. La medicalizzazione delle vite, strette tra depressione e illusione di onnipotenza, diventa così generalizzata e la fiducia in uno scientismo capace di risolvere i problemi personali, devastante e acritica. Continua a leggere
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Catene di carta/Note sulla sorveglianza speciale
E’uscito l’opuscolo
<Catene di carta.Note sulla sorveglianza speciale.>
leggi qui Catene-di-carta_opuscolo
A mo’ di premessa
Questo opuscolo è stato scritto nei primi mesi del 2020, quando cominciava a diffondersi il Covid-19 e l’Italia iniziava velocemente a sprofondare nello Stato d’Emergenza. Va da sé che, da allora, le cose siano cambiate molto in fretta e che certe affermazioni contenute in queste pagine appaiano già un po’ datate. Ecco perché questa premessa, necessaria e in un certo senso doverosa[…]
[…]Rilette adesso, quelle righe rischiano di trasmettere un’immagine imprecisa del presente, e di fare involontariamente un favore alla controparte. Se il senso complessivo di questa analisi resta per noi valido, è anche evidente come negli ultimi mesi la repressione di Stato abbia fatto un ulteriore passo in avanti. Quando si arrestano compagne e compagni come “terroristi” all’interno di inchieste per 270bis che ruotano attorno al reato e al concetto di “istigazione a delinquere”, ovvero a quanto i compagni scrivono sui loro volantini; e quando un anarchico (Paska) viene arrestato come “istigatore” per essere stato picchiato in carcere, non pronunciare l’espressione delitto politico appare (da parte dello Stato) una foglia di fico sempre più esile. Preferiamo apparire “vittimisti” che essere insinceri, o intellettualmente poco onesti: lo Stato arresta i compagni sempre di più per le loro idee e i loro propositi. Va da sé che il suo timore è che queste idee possano tradursi in azione. Ma d’altronde, non è sempre andata così, nella storia? Dagli eretici medievali alla carboneria, dai giacobini ai marxisti, dai mazziniani agli anarchici, non è mai esistita una repressione “platonica” di idee “platoniche”, cioè di idee che non avessero effetti sulla realtà (e non fossero in un modo o nell’altro “assunte” da chi le proclamava). A fare la differenza è soprattutto la profondità con cui lo Stato infierisce contro parole e gesti. Quando essere arrestati o trovarsi ristretti per aver attaccato dei manifesti, o per aver svolto un presidio, o per essere stati presenti a una manifestazione, comincia a diventare la normalità, il salto di qualità è flagrante.[…]
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Corpi tra confino e conflitto/Giovedì 10 settembre a Tradate
Giovedì 10 settembre 2020 dalle ore 20:30 alle 23:55 Kinesis, Via Carducci 3, Tradate
<Tutte le fragilità emerse nella primavera del 2020 intorno al Covid-19 necessitano di un’analisi critica. Il disastroso collasso ecologico, il terrore dettato dal disciplinamento politico e mediatico, il conseguente distanziamento sociale, la dissoluzione del corpo collettivo, di cui il lato medico-sociale è solo una delle tante peculiarità, fanno capire che quello che è avvenuto è molto di più di un’epidemia e determinerà irreversibilmente l’intero XXI secolo.>
GIOVEDÌ 10 SETTEMBRE ore 20.30
CORPI CONFINO E CONFLITTO
INCONTRO PUBBLICO con
NICOLETTA POIDIMANI e ELISABETTA TEGHIL
coautrici di
“KRISIS – Corpi, confino e conflitto” (ed. Catartica)
Il libro, focalizzandosi sui corpi e il loro confino, non racconta solo il presente ma anche il futuro, le sue radici e i conflitti possibili.
e con i curatori di
LO SPILLOVER DEL PROFITTO
capitalismo guerre epidemie
a cura di Calusca City Lights
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Corpi tra confino e conflitto/mercoledì 9 settembre a Milano
Mercoledì 9 settembre incontro pubblico al Cox 18 alle 18 e 30 a Milano su <Corpi tra confino e conflitto>
con Nicoletta Poidimani e Elisabetta Teghil, coautrici in <KRISIS.Corpi, confino e conflitto> e i curatori di <Lo spillover del profitto/ capitalismo, guerre ed epidemie>
Importante non è soltanto ciò di cui parliamo,
ma anche come e perché decidiamo di parlare.
bell hooks
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Funk the covid! 5 settembre 2020
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