18/22 ottobre 2018 la Coordinamenta in Sardegna!

18/22 ottobre 2018 La Coordinamenta in Sardegna

18 ottobre ore 18.00 a Sassari/ Colletivu s’idea libera e Banduleras Atobia Feminista

<Riflessioni sul femminismo nero e postcoloniale attraverso le voci delle militanti del Black Panther Party. Ospitiamo Silvia Baraldini e le compagne della Coordinamenta femminista-lesbica di Roma per confrontarci insieme, a partire dall’esperienza diretta di chi ha vissuto e partecipato ai movimenti di liberazione afroamericani, sull’esperienza del Black panther Party.>https://www.facebook.com/sidealiberass/ 

19 ottobre ore 18.30 Nuoro/Spazio Antifascista/Nugoro antifascista

<Lo Spazio Antifascista presenta:
LE MILITANTI DELLE BLACK PANTHERS
Femminismo: paradigma della violenza/non-violenza
Introduce: ELISABETTA TEGHIL della Coordinamenta Femminista e Lesbica, Roma
Segue: SILVIA BARALDINI sulle militanti delle Black Panthers >https://www.facebook.com/Spazio-Antifascista-Nuoro-410403692741996/

20 ottobre ore 18.30 Siniscola/ Gana e Gortoe

<LA QUESTIONE FEMMINILE COME NUOVA ALTERNATIVA POLITICA.
LA STORIA E LA CRESCITA DEL FEMMINISMO DI CLASSE E DI LOTTA, DALL’INCONTRO CON LE COMPAGNE CURDE DELL’ANNO SCORSO ALLE ELABORAZIONI POLITICHE DELLE BLACK PANTHER DEGLI ANNI ’70. 
RIFLETTIAMO SULLA QUESTIONE FEMMINILE SARDA. 
NE PARLIAMO CON SILVIA BARALDINI ED ELISABETTA TEGHIL.>
https://www.facebook.com/tramasdeLibertad/

21 ottobre ore 18.00 Gagliari/ B.A.Z. Biblioteca Autogestita Zarmu

<Incontro su Femminismo: Paradigma della violenza non violenza
Introduce 
Elisabetta Teghil della Coordinamenta Femminsta e Lesbica, Roma
Segue 
Silvia Baraldini sulle storia delle militanti delle Black Panthers

“Riteniamo necessario recuperare concetti come indignazione, ribellione, disubbidienza civile, rabbia, autodifesa, rifiuto della norma, rifiuto della legalità, differenza tra oppressor* ed oppress*, sfruttator* e sfruttat*…tutti ricompresi nell’indistinto magma del concetto di violenza che la società neoliberista, fase attuale del capitalismo e del patriarcato, demonizza, togliendo a questo paradigma ogni valenza sociale e collocando la così detta violenza politica in una imprecisata sfera delinquenziale.” Questo incontro fa parte della “Sezione storia e memoria” di un ciclo di iniziative sul tema “Femminismo: Paradigma della violenza non violenza” organizzato dalla Coordinamenta Femminsta e Lesbica di Roma.>

https://www.facebook.com/pages/category/Community/Biblioteca-Autogestita-Zarmu-170398803377121/

  

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Sulla situazione nel CPR di Ponte Galeria

Roma – Sul presidio solidale e la situazione nel CPR di Ponte Galeria

Domenica 7 ottobre un gruppo di persone solidali ha partecipato al presidio di fronte al CPR di Ponte Galeria per portare solidarietà alle donne rinchiuse all’interno.

Nella cornice della Fiera di Roma dove si stava svolgendo il Romics (la fiera del fumetto), centinaia di persone sono passate accanto alle mura di un lager senza conoscere e interessarsi della reclusione forzata di donne che, per il fatto di non possedere una carta che ne legittimi la presenza sul suolo italiano, sono state rapite dalla loro vita quotidiana, il lavoro, gli affetti, le speranze di trovare una nuova vita altrove.

In continuità con i governi passati, presenti e futuri, la politica dell’oppressione colpisce gli elementi più deboli, le persone appena arrivate dopo viaggi pericolosi in mare o le lavoratrici residenti in italia da anni, sfruttate dal padrone, in fuga delle violenze di un compagno, ricattate per il permesso di soggiorno. All’interno dei CPR la reclusione si vuole estendere dagli attuali 90 a 180 giorni, raddoppiando così l’isolamento e la sofferenza dell’attesa di una decisione che potrebbe ricondurre la loro esistenza al punto di partenza.
Accanto, nella sezione maschile, ormai chiusa da tre anni grazie alle rivolte di chi vi era recluso, proseguono i lavori di ristrutturazione.

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Italiani “brava gente”

Un contributo per smantellare la narrazione tossica sugli italiani “brava gente”

http://www.nicolettapoidimani.it/

Per diventare “narrazione tossica”, una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità.
È sempre narrazione tossica la storia che gli oppressori raccontano agli oppressi per giustificare l’oppressione, che gli sfruttatori raccontano agli sfruttati per giustificare lo sfruttamento, che i ricchi raccontano ai poveri per giustificare la ricchezza.
Una narrazione tossica non si limita a giustificare l’esistente, ma è anche diversiva, cioè sposta l’attenzione su un presunto pericolo incarnato dal “nemico pubblico” di turno.
E il nemico pubblico di turno, guarda caso, è sempre un oppresso, uno sfruttato, un discriminato, un povero.
Stringi stringi, la fabula della narrazione tossica è la guerra tra poveri. (Wu Ming)

Questa definizione si addice perfettamente anche alle rimozioni ed omissioni sulla storia del razzismo e del suprematismo italiani, strettamente intrecciata alla storia di questo Paese dalla sua unificazione nel 1861. Una storia con cui è sempre più urgente fare i conti per poter smantellare la casa del padrone senza usare gli strumenti del padrone, come disse e scrisse Audre Lorde.

Per questo ho ritenuto necessario ripubblicare il mio lavoro di ricerca Difendere la “razza”, da tempo introvabile. Ringrazio la cooperativa editoriale Sensibili alle foglie che ha accolto con entusiasmo la mia proposta.

Il libro è ora di nuovo disponibile e lo si può richiedere qui.
Per eventuali presentazioni, potete contattarmi all’indirizzo email info@nicolettapoidimani.it

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Venerdì 12 ottobre a Pisa

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Grup Yorum. Yil Konseri-Guleycan

https://youtu.be/OMnaLL8JkKg

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26 ottobre “Mai contro sole” al Nido di Vespe!

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Ultime dalla Val di Susa!

Ultime dalla Val di Susa:patente revocata perché sei un No Tav!

http://www.notav.info/

Sembrerebbe il titolo di un giornalaccio di fake news se non fosse vero, ma a volte in Val di Susa accadono cose che superano ogni senso della realtà.

Accade così infatti che ad un No Tav residente a Bussoleno, destinatario dell’avviso orale da parte del questore il 17 agosto ( vedi Avvisi orali della questura ai No Tav:non ci faremo intimidire!), sia giunta pochi giorni fa la notifica della “Revoca della Patente” per la mancanza (udite udite) dei requisiti morali!

Condizione sufficiente a permettere l’applicazione da parte della Prefettura di Torino di questo assurdo provvedimento, la comunicazione del questore al Prefetto dell’emissione della misura di prevenzione dell’avviso orale.

Per sintetizzare, insomma, il questore in cerca di notorietà decide di emettere degli avvisi orali (preludio delle ben più grave misura di Sorveglianza Speciale che mira, tra le altre cose, ad impedire alle persone di fare riunioni, manifestare e partecipare eventi pubblici), non pago di questo lo comunica alla Prefettura che decide, evidentemente spinta dalla volontà di punire il No Tav in questione,  che alla luce del provvedimento emesso non sussistono più  i “requisiti morali” e che quindi la patente può essere revocata per 3 anni.

Che negli ultimi due mesi questore e prefetto si stiano dando parecchio da fare per provare ad intimidire i No Tav non ci sono dubbi; tra denunce, ordinanze, fogli di via, avvisi orali e misure ridicole come questa parrebbe che i due abbiano solo un pensiero che li perseguita nella solitudine dei loro uffici.

Ricordiamo solo, a chi oramai ci sogna la notte, che negli anni abbiamo resistito a migliaia di denunce, centinaia di processi e condanne, anni e anni di galera e non siamo facili da intimidire.

Resisteremo sempre un minuto in più dei nostri avversari e marceremo sempre un metro avanti a chi invece ci vorrebbe fermare.

Fatevene una ragione e liberate la Val di Susa dalla vostra sgradita presenza che qui gli unici ad avere i requisiti morali siamo proprio noi!

Solidarietà al No Tav a cui hanno revocato la patente e a tutti gli altri inquisiti, denunciati e cautelati.

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Perchè non parliamo anche degli stupri di “pace”?

Perché non parliamo anche degli stupri “di pace”?

di Nicoletta Poidimani       http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1264

haringL’assegnazione del nobel per la pace al congolese dott. Mukwege e a Nadia Murad sta facendo esultare tante anime belle.

O, come sono brutti gli stupri di guerra! O, quanto ci commuove sentire le atrocità vissute dalle donne yezide e congolesi! O, come siamo fortunate a vivere in questa parte del mondo, dove se sei bianca e, possibilmente, di classe media puoi startene sulla tua poltrona a guardare con emozione l’assegnazione del nobel e magari applaudire attraverso la tastiera del computer! O, come ci sentiamo femministe&umanitarie quando proviamo empatia con le “vittime” di quelle brutture!

E poco importa se dopo 5 minuti ci siamo già dimenticate di quelle “vittime” e torniamo a sguazzare nella complicità col patriarcato capitalista&guerrafondaio e nei privilegi e comodità che le sue guerre ci garantiscono.

Né tanto meno importa citare nei nostri blog, articoli e interventi l’orrore e la ricorrenza degli stupri “di pace”.
Eh sì, perché su quello si tace, come si tace sul fatto che una struttura accademica come il Sant’Anna di Pisa – giusto per fare un esempio italiano tra altri  – profondamente coinvolto nel business della ricerca bellica, non disdegni di occuparsi di peacekeeping per arrotondare le entrate e imbellettarsi con una patina “umanitaria” –  perfino in un territorio come la Somalia, dove gli italiani “brava gente” hanno dato il peggio di sé fra stupri e altre atrocità tanto con il colonialismo quanto con la “missione di pace” Ibis/Restore Hope!

E ancor di più si tace su come agenzie internazionali come l’Onu – responsabile, tra l’altro, della diffusione del colera ad Haiti, che ha mietuto migliaia e migliaia di vittime – non siano affatto estranee alla pratica dello stupro “di pace”. Lo testimoniano anche gli articoli che ho riportato in queste poche ma significative pagine – che includono gli italiani “brava gente” in “missione di pace” – e un report su abusi e sfruttamento sessuale da parte dei peacekeepers presentato durante una sessione di lavoro dell’Assemblea generale delle Nazioni unite sugli aspetti economici delle operazioni Onu di peacekeeping, nel 2016.

Una cosa è certa: non applaudo all’assegnazione di questo (e di tutti gli altri) nobel perché non intendo farmi complice della strumentalizzazione a cui va incontro chi, come Nadia Murad, accetta il ruolo di ambasciatrice dell’Onu o il premio Sakharov per la libertà di pensiero che la guerrafondaia Unione europea ha conferito, nel 2016, a lei e alla sua compagna di sventura Lamya Haji Bashar.

Scrivo questo consapevole tanto del rispetto che meritano il dott. Mukwege, Nadia Murad e tutte/i coloro che davvero lottano contro lo stupro come arma – di pace e di guerra – contro bambine/ragazze/donne, quanto del disgusto che meritano l’ipocrisia diffusa e le anime belle.

E al proposito riporto la significativa intervista rilasciata da una compagna trentina a Radio Black Out sull’adunata degli alpini a Trento del maggio scorso, nella quale viene anche sottolineato come il pronto soccorso ginecologico dell’ospedale cittadino fosse stato rafforzato in previsione dell’arrivo di molestatori avvinazzati – che spesso indossano anche la divisa di peacekeepers.

 

Missioni militari italianeQui i dati sulle missioni militari italiane in corso, giusto per farsi un’idea…

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Le stalle di Augia

Le stalle di Augia

di Rosalba Corradazzi

La quinta fatica di Ercole consisteva nel ripulire le stalle di Augia che ammorbavano l’aria e inquinavano l’atmosfera e il terreno.

La quinta operazione letteraria di Elisabetta Teghil <Mai contro sole> uscita a luglio per le Edizioni Bordeaux, consiste nel fare qualche cosa di simile. Nella stagione dell’autointossicazione neoliberista si sta attuando e compiendo il passaggio dalla contrapposizione tradizionale tra borghesia e proletariato all’affermazione di una borghesia transnazionale destinata a soppiantare la vecchia borghesia relegata ad un ruolo di servizio come viene ribadito nelle pagine del libro.  

Il testo si dipana raccontando il disastro della disoccupazione massiccia, il moltiplicarsi dei posti di lavoro precari, l’aggravarsi delle disuguaglianze, la messa in discussione dei sistemi di tutela sociale che sono le caratteristiche più evidenti e manifeste di questa stagione. In nome della flessibilità e della adattabilità l’occupazione si va precarizzando accompagnata dalla diffusione dei contratti a termine, del lavoro temporaneo, degli impieghi sottopagati spesso nelle attività più usuranti e pericolose. I salariati, spesso licenziati sui due piedi appaiono completamente in balia dei loro datori di lavoro. Contemporaneamente è nata una neo lingua il cui vocabolario è ormai diffuso <flessibilità> <governance> <employability> <esclusione> <underclass> <nuova economia> <tolleranza zero> <comunitarismo> <multiculturalismo>. La diffusione di questa nuova vulgata dalla quale sono assenti termini quali <capitalismo> <classe> <sfruttamento> <disuguaglianze> tutti etichettati come obsolescenti  è il prodotto di un imperialismo simbolico che fa tabula rasa delle conquiste sociali ed economiche e che vuole imporsi anche nel linguaggio e, per questo, ai fautori della rivoluzione neoliberista sono stati affiancati anche militanti e dirigenti della sinistra che per poter fare meglio il loro lavoro continuano ad autodefinirsi <progressisti>. Come per il dominio di genere e quello di etnia, l’imperialismo culturale si fonda su un rapporto di comunicazione, di definizioni preventive e di deduzioni che tendono ad occultare le radici storiche.

Questo rivolgimento simbolico fondato sulla naturalizzazione del pensiero neoliberista è dovuto alla riconfigurazione dei rapporti sociali e delle pratiche culturali in conformità con il modello dell’imperialismo americano imposto alle società occidentali attraverso la svendita dei beni pubblici e la generalizzazione dell’insicurezza sociale e accettato con rassegnazione. L’America si presenta come paese modello attento alla democrazia, che rispetta i trattati internazionali e non ha tradizioni colonialiste omettendo la dottrina Monroe che ha trasformato il Sud America nel cortile degli Usa, la violazione sistematica degli accordi internazionali, l’imposizione di feroci dittature in tutto il modo e facendo dimenticare che la sua l’espansione sulla carta geografica è stata conquistata con la forza come per parte del Messico o con la corruzione come per il Portorico e sorvolando sulla presenza di centinaia di basi americane in altrettanti paesi anche contro la volontà dei governi locali e anche in presenza di contratti scaduti. La base di Guantanamo per dirne una. Per non parlare dell’espansione interna, nativi sterminati, minoranze etniche perseguitate, sindacalisti uccisi, scioperi repressi dall’esercito, partiti decretati fuorilegge, persecuzione, linciaggio, uccisione legale ed extra legale di voci dissidenti come i casi di Jean Seberg, Joe Hill, Sacco e Vanzetti tanto per citare i più famosi o la decimazione delle Pantere Nere. L’ assassinio politico è una risorsa a cui la borghesia statunitense si è rivolta con sconcertante e sistematica disinvoltura. Per non parlare delle condizioni di vita degli americani che sono le più basse dell’Europa occidentale e per certi versi sono allineate al terzo mondo.

Le crescenti disuguaglianze, i tagli alle politiche sociali non sono affatto come si sente ripetere la conseguenza fatale dell’evoluzione e del progresso, ma il risultato di decisioni politiche che riflettono il rovesciamento del rapporto di classe in favore dei detentori del capitale. Imponendo al resto del mondo a partire dagli alleati categorie di percezione omologhe alle sue strutture sociali l’America riplasma il mondo a sua immagine.

Ma dire questo, dire le cose come stanno, scatena pesanti stigma e i concetti di fondo che fungono da anatema e che valgono una scomunica sono “sei campista perché imperialisti sono tutti” e “sei antiamericanista”. Il neoliberismo si serve di due figure esemplari per trovare il suo compimento intellettuale, l’esperto e il consigliere del principe e, quest’ultimo, possibilmente di sinistra, porta in dote le sue modalità politiche e il suo vocabolario.

Nello scenario interno si parte da un’idea diffusa e imposta di pericolosità sociale che rievoca l’equazione classi popolari classi pericolose in voga nell’ottocento mescolando fatti come il furto d’auto, lo spaccio di droga, la movida, le lattine di birra lasciate ovunque e viene resuscitato e letto il tutto come il fallimento delle famiglie popolari e ne consegue la presunta incapacità di queste di fornire un quadro educativo di riferimento ai loro figli. Questo posizionamento sviluppa una pletora di agenzie di polizia, un trascinamento dell’apparato poliziesco sul piano militare e di converso truppe militari che vengono convertite a strutture poliziesche. Tutto accompagnato da un’estensione del settore penale, dal sempre maggior numero di processi per direttissima che comprende anche la giustizia minorile e la trasformazione dei servizi sociali in appendice di quelli polizieschi e l’irruzione degli interrogatori polizieschi e giudiziari in nuovi ambiti e la guardia di finanza che si occupa di ordine pubblico.

La questione sociale è rimossa, anzi ribaltata. Fenomeni che già esistevano ma venivano letti come forme di patologia sociale hanno assunto un’importanza centrale. Il neoliberismo fomenta la paura. L’invenzione del sentimento di insicurezza e la sua gestione poliziesca ha contribuito a spoliticizzare l’analisi della società che opponeva ancora negli anni ’70 la destra e la sinistra. Ora gli uni e gli altri si trovano d’accordo sulla lettura, sulla diagnosi e sulle soluzioni. Questa spoliticizzazione è accompagnata da un neo analfabetismo che mina la trasmissione generazionale.

Dalla comprensione della natura del neoliberismo dipenderà la validità delle alternative da opporre e le strade per arrivarci, cioè la costruzione del processo politico e culturale di classe.

Il neoliberismo non è una fatalità, è una scelta del capitalismo anzi una conseguenza diretta di molteplici scelte e decisioni condite da grossolane bugie come gli assunti che le ideologie non esistono più, che la storia è finita, che il primato è del mercato.

Il neoliberismo è una scelta politica. E’ un programma di distruzione delle strutture collettive e una promozione di un nuovo ordine. Eliminazione dei tradizionali elementi di mediazione tra strutture di potere e società, governo diretto dei poteri economici, giudiziarizzazione e proceduralismo esasperato, tendenza all’eticità dello Stato che ripropone in termini attuali il programma nazista e che si configura, con volto moderno, come supremazia del mercato, fuga dal conflitto, disaffezione dalla politica, stravolgimento del diritto.

La storia è raccontata e vissuta come un susseguirsi di sottomissioni a grandi figure poste al centro di configurazioni simboliche. Sono messi a punto testi, grammatiche e tutto un campo di saperi volti a sottomettere i cittadini vale a dire a produrre il cittadino come sottomesso in tutti gli aspetti della sua vita. Lavorare, parlare, credere, pensare, abitare, mangiare, cantare, morire. L’attacco del neoliberismo è così violento e così vincente che lo spazio critico costruito tra tante difficoltà nel corso dei secoli passati si è volatilizzato nell’arco di una o due generazioni. E’ questo il senso e la ricchezza di questo scritto.

Per ritornare alla metafora, Ercole ha dovuto combattere e sconfiggere Augia. Il neoliberismo ha potuto attecchire usando una pletora di ascari ben pagati che hanno sfruttato, ucciso, torturato un’altra volta tutti quelli che hanno saputo costruire le lotte di liberazione e la lotta di classe, un’oscena strumentalizzazione che ha permesso la creazione di un nuovo cavallo di Troia per poter entrare nella città assediata. E’ questo che <Mai contro sole>vuole smascherare perché quando si decide di intraprendere una lotta, il primo problema che ci si dovrebbe porre è il riconoscimento del nemicocombattere contro sole e non vedere chi abbiamo di fronte significa perdere in partenza.

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Venerdì 12 ottobre al Nido di Vespe!

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Le resistenze nei territori/ 6-7 ottobre 2018 a Firenze

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A proposito della vicenda di Domenico Lucano, sindaco di Riace.

“Disubbidienza civile”

Nel luglio del 1846 a Concord, nel Massachusetts, David Thoreau ricevette tramite un vigile comunale un’ingiunzione per il pagamento delle tasse. Rispose che rifiutava di versare soldi allo Stato dal momento che disapprovava la sua politica e che non voleva, in alcun modo, dare il proprio contributo alla guerra contro il Messico.

Per questo fu arrestato.

I suoi scritti, pubblicati postumi, saranno intitolati <Disubbidienza civile>.

Scrive Thoreau “…l’unico obbligo che rispetti, giustamente, consiste nell’agire, in ogni momento, in conformità con l’idea che mi faccio del bene.” Parafrasando il suo pensiero, poiché esistono leggi ingiuste, il vero posto del giusto è in carcere accanto alle vittime di un sistema iniquo. Thoreau afferma che pagherebbe le tasse volentieri per la manutenzione delle strade o per la scuola, ma si rifiuta di finanziare la guerra. E pensa che accettare in ogni caso una legge alla quale in ogni caso si deve obbedire  è un segno di servilismo contrario all’indipendenza dell’individuo.

Nasce la <disubbidienza civile>.

Hannah Arendt svilupperà il concetto del diritto al dissenso che, secondo lei, dovrebbe essere seguito da una contestazione e da un rifiuto collettivo della macchina giuridica, burocratica e cinica, questo nel solco della tradizione di Gandhi che così scriveva “…la disubbidienza civile è un’infrazione a decreti privi di morale, stabiliti dalla legge”.

E’ interessante notare il senso della non-violenza gandhiana strettamente legata alla disubbidienza civile e al servizio di una causa, nel suo caso della lotta per l’indipendenza dell’India, mentre con un’operazione cinica viene ricordata solo la non-violenza di Gandhi omettendo strumentalmente il suo legame inscindibile con la disubbidienza attiva e dovuta.

L’operazione portata avanti in questi anni dalla socialdemocrazia per conto del sistema di propagandare concetti come legalità, rispetto dell’autorità, sacralità delle istituzioni e delle figure pubbliche, non violenza…riproposizione del concetto di patria, di nazione, di convivenza civile…ha ottenuto il risultato non solo di far perdere completamente la percezione della società divisa in classi, ma anche il significato di parole come “legge” che, lungi dall’essere qualcosa di neutrale, non è altro che la sanzione formale di un rapporto di forza, come “democrazia” che, a differenza di quanto ci propagandano, non è altro che la veste pubblica che si dà questo sistema…e ha quindi completamente annullato la capacità di mettere in pratica la <disubbidienza civile>.

Chi non può pagare la bolletta della luce si sente ed è trattato come un delinquente, rifiutarsi di pagare le tasse è addirittura foriero di una “scomunica sociale” quasi fosse un obbligo dettato da un dio al di sopra delle nostre capacità di comprensione, rifiutarsi di pagare il biglietto del treno al ritorno da una manifestazione No Tav provoca la calata degli agenti antisommossa e scenari di “pericolosità sociale”.

Dovrebbe diventare, invece, pratica quotidiana rifiutarsi di pagare il necessario per la sopravvivenza, rifiutare di pagare le guerre neocoloniali, l’apparato mastodontico di controllo e repressione che viene usato contro chiunque dissenta.

Mai come in questo momento storico in cui il neoliberismo, attraverso un legiferare continuo, invasivo e capillare, si arroga il diritto di intervenire in ogni aspetto della nostra vita, la <disubbidienza civile> assume connotati di presa di coscienza rispetto ai concetti di oppresso e oppressore, giustizia e ingiustizia sociale, riappropriazione della capacità di critica e di dissenso, piccolo seme per la presa di coscienza di genere e di classe.

Elisabetta Teghil da “il sociale è il privato”, 11 marzo 2012.

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Domenica 7 ottobre/Presidio al CPR di Ponte Galeria

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1 ottobre 1949/ Omaggio alla Rivoluzione Cinese

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Visca la terra lliure/Gora Herri Askeak!!!!!

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