Burloni

“Burloni”

di Margherita Croce 

“Palermo, molestò due impiegate in ufficio, assolto direttore: “Era immaturo, agì per scherzo” Questa la notizia.

Questa sentenza è molto interessante perché “giuridicizza” una argomentazione molto in voga, anzi direi egemone, utilizzata per controbattere alle denunce di violenze da parte di donne: “la stai prendendo troppo sul serio, quello è solo un coglione, non è pericoloso”.

In questa sentenza infatti si dice che se il molestatore non agisce per soddisfare un proprio impulso sessuale (e i giudici assumono implicitamente che tale soddisfazione si possa realizzare solo con l’atto carnale! sigh) il reato di molestia non si configura. Inoltre, una palpatina sul culo non impatta in alcun modo sulla “libertà sessuale” di una donna, di modo che, mancando l’offesa, manca anche l’evento di reato.  A parte il fatto che queste argomentazioni potrebbero semmai sorreggere l’esclusione del reato di violenza o abuso sessuale, mentre quello di molestie può sussistere anche se viene solo disturbata la tranquillità della donna, il passaggio davvero interessante è questo: il gesto  “era oggettivamente dettato da un immaturo e inopportuno atteggiamento di scherzo, frammisto ad una larvata forma di prevaricazione e ad una, sia pur scorretta, modalità di impostazione dei rapporti gerarchici all’interno dell’ufficio”….

In questo modo la violenza di genere viene del tutto decontestualizzata e, per ciò stesso, snaturata: è proprio la gerarchia sessuale su cui si fonda il sistema patriarcale, e anche quello capitalistico, a costituire, non solo lo sfondo, ma la causa strutturale della violenza di genere. Un uomo che esercita violenza su una donna lo fa perché se lo può permettere; perché il ruolo sessuato che gli è stato attribuito fin dalla culla, o ancor prima, gli consente e, anzi, gli impone di esercitare un ruolo dominante. Come dovremmo chiamare le quotidiane prevaricazioni che una donna è costretta a subire per la strada, al supermercato, in fila alle poste e via dicendo, di uomini che fischiano loro dietro o si lasciano andare ad apprezzamenti di vario tipo? Questi “burloni” non ti metteranno le mani addosso e probabilmente, messi di fronte alla concreta possibilità di “appagare il loro impulso sessuale” se la darebbero a gambe.

Tuttavia la prevaricazione è evidente e, forse, è davvero il caso di smetterla di nominarla “molestia” o “aggressione” sessuale. Forse dovremmo evitare di legare a doppio filo la nostra sessualità con la strutturale violenza patriarcale su cui questa società si fonda e di cui si alimenta. Quando un “burlone” mi apostrofa per la strada con tutto il suo colorito repertorio di epiteti, io non mi sento aggredita sessualmente: io mi sento umiliata in quanto donna, in quanto soggetto. Non è coartata la mia libertà sessuale ma la mia libertà, punto.

Una riprova sta nel fatto che il più delle volte, i nostri “ burloni” sono pronti a darti della “acida” o della “stronza” se hai l’ardire di risponder loro per le rime. Il messaggio, ripetuto giorno dopo giorno come una goccia che lentamente scava la roccia, è chiaro, se ti permetti di riappropriarti del tuo status di soggetto, la macchina sociale ti isola e ti esclude.

Scrivono i giudici “non si deve fare riferimento alle parti anatomiche aggredite e al grado di intensità fisica del contatto instaurato ma si deve tenere conto dell’intero contesto”…e già, il contesto gerarchico, patriarcale e capitalistico di cui stiamo parlando; un contesto che i cani da guardia del sistema si possono a gran voce rivendicare visto che la lotta di classe, genere e “razza” che esso presuppone la stanno facendo solo loro.

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