Podcast della presentazione del 29/05/2018 “E questo è quanto” al Nido di Vespe

Podcast della presentazione del 29 maggio 2018 al Nido di Vespe del libro 

<E questo è quanto>”Salvatore Ricciardi” di Ottone Ovidi ed. Bordeaux

29 maggio/E questo è quanto, storie di rivoluzionarie e rivoluzionari

Questa la registrazione di tutta l’iniziativa 

clicca qui

Questo l’intervento di Barbara Balzerani

Mi piace molto l’impostazione che Otto ha dato al suo libro. Credo che la storia sia una materia da storici, quelli che si documentano, che mettono a confronto le fonti, quelli che non dovrebbero sbagliare una virgola rispetto a quanto raccontano. Invece la memoria è personale, ruota attorno alla figura di una persona – in questo caso Salvatore – può avere degli svantaggi, magari soffrire di qualche défaillance nei ricordi o, peggio, essere in seguito rielaborata in modo diverso rispetto ai fatti vissuti e a quello che si pensava nell’atto di compierli. E spesso succede. Però, il modo di raccontare attraverso la memoria individuale ha un enorme vantaggio secondo me, e cioè restituisce una fisionomia, carne e sangue a figure che altrimenti rimarrebbero astratte e stereotipate. Come è successo a quella del “brigatista”. Salvatore è portatore di una storia sua, particolare e, contemporaneamente, collettiva che ci offre uno spaccato sull’origine sociale e il percorso di militanza della stragrande maggioranza dei militanti di quella che è stata la nostra organizzazione. E questo è un aspetto fondamentale, proprio perché la figura del brigatista è stata mostrificata, censurata e condannata, in realtà più dalla propaganda che dagli storici, visto che qualche buon libro si può trovare nell’omologazione pressochè totale alle verità ufficiali di tv, cinema, giornali. La propaganda del potere ci ha riempiti di fango. Secondo la vulgata massamediata non si capisce da dove siamo venuti, chi siamo, quale famiglia marziana ci ha messo su questo pianeta, essendo stati del tutto estranei alle dinamiche sociali di questo paese. È un tamtam che va avanti da trenta, quaranta anni, ed è riuscito ad entrare nel senso comune, a far passare l’idea di quattro matti che una mattina si svegliano, vanno a via Fani, fanno una strage, spalleggiati da molteplici poteri occulti.

Nell’apice di questo delirio di mistificazione rappresentato dal quarantennale del sequestro Moro, purtroppo non mi pare che gli storici siano stati tanto presenti come avrebbero dovuto e potuto, indicando altre prospettive di analisi e conoscenza rispetto al discorso mediatico. Al contrario abbiamo visto giornalisti mediamente informati fingere di non sapere, ignorare fatti più che noti, fare “errori” che scivolano nell’orrore, arrivando persino a dire che noi avremmo ammazzato dei compagni… queste sono state le cose dette in televisione… Si è arrivati ad un piano di discussione talmente immiserito che non si tratta neanche più di una contestazione nel merito dei fatti accaduti. Se così fosse, già sarebbe qualcosa, ci attesteremmo almeno su un piano dialettico, di confronto tra diverse posizioni rispetto ai fatti. Invece siamo all’insulto, un insulto gridato che non lascia margini a nessuna possibilità di contestazione.

Rispetto a questo discorso mediatico dominante, cosa fa l’accademia abilitata all’insegnamento e alla critica storica? Possiamo solo prendere atto dello stato in cui versa: qualche giorno fa, all’università di Tor Vergata, un programma di dottorato in storia ha ospitato un’iniziativa che ha riunito membri dell’ultima commissione parlamentare e dietrologi, praticamente una sola e univoca voce. Come è possibile ricostruire la storia se questi ne sono i presupposti e le linee di discussione? Perché dovremmo avere interesse e voglia di confrontarci con questi signori, i quali da una parte dicono che dobbiamo tacere, e dall’altra che siamo reticenti? E’ un gioco miserabile, però funziona, e attecchisce, tanto in chi in quegli anni non c’era e crede di sapere, come in chi invece c’era e ha “dimenticato”, perché anche l’aver cambiato idea così radicalmente da fingere di aver visto e vissuto cose diverse da quelle accadute contribuisce a mistificare il racconto. Su questa strada diventa gioco facile far passare verità imposte che parlano la lingua del potere che si protraggono ormai da qualche decennio e che da quando è stata istituita la “giornata della memoria delle vittime del terrorismo” va sotto il nome di “memoria condivisa”.

Cosa significa memoria condivisa? Come si fa in una società divisa in classi ad avere una memoria condivisa? E’ una contraddizione in termini. Ciò che dice Otto nella sua prefazione, e cioè che la sua è una scrittura di parte, è il minimo che si debba dichiarare e da cui si debba partire credo, proprio perché non esiste una storia asettica, non esiste una storia obiettiva. Esiste al contrario una storia ufficiale che non è affatto neutrale, perché esprime il punto di vista padronale, in questo caso capitalistico, e che non lascia spazio a niente altro. In ogni caso, non esiste nessuna possibilità di mettere insieme narrazioni che esprimono interessi di classe diversi e che procedono nella ricostruzione della propria storia secondo modalità diverse. Continua a leggere

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Leggere L’accumulazione del capitale

Leggere <L’accumulazione del capitale>

di Maria Turchetto

Un’aquila
Lenin la definì “un’aquila”. E davvero Rosa Luxemburg volò molto in alto, in
una società che era ancora profondamente maschilista. A quei tempi in quasi tutto
il mondo le donne erano escluse dal voto e dai diritti politici, in molti paesi non
avevano accesso alle professioni liberali, nel lavoro erano sfruttate e sottopagate
rispetto agli uomini, nella famiglia soggette all’autorità del marito.
Rosa Luxemburg i diritti politici se li prese: fu una dirigente socialista di prima
grandezza. Sostenitrice di posizioni internazionaliste, fu attiva nella sua Polonia, in
Russia e soprattutto in Germania. Lucida, coerente, lontana da ogni opportunismo,
all’epoca fu una delle poche rappresentanti del socialismo a non compromettersi
con nessuna guerra, a battersi sistematicamente e implacabilmente contro il militarismo.
Per questo suo atteggiamento passò in prigione la maggior parte degli anni
della guerra, scrivendo, studiando e continuando a seguire gli eventi politici: la costituzione in Germania della Lega di Spartaco, di cui fu diretta ispiratrice; la rivoluzione russa, che valutò e commentò con grande intelligenza – sostenne Lenin e i
bolscevichi, ma fu da sempre consapevole delle difficoltà e delle degenerazioni cui
il partito rivoluzionario poteva andare incontro.[…]

continua qui https://www.unive.it/pag/fileadmin/user_upload/dipartimenti/DSLCC/documenti/DEP/numeri/n28/02_n28-2015.pdf

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SIAMO TUTTE LAVINIA!!!!!

SIAMO TUTTE LAVINIA!!!!!

Lavinia Cassaro, l’insegnante che aveva osato esprimere in piazza durante una manifestazione le sue opinioni politiche è stata licenziata. Siamo tutte Lavinia, perché non è sufficiente essere tutte con Lavinia, ci dobbiamo rendere conto che quello che è successo a Lavinia può succedere ad ognuna di noi. Lavinia è stata licenziata per le sue idee.

Il neoliberismo vorrebbe raccontarci una società basata sulla” convivenza civile” in cui ognuna/o dovrebbe esprimere le proprie idee e convinzioni con riserbo e pacatezza e tutte/i insieme dovremmo lavorare per il bene dello Stato  “democratico”, per la costruzione di una società “migliore”, più “civile”, più “ricca e accogliente” di quella in cui viviamo.

Vorrebbero farci dimenticare che questa è una società basata sullo sfruttamento, sull’ingiustizia sociale, sulla disperazione della stragrande maggioranza degli esseri umani, qui e nel terzo mondo, una società classista, razzista e sessista.

Per questo hanno la sfrontatezza di pretendere contraddittori tra le parti. Come se si potesse fare un contraddittorio tra oppresso/a ed oppressore, tra sfruttato e sfruttatore, tra lo Stato che agisce impunemente violenza in tutte le sue articolazioni e chi la subisce e tenta di sottrarsi….viene annullata  in questo modo la valenza politica delle lotte che sarebbero dovute quindi all’incapacità dei soggetti di rapportarsi “democraticamente”.

E tutto questo è non solo strumento di demonizzazione di chi tenta di opporsi ora a questo stato di cose, ma è anche un oltraggio per tutte quelle e tutti quelli che hanno lottato e che, oltre ad aver pagato caro il loro impegno, si vedono  equiparare  a chi le ha perseguitate/i e oppresse/i.

E vorrebbero che questo discorso passasse prima di tutto nella scuola che ha a disposizione tutti gli strumenti per essere catena di trasmissione dei valori dominanti.

E i primi naturalizzatori del discorso neoliberista sono i socialdemocratici riformisti che nascondono dietro una maschera “buonista” una violenza inenarrabile che si manifesta esplicitamente quando  Matteo Renzi nella trasmissione Matrix del 26 febbraio ha auspicato il licenziamento della maestra, un licenziamento che sarebbe dovuto all’incompatibilità di idee politiche di questo tipo con il ruolo di insegnante. 

La violenza del neoliberismo si manifesta  nella sua pretesa di vietare ogni forma di conflitto, di differenza e di declinare tutto nel suo interesse e di sacrificare tutto alla sua conservazione e autoespansione.

Chiarezza politica, onestà intellettuale, coraggio civile, autonomia, autodeterminazione, autorganizzazione, coscienza di classe, coscienza di genere sono gli strumenti che dobbiamo usare per proseguire il nostro percorso di liberazione.

Qui le riflessioni che abbiamo fatto qualche tempo fa proprio sul concetto di “convivenza civile”

I Nomi delle Cose del 14/06/2017

 

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22 giugno 2018 /Come se non ci fosse un daspo

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13 giugno/ ama i cagnetti, odia l’autorità!

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Riflessioni su un tabù: l’infanticidio

Réflexions autour d’un tabou : l’infanticide

(traduzione della Coordinamenta a puntate/ prima puntata )

Ouvrage collectif paru en juillet 2009.

https://infokiosques.net/spip.php?article860

infanticide-cahier-pourA5

Qui e ora, nelle nostre società occidentali moderne, donne di tutte le età e di ogni contesto sono incarcerate con l’accusa di infanticidio-noi parliamo qui di neonaticidio. Le loro vite e le loro personalità sono sviscerate da specialisti di ogni tipo, sono trattate male dai media e trattate male dall’opinione pubblica. Come può essere che ci siano in mezzo a noi, in mezzo alle donne, delle <anomalie sociali> da curare o da internare; le altre donne non avrebbero niente a che vedere con questa storia di sofferenza e di solitudine, non sarebbero attraversate dagli stessi vincoli legati alla maternità e all’oppressione degli uomini sulle donne? Noi, le otto donne che hanno scritto questa brochure, di situazioni e di età diverse, affermiamo che tutti, uomini e donne, in questa società, sono coinvolti in questa storia. Analizzando ciò che ci ha formato riguardo alla sessualità e ciò che costringe nella maternità, noi vogliamo farla finita con il tabù dell’infanticidio.

Aujourd’hui et ici, dans nos sociétés occidentales modernes, des femmes de tous les âges et tous les milieux sont emprisonnées sous l’accusation d’infanticide – nous parlons ici de néonaticide. Leurs vies et leurs personnalités sont décortiquées par des spécialistes de toute sorte, elles sont malmenées dans les médias et maltraitées par l’opinion publique.
Comment peut-on croire qu’il y ait parmi nous, les femmes, des « anomalies sociales » à soigner ou à enfermer ; les autres femmes n’auraient rien à voir avec cette histoire de souffrance et de solitude, elles ne seraient pas traversées par les mêmes contraintes liées à la maternité et à la domination des hommes sur les femmes ?
Nous, les huit femmes qui avons écrit cette brochure, de situations et d’âges divers, affirmons que tout le monde, femmes et hommes, dans cette société, est concerné par cette histoire. En analysant ce qui nous formate dans la sexualité et ce qui nous contraint dans la maternité, nous voulons en finir avec le tabou de l’infanticide.

[…] PUNTO DI PARTENZA: TENTATIVO DI TOGLIERSI IL CORSETTO

Noi siamo otto donne che hanno deciso di scrivere e pubblicare questa brochure. Otto donne dai venti ai settantaquattro anni. Alcune di noi hanno dei figli, altre no. Quello che ci unisce non è il fatto di essere madri o meno, ma il fatto di essere, come donne in questa società, tutte attraversate dalle questioni della maternità. Quello che ci unisce è anche che non ci piace questo mondo com’è e che vogliamo agire contro tutte le dominazioni e le oppressioni e, dunque, tra le altre, contro il patriarcato. L’avvio per il nostro riflettere collettivamente ci è stato dato dalla storia di una donna gettata in prigione per infanticidio. Questo ci tocca e ci interroga. Ci fa rivoltare inoltre quando la stampa si scatena presentando le donne infanticide come dei mostri, tuttalpiù come delle malate.

Allora cerchiamo delle risposte. E le sole che troviamo vengono dagli psichiatri e dai magistrati. Risposte parziali e insoddisfacenti, spiegazioni di esperti che sezionano dei <casi> alcune volte con benevolenza e indulgenza ma sempre dall’alto del loro sapere e della loro posizione sociale. Noi siamo di quelle che pensano che non bisogna lasciare agli specialisti il monopolio della riflessione e della parola su dei soggetti che ci riguardano direttamente. E vogliamo dire in modo esplicito qui che l’infanticidio fa parte della nostra storia, di tutte e di tutti. E’ questa posizione che ci ha portato a cercare degli approcci e dei discorsi meno normativi e ci ha condotte ad un incontro decisivo. Questo incontro ha innescato la nostra voglia di esprimere con una presa di parola pubblica la nostra solidarietà e la nostra rivolta contro la sorte destinata alle donne che vivono questa violenza e questa solitudine.

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Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità

“Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità”

di Denys

(…)Un famoso barbuto tedesco che non ha bisogno di essere citato disse che la storia è la storia delle lotte fra classi, e io sono abbastanza ideologicamente fuorimoda da essere d’accordo. Ma aggiungo che la storia è una conversazione dove ti interrompono spesso. I discorsi di chi pretende libertà sono quelli che appena cominciano si toglie l’audio. È quel genere di situazione dove bisogna imparare ad alzare la voce; io sono qua perché sento intimamente la responsabilità di rimanere abbastanza tignoso da continuare a tenere il volume alto. Sono piuttosto fiducioso di riuscirci, perché sono virtualmente incapace di modulare la mia voce in tonalità non moleste.

marx-as-warhol

Ora, molti interventi come questo cominciano con lunghi antefatti sul proprio percorso. Ma siccome io ritengo d’essere un uomo relativamente banale, e non è che la cittadinanza di maschio d’adozione cambi granché le cose, vi evito questa noia. Sì, ok, sono nato femmina, la cosa mi deprimeva a morte, blablabla, testosterone, blablabla, e ora ho l’acne, i peli e la gioia di vivere. Ordinaria amministrazione, gente! Una cosa ve la dico, però: sono bisessuale. A essere pedanti, anche questa è una descrizione sommaria, ma amo semplificare il semplificabile. Forse ritenete superfluo parlarne, ma per me è politicamente importante ribadirlo: non sono un attivista trans. Sono un attivista trans e bisessuale. C’è tutta la differenza del mondo in questa sottigliezza. Poi sono anche molte altre cose, ma questa è un’altra storia che intendo raccontare altrove.

Veniamo a noi. Se ho dato un preciso titolo a questo intervento è perché penso all’importanza, per un movimento, di definire strategicamente le sue priorità. Spesso pensiamo male, malissimo del concetto di priorità, perché una coltre di gente a dir poco discutibile ne distorce il senso. L’accezione che conferisco a questo termine non è quella che loro utilizzano. Non solo credo che le priorità di un privilegiato siano differenti da quelle di chi privilegiato non è, ma credo anche che la posizione di privilegio strutturale (sociale ed economico) e sovrastrutturale (cioè culturale) plasmi il concetto stesso di priorità. Quando questi soggetti parlano di priorità, non parlano di definire le priorità atte a mandare avanti, in senso positivo, un progresso politico. Nei loro discorsi la priorità è un artifizio che usano per nascondere il fatto che per loro, priorizzare, non è organizzare coscientemente le istanze al fine di portarle avanti con dei risultati, i migliori possibili; è posizionarne alcune sopra le altre in un’ottica escludente e distruttiva, anti-propositiva, e infine del tutto reazionaria. Continua a leggere

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Il 9 giugno/ la Coordinamenta a Siniscola

Tramas de libertade

LA QUESTIONE FEMMINILE COME NUOVA ALTERNATIVA POLITICA.

LA STORIA E LA CRESCITA DEL FEMMINISMO DI CLASSE E DI LOTTA, DALL’INCONTRO CON LE COMPAGNE CURDE DELL’ANNO SCORSO ALLE ELABORAZIONI POLITICHE DELLE BLACK PANTHER DEGLI ANNI ’70.

NE PARLIAMO CON SILVIA BARALDINI ED ELISABETTA TEGHIL.

09 GIUGNO 2018 
GANA ‘E GORTOE ORE 20:00
via Olbia Siniscola

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Lo sciopero che non c’è, la vergogna del sindacato

Riportiamo qui un articolo da baruda.net

https://baruda.net/2018/06/04/lo-sciopero-che-non-ce-la-vergogna-del-sindacato/

Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile i suoi assassini dovrebbero essere chiamati tali.004247583-39561043-d943-4175-99cf-d77c7a8534e1
Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile dicendo “stava rubando”, chi è abituato alla ricerca della verità dovrebbe metterci poco a capire.

ma c’è una cosa più grave di tutte però, più del sangue a terra di Soumaila (29 anni, maliano), una cosa che lascia basiti, che farà pensare ai giovani ai bambinetti che tutto ciò è normale.

Non c’è niente di normale invece: perché quando ammazzano un sindacalista a colpi di fucile il lavoro si ferma. Quando ammazzano un sindacalista i lavoratori incrociano le braccia e bloccano la produzione e questo nemmeno dovrebbe esser dichiarato, tanto è naturale.
Soumaila era un sindacalista dell’USB, lottava per i diritti dei braccianti nella piana di Gioia Tauro, i servi della gleba della nostra Europa ed è stato ucciso a fucilate.
Oggi il suo sindacato avrebbe dovuto dichiarare uno sciopero generale: oggi TUTTI gli iscritti USB si sarebbero dovuti fermare, incrociare le braccia, urlare la rabbia, bloccare la produzione. Il tranviere, il postino, l’insegnante: oggi tutti avrebbero dovuto urlare il nome di Soumaila.

E invece no.
L’USB ha dichiarato lo sciopero DEI BRACCIANTI.
I servi della gleba oggi si fermeranno. Quando dovrebbero, invece, marciare sulla testa del sindacato, acciaccandola e acciaccandola ancora

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Dominique Grange/Chacun de vous est concerné

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SARDEGNA: IL 2 GIUGNO CORTEO CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE

SARDEGNA: IL 2 GIUGNO CORTEO CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE 

A FORAS FEST – 2 GIUGNO 2018

https://www.facebook.com/aforas2016/

Anche quest’anno A FORAS chiama a raccolta tutto il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna, per una giornata di mobilitazione popolare, che capovolga la festa della repubblica italiana. Perché questa data? È la repubblica che da oltre 60 anni impone unilateralmente il 60% di servitù militari alla nostra terra trasformandola di fatto in una colonia militare.
Manifesteremo la nostra opposizione non solo nei confronti dello stato italiano, ma anche della NATO, e di tutti gli altri eserciti stranieri e le multinazionali che operano ogni giorno nella nostra terra per trarre profitto da industria bellica e guerre di aggressione. Quest’anno manifestiamo anche contro la complicità del governo regionale, che a dicembre 2017 ha ratificato l’accordo truffa col Ministero della difesa, col quale, in cambio di poche spiagge (che erano già aperte durante l’estate), ratifica l’occupazione militare della Sardegna e insieme pone le basi per un aumento della presenza militare in Sardegna (con la caserma di Pratosardo e il SIAT a Teulada). Per questo motivo quest’anno il corteo partirà dalla sede della giunta regionale, in viale Trento a Cagliari. Il 2 giugno di quest’anno lanceremo anche la nostra assemblea itinerante, che durante l’estate toccherà diversi territori della nostra isola, occupati dai poligoni e non, per conoscerli meglio e farci conoscere, e per rilanciare anche lì la lotta contro l’occupazione militare.
La manifestazione sarà anche il momento per dichiarare guerra alla guerra e per dimostrare al mondo che il Popolo Sardo non è complice delle aggressioni imperialiste.

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2 giugno/contro la guerra del capitale contro l’ordine patriarcale

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2 giugno 2018/ No al Pentagono!

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A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella

A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella

“Un gioco borghese” teresina 2Parentesi del 21/o5/2014

di Elisabetta Teghil

No, no, non stiamo parlando del Bridge, ma del così detto “gioco democratico”, vale a dire la democrazia borghese.

E’ una specie di “teresina”, solo che la borghesia gioca a carte coperte e “bluffa”, le/gli oppresse/i le carte le devono avere scoperte, sennò il gioco non vale.

Il gioco democratico attualmente si basa sul suffragio universale

Il principio di suffragio universale è correlato alle idee di volontà generale e di rappresentanza politica promosse da Jean-Jacques Rousseau :in base a questi principi, si elabora l’assunto per il quale la rappresentanza politica trova legittimazione nella propria volontarietà.

I cittadini/e, nei moderni Stati democratici, sono alla base del sistema politico e col suffragio universale viene eletto l’organo legislativo di uno Stato; nelle repubbliche presidenziali, ciò avviene anche per l’elezione del Capo dello Stato.

Il principio del suffragio universale maschile è stato introdotto per la prima volta durante la rivoluzione francese da un “comitato di salute pubblica”

In Italia il primo suffragio universale maschile è del 1912 e noi donne abbiamo votato per la prima volta il 2 giugno del 1946, quando ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica.

Le elettrici e gli elettori quindi, dovrebbero votare i loro rappresentanti, mandare in Parlamento chiunque secondo loro possa fare i loro interessi.

Anche il re dei ladri. Perché l’immunità parlamentare dovrebbe essere sacra a tutela degli oppressi e delle oppresse e della minoranza.

Però se poi gli elettori votano qualcosa o qualcuno non gradito a chi tiene banco, allora si cambiano le carte in tavola, il gioco non vale e si butta tutto all’aria: esempi ce ne sono tanti dal Cile di Allende all’ultimo referendum in Ucraina…..con colpi di stato cruenti o bianchi, rivoluzioni colorate, guerre umanitarie ….oppure nella stagione odierna neoliberista si esautora il parlamento, si demonizza la politica, si toglie l’immunità parlamentare….

Avete vinto il referendum sull’ ”acqua pubblica” ? non vale, era un scherzo. Quello sul no al finanziamento pubblico ai partiti? Beh, si cambia nome, basta chiamarlo rimborso….

Poi, il gioco democratico si basa su un altro principio fondante, vale a dire la libertà di pensiero e di espressione. Chiunque dovrebbe essere libera e libero di esprimere un’opinione, la legge può perseguire solo i fatti reali. Ma gli ultimi avvenimenti degli stadi di calcio sono l’esempio lampante di un gioco sleale: se scrivo su una maglietta “Speziale libero” sono condannato a cinque anni di Daspo, mentre lo Stato si può permettere di dare del terrorista a ogni piè sospinto a chiunque non gli sia gradito/a, dimostrando un’assoluta e, chiaramente voluta, ignoranza della stessa lingua italiana, dato che il termine terrorista ha un preciso significato nel vocabolario e nei codici.

Di solito, se un gioco è taroccato, non ha senso giocare. Di solito le bambine e i bambini che sono sempre molto concreti e diretti prima di essere rovinati dalle così dette regole sociali, danno uno spintone a chi bara e si girano altrove.

E, noi, che vogliamo fare?

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Tutta la nostra solidarietà!

Il presidio indetto  al circo massimo a sostegno del popolo palestinese è stato brutalmente represso dai reparti della celere che hanno anche proceduto al fermo di 7 compagni.

Il presidio contestava l’arrivo del giro d’Italia che, partendo da Gerusalemme, ha rappresentato l’ennesimo riconoscimento internazionale dell’occupazione sionista della Palestina,  dopo lo  spostamento dell’ambasciata americana nella stessa Gerusalemme. 

L’intera giornata è stata caratterizzata da un crescendo di intimidazioni e abusi da parte delle forze dell’ordine: dall’identificazione sulle pubbliche vie di chiunque esponesse simboli o bandiere palestinesi, all’irruzione all’interno delle private abitazioni dalle cui finestre sventolavano bandiere della Palestina!!! Non solo, quindi, aggressioni fisiche e fermi dei manifestanti, ma una vera e propria campagna censoria e terroristica delle autorità italiane, volta a silenziare e spaventare tutte/i quelle/i che,  in solidarietà alla legittima lotta di liberazione palestinese,  non smettono di denunciare i crimini dello stato di Israele. 

Il clima repressivo e intimidatorio che ha accompagnato lo svolgimento della competizione ciclistica è l’ennesima conferma dell’appoggio italiano ai piani di pulizia etnica portati avanti dallo stato sionista. 

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai compagni fermati che speriamo di riabbracciare al più presto. 

Coordinamenta femminista e lesbica

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