“Stato sociale”
Lo stato sociale si è presentato, a partire dagli anni ’30 e, poi, soprattutto dalla seconda metà del XX secolo, come tentativo da parte del capitale di contenere la lotta di classe e magari di regolamentarla dentro le sue esigenze di sviluppo cioè della valorizzazione capitalistica della forza lavoro. Le politiche dello stato sociale hanno rappresentato la risposta alla paura determinata dalla rottura dell’ordine capitalistico provocata dalla rivoluzione d’ottobre. L’affermazione, l’espansione dello stato sociale è stata, da subito e da sempre, condizionata dallo spessore e dalla qualità della lotta di classe dell’offensiva operaia durante i vari cicli che hanno percorso il XX secolo.
Ha contato anche la necessità da parte del capitale di creare una recettività all’altissima offerta di prodotti industriali, ma lo stato sociale ha rappresentato soprattutto il tentativo di devitalizzare le ondate di lotta della classe operaia.
La formula capitalista della stagione d’oro dello stato sociale, cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale, è la dimostrazione dello spessore a cui erano arrivate le lotte operaie. In quella stagione il capitale ha stretto alleanze con i sindacati e con la socialdemocrazia al fine di legittimare “democraticamente” il proprio potere coniugando questa legittimazione con gli interessi volti a sollecitare una domanda interna per garantire i processi di valorizzazione del plusvalore.
Questa impostazione, continuamente investita da successive ondate di lotte operaie, è stata interrotta, in maniera drastica e per scelta di parte, dal grande capitale a guida statunitense quando ha optato per il neoliberismo. E’ stato un passaggio nodale. La rottura, la scelta neoliberista ha comportato una trasformazione dei soggetti in campo. Il neoliberismo mette tutta la società al lavoro e mette tutto il mondo sociale sotto il proprio comando. Continua a leggere