Pubblichiamo l’introduzione di“Coscienza illusoria di sé” Elisabetta Teghil, Bordeaux 2013
La fase dell’attuale modo sociale di produzione, il neoliberismo, è lo stadio del capitale nella sua dinamica auto espansiva, caratterizzato dalla guerra fra le Nazioni e fra le multinazionali per la ridefinizione dei rapporti di forza, che vede all’offensiva le multinazionali anglo-americane e i loro rispettivi Stati. Questi, usati come braccio esecutivo, in attesa che gli USA diventino lo Stato del capitale. Lo aveva già previsto Stokely Carmichael , nel luglio del ’67, nel Convegno di Londra “Dialectics of liberation”, per il quale l’occidente avrebbe teso in futuro a identificarsi e/o a subire lo strapotere egemonico degli Stati Uniti e la contrapposizione non sarebbe stata tanto tra l’occidente e il terzo mondo, quanto fra gli USA e il resto del globo.
I popoli del terzo mondo, in questo processo, sono destinati ad essere schiacciati e a rivivere le pagine più nere del colonialismo.
La borghesia transnazionale acquisterà i tratti e i connotati di una nuova aristocrazia.
La restante parte della borghesia sarà ricondotta al ruolo di servizio che aveva prima della rivoluzione francese.
I paesi europei non sono in grado di resistere e/o di ostacolare questo processo. Ma, siccome c’è spazio solo per una super potenza e una multinazionale per settore, lo scontro finale avrà i caratteri di una resa dei conti particolarmente cruenta. Per noi materialiste/i questo è l’ “Armageddon” che ci aspetta.
Le condizioni del capitalismo, al massimo livello di sviluppo, vengono assunte a modello ideale di ogni altra forma passata e contemporanea, europea e non europea, borghese e non borghese, di sfruttamento e di alienazione dei lavoratori/trici.
L’individuo non esiste più, la stessa personalità è rappresentata solo come adeguamento ad un modello uguale per tutte/i. La stessa borghesia, così come l’abbiamo conosciuta, tende a scomparire, dove non è già scomparsa. Grazie alla proprietà dei mezzi di produzione e alla relativa autonomia economica, aveva conquistato le connesse libertà politiche, intellettuali e culturali. La condizione di non libertà che era la condizione dei proletari, degli oppressi/e, è oggi la condizione della quasi totalità degli esseri umani, è la sostanza e l’essenza dell’odierno vivere. Essere borghesi, nella stragrande maggioranza dei casi, esclusa l’iper borghesia, non è più una zona di privilegio. Oggi una minoranza della borghesia stessa, quella che abbiamo definito iper-borghesia, tiene soggetta la maggioranza dei cittadini/e grazie al controllo della produzione e al connesso potere politico, scientifico, ideologico.
Ciò che era nato come occasione di libera iniziativa e autonomia dell’individuo, sia pure riservato alla sola borghesia, si sta concludendo nella programmazione omologante sempre più generale, nella predeterminazione del comportamento di ciascuno, nella più radicale esclusione della libertà che si sia mai verificata, giacché il condizionamento avviene all’interno della stessa coscienza individuale.
Da tutto questo ne consegue un rovesciamento nello sviluppo del capitalismo rispetto all’approccio e all’approdo.
Oggi ci troviamo in una situazione reale che appare radicalmente nuova rispetto alle formulazioni “ideali” della borghesia. Pertanto gli oppressi/e, compresa la piccola e media borghesia, si trovano a combattere il nemico, declinato in parole semplici, l’iper-borghesia, e lo Stato del capitale, gli USA, a mani nude sul piano della scienza e dei valori teorici così come lo sono sul piano del potere e della proprietà.
La fase attuale è quella del dominio reale del capitale, e la tendenza è ad esserlo sempre di più. Il capitale non solo è metabolismo sociale, ma in questa fase sostituisce tutte le forme di organizzazione sociale proprie ed altre, in un processo di sottomissione di tutta la vita ai propri bisogni di auto valorizzazione.
Il capitale sussume tutto il corpo sociale ai suoi meccanismi, tendendo sempre più a farsi società e presentando quest’ultima, la società del capitale, come l’unica società possibile imponendosi in ogni piega dell’esistente individuale e collettivo.
Questo meccanismo di sussunzione coinvolge anche il femminismo che viene presentato come ormai superato. Le donne avrebbero la possibilità di accedere a qualsiasi carica politica/sociale/economica/istituzionale/ lavorativa e non lavorativa e godrebbero di una libertà che non hanno mai avuto.
Le situazioni di dipendenza economica, psicologica, fisica sarebbero dovute alla scarsa consapevolezza personale. Il neoliberismo addossa sempre alla singola o al singolo la ragione della propria inadeguatezza e illibertà, definita nell’incapacità di realizzarsi e di proporsi in questa società che sarebbe aperta, invece, a qualsiasi realizzazione personale. E’ la teoria della colpevolizzazione. La società viene scaricata da qualsiasi responsabilità e, anzi, viene danneggiata da individui che rappresentano una zavorra sociale.
Da qui la presunta positività, propagandata ad ogni piè sospinto, dell’accesso delle donne alle cariche di potere, donne che potrebbero portare un contributo proprio del genere, un’attenzione ed una sensibilità di cui il genere maschile sarebbe carente.
Viene completamente e volutamente ignorato l’aspetto strutturale dell’oppressione di genere, in una visione interclassista che tutte ci dovrebbe abbracciare.
Noi siamo consapevoli, invece, che il nostro essere donne è una costruzione socio-economico-politico-culturale, in questo momento definita dal patriarcato e dal capitalismo nella sua versione neoliberista e che il nostro riconoscimento di gruppo oppresso non ha niente a che vedere con definizioni sessuali, né tanto meno naturali, ma viene dall’oppressione che subiamo, a tutti i livelli sociali, inscindibilmente di genere e di classe.
Tutte quelle e tutti quelli che osano mettere in discussione questi valori vengono immediatamente etichettate/i come estremiste/i, violente/i, settarie/i.
L’autonomia nei riguardi del pensiero unico è un crimine e come tale viene perseguita.
Ma, essere femministe, oggi, significa rompere con questi valori mortiferi, sottraendoci tutti i giorni e in tutti i momenti della nostra quotidianità.
Significa rompere l’assuefazione al controllo, ribaltare la colpevolizzazione in cui ci vogliono invischiare, recuperare la capacità di indignarci, promuovere la criticità verso la meritocrazia, la gerarchia, l’autorità, smascherare l’uso improprio di parole come democrazia, riforme, partecipazione…spezzare l’ipocrisia in cui ci vogliono imbrigliare.
Significa cercare di innescare meccanismi di uscita da questa società. Continua a leggere→