Podcast della Trasmissione del 10/2/2016

” Nomi delle Cose” /Puntata del 10/2/2016

“ Il patriarcato è un modello economico

La coordinamenta verso l’8 marzo

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 Lottare solo contro l’ideologia, la mentalità, la cultura patriarcale senza mettere in discussione i meccanismi che la perpetuano, è insufficiente se non fuorviante. Non trasformando i rapporti di produzione capitalistici iscritti nei processi di lavoro, questi riproducono continuamente tutti i ruoli della divisione sociale capitalistica, tutti i ruoli degli apparati politici e ideologici patriarcali” ATTI/ Il personale è politico-Il sociale è il privato- 2012/ Attualità femminista/Falsa immagine/Ricominciare da tre –Il Patriarcato è un modello economico”

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Burloni

“Burloni”

di Margherita Croce 

“Palermo, molestò due impiegate in ufficio, assolto direttore: “Era immaturo, agì per scherzo” Questa la notizia.

Questa sentenza è molto interessante perché “giuridicizza” una argomentazione molto in voga, anzi direi egemone, utilizzata per controbattere alle denunce di violenze da parte di donne: “la stai prendendo troppo sul serio, quello è solo un coglione, non è pericoloso”.

In questa sentenza infatti si dice che se il molestatore non agisce per soddisfare un proprio impulso sessuale (e i giudici assumono implicitamente che tale soddisfazione si possa realizzare solo con l’atto carnale! sigh) il reato di molestia non si configura. Inoltre, una palpatina sul culo non impatta in alcun modo sulla “libertà sessuale” di una donna, di modo che, mancando l’offesa, manca anche l’evento di reato.  A parte il fatto che queste argomentazioni potrebbero semmai sorreggere l’esclusione del reato di violenza o abuso sessuale, mentre quello di molestie può sussistere anche se viene solo disturbata la tranquillità della donna, il passaggio davvero interessante è questo: il gesto  “era oggettivamente dettato da un immaturo e inopportuno atteggiamento di scherzo, frammisto ad una larvata forma di prevaricazione e ad una, sia pur scorretta, modalità di impostazione dei rapporti gerarchici all’interno dell’ufficio”….

In questo modo la violenza di genere viene del tutto decontestualizzata e, per ciò stesso, snaturata: è proprio la gerarchia sessuale su cui si fonda il sistema patriarcale, e anche quello capitalistico, a costituire, non solo lo sfondo, ma la causa strutturale della violenza di genere. Un uomo che esercita violenza su una donna lo fa perché se lo può permettere; perché il ruolo sessuato che gli è stato attribuito fin dalla culla, o ancor prima, gli consente e, anzi, gli impone di esercitare un ruolo dominante. Come dovremmo chiamare le quotidiane prevaricazioni che una donna è costretta a subire per la strada, al supermercato, in fila alle poste e via dicendo, di uomini che fischiano loro dietro o si lasciano andare ad apprezzamenti di vario tipo? Questi “burloni” non ti metteranno le mani addosso e probabilmente, messi di fronte alla concreta possibilità di “appagare il loro impulso sessuale” se la darebbero a gambe.

Tuttavia la prevaricazione è evidente e, forse, è davvero il caso di smetterla di nominarla “molestia” o “aggressione” sessuale. Forse dovremmo evitare di legare a doppio filo la nostra sessualità con la strutturale violenza patriarcale su cui questa società si fonda e di cui si alimenta. Quando un “burlone” mi apostrofa per la strada con tutto il suo colorito repertorio di epiteti, io non mi sento aggredita sessualmente: io mi sento umiliata in quanto donna, in quanto soggetto. Non è coartata la mia libertà sessuale ma la mia libertà, punto.

Una riprova sta nel fatto che il più delle volte, i nostri “ burloni” sono pronti a darti della “acida” o della “stronza” se hai l’ardire di risponder loro per le rime. Il messaggio, ripetuto giorno dopo giorno come una goccia che lentamente scava la roccia, è chiaro, se ti permetti di riappropriarti del tuo status di soggetto, la macchina sociale ti isola e ti esclude.

Scrivono i giudici “non si deve fare riferimento alle parti anatomiche aggredite e al grado di intensità fisica del contatto instaurato ma si deve tenere conto dell’intero contesto”…e già, il contesto gerarchico, patriarcale e capitalistico di cui stiamo parlando; un contesto che i cani da guardia del sistema si possono a gran voce rivendicare visto che la lotta di classe, genere e “razza” che esso presuppone la stanno facendo solo loro.

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Podcast della Parentesi del 10/2/2016

La parentesi di Elisabetta del 10/2/2016

“Falsa immagine”

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La Parentesi di Elisabetta del 10/2/2016

“Falsa immagine”

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Il patriarcato è un processo di sovranità, non c’è peggiore mistificazione che considerare il patriarcato capace di autoregolazione. E’ sempre un rapporto tra chi comanda e chi obbedisce.

Che cosa è il femminismo? assumere il rapporto patriarcale non come concluso e definito, ma come rapporto di forza che di volta in volta si modifica sulla base della lotta, dei modi della lotta e pertanto delle figure della progettualità.

Più precisamente l’analisi femminista oggi si scontra con il ruolo delle patriarche. Queste nella nostra stagione quando la vita intera è sussunta nel capitale e la valorizzazione dello stesso è prodotta da una società messa al lavoro con una femminilizzazione che caratterizza tutto il rapporto produttivo e lo sfruttamento tipico della società patriarcale, si diffondono sull’intero tessuto sociale. E’ a partire da questo momento che la condizione femminile si trasforma perché non riguarda più solamente la condizione materiale femminile ma anche le dimensioni dei soggetti produttivi socialmente.

Patriarcato e patriarche vivono in simbiosi. I disastri di questo connubio, di questa costituzione materiale, sono sotto gli occhi di tutte. Guerra di poche elette contro la stragrande maggioranza delle donne e degli oppressi tutti.

E questo passare, armi e bagagli, dalla parte del patriarcato corrisponde all’esigenza che lo stesso ha di spezzare le lotte della “classe donne” strumentalizzando la parola femminista. Si è data la stura ad una strana situazione, ambigua, perversa, ma prepotente e violenta che consiste da parte del patriarcato nello spostare i limiti, le forme e gli spazi del suo essere e del suo comando.

Da qui la necessità, il desiderio di ogni donna sfruttata, derisa, umiliata nella stagione neoliberista. I processi di disciplinamento delle donne con i metodi tradizionali lasciano ora spazi a nuove, diffuse e ramificate strutture di controllo. A questo punto diviene fondamentale il problema di come resistere, ribattere e riprendere l’iniziativa contro il nuovo assetto patriarcale nella stagione che questo ha cooptato chi per tornaconto personale o di ceto si è venduta. Il femminismo non è stato sconfitto, né riassorbito nelle dinamiche neoliberiste, è un insieme di singolarità che lottano contro il potere neoliberista e patriarcale che cerca di trovare nuove mitologie di coesione e di identificazione.

Il femminismo, come negli anni ’70, è un’affermazione di singolarità che si riconoscono in una lotta collettiva, è una forza di metamorfosi sociale e antropologica, è una concezione militante e creativa, non è solo un nuovo modo di vivere, anche se lo è, ma è soprattutto produzione di soggettività politica che si può realizzare solo producendo libertà.

Dentro il processo neoliberista che ha prodotto l’alleanza tra patriarcato e patriarche siamo tutte povere, vale a dire siamo tutte nelle mani di un potere che ci fa regredire e ci rende completamente asservite ad uno sfruttamento totale e a tutto campo. Continua a leggere

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Beyoncé/Omaggio a Malcom X

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Palinsesto del 10/2/2016

ANNO IV-2015/2016 I NOMI DELLE COSE la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica tutti i mercoledì dalle 20.00 alle 21.00 sugli 87.90 di radio onda rossa

PALINSESTO di mercoledì 10 febbraio 2016

La Coordinamenta verso l’8 marzo piccolissima Siamo tutte prigioniere politiche!

ore 20.00 Apertura ” Lottare solo contro l’ideologia, la mentalità, la cultura patriarcale senza mettere in discussione i meccanismi che la perpetuano, è insufficiente se non fuorviante. Non trasformando i rapporti di produzione capitalistici iscritti nei processi di lavoro, questi riproducono continuamente tutti i ruoli della divisione sociale capitalistica, tutti i ruoli degli apparati politici e ideologici patriarcali” ATTI/ Il personale è politico-Il sociale è il privato- 2012

ore 20.10 PARTE PRIMA Attualità femminista

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ore 20.30 La Parentesi di Elisabetta ” Falsa immagine”

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ore 20.35 PARTE SECONDA

Ricominciare da tre  “Il Patriarcato è un modello economico”

Ciao a tutte, le coordinamente coordinamenta@autistiche.or

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Note di politica trans

Da “I Nomi delle Cose” del 27/1/2016 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.

Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione del contributo dovuto a disguidi tecnici

“Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità”

(…)Un famoso barbuto tedesco che non ha bisogno di essere citato disse che la storia è la storia delle lotte fra classi, e io sono abbastanza ideologicamente fuorimoda da essere d’accordo. Ma aggiungo che la storia è una conversazione dove ti interrompono spesso. I discorsi di chi pretende libertà sono quelli che appena cominciano si toglie l’audio. È quel genere di situazione dove bisogna imparare ad alzare la voce; io sono qua perché sento intimamente la responsabilità di rimanere abbastanza tignoso da continuare a tenere il volume alto. Sono piuttosto fiducioso di riuscirci, perché sono virtualmente incapace di modulare la mia voce in tonalità non moleste.

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Ora, molti interventi come questo cominciano con lunghi antefatti sul proprio percorso. Ma siccome io ritengo d’essere un uomo relativamente banale, e non è che la cittadinanza di maschio d’adozione cambi granché le cose, vi evito questa noia. Sì, ok, sono nato femmina, la cosa mi deprimeva a morte, blablabla, testosterone, blablabla, e ora ho l’acne, i peli e la gioia di vivere. Ordinaria amministrazione, gente! Una cosa ve la dico, però: sono bisessuale. A essere pedanti, anche questa è una descrizione sommaria, ma amo semplificare il semplificabile. Forse ritenete superfluo parlarne, ma per me è politicamente importante ribadirlo: non sono un attivista trans. Sono un attivista trans e bisessuale. C’è tutta la differenza del mondo in questa sottigliezza. Poi sono anche molte altre cose, ma questa è un’altra storia che intendo raccontare altrove.

Veniamo a noi. Se ho dato un preciso titolo a questo intervento è perché penso all’importanza, per un movimento, di definire strategicamente le sue priorità. Spesso pensiamo male, malissimo del concetto di priorità, perché una coltre di gente a dir poco discutibile ne distorce il senso. L’accezione che conferisco a questo termine non è quella che loro utilizzano. Non solo credo che le priorità di un privilegiato siano differenti da quelle di chi privilegiato non è, ma credo anche che la posizione di privilegio strutturale (sociale ed economico) e sovrastrutturale (cioè culturale) plasmi il concetto stesso di priorità. Quando questi soggetti parlano di priorità, non parlano di definire le priorità atte a mandare avanti, in senso positivo, un progresso politico. Nei loro discorsi la priorità è un artifizio che usano per nascondere il fatto che per loro, priorizzare, non è organizzare coscientemente le istanze al fine di portarle avanti con dei risultati, i migliori possibili; è posizionarne alcune sopra le altre in un’ottica escludente e distruttiva, anti-propositiva, e infine del tutto reazionaria. Continua a leggere

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Voyeurismo

“Voyeurismo: istruzioni per il controllo sociale fai da te.”

di Noemi Fuscà

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Programmi come quello di “Storie Maledette” fomentano la passione dell’italiano medio per il gossip, per la spettacolarizzazione degli avvenimenti, come se per conoscere la verità bastasse intervistare qualcuno. L’operazione che Franca Leosini fa è voyeurismo. L’introspezione dell’animo umano è altro.

In questi programmi, come in tutti i Talk Show o similia, si mette in scena uno spettacolo che serve a vendere un prodotto, in questo caso la vita degli altri, dividendoci in fazioni sul perché e il per come uno abbia massacrato qualcuno/a o tradito qualcun altro/a. Ci spingono a vivere pontificando su ciò che succede agli altri, facendoci dimenticare che dovremmo invece lottare per cambiare lo stato di cose presenti. E così succede che al lavoro stiamo sempre seduti/e sulla sedia tutti zitti/e   perché se no poi se la prendono con noi e, a casa, in poltrona, a indignarci partecipando a quello che la TV ci propina.

Il giornalismo è frutto e parte integrante del sistema, in particolare in questa stagione in cui i media sono completamente asserviti all’ideologia dominante, e il fatto che una persona venga accreditata come giornalista solo perché dice “pisello birichino” mi fa ridere e incazzare allo stesso tempo.

Il giornalismo avrebbe un senso se comunicasse informazione, ma noi sappiamo che nulla è neutrale e quindi anche il giornalismo maintream d’inchiesta che ha la pretesa di assurgere a verità assoluta alla Saviano & company è la massima espressione dell’ideologia dominante.

La cultura patriarcale, individualista e neoliberista è colpevole e responsabile, insieme a tutti quelli/e che la propagandano e magari si dicono pure di sinistra, di tutta questa violenza contro le donne di cui i giornalisti e le giornaliste si nutrono per poter fare programmi su programmi indagando pure sul colore delle mutande che la vittima portava.

Ma, in verità, questi programmi non vogliono conoscere la motivazione e le cause vere ma solo raccontare morbosamente i fatti e dare in fin dei conti giudizi morali.

La lotta contro questi eventi non si fa certo con le inchieste televisive né con la così detta” tv verità”, ma facendo delle scelte politiche di lotta contro questa società.

Io non sostengo che non bisogna vedere la televisione, ognuno/a faccia ciò che vuole, ma consapevoli che quell’informazione e quella comunicazione sono tutte interne al sistema, anzi sono fatte apposta per abbindolarci. Vorrei avere la soluzione in mano, ma ovviamente non ce l’ho, so solo che dovremmo recuperare le relazioni, costruire un’identità, creare di nuovo solidarietà di genere e di classe. Dovremmo imparare a guardare il mondo nella sua complessità considerando il problema di genere uno dei problemi più grandi che coinvolge il possesso, il dominio, l’autoritarismo, la prevaricazione, il razzismo e, in fin dei conti, la gerarchia tra le classi e tra i popoli. Senza scardinare l’oppressione di genere la rivoluzione non si fa.

Tutto cambierebbe se l’approccio che adottiamo fosse politico in ogni minuto della nostra giornata. La nostra oppressione non è una categoria astratta o peggio buonista o umanitaria. Non dovremmo lasciare all’associazionismo il problema della questione di genere, né alle giornaliste, e nemmeno ad alcuni/e che pensano che basti scrivere su una locandina che i propri film sono di donne.

Il femminismo in sostanza fa paura perché, nonostante le sue mille sfumature, una cosa la dice chiara bisogna partire da se stesse/i, decostruirsi, mettersi in gioco perché il personale è politico e come compagne e compagni dovremmo smetterla di comportarci come si diceva una volta per il vecchio PCI, “rivoluzionari fuori e reazionari a casa”. E non dovremmo mai aver paura di cedere l’integrità politica perché non esiste la possibilità di un prima e un dopo o la rivoluzione è anche femminista o non è.

La memoria e l’esperienza politica dovrebbero servire per imparare a costruire il proprio futuro nel migliore dei modi, per me comunista e femminista.

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Renzi la belva umana

Renzi la belva umana

Pubblicato il 7 febbraio 2016 · in Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

FracchiaIl rapporto di Renzi con l’Unione Europea è uguale a quello di Giandomenico Fracchia col suo capufficio. Fracchia è il proto-Fantozzi che Paolo Villaggio creò nel 1968, e interpretò dal ’69 al ’75 per la Rai, riprendendo il ruolo in un paio di film degli anni ’80. La sua principale caratteristica negli sketch originali Rai, oltre a quella di coltivare sogni di gloria completamente irrealizzabili, era fingersi spavaldo e deciso davanti ai colleghi, promettendo di affrontare e umiliare l’arrogante capufficio (Gianni Agus) per poi al suo arrivo trasformarsi in un cagasotto strisciante e servile fino all’automutilazione.
La sottomissione di Renzi all’Unione Europea però è niente rispetto a quella nei confronti degli Stati Uniti, verso i quali è praticamente un drone. Da come Kerry parla dell’invio di altre truppe italiane in Libia si direbbe che possa telecomandare il piccolo Cazzaro fiorentino via wi-fi con una app. La Cazz App. Al segretario di Stato USA basta prendere lo smartphone, e toccare l’icona col suo faccione sorridente.
Matteo Renzi è un pataccaro, e la patacca più grossa che ha affibbiato è se stesso. Com’è riuscito a spacciare il suo governo di riciclati figli di papà per limpidi Absolute Beginners, ha spacciato se stesso per un leader assertivo e temerario, quando in realtà, per citare ancora Villaggio, è una merdaccia.
Inutile aspettarsi che ottenga dalle autorità egiziane la verità sull’omicidio Regeni. Come l’ultimo rimpasto di governo ha dimostrato, Renzi, benché petulante e stizzoso davanti alle telecamere, nella vita reale non è capace di tenere testa neanche ad Alfano. Figuriamoci ad Al Sisi.
Non che l’Italia abbia mai brillato per coraggio e indipendenza, specialmente nei confronti degli USA. Veniamo definiti un paese a sovranità limitata, ma siamo in realtà sempre stati un paese a sudditanza illimitata.
Adesso però sembra che gli Stati Uniti ci considerino un ristorante dove come clienti abituali non hanno più neanche bisogno di ordinare, perché al primo cenno il maitre sa già esattamente cosa servirgli.
Ri-colonizzando la Libia con la NATO, l’Italia diventa la seconda nazione più impegnata sul fronte di terra, naturalmente senza che il parere degli italiani sia stato richiesto, anzi, mentre sono convenientemente distratti a litigare sullo spauracchio dell’utero in affitto.
Il modo in cui i bambini sono costantemente strumentalizzati dai bigotti è disturbante, per non dire di peggio. Ai tempi del referendum sul divorzio, la propaganda antidivorzista era piena di bambini in lacrime che supplicavano i genitori di non abbandonarli, come se a tenere insieme le famiglie italiane fosse solo la minaccia della galera per abbandono del tetto coniugale. Stavolta l’eterno Groundhog Family Day, il giorno delle marmotte clerico fasciste è servito anche come mossa Kansas City, manovra diversiva per stornare l’attenzione dall’escalation bellica.
Il 3 febbraio l’Unità ha titolato: “La Grande Guerra”.
Ancora una volta il nostro peggior nemico è quello che marcia, o striscia, alla nostra testa.
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Marinella Correggia protesta contro Kerry

Marinella

https://youtu.be/yoiVp5Y6IUg

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Equitalia

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da ArsenaleKappa

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Ana Tijoux-No Al TPP

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Podcast della Trasmissione del 3/2/2016

” Nomi delle Cose” /Puntata del 3/2/2016

“L’uso della memoria”

“Dal giorno della memoria ai Cie, dall’antifascismo alle desaparecide./Stato sociale/Incontro con Silvia Nati e Roberta Fornier: Argentina. 1976-1983. 30.000 desaparecidos. La Storia vera di una di loro. Identità imposta, identità personale, identità acquisita. Identità di un popolo.”

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5 febbraio a Napoli/Diciamo NO all’intervento militare in Libia

PRESIDIO/

Venerdì 5 febbraio/NAPOLI

piazza San Domenico Maggiore ore 17.00

indetto dalla Rete contro guerra e militarismo di Napoli  per protestare e denunciare i preparativi di una nuova aggressione contro la Libia. Di seguito la presa di posizione elaborata unitariamente nell’ultimo incontro di Catania dai vari comitati che si riconoscono nella Rete.

 

Diciamo NO all’intervento militare in Libia

Che si tratti di giorni o qualche settimana, una cosa è certa: si stanno scaldando i motori per un nuovo intervento militare in Libia.  Forze speciali sono già sul posto per preparare l’arrivo di un contingente di oltre 6000 militari europei, italiani compresi, e statunitensi. L’Italia, che si candida a guidare questa nuova missione militare, ha già inviato 4 cacciabombardieri AMX del 51° Stormo di Istrana (Tv) presso la base di Trapani Birgi in Sicilia.

Dobbiamo sin da ora dire no a questa nuova aggressione al popolo libico.

Diciamo NO perché, da che mondo è mondo, chi è causa di problemi non può ergersi a soluzione degli stessi. E le potenze imperialiste occidentali, con la NATO, hanno provocato l’esplosione della situazione libica con l’intervento militare del 2011, lasciando poi che il vuoto politico creato venisse riempito da fazioni, bande, tribù in conflitto tra loro e con le potenze straniere.

Diciamo NO perché le guerre non portano la pace, come sostengono vertici militari e  governi: le guerre provocano lutti, dolore, devastazione, odio e violenza infinita.

L’intervento militare in Libia, con la scusa di stroncare l’ISIS e stabilizzare il paese, servirà solo ai fabbricanti e ai commercianti di armi per arricchirsi con l’apertura di un nuovo “mercato”; servirà solo a soddisfare le mire espansioniste delle grandi potenze e, innanzitutto, dello Stato italiano, che già in passato ha martoriato quella terra con 30 anni di occupazione macchiandosi di crimini ignobili verso il popolo libico.

Questa guerra, fortemente voluta dagli USA, dall’Unione Europea e dalla NATO, provocherà inevitabili reazioni, trasformando anche il territorio italiano in obiettivo di attentati e atti di ritorsione, e andrà ad alimentare quella spirale bellica, infame e senza fine, che dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria all’Ucraina, dallo Yemen all’Africa sub-sahariana, sta coinvolgendo l’intero pianeta avvicinandoci sempre più ad un nuovo disastroso conflitto mondiale.

Con la scusa di aiutare il popolo libico, questa guerra in realtà garantirà solo gli interessi delle multinazionali del petrolio e gli equilibri del terrore nel Mediterraneo, ormai trasformato in una area super militarizzata, chiusa ai profughi e i migranti, ma aperta ai mercanti di morte e alle avventure delle potenze imperialiste.

Pretendiamo – e lottiamo – per un Mediterraneo smilitarizzato, per la chiusura di tutte le basi militari e delle fabbriche di armi, perché siano i popoli, oggi sottomessi, a liberarsi dai loro oppressori, con il supporto solidale e internazionalista di tutti coloro che sono impegnati a costruire una società libera dalle guerre, dal razzismo, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, dell’uomo sull’ambiente.

La vera minaccia alla pace proviene dall’interventismo dei nostri governanti e delle classi dominanti per la difesa dei loro interessi, dalla militarizzazione della nostra terra, dagli enormi investimenti in strutture e strumenti di guerra a scapito del lavoro, dei servizi sociali, del benessere collettivo, della salvaguardia del territorio.

Invitiamo chi condivide le nostre idee a mobilitarsi, ovunque e come meglio crede, contro l’intervento militare in Libia; facciamo sentire alta la protesta; costruiamo un forte movimento di opposizione alle politiche avventuriere e imperialiste di cui il governo Renzi è protagonista e complice.

Rete contro guerra e militarismo

Per info e adesioni: comunica@nomuos.info                       assembleanowar.na@gmail.com

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Podcast della Parentesi del 3/2/2016

La parentesi di Elisabetta del 3/2/2016

“Stato sociale”

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