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Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza
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Campeggia!
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Palinsesto del 4/5/2016
ANNO IV-2015/2016 I NOMI DELLE COSE la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica tutti i mercoledì dalle 20.00 alle 21.00 sugli 87.90 di radio onda rossa
PALINSESTO di mercoledì 4 maggio 2016
ore 20.00 Apertura ” Dedicato alle mie simili indomite resistenti nei secoli e oggi: voi siete la forza, la civiltà e la sapienza della specie,non dibattetevi tra le bestie,dissociatevi e forse si educheranno alla vostra sapienza. Non più compiacenti alla bestia, ora è il tempo di essere FIERE!”
ore 20,10 “LIBERIAMOCI DELLA BESTIA ovvero di una cultura del cazzo” Milano, marzo 2016 Intervista in diretta a DANIELA PELLEGRINI in occasione dell’ uscita del suo ultimo libro”
Chiusura NATO= aggressione militare / TTIP = aggressione economica MANIFESTAZIONE NAZIONALE 7 maggio a Roma
Ciao a tutte, le coordinamente coordinamenta@autistiche.or
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7 maggio al Brennero!
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7 maggio 2016/ NO TTIP!!!!!!!!
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7 maggio a Viareggio!
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Black is the new orange
Black is the new orange
di Alessandra Daniele
La settimana scorsa, alcuni italiani hanno ricevuto una busta arancione con la previsione del loro eventuale futuro reddito pensionistico.
La settimana prossima, tutti gli altri riceveranno una busta nera che conterrà questa comunicazione da parte dell’INPS.
“Abbiamo calcolato l’importo della tua futura pensione, e il risultato è stato un numero negativo. Questo vuol dire che non riceverai un mensile, dovrai versarlo tu allo Stato.
Lo Stato è in realtà molto più anziano di quanto tu potrai mai essere. Ed è anche invalido. Quindi è giusto che sia tu a versargli un assegno di mantenimento.
Comincia a mettere da parte i soldi, perché se non potrai adempiere regolarmente ai pagamenti dovuti, ti saranno pignorati beni mobili e immobili, organi interni ed esterni, e sarai affittato come incubatrice per gravidanze surrogate in serie, anche se sei un uomo.
Questo paese ha bisogno di bambini che comincino presto a lavorare e pagare i contributi per mantenere i vitalizi della nostra preziosa classe dirigente, e i figli degli immigrati non sono affidabili.
Per quanto possano sembrare integrati con la nostra cultura infatti, fin troppi di loro in realtà sono onesti, e perciò non hanno nessuna speranza di riuscire a guadagnare il necessario per pagare tutti i contributi che ci servono.
L’Italia ha bisogno di generazioni di italiani purosangue che lavorino tutta la vita per mantenere le classi dirigenti nel lusso che si sono meritate per diritto di nascita, e facendo del nostro paese il paradiso di sfruttatori, inquinatori, e truffatori di tutto il mondo.
La vita media s’è allungata, e lo sfruttamento deve tenere il passo, altrimenti il nostro paese rischia di venire surclassato dalle economie emergenti che non imbrigliano il loro sviluppo con eccessive tutele dei lavoratori, come stipendi e pensioni.
Rischiamo di non avere più abbastanza liquami petroliferi sversati nei nostri mari, operai bruciati vivi, anziani suicidi truffati dalle banche.
Non possiamo permettercelo.
Dobbiamo restate competitivi, e anche tu devi fare la tua parte.
Buon lavoro, e buona festa ai lavoratori”.
1 maggio 2016/Liberiamo questo mondo dal lavoro salariato e non!
LIBERIAMO QUESTO MONDO DAL LAVORO SALARIATO…E NON! Siamo tutt* prigionier* politic*!
Materiali per una discussione femminista contro il lavoro e oltre…..
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/04/29/il-lavoro-non-e-lessenza-dellessere-umano/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/01/04/foto-di-famiglia/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/04/11/sabato-16-aprile-il-rifiuto-del-lavoro/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/12/cosa-significa-essere-produttiv/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/05/01/contro-il-lavoro-ribaltare-limmaginario/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/07/16/che-cose-per-te-il-lavoro/
“Guida turistica al giornalismo discutibile”
Da “I Nomi delle Cose” del 27/4/2016 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.
“Guida turistica al giornalismo discutibile”
https://desmonautica.wordpress.com/2016/04/27/guida-turistica-al-giornalismo-discutibile/
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«Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista» (Karl Kraus)
Vorrei mostrarvi i traumi, più che altro cranici, di alcuni trend giornalistici incarnati nel decennio corrente in modo vieppiù cretino da varie tipologie presenti nell’ecosistema redazionale dei mass media. Ogni buon giornalista deve essere un pensatore critico e scettico, e loro in effetti sono araldi del dubbio. Più specificatamente del dubbio gusto e della dubbia veridicità. Mi sono sforzato di tracciarne un’approssimata tassonomia. Vediamoli insieme.
Il benaltrista. Qualunque sia l’interrogativo posto al mondo, la rivoluzione per cui sbandierare, non sarà mai istanza seria abbastanza da conseguire la sua entusiastica approvazione. Sei gay, bisessuale, lesbica, transgender, intersessuale? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Ti batti per il benestare della sanità, dell’istruzione, della cultura in generale? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Sessismo, razzismo e molti altri -ismi ti paiono orribili mali che affliggono l’odierna società? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Pensi che esista una carenza di pratiche inclusive nei confronti delle persone disabili? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Cosa, allora? A giudicare dall’eterna filippica sulla disoccupazione che è in procinto di elargire anche quando gli si intima di farsi la barba, si penserebbe che il welfare sia un suo interesse fondamentale. Ci si illuderà quindi che forse parlare di tematiche ad esso relative è ciò che ci vuole per accalappiarsi i suoi favori. La realtà tristissima è tutt’altra. Lottare a favore di lavoratori e lavoratrici renderà ai suoi occhi qualsiasi umano degno di nota una schifosa sanguisuga statalista. Il benaltrista è infatti la voce della piccola e media imprenditoria, e da buon borghese non si cura di nulla che non sia il proprio portafogli. A leggerlo viene da rimpiangere il caro vecchio edonismo sfrenato da milionario cocainomane, sicché quest’ultimo ha il buon pregio di fottere il prossimo suo senza annoiarlo. Non c’è suo articolo che non contenga un’invettiva esterofila contro l’inadeguatezza dello stato italiano, diretta a quelle poche cose che funzionerebbero in modo perfetto producendo ottimi risultati se non fossero state deturpate dallo smantellamento neoliberista di qualsiasi forma di supporto sociale, distruzione che egli stesso promuove. Il suo ghiribizzo autoassolutorio accoglie tenero alcuni sinistroidi sperduti, poiché questo genere di lamentele agli occhi poco attenti pare ammantarsi quasi, per via del suo materialismo, di una vaga vena socialisteggiante. E insomma, per dio: ci sono i bambini affamati in Africa, i marò, ci vuole la pace nel mondo e poi mio fratello piscia a letto. È increscioso che nessuno si preoccupi mai dei veri problemi.
Lo spargipietà. Parla di ciò che ha nel mirino nel modo più sgarbatamente patetico. I suoi sono articoli di vivace depressione di mezza età che infantilizzano i lettori e gli oggetti della discussione, proprio come se stesse facendo dono di una lezione di vita ai nipotini che lo guardano con finta ammirazione grattandosi le pudenda di fronte al caminetto. La forte vena provinciale spruzzata di voyeurismo inconsapevole provoca sbadigli tali da ammaccare la mascella e impedisce ogni volontà di disamina analitica. Negli ultimi tempi sembra essere disgraziatamente in voga presso varie femmine della specie Homo Editorialis, per via della cultura patriarcale che spesso spinge le donne a sottoporre sé stesse e le altre al tedio di farsi acute difensore del codice morale socialmente accettato (e accettabile). Alcune tematiche predilette: la gioventù, il sesso, la droga e i bei tempi andati non corrotti dalla morale decadente, la quale pare decadere ruzzolando giù per i viottoli della modernità malvagia più o meno da quando esiste vita cosciente su questo pianeta.
L’emergenziale. Si tratta di una creatura che va a caccia nelle stagioni calde. Essendo l’estate priva di eventi particolarmente significativi che diano aria ed euro ai rotocalchi, è responsabilità impellente non esitare a impastare in prima pagina eventi sì certamente orribili ma di nessuna particolare novità, che divengono d’un tratto emergenze nazionali atte a sponsorizzare l’agenda politica del primo brontolone che passa e abbia in mano una soluzione inappropriata e inefficace. Un rimedio peggiore del problema, ovvio. Cosa pensavate?
Il narcisista. Il suo articolo è tipicamente incentrato sulla critica feroce di fenomeni di costume di scarsa rilevanza che, tuttavia, procurano diversi pruriti cerebrali e talvolta intimi al suo autore. Esso opporrà il suo antidiluviano spirito del tempo a quello di tutte le generazioni successive, alternando nostalgici panegirici della bellezza di ciò che fu e stizzite missive di damnatio eterna. Lo farà nella lamentosa speranza di continuare a ricoprire un ruolo di rilievo nel mondo che cambia, ammesso e non concesso che l’abbia mai ricoperto. In tutti i casi, propone tesi ridicole con arrogantissima sicumera, lasciando intendere che la sua sia in primo luogo un’opinione necessaria, in secondo luogo un’opinione legittima, e in terzo luogo l’unica realmente concepibile da primati di media intelligenza. Poco propenso all’uso delle infinite potenzialità del testo argomentativo, depone tutta la forza delle sue ragioni nei suoi parametri anagrafici, nel suo titolo di studio (meglio se privato), in ricerche che ha male interpretato o esplicitamente manipolato, nelle opinioni dei suoi amici, parenti, lacché e così via. Questo lascia intendere che non abbia nemmeno mai provato a cercarla nella sua intelligenza. Non proprio. È che si arrangia, proprio come tutti quelli che cercano qualcosa e non la trovano.
Il tuttologo. In genere è una personalità esperta in un preciso campo del sapere, dove fa valere conoscenze ed esperienze acquisite negli anni. Il dramma è che si azzarda imprudente, figliol prodigo, a vergare prose perniciose a ciel sereno su questioni di palpabile estraneità rispetto alle sue competenze, e quando ciò accade rimbecillisce esponenzialmente fino a generare potenti vortici dapprima di insensatezza, poi di sconcerto e delusione in coloro che a tale figura riconoscevano un certo estro intellettuale magari anche gloriosamente meritato, ora messo in disparte da un altrettanto meritato imbarazzo imperituro. Il che può anche sembrare ingiusto, ma ci solleva dal peso immane di dover sopportare intere tonnellate di opinionismi irrilevanti da parte di qualunque balzano professionista logorroico che abbia mai conseguito qualche credito formativo universitario in vita propria.
Mi pare di aver qui racchiuso, pur non esaustivamente, i profili di particolare rilievo. Tenevetene alla larga di persona, digitalmente, a mezzo stampa. L’uso di un antiparassitario e la disdetta degli abbonamenti dovrebbe tenervi al sicuro.
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Podcast della trasmissione del 27/4/2016
” I Nomi delle Cose” /Puntata del 27/4/2016
” Il parto è un atto politico/ riflessioni femministe sul lavoro riproduttivo”
Manuale femminista-AED Femminismo 1977-
“Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato. La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo. Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà è un incidente sul lavoro.” <Il punto zero della rivoluzione>Silvia Federici/IL PARTO E’ UN ATTO POLITICO/Il lavoro riproduttivo: approccio riformista e approccio di classe/ Hannover/Collegamento con le compagne di Milano dello “SFASCIATOIO/DESMONAUTICA-la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese” Guida turistica al giornalismo discutibile”
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per l’intera trasmissione
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per il collegamento con le compagne dello “Sfasciatoio”
“La maternità è un’istituzione, intangibile e invisibile, di cui dobbiamo continuare a parlare, perché le donne non dimentichino mai più che i nostri molti frammenti di esperienza vissuta appartengono a un tutto che non è di nostra creazione(…)L’istituto della maternità deve essere annullato(…)Distruggere l’istituto non significa abolire la maternità. Significa portare la creazione e il mantenimento della vita sullo stesso piano di decisione, lotta, sorpresa, immaginazione e razionalità di qualsiasi altro compito arduo ma liberamente scelto.” Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, 1996
Qui il documento delle compagne dello “Sfasciatoio “Maternità, cura e femminismo radicale” https://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/11/02/maternita-cura-e-femminismo-radicale/
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Il lavoro non è l’essenza dell’essere umano
“Il lavoro non è l’essenza dell’essere umano”
Marina Zenobio intervista Kathi Weeks
The Problem with Work, della politologa femminista Kathi Weeks. Chi ha detto che il lavoro debba essere al centro della nostra esistenza?
Erano gli anni ’30 del secolo scorso quando Keynes predisse che grazie all’incremento della produttività e all’ingresso della donna nella forza lavoro, la generazione dei suoi nipoti avrebbero lavorato non più di 15 ore a settimana. Sono passate tre generazioni, lavoriamo più di prima e la sinistra ha ormai abbandonato quasi del tutto la lotta per la riduzione della giornata lavorativa, una lotta che la politologa e femminista Kathi Weeks, ispirata da testi diversi tra cui Resistance In Practice The Philosophy of Antonio Negri, rivendica nel suo saggio The Problem with Work: Feminism, Marxism, Antiwork Politics, and Postwork Imaginaries (John Hope Franklin Center Book, 2011, pp.304). In una recente intervista rilasciata a CTXT.es-Contexto y Accion, Kathi Weeks espone il suo pensiero sul potere delle “rivendicazioni utopiche” e spiega perché, secondo l’autrice, dovremmo concentrarci sul lavorare meno ore e sul creare condizioni per immaginare un mondo fuori dal lavoro. Popoff vi propone uno stralcio dell’intervista.
* * *
Come definirebbe il concetto di lavoro?
Il lavoro è una attività produttiva basata sul modello del lavoro salariato. Se si chiede ad una qualsiasi persona che lavoro faccia, dedurrebbe che ci si riferisca esclusivamente al lavoro remunerato. Nel corso della storia sono state combattute molte lotte su cosa dovrebbe essere considerato lavoro, penso alla lotta femminista per il riconoscimento del lavoro domestico come lavoro reale anche se non pagato.
Il suo testo è in parte è una critica all’approccio “produttivista” tradizionale della sinistra. Ma di quale tradizione di tratta?
C’è stata una tendenza generale ad accettare l’idea che il lavoro sia una sorta di sacro sforzo umano. Così come ci sono anche discorsi femministi molto consolidati nel sostenere per le donne le pari opportunità nel lavoro salariato, argomentando che questo rappresenta il biglietto d’uscita dal lavoro domestico imposto culturalmente. A sinistra, in generale, c’è stata un’enfasi socialdemocratica sui programmi per il lavoro, su come introdurre le persone su un posto di lavoro e il loro empowerment come lavoratori.
Cosa suggerisce per contrarrestare questa tradizione “produttivista”?
Ciò di cui c’è bisogno è di un assalto frontale alla cultura e alle istituzioni del lavoro, alle sue ideologie e strutture. E non credo che i discorsi di cui sopra abbiano questa capacità perché condividono gli stessi valori, percezioni e supposizioni. In questi tempi in cui il lavoro è sempre meno e il sistema di distribuzione del reddito sta cadendo a pezzi, penso che sia il momento di scatenarsi contro questo concetto e le ideologie che lo sostengono, che cantano le lodi del lavoro come fosse l’attività più umana e importante di qualsiasi altra.
Scrive anche dell’ “effetto disciplinare” del lavoro. Quanto è importante nella nostra cultura?
E’ cruciale, è ciò in cui si è trasformato il lavoro. Il sistema economico sta funzionando molto bene come modo di produzione del capitale, ma non come forma di distribuzione del reddito. E’ tuttavia utile per disciplinare le persone e per caricare di responsabilità coloro che sono esclusi dal lavoro per la loro mancanza di sforzo o di iniziativa. Continua a leggere
Podcast della Parentesi del 27/4/2016
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La Parentesi di Elisabetta del 27/4/2016
“Hannover”
Il 24 aprile Obama è volato da Angela Merkel: Visita alla Fiera dell’Industria evitando accuratamente il padiglione della Volkswagen, Incontro bilaterale al castello di Herrenhausen. Conferenza stampa.
Obama ha dichiarato: “Il mondo e gli Stati Uniti hanno bisogno di un’Europa forte, prospera e democratica…L’Ue-ha spiegato-era un sogno per pochi ed è diventata una speranza per molti. Ad ogni suo passo ha difeso la libertà e gli Stati Uniti sono al suo fianco. Io credo nell’Europa unita”. “Questo continente-ha aggiunto il presidente americano-nel ventesimo secolo era in costante conflitto, la gente moriva di fame, le famiglie venivano separate; ora la gente vuole venire qui esattamente proprio per quello che avete creato. Vi sono genitori pronti ad attraversare il deserto, il mare per dare ai propri figli quelle cose che noi non dobbiamo dare per scontate”. “Dobbiamo credere-ha detto ancora Obama-nella nostra capacità di forgiare un futuro migliore”. E poi ancora ad Angela Merkel “Sei dalla parte giusta della storia”, esprimendo più volte la totale fiducia degli USA in una partner come Merkel per tutte le sfide da affrontare.
Stucchevole, eccessivo, sopra le righe. Barack blandisce Angela.
Anche perché queste parole sono in contraddizione con gli obiettivi ed il ruolo che gli USA, che si pongono come Stato del capitale e come depositari del dominio imperiale, hanno destinato all’Europa, vale a dire quello di un polo imperialista regionale e subalterno alla loro politica unilaterale di dominio. L’attacco che gli Stati Uniti stanno portando all’Europa da molti anni ha le radici profonde nel disprezzo della democrazia e dello stato sociale inscritti nei paesi europei. Già Kissinger consigliava agli europei di esercitare le loro “responsabilità regionali” nel quadro mondiale di un “ordine globale” determinato dagli Stati Uniti.
Chiaramente uno dei nodi è quello del TTIP, il Trattato per lo scambio commerciale Usa-Ue, trattato assolutamente devastante per l’Europa e che dichiarerebbe la fine di ogni autonomia e indipendenza politica, territoriale, economica dei paesi europei. Praticamente il governo diretto delle multinazionali, un passaggio epocale, la fine della borghesia così come l’abbiamo conosciuta e l’instaurazione di un’ iperborghesia transnazionale con i connotati di una nuova aristocrazia, per cui i paesi sono colonie e i cittadini sudditi.
In Germania la resistenza al TTIP è forte, ci sono state manifestazioni di massa. La Germania perderebbe ruolo, economia, ricchezza, indipendenza…ma anche noi. Speriamo che il prossimo 7 maggio, alla manifestazione nazionale che è stata chiamata a Roma, ci sia consapevolezza e partecipazione.
Obama è partito da qui ”Dobbiamo andare avanti nel negoziato sul TTIP-ha detto-conveniamo nel voler rendere più forte l’accordo nella zona euro” “E’ indiscutibile-ha aggiunto-che il libero commercio abbia rafforzato l’economia americana e portato enormi benefici ai Paesi che vi sono coinvolti. Capisco chi teme la globalizzazione perché vede le fabbriche chiudere e i posti di lavoro trasferiti altrove. Ma è necessario restare competitivi nel momento in cui aree come Asia e Africa stanno sviluppando le rispettive economie…”
Poi, banalità sulla questione climatica e ambientale….bla, bla, bla sui migranti….
Angela Merkel ha risposto con frasi di circostanza…il TTIP? Non ci abbiamo ancora pensato….il ministro tedesco dell’economia Sigmar Gabriel ha detto che il trattato è destinato “a fallire” se gli Stati Uniti non faranno delle concessioni.
Ma Barack Obama non è andato a parlare a quattr’occhi con la Cancelliera per questo. Sa che il Partito socialdemocratico tedesco all’ultimo Congresso ha dato il suo pieno assenso al TTIP.
Obama è volato da Merkel per la guerra. Chi dovrebbe arginare e subire un eventuale conflitto con la Russia e la Cina se non l’Europa? Le scelte della Germania sul fronte orientale sono importantissime per gli USA perché ,in effetti, la Germania è l’Europa.
L’Europa dovrebbe votare a giugno sulle sanzioni alla Russia.
Gli interessi europei e, per parlare di casa nostra, quelli italiani non coincidono con quelli statunitensi, eppure sono state adottate sanzioni che di fatto si riflettono pesantemente sull’economia dei paesi europei, Italia compresa. In Ucraina c’è stato un colpo di Stato, al governo ci sono i nazisti, ma l’obiettivo è la Russia. La guerra mondiale è messa in preventivo, è, addirittura, data per scontata, perché il capitale, per sua natura, dalla guerra non può prescindere, tanto meglio se è mondiale, perché è un volano dell’economia, perché permette di ridefinire gli assetti geopolitici, perché trasformerebbe la Russia in un fornitore di materie prime e la Cina in una grande fabbrica a basso costo e l’una e l’altra in un mercato per le tecnologie occidentali.
Gli Usa annullerebbero così il loro enorme debito e i paesi occidentali dirotterebbero le istanze sociali, le lotte di classe nella fornace della guerra.
Per fare questo, lo strumento privilegiato è la Nato, sigla magica dietro alla quale si nasconde l’esercito statunitense, mentre gli eserciti nazionali sono chiamati ad un ruolo di supporto e a diventare polizia interna agli Stati. Questo è il senso della richiesta sempre più pressante degli Stati Uniti perché gli eserciti nazionali si modernizzino, naturalmente acquistando materiale bellico statunitense e perché con una volontaria sottomissione, partecipino alle varie alleanze aggressive e alle avventure militariste promosse dagli stessi Stati Uniti.
Angela ha risposto denunciando le violazioni del cessate il fuoco in Ucraina e ribadendo la necessità che siano rispettati gli accordi di Minsk. Le sanzioni contro Mosca dovranno essere rimosse con una soluzione politica-ha detto-e non armando la parte occidentale del paese.
E’ questa la questione di fondo. L’Europa è al centro di uno scontro che deciderà il suo destino.
Il vertice a cinque del giorno dopo con David Cameron, François Hollande e Matteo Renzi è stata pura routine perché la Gran Bretagna è la quinta colonna americana in Europa, la Francia ha ridicole velleità neocoloniali, l’Italia è già un governatorato, è la Germania l’ago della bilancia. Un indizio di quanto si siano spostati gli equilibri in Europa dall’inizio della presidenza Obama al suo ultimo viaggio ora in Germania è che l’incontro a cinque si sia tenuto qui e non a Londra, dove Obama era appena stato.
Oggi, collaborazionisti miopi non si rendono conto che un’eventuale guerra non riguarderebbe più solo i militari o alcune aree geografiche ma coinvolgerebbe tutto il paese compresi quelli che pensano di essere al sicuro. L’Europa ha solo da perdere in un conflitto mondiale. La guerra potrebbe essere la fine della nostra storia.
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25 aprile 2016
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Il neoliberismo fascista
Il neoliberismo fascista
di Elisabetta Teghil
L’abitudine invalsa di usare la parola “fascista” come insulto, in maniera superficiale, generica e/o strumentale e ricattatoria come è stato ed è costume della socialdemocrazia nei riguardi di qualsivoglia oppositore compresa la sinistra di classe tacciata spessissimo come “violenta e squadrista”, ha fatto sì che questa parola sia stata privata del suo vero significato, svuotata dal contenuto politico e relegata nel novero di quelle che non vengono più prese in considerazione.
Ma il fascismo è caratterizzato da alcuni principi fondanti molto precisi.
Prima di tutto, come anche il nazismo, è determinato dal governo diretto dei potentati economici. Questo comporta la riduzione e poi l’annullamento delle forme di mediazione politica che la forma borghese così detta “democratica” prevede: partiti, sindacati…..le stesse camere parlamentari….che dovrebbero fare da filtro tra i cittadini e il potere e attraverso le quali con lo strumento del voto si dovrebbero poter definire sia gli assetti dello Stato, sia il tipo e la durata della delega politica.
La scomparsa di queste strutture di mediazione avviene attraverso campagne di demonizzazione del fare politico, con la denuncia della corruzione e del lassismo che attraverserebbero le istituzioni, con lo spauracchio dell’impossibilità di governare, con lo sbandieramento dell’insicurezza sociale che risulterebbe da una mancanza di decisionismo e di fattibilità concreta e funzionamento dei servizi “quando c’era ..Lui…i treni arrivavano in orario…”si diceva.
Viene, quindi, auspicata una semplificazione funzionale della struttura politica e l’accentramento del potere in poche mani, con un personaggio politico di riferimento che incarni lo Stato.
Poi, la società fascista è caratterizzata da una rigida collocazione di classe: la conflittualità fra le classi è demonizzata e/o taciuta, a seconda delle esigenze, perché ognuno nel posto che gli viene assegnato nel sociale, deve contribuire alla grandezza della così detta “patria” dove non esisterebbero più sfruttati e sfruttatori bensì persone che, ognuna nel suo ruolo, dovrebbero remare nella stessa direzione e, chiaramente, se qualcuno ha un posto di comando o è ricco, è perché o è più intelligente o è più capace. Continua a leggere
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