La Parentesi di Elisabetta del 4/01/2017

“Oseremo ancora assolverci?”

dedicata a Sandrine

Il governo Gentiloni  con il ministro Minniti, ha deciso di rilanciare i CIE, le strutture di detenzione per i migranti e le migranti “irregolari”.

In questi anni i CIE hanno sempre funzionato, ma essendo stati oggetto di rivolte e di proteste da parte degli internati e delle internate, alcuni avevano subito danni e quindi erano stati chiusi e altri erano stati trasformati in così detti “centri di accoglienza”.

Il concetto di detenzione amministrativa, introdotto dalla Legge Turco-Napolitano nel 1998 con l’istituzione dei Cie, non è mai stato percepito nel comune sentire in tutta la sua gravità, eppure ci riguarda tutti e tutte ed è una breccia gravissima nel concetto di diritto così come noi lo conosciamo. La detenzione amministrativa prevede che qualcuno/a possa essere internato non perché ha commesso un reato, ma perché si trova in una condizione. E il fatto che questa condizione sia prevista da una legge non giustifica ma anzi aggrava il principio stesso di esistenza della detenzione amministrativa.

Chiunque un domani può essere dichiarato/a passibile di internamento in base a principi di pericolosità sociale come d’altra parte era previsto dalla legislazione nazista che internava le ragazze dichiarate “asozialen”  dai servizi sociali. Non è un caso, infatti, che il concetto di detenzione non per colpa o reato ma per una condizione personale, uno status, un modo di essere o di pensare sia un concetto introdotto dal diritto nazista alla fine degli anni ’30.

Chiaramente e come al solito, tutto questo viene ammantato da ragioni che vengono propagandate per buone per le cittadine e i cittadini  “legittimi”  quali la sicurezza, gli sbarchi continui di migranti sul nostro territorio, la necessità dei controlli e dei rimpatri, l’estendersi delle baraccopoli, di gente pericolosamente povera e senza fissa dimora…allo stesso tempo, e sempre gli stessi che hanno creato i Cie, ci dicono attraverso il “politicamente corretto” che bisogna informare la società alla tolleranza e allo scambio culturale, che i migranti e le migranti possono essere una risorsa per il nostro paese, che non si dice “negro” ma si deve dire “nero”…e gli stessi e le stesse fanno convegni sull’integrazione, sulla società multietnica, sulla convivenza civile …ma tutte e tutti si dimenticano di dire quali siano le cause di questi flussi migratori, chi siano i mandanti degli sbarchi continui e delle migranti e dei migranti affogati di cui ormai si è perso il conto, salvo versare qualche lacrima di coccodrillo in occasione di qualche disastro particolarmente eclatante. Si “dimenticano” bellamente che sono proprio loro a sponsorizzare, attuare, portare avanti, finanziare le “guerre umanitarie”, che sono stati proprio loro a destabilizzare interi paesi e intere aree geografiche fomentando guerre interreligiose, etniche, foraggiando con armi e denaro i gruppi integralisti per destabilizzare governi laici asimmetrici rispetto ai loro interessi.

E così tutti dimenticano, in buona e in cattiva fede, salvo pochi gruppi di antagonisti e antagoniste che da anni si battono contro i Cie, quali sono le ragioni e le cause di tutto ciò.

E così vengono fatte manifestazioni “buoniste” che chiedono centri di prima accoglienza, gestione “umana” dei/delle migranti, divisione in “quote”, differenziazione tra “migranti economici” e “rifugiati politici”, che propongono progetti “vantaggiosi” anche per la nostra economia, che suggeriscono di far svolgere ai migranti lavori “socialmente utili” così da essere apprezzati anche dalla cittadinanza. Un grande business, quello dell’accoglienza e dell’integrazione. E un grande business è anche quello del rimpatrio dei/delle migranti, delle strutture di controllo, della gestione dei CIE in cui sono coinvolti lavoratori e lavoratrici italiani, cittadini/e qualunque che poi tornano a casa dalle loro famiglie e considerano l’esistenza dei Cie normale amministrazione “Io non ho ucciso nessuno. Ho solo organizzato i trasporti” così si difendeva Eichmann .

D’altra parte J.P. Sartre parlando della guerra d’Algeria diceva <Falsa ingenuità, fuga, malafede, solitudine, mutismo, complicità rifiutata e, insieme, accettata, è questo quello che abbiamo chiamato, nel 1945, la responsabilità collettiva. All’epoca non era necessario che la popolazione tedesca sostenesse di aver ignorato l’esistenza dei campi. “Ma andiamo” dicevamo “Sapevano tutto! “ Avevamo ragione, sapevano tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché anche noi sappiamo tutto…Oseremo ancora condannarli? Oseremo ancora assolverci?>

Il concetto di integrazione è di per sé profondamente razzista. Presuppone che qualcuno e qualcuna che viene accolto “per bontà e disponibilità” in una società chiaramente democratica e piena di risorse, che quindi fornisce a persone “arretrate” culturalmente, politicamente, economicamente la possibilità di farne parte, debba dare in cambio la massima gratitudine e la assoluta propensione a assumere la cultura del paese ospitante. Certo, dato che questa società ospitante è profondamente democratica permetterà ai/alle migranti di mantenere alcuni usi e costumi purché non siano invadenti e sappiano stare al loro posto che di fatto è quello folkloristico. I bianchi e le bianche occidentali si potranno così sentire importanti, superiori e tolleranti quando con sussiego mangeranno nei ristoranti etnici o frequenteranno i mercatini artigianali o guarderanno con comprensione il bambino straniero, nella classe del proprio figlio, che non sa nemmeno parlare l’italiano.

Tutto questo però non è casuale,  è un modo di porsi della società neoliberista ed è una modalità specifica di gestire il sociale. E’ la società dell’antirazzismo razzista, quella che propaganda il politicamente corretto, l’integrazione e la  convivenza civile e  allo stesso tempo porta avanti le guerre neocoloniali che di tutto questo sono la principale causa. Ottiene così il risultato di vantare a parole l’antirazzismo e di costruire una società profondamente razzista in cui la popolazione “nostrana” si sente superiore a quella del terzo mondo, di serie B e incapace di gestirsi.

Così le popolazioni occidentali impoverite fortemente dalle politiche sfrenatamente neoliberiste, dalla venuta meno dello Stato sociale, da lavori al limite della sopportazione trovano lo sfogo alle loro frustrazioni e alla loro miseria nella colpevolizzazione del migrante e della migrante, in una guerra di poveri contro poveri che fa il gioco del potere.

Questo ha provocato uno spostamento forte a destra del nostro paese ma anche del mondo occidentale e la responsabilità è della socialdemocrazia, principale sponsor del neoliberismo e delle guerre neocoloniali, socialdemocrazia che, nel comune sentire, è stata assimilata all’idea di sinistra  provocando un discredito a tutto campo di questa parola.

La “sinistra” tra la gente non evoca più immaginari rivoluzionari,  liberazione, giustizia sociale e sogni di uscita da questa società bensì ipocrisia, buonismo peloso, opportunismo, pavidità, legalismo esasperato, vessazione fiscale.

La necessità imprescindibile è di rompere ogni collaborazionismo con la socialdemocrazia e smascherare come si muove e opera questo sistema.

Questa voce è stata pubblicata in La Parentesi di Elisabetta, La Parentesi di Elisabetta, Podcast, Trasmissione RoR - I Nomi delle cose e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.