La Parentesi di Elisabetta dell’11/01/2017 e Podcast

Questa è l’ultima Parentesi in podcast, le prossime saranno solo scritte.

“Ci stanno raccontando”

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Ci stanno raccontando della fine delle classi sociali, ma le barriere tra queste sono fatte sempre della stessa materia…soldi, istruzione, famiglia, situazione professionale…e, invece di ridursi, tendono ad aumentare. L’unico elemento nuovo è l’iper borghesia o borghesia imperialista, comunque la si voglia chiamare, che si è organizzata come nuova aristocrazia e ha ridotto la restante borghesia a funzioni di servizio gettando il resto della popolazione nella precarietà, nella disoccupazione e dando ai lavoratori/trici soltanto la speranza di essere arruolati/e come nuovi servi/e. Tutto è accompagnato dal refrain della fine delle ideologie facendo un’opera di stravolgimento nella misura in cui la borghesia transnazionale, mentre esclude tutte le parole che finiscono in ismo, si presenta e si realizza come unica ideologia.

Questo è il quadro nuovo determinato dal neoliberismo che è sì il frutto dell’autoespansione del capitale ma che si pone con connotati diversi da quelli con cui si è manifestata questa autoespansione in passato e che è ora caratterizzata da una ridefinizione profonda dei rapporti di forza, presentata come crisi, che ha allargato a dismisura la platea dei poveri e le differenze sociali, perciò crisi scelta e voluta così come scelto e voluto è l’abbandono da parte del capitale di ogni politica keynesiana e la rottura del patto sociale.

Democrazia politica e democrazia sociale sono indissociabili. Tutto questo che esisteva in effetti solo a livello di racconto è venuto meno. Lo smantellamento del diritto del lavoro avanza inesorabile e paradossalmente il lavoro diventa un oggetto asociale, senza una regolamentazione collettiva rimossa nel nome di una presunta libertà personale. Oggi nella stagione della diffusione della robotizzazione del processo produttivo crolla la richiesta di forza lavoro. Pensare di recuperare non la piena occupazione ma almeno qualcosa di parziale è assolutamente impossibile ed è evidente che la lotta non può essere fatta contro i robot, con una forma attualizzata di luddismo, ma deve essere di natura immediatamente politica. Tanto più che si è approdati all’economia digitale che recupera l’idea di schiavitù e la ripropone sotto forma velata ma non meno dura e violenta.

Il neoliberismo è un’impostazione ideologica che si traduce anche nella dimensione economica per cui il lavoro è stato rimosso nella sua centralità, nella coscienza, nel pensiero, nell’immaginazione di tutti. Siamo tutti precari/e. E’ questo il destino che attende anche quelli che usufruiscono di una momentanea occupazione. Siamo tutti precari perché l’’impresa non è più un collettivo di lavoro, non è un luogo di lavoro, ma si rivolge a prestatori di servizi che utilizzano il tempo strettamente necessario per il servizio stesso. In questo quadro il rapporto con il lavoro va ridefinito, ferma restando la centralità della lettura marxista secondo cui è il lavoro che produce plusvalore ed è il capitalismo che lo espropria. Come leggere e vivere il lavoro in una società dove il capitale ne può fare sempre di più a meno utilizzando la tecnologia? E il tema del reddito di cittadinanza acquista un’importanza come non ha mai avuto in passato.  Evidentemente la risposta è solo nelle scelte politiche ed intorno a queste si devono organizzare le lotte per ridefinire i rapporti di forza.

E’ questa la ragione dell’aumento a dismisura di una pletora di così dette forze dell’ordine, in tutte le variegate accezioni, che si presenta ed è una compagine di novelli pretoriani a difesa del grumo di interessi dell’iper borghesia.

E’ evidente che il sistema, data una società articolata e complessa come quella attuale, non può reggersi rispetto ad una prevedibile conflittualità su una repressione continua seppure su larga scala come quella che sta mettendo in atto. Ha bisogno di ottenere un consenso il più largo e diffuso possibile. Perciò, questo quadro per tanti versi eccezionale richiede da parte del capitale multinazionale uno sforzo adeguato. Da qui la proliferazione dei Think Tank che, nati durante la guerra del Vietnam, sono stati perfezionati e a cui oggi si sono aggiunte organizzazioni non governative, blog, fondazioni, case editrici, cattedre universitarie con un’attenzione particolare all’utilizzo di un linguaggio di sinistra stravolgendone contenuti e significati, comunque tutti tesi a salvaguardare attraverso “dotte elucubrazioni” lo status quo. Una nota a parte riguarda i nicodemisti, questi non nuovi, che si distinguono per la capacità di non prendere mai posizione, di non affrontare mai le questioni sostanziali e di rifugiarsi nelle disquisizioni sul sesso degli angeli.

E così tutti questi ci stanno raccontando che le città ed i territori sono invasi dalle telecamere per la nostra sicurezza, che i navigatori satellitari sono necessari così non ci perderemo mai e saremo ritrovati in qualsiasi momento qualunque cosa ci accada, che i tornelli sui luoghi di lavoro servono a eliminare i “lavativi”, che la meritocrazia premia i migliori, che l’eliminazione del contante serve a combattere l’evasione fiscale, che comprare on line ci fa risparmiare tempo e fatica, che le pratiche via internet riducono la burocrazia, che non si può vivere e lavorare senza tablet e cellulari perché non saremmo abbastanza efficienti e connessi, che i bambini non devono più imparare a leggere, scrivere e fare di conto ma ad usare le nuove tecnologie, che i militari nelle metropolitane ci tutelano contro il terrorismo…mentre l’obiettivo è controllarci 24 ore su 24, entrare perfino nei nostri pensieri.

E così, in questo contesto, hanno alzato l’asticella. Ci vorrebbero raccontare che è necessario un organismo “indipendente” di tutela e di controllo della rete internet. Nella stagione delle “bufale”, delle false notizie, della manipolazione della verità, gli stessi che le promuovono e le diffondono si vorrebbero arrogare il diritto di decidere quali siano le notizie vere e quelle false in modo che abbiano corso solo quelle da loro prodotte che, senza tanti giri di parole, sono quelle della televisione di Stato e dei principali quotidiani nazionali. Non basta loro controllarci in ogni momento della vita nei modi più svariati, devono anche impartirci in esclusiva le direttive per i nostri percorsi mentali. Il pensiero in autonomia e la riflessione personale e politica non sono più tollerate.

Tutto quello che sta succedendo non è farina del nostro sacco, ma, ancora una volta, viene dagli USA. Tutto ciò è tanto più grave perché settori degli Stati Uniti che contano e che fino ad ora hanno dettato la linea politica ai presidenti di quel paese, compreso quello uscente, Barack Obama, spingono senza remore verso la terza guerra mondiale.

Di questo dovremmo preoccuparci veramente ed è una sfida non teorica ma concreta perché le conseguenze sarebbero devastanti.

Per questo alcuni, con riferimento ai tentativi di censurare le notizie da parte di chi ha il monopolio delle notizie false, sono ricorsi a esempi quali il Maccartismo, il Grande Fratello, il Ministero della Verità, tutti paragoni validi ma che non danno l’esatta misura della dimensione di questa proposta che è coerente e in sintonia con le caratteristiche precipue della società americana e neoliberista che è la realizzazione del programma nazista.

I paesi che più rischiano da una possibile guerra mondiale sono sei, caratterizzati da una particolare posizione geografica e dalla presenza ingombrante e soffocante della Nato, maniera elegante per dire gli Stati Uniti. Stiamo parlando dei tre paesi baltici, della Polonia, dell’Italia e del Giappone. Abbiamo due impegni pressanti, uscire dalla Nato e mandare a casa il PD.

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Solidarietà a Pola Roupa e Konstantina Athanasopoulou!

Solidarietà a Pola Roupa e Konstantina Athanasopoulou!

 

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La pappa pseudoprimitivista

La riproduzione artificiale dell’umano, ovvero la pappa pseudoprimitivista di Alexis Escudero – prima puntata

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In un primo momento, avevo deciso di non proferire verbo a riguardo del libro di Alexis Escudero “La riproduzione artificiale dell’umano”: se diamo credito all’aforisma che sostiene “bene o male, l’importante è che se ne parli”, far passare sotto silenzio la traduzione e pubblicazione in Italia di questo delirio antitecnologico – ma soprattutto omofobo, razzista e sessista – si rivelava, strategicamente, la migliore scelta politica.Purtroppo però, alcune realtà di movimento hanno deciso di dare spazio alla presentazione di questo testo, del quale immagino che – ad esclusione de* ferventi sostenitor* (e, dunque, di chi l’ha proposto) – non abbiano letto nemmeno l’estratto pubblicato su web: in caso contrario, mi sento di suggerire una seria autocoscienza sulle motivazioni alla base della scelta di  dare agibilità politica a simili obbrobri.Eppure, così è. In questi giorni il libro in questione verrà portato in giro per l’Italia, stasera a Torino, domani a Milano e poi a seguire (se volete sapere dove/come/quando… cercatevelo, non intendo fare ulteriore pubblicità a questo “evento”).  Ho deciso dunque di rompere gli indugi, e di scrivere poche (spero) righe di commento, auspicando che altr* prendano parola in merito.

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Deprezzamenti di genealogie e rivalità generazionali intollerabili.

Dalla pagina facebook di Daniela Pellegrini https://www.facebook.com/daniela.pellegrini.98499

DEPREZZAMENTI DI GENEALOGIE E RIVALITA GENERAZIONALI INTOLLERABILI.
…e non solo dentro certi gruppi

Trovo offensiva (e distruttivo e masochistico) una frase apparsa in fb riguardante l’assemblea preparatoria a Milano dell’8 marzo che :”dà lezione al femminismo storico” per assommare e per deprezzare uno stuolo di donne (comprese le loro madri nei secoli di resistenza) – ed erano allora davvero tante e determinate, donne in movimento (e non femminismo si chiamavano) che hanno aperto per TUTTE la strada della consapevolezza e delle VERE libertà e senza le quali e la loro affermazione di autonomia di sguardi ed azioni non avrebbe permesso a nessuna di intraprendere la strada dell’uscita dal patriarcato.
Potrei essere offensiva anch’io, nonna in questo percorso, e leggere in questo atteggiamento da “figlie” nel patriarcato che preferiscono allearsi e fare coppia (!!!?) coi loro cosiddetti “compagni “(di cosa?) che riconoscere ed affermare la propria autonomia e chiarezza. Preferiscono denigrare le proprie madri, vecchia storia patriarcale…e vecchie perciò loro (le figlie) e non altre.
Che poi ci siano madri che si alleano a tali figlie per compiacerle è il massimo della sfiga, loro e di tutte.
Dico anche però che non sono certo io ad essere in sintonia (e per non esserlo mai stata, mi hanno spesso definita “eretica”) con certi iter ed affermazioni teoriche e politiche che hanno voluto e potuto influenzare ed affermarsi ed hanno così forse in parte determinato la situazione aattuale.
Ma sono orripilata da altrettanti iter ed affermazioni/azioni attuali che vedo influenzate e dipendenti in una alleanza al subdolo neoliberismo patriarcale, quello che seduce nuovamente “al maschile” con lo specchietto per allodole (da mangiarsi in tutte le salse, come è sempre stato) del “concedere”(!!per renderli più ambiti che mai nella eroica lotta per il giusto) a TUTTI tutti i diritti…. E non certo RISPETTI. Quelli che dovremmo mettere al mondo con la “nostra” politica.
A cominciare in questo caso del RISPETTO nelle relazioni generazionali: la genealogia ci dà valore reciproco.
Non aspettiamo di accorgersene quando ci saranno “più maschi che femmine” e il patriarcato resterà l’orrido paradigma culturale per tutta la specie, e ritrionferà avendoci inglobate…e tutte felici e violente……

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Omaggio a Teresa Rebull/VISCA L’AMOR

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Podcast della presentazione di “Amore e lotta” al Nido di Vespe!

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9 gennaio 2013/9 gennaio 2017

Per ricordare Sakinè, Fidan, Leyla

Le problematiche sul fronte esterno non sono mai disgiunte da quelle sul fronte interno. I Paesi occidentali , Usa in testa, conducono le guerre neocoloniali, destabilizzano interi paesi e aree geografiche e contemporaneamente producono sul fronte interno la militarizzazione dei territori, l’impoverimento sempre crescente della popolazione, l’affossamento delle garanzie sociali, la strumentalizzazione dell’antirazzismo e dell’antisessismo. Ci dobbiamo sempre ricordare che la Turchia che conduce con una violenza inenarrabile la persecuzione della popolazione curda, è un paese che fa parte della Nato ed è tutto interno al progetto di destabilizzazione dell’area mediorientale che gli Stati Uniti e Israele stanno portando avanti con determinazione e senza esclusione di colpi. L’Isis non è altro che un prodotto di questa politica. E non dobbiamo mai dimenticarci il ruolo e la funzione dell’Italia in questo contesto: Ocalan è stato, di fatto, con la sua espulsione, consegnato alle autorità turche dal governo D’Alema, con il PCDI al governo, l’Italia fornisce ufficialmente armi all’Arabia Saudita che servono per reprimere il popolo yemenita e vengono, neanche tanto occultamente, passate all’Isis.

In questo quadro il modo migliore per ricordare e rivendicare il patrimonio politico lasciatoci da Sakiné, da Fidan e da Leyla è mettere all’ordine del giorno l’uscita dell’Italia dalla Nato.

Sakine, Fidan, Leyla.


Lunedì 9 gennaio dalle ore 16:00 alle ore 18:00 il Centro Socio-Culturale Curdo Ararat e la Rete Kurdistan Roma chiamano ad una manifestazione a Campo Dei Fiori, nei pressi dell’Ambasciata Francese;

Dalle ore 19 in poi, al Centro socioculturale Ararat, proiezione del documentario “Tutta la mia vita è stata una lotta”

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I Nomi delle Cose del 4/1/2017

I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/Anno 2016/2017-Nuova Stagione 

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Puntata del 4/01/2017

“Riflessioni femministe sul femminismo”

Apriamo il 2017 partendo da un articolo di Meghan Murphy per indagare su nove punti fondamentali che riguardano il femminismo

1) Essere una donna è centrale rispetto all’essere femminista perché il femminismo è un movimento  fatto dalle donne per le donne

2)Il femminismo non è un sentimento né un’identità, è un movimento politico 

3)Non c’è impegno politico senza ideologia. L’ideologia è l’insieme delle idee che definiscono un movimento politico. 

4)Il femminismo non c’entra con il politicamente corretto.

5)Il femminismo non è scontro generazionale, ma anzi cerca il collegamento con le donne che hanno lottato nel passato

6) Non si devono accusare le femministe di detestare il sesso e gli uomini come se questa fosse una brutta cosa.

7) Una femminista non può essere dalla parte del patriarcato

8) La donna oggetto e la nudità non sono la stessa cosa

9)Il femminismo non può essere accattivante perché il femminismo è lotta e come tale dice delle cose sgradite.

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“CI TOLGONO LA GIOIA CI TOLGONO LA VITA / CON QUESTO SISTEMA FACCIAMOLA FINITA”

 

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6 gennaio 2017

Un augurio a tutte noi e a tutte voi!!!!!

 

JEAN TEPPERMAN, “Strega”

Mi dicevano
è meglio se sorridi a bocca chiusa.
Mi dicevano è
meglio se ti tagli i capelli lunghi,
così crespi,
sembri ebrea.
Mi zittivano nei ristoranti
guardandosi intorno
mentre gli specchi sopra il tavolo
riverberavano beffardi in infiniti
riflessi un volto rozzo, squadrato.
Mi chiedevano perchè
quando cantavo per le strade.
Loro alti, grandi al tè
coi loro modi melliflui, didattici
io con gli occhi sul piattino
che cercavo di nascondere la bomba
a mano nella tasca dei calzoni,
e mi rannicchiavo dietro il pianoforte.
Mi deridevano con riviste
piene di seni e merletti,
contenti come pasque
quando il primogenito del dottore
sposava una ragazza tranquilla e carina.
Mi raccontavano storie
di signore eleganti e sportive
e le loro diverse carriere.
Mi svegliavo la notte
con la paura di morire.
Costruivano schermi e divisori
per nascondere il desiderio
non bello a vedersi
a sedici anni
inesperta disperata
mi abbottonarono dentro vestiti
a fiori rosa.
Aspettavano che io finissi
per riprendere la conversazione.
Sono stata invisibile,
strana e soprannaturale.
Voglio il mio vestito nero.
Voglio che i capelli
mi si arriccino selvaggi.
Voglio riprendere la scopa
dall’armadio dove l’ho rinchiusa.
Stanotte incontrerò le mie sorelle
nel cimitero.
A mezzanotte
se ti fermi al semaforo
nel traffico umido della città,
guarda se ci vedi contro la luna.
Noi gridiamo,
noi voliamo,
noi ricordiamo e non smetteremo.

JEAN TEPPERMAN “Strega”, 1969.

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La Parentesi di Elisabetta del 4/01/2017

“Oseremo ancora assolverci?”

dedicata a Sandrine

Il governo Gentiloni  con il ministro Minniti, ha deciso di rilanciare i CIE, le strutture di detenzione per i migranti e le migranti “irregolari”.

In questi anni i CIE hanno sempre funzionato, ma essendo stati oggetto di rivolte e di proteste da parte degli internati e delle internate, alcuni avevano subito danni e quindi erano stati chiusi e altri erano stati trasformati in così detti “centri di accoglienza”.

Il concetto di detenzione amministrativa, introdotto dalla Legge Turco-Napolitano nel 1998 con l’istituzione dei Cie, non è mai stato percepito nel comune sentire in tutta la sua gravità, eppure ci riguarda tutti e tutte ed è una breccia gravissima nel concetto di diritto così come noi lo conosciamo. La detenzione amministrativa prevede che qualcuno/a possa essere internato non perché ha commesso un reato, ma perché si trova in una condizione. E il fatto che questa condizione sia prevista da una legge non giustifica ma anzi aggrava il principio stesso di esistenza della detenzione amministrativa.

Chiunque un domani può essere dichiarato/a passibile di internamento in base a principi di pericolosità sociale come d’altra parte era previsto dalla legislazione nazista che internava le ragazze dichiarate “asozialen”  dai servizi sociali. Non è un caso, infatti, che il concetto di detenzione non per colpa o reato ma per una condizione personale, uno status, un modo di essere o di pensare sia un concetto introdotto dal diritto nazista alla fine degli anni ’30.

Chiaramente e come al solito, tutto questo viene ammantato da ragioni che vengono propagandate per buone per le cittadine e i cittadini  “legittimi”  quali la sicurezza, gli sbarchi continui di migranti sul nostro territorio, la necessità dei controlli e dei rimpatri, l’estendersi delle baraccopoli, di gente pericolosamente povera e senza fissa dimora…allo stesso tempo, e sempre gli stessi che hanno creato i Cie, ci dicono attraverso il “politicamente corretto” che bisogna informare la società alla tolleranza e allo scambio culturale, che i migranti e le migranti possono essere una risorsa per il nostro paese, che non si dice “negro” ma si deve dire “nero”…e gli stessi e le stesse fanno convegni sull’integrazione, sulla società multietnica, sulla convivenza civile …ma tutte e tutti si dimenticano di dire quali siano le cause di questi flussi migratori, chi siano i mandanti degli sbarchi continui e delle migranti e dei migranti affogati di cui ormai si è perso il conto, salvo versare qualche lacrima di coccodrillo in occasione di qualche disastro particolarmente eclatante. Si “dimenticano” bellamente che sono proprio loro a sponsorizzare, attuare, portare avanti, finanziare le “guerre umanitarie”, che sono stati proprio loro a destabilizzare interi paesi e intere aree geografiche fomentando guerre interreligiose, etniche, foraggiando con armi e denaro i gruppi integralisti per destabilizzare governi laici asimmetrici rispetto ai loro interessi.

E così tutti dimenticano, in buona e in cattiva fede, salvo pochi gruppi di antagonisti e antagoniste che da anni si battono contro i Cie, quali sono le ragioni e le cause di tutto ciò.

E così vengono fatte manifestazioni “buoniste” che chiedono centri di prima accoglienza, gestione “umana” dei/delle migranti, divisione in “quote”, differenziazione tra “migranti economici” e “rifugiati politici”, che propongono progetti “vantaggiosi” anche per la nostra economia, che suggeriscono di far svolgere ai migranti lavori “socialmente utili” così da essere apprezzati anche dalla cittadinanza. Un grande business, quello dell’accoglienza e dell’integrazione. E un grande business è anche quello del rimpatrio dei/delle migranti, delle strutture di controllo, della gestione dei CIE in cui sono coinvolti lavoratori e lavoratrici italiani, cittadini/e qualunque che poi tornano a casa dalle loro famiglie e considerano l’esistenza dei Cie normale amministrazione “Io non ho ucciso nessuno. Ho solo organizzato i trasporti” così si difendeva Eichmann .

D’altra parte J.P. Sartre parlando della guerra d’Algeria diceva <Falsa ingenuità, fuga, malafede, solitudine, mutismo, complicità rifiutata e, insieme, accettata, è questo quello che abbiamo chiamato, nel 1945, la responsabilità collettiva. All’epoca non era necessario che la popolazione tedesca sostenesse di aver ignorato l’esistenza dei campi. “Ma andiamo” dicevamo “Sapevano tutto! “ Avevamo ragione, sapevano tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché anche noi sappiamo tutto…Oseremo ancora condannarli? Oseremo ancora assolverci?>

Il concetto di integrazione è di per sé profondamente razzista. Presuppone che qualcuno e qualcuna che viene accolto “per bontà e disponibilità” in una società chiaramente democratica e piena di risorse, che quindi fornisce a persone “arretrate” culturalmente, politicamente, economicamente la possibilità di farne parte, debba dare in cambio la massima gratitudine e la assoluta propensione a assumere la cultura del paese ospitante. Certo, dato che questa società ospitante è profondamente democratica permetterà ai/alle migranti di mantenere alcuni usi e costumi purché non siano invadenti e sappiano stare al loro posto che di fatto è quello folkloristico. I bianchi e le bianche occidentali si potranno così sentire importanti, superiori e tolleranti quando con sussiego mangeranno nei ristoranti etnici o frequenteranno i mercatini artigianali o guarderanno con comprensione il bambino straniero, nella classe del proprio figlio, che non sa nemmeno parlare l’italiano.

Tutto questo però non è casuale,  è un modo di porsi della società neoliberista ed è una modalità specifica di gestire il sociale. E’ la società dell’antirazzismo razzista, quella che propaganda il politicamente corretto, l’integrazione e la  convivenza civile e  allo stesso tempo porta avanti le guerre neocoloniali che di tutto questo sono la principale causa. Ottiene così il risultato di vantare a parole l’antirazzismo e di costruire una società profondamente razzista in cui la popolazione “nostrana” si sente superiore a quella del terzo mondo, di serie B e incapace di gestirsi.

Così le popolazioni occidentali impoverite fortemente dalle politiche sfrenatamente neoliberiste, dalla venuta meno dello Stato sociale, da lavori al limite della sopportazione trovano lo sfogo alle loro frustrazioni e alla loro miseria nella colpevolizzazione del migrante e della migrante, in una guerra di poveri contro poveri che fa il gioco del potere.

Questo ha provocato uno spostamento forte a destra del nostro paese ma anche del mondo occidentale e la responsabilità è della socialdemocrazia, principale sponsor del neoliberismo e delle guerre neocoloniali, socialdemocrazia che, nel comune sentire, è stata assimilata all’idea di sinistra  provocando un discredito a tutto campo di questa parola.

La “sinistra” tra la gente non evoca più immaginari rivoluzionari,  liberazione, giustizia sociale e sogni di uscita da questa società bensì ipocrisia, buonismo peloso, opportunismo, pavidità, legalismo esasperato, vessazione fiscale.

La necessità imprescindibile è di rompere ogni collaborazionismo con la socialdemocrazia e smascherare come si muove e opera questo sistema.

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Per Sandrine /Sabato 14 gennaio a Cona

Verità e giustizia sociale per Sandrine Bakayoko Tutte e tutti a Cona (Venezia) Sabato 14 gennaio

https://www.facebook.com/CISPM-Italia-Coalizione-Internazionale-Sans-Papiers-e-Migranti-476214095866848/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf

Noi saremo a Cona (Venezia) là dove la vita di Sandrine Bakayoko è stata spezzata, mentre era insieme ad altri profughi “parcheggiati” nel cosiddetto Centro d’accoglienza, per chiedere Verità e giustizia sociale. Caro Ministro degli Interni Marco Minniti, le sue operazioni di deportazione, avviate nei confronti di alcuni profughi a differenza di altri, e la gestione affaristica dell’accoglienza costituiscono – insieme ai Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) – il problema e non la soluzione. Motivo per cui siamo, senza Se e senza Ma, dalla parte della giusta protesta che ha seguito la morte di Sandrine Bakayoko. Perché non vogliamo vivere in queste gabbie create dallo Stato tra indifferenza e miopia politico culturale.

Questi depositi umani che voi definite centri d’accoglienza stanno sempre più diventando dei luoghi di privazione di diritti e dignità nonché di sfruttamento lavorativo e sociale dei profughi e degli operatori sociali. E là dove le persone sono costrette a vivere in queste condizioni i diritti dell’uomo sono violati. Uomini e donne scaricati e sospesi tra procedure amministrative, ricatti di ogni natura e forme evidenti di razzismo.

Denunciamo la vergognosa campagna strumentale e razzista secondo cui i richiedenti asilo e i migranti ricevono dai 25 ai 35 euro al giorno! Questi soldi non li abbiamo mai visti. Si tratta di pura campagna demagogica e strumentale finalizzata a speculare sul disagio sociale dovuto alla crisi economica che vive la società tutta.

Invitiamo Sabato 14 gennaio tutte le associazioni, movimenti, forze sociali e laiche antirazziste a condividere insieme un momento di mobilitazione a Cona (Venezia) e in tutti i territori per Sandrine Bakayoko e per la liberazione dei profughi da questo “sistema”. Sistema creato dalle politiche dei vari governi italiani con la complicità di affaristi dell’assistenzialismo senza scrupoli.

Coalizione Internazionale Sans-papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo (CISPM).

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L’accoglienza per Sandrine

L’accoglienza per Sandrine

Nell’epoca della post verità l’accoglienza è, come titolano sul blog Hurrya, qualcosa che segrega ed uccide.

Così è morta Sandrine, in questo contesto dove una parola che dovrebbe significare rifugio e protezione è in realtà tutt’altro.

Questo hanno denunciato le proteste delle persone del centro per richiedenti asilo di Conetta, in provincia di Venezia.

Quello che sono e come vengono gestiti questi centri è tutto ben documentato qui; sono la continuazione del grande business che i cie realizzavano alla grande sulla pelle de* migranti.

E dal momento che occorre fingere di dare una riposta ai deliri securitari, alle paure sempre opportunamente sollecitate che indicano in ogni migrante un possibile terrorista, il 2016 si è chiuso con la previsione dell’apertura di un centro di identificazione ed espulsione in ogni regione.

I cie erano dei lager; lo saranno ancora perchè chi li ripropone non può pensare nulla di meglio.

Perciò noi saremo sempre a contrastarli e combatterli.

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Sabato 7 gennaio ore 16:30 presidio antifascista all’Alberone

Riceviamo da lavoratriciaciinfo@gmail.com

NESSUNO SPAZIO A PADRONI E FASCISTI!

 

Dal 1970 la sede del Comitato di Quartiere Alberone è un luogo aperto alla città che si autorganizza, che lotta per i propri bisogni, che costruisce spazi di solidarietà e cultura altra dal pensiero unico dominante.
In questi 47 anni diversi gruppi di donne e uomini hanno fatto vivere questo spazio secondo le diverse esigenze che innervavano i soggetti proletari nel divenire storico. Pur quindi nelle differenti esperienze che hanno animato e animano i collettivi che si sono ritrovati e si ritrovano nella sede dell’Alberone un filo rosso è costante: la ricerca di percorsi per la trasformazione dello stato di cose presenti, cioè per l’affermazione della vita contro la morte del capitale.
In questi percorsi alcuni principi si sono sempre mantenuti vivi ed anzi arricchiti di nuovi linguaggi e più ricche riflessioni e pratiche: l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo.

Il 7 gennaio di ogni anno, dal 1979, siamo costretti a presidiare questo luogo per impedire ai fascisti, nel giorno dell’anniversario dei morti di Acca Larentia, di compiere impunemente le loro provocazioni nel quartiere.
Anche quest’anno vogliamo ribadire con fermezza che nei nostri quartieri non c’è spazio per l’apologia del fascismo, il razzismo, il sessismo, l’omofobia, il settarismo religioso e l’odio verso chiunque venga percepito come “diverso”.

Per altro stiamo vivendo una fase di acuta crisi del sistema capitalistico, che padroni e speculatori – con l’uso delle marionette partitiche e istituzionali – utilizzano per condurre un duro attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne attraverso le politiche di taglio ai servizi sociali, la riduzione dei salari, il saccheggio e la devastazione dei territori. In questi momenti il ruolo storico dei fascisti di indirizzare la rabbia popolare anziché contro i veri responsabili delle nostre miserie – padroni e reggiborsa – contro i più deboli, emerge in tutta evidenza, ieri con le leggi sulla razza oggi contro gli immigrati. Coloro che soffiano sul fuoco del razzismo e della paura del diverso, che invocano la legalità contro le occupazioni abusive, che parlano di “degrado”, sono gli stessi personaggi che, dietro le quinte, speculano e rubano milioni di denaro pubblico (quindi di lavoratrici e lavoratori che contribuiscono per oltre l’80% alle entrate fiscali dello Stato) attraverso la gestione dei campi rom, dell’accoglienza dei rifugiati, dell’emergenza abitativa e del ciclo dei rifiuti.

Se dunque la connivenza tra fascisti, malavita organizzata e gruppi affaristici e clientelari trasversali al mondo della politica è il sistema attraverso il quale mantenerci subalterni e sfruttati; noi staremo il 7 gennaio in piazza come in tutti gli altri 364 giorni dell’anno per costruire nei territori, nelle scuole e nei posti di lavoro vertenze reali portatrici di istanze di cambiamento radicale dello stato di cose presenti.

SABATO 7 GENNAIO DALLE ORE 16,30
DAVANTI LA SEDE DEL COMITATO DI QUARTIERE ALBERONE
VIA APPIA NUOVA, 357
PRESIDIO ANTIFASCISTA

COMPAGNE E COMPAGNI ANTIFASCISTE/I DI ROMA

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6 gennaio 2017 “AMORE E LOTTA”

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Buon 2017 di lotta insieme a tutt* quell* che vogliono ancora la luna!!!!

Buon 2017 di lotta a tutt*!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!Un anno che ha il sapore della rivoluzione

“…..Insieme a tutte le donne e alle compagne che rifiutano la delega, che continuano a lottare per la propria autodeterminazione, che si prendono ciò di cui hanno bisogno, che conquistano a spinta i propri diritti, che si autodifendono e si autorganizzano contro la violenza di genere esercitata dalle istituzioni, dagli uomini e dalle donne, insieme alle donne vessate dalla magistratura e richiuse in carcere o nei c.i.e., insieme a tutte quelle  che si oppongono alla militarizzazione dei territori, alle “guerre umanitarie”, alle speculazioni e alle nocività, che siano un tav, un muos, un inceneritore o lo sfruttamento lavorativo,

insieme a tutte quelle che ancora vogliono la luna…”

Rimanere rivoluzionarie è il solo modo di costruire strade di liberazione

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