Fuori l’Italia dalla NATO!

Fuori l’Italia dalla NATO! I modi sono tanti, ognun* scelga il suo.

Comunicato del Comitato No guerra No NATO sull’attacco USA alla Siria

 Due navi da guerra statunitensi, la USS Porter e la USS Ross della Sesta Flotta di stanza a Napoli, hanno attaccato la base siriana di Shayrat con 59 missili da crociera Tomahawk.

L’attacco, ordinato dal presidente Trump, è stato eseguito dal Comando delle forze navali Usa in Europa, agli ordini dell’ammiraglia Michelle Howard, che allo stesso tempo comanda la Forza congiunta della Nato con quartier generale a Lago Patria (Napoli).

L’operazione bellica è stata appoggiata dalla base aeronavale Usa di Sigonella e dalla stazione di Niscemi del sistema statunitense Muos di trasmissioni navali.

L’Italia – dove si trovano importanti comandi e basi per operazioni militari in una vasta area che dal Medioriente e Nordafrica arriva fino al Mar Nero – è un fondamentale trampolino di lancio della strategia aggressiva Usa/Nato.

Gli Stati Uniti e gli alleati europei della Nato sono i principali responsabili di una situazione sempre più pericolosa, provocata dalla demolizione dello Stato libico, attaccato dall’interno e dall’esterno, e dal tentativo di fare lo stesso in Siria (sempre durante l’amministrazione Obama) tramite gruppi terroristi presentati come «ribelli», addestrati e armati dalla Cia e finanziati dall’Arabia Saudita e altre monarchie del Golfo.

Proprio mentre tale tentativo stava fallendo per l’intervento russo a sostegno delle forze governative, e si stava per aprire un negoziato per mettere fine alla guerra, Stati Uniti e Nato hanno gettato benzina sul fuoco accusando il governo siriano di aver fatto strage di civili, tra cui molti bambini, con un deliberato attacco chimico.

Come ha dichiarato il Vescovo siriano Antoine Audo di Aleppo, «non si può immaginare che il governo siriano sia così sprovveduto e ignorante da poter fare degli errori così madornali». Vi sono invece prove che i «ribelli» siano in possesso, e abbiano già usato, armi chimiche.

Fallito il tentativo di far passare al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione di condanna del governo siriano, che avrebbe permesso di attaccare «legalmente» la Siria come venne fatto nel 2011 con la Libia, il presidente Trump ha ordinato l’attacco missilistico alla base governativa siriana.

Le implicazioni di tale atto sono gravissime. Esse rendono ancora più tesi i rapporti tra Stati Uniti e Russia, le cui forze ora si fronteggiano direttamente in una situazione incandescente.

Non possiamo essere semplici spettatori mentre la guerra divampa, mentre aumenta il rischio di una catastrofica guerra nucleare.

Dobbiamo esercitare i nostri diritti costituzionali, ripudiando la guerra nell’unico modo concreto che abbiamo: pretendere che l’Italia esca dall’alleanza aggressiva della Nato, non abbia più sul proprio territorio basi militari straniere né armi nucleari. Dobbiamo lottare per un’Italia neutrale, in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.

https://www.sinistrainrete.info/estero/9536-comunicato-del-comitato-no-guerra-no-nato-sull-attacco-usa-alla-siria.html

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Uteroghiamoci! Incontro conclusivo

Uteroghiamoci! Incontro conclusivo

Martedì 11 aprile dalle 20,30 alle 22,30 alla Consultoria Autogestita via dei Transiti 28-Milano

https://www.facebook.com/events/751130415049845/

“Lo scorso incontro ci ha messo nuovamente di fronte al fatto che, se le donne trovano un luogo dove esprimersi liberamente, i nodi emergono, irrompono. Insomma, non abbiamo parlato di gravidanza, ma di come ci sentiamo di fronte a questo tema.
E continueremo nel prossimo incontro, continuando a fare come fatto sinora, ossia modulandolo sulla base dei tempi della discussione, con l’obiettivo esplicito di riprenderci il tempo della ricerca su noi stesse, della condivisione, e dell’elaborazione collettiva.”

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No TAP né qui né altrove!

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La Parentesi di Elisabetta del 5/04/2017

“Pretoriani”

   Riaffiora continuamente nella sinistra una teoria che potremmo chiamare della “democratizzazione” che, in parole poverissime, pretenderebbe che lo Stato si muovesse su binari così detti “democratici” e si scandalizza e si flagella quando questo non avviene. E parla di regressione autoritaria, di deriva reazionaria e via dicendo.

Pensando che si possano chiamare ad una “democraticità” più fattiva gli apparati esistenti, si dimentica che lo Stato è lo strumento e l’emanazione della classe dominante, si cassa ogni considerazione sulla natura di classe dello Stato stesso, presentandolo come neutrale e necessario per le “oggettive” esigenze di direzione della società. L’idea della non neutralità dello Stato, una delle acquisizioni fondamentali del marxismo, è dimenticata, non soltanto nel revisionismo tradizionale e nel neo revisionismo, ma anche in molti spazi antagonisti. E questo vale a tutti i livelli sia che si parli di tribunali e di giustizia, sia che si parli di gestione della piazza e del dissenso, sia che si parli delle modalità con cui viene affrontato il sociale…

Da qui l’inconsistenza degli appelli dei partitini di sinistra per il ritorno a Keynes, che fanno finta di non accorgersi che non è vero che lo Stato si è ritirato. Si è ritirato per quanto riguarda lo stato sociale ma è sempre più presente nel supportare, finanziare e far crescere l’apparato militare industriale.

Lo Stato borghese è profondamente innestato, tramite i rapporti della connessione circolatoria, al movimento fondamentale della riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici. In questo legame, appunto, consiste la specificità della forma politica borghese e, pertanto, bisogna abbandonare l’idea della neutralità delle forze produttive rispetto ai rapporti di produzione. Non legare la forma statale borghese alla forma dei rapporti di produzione capitalistici, incarnati nelle forze produttive, ci impedisce una chiara individuazione dell’avversario.

Questo perché si dimentica che il modo di produzione capitalistico mette in luce le sue diverse articolazioni e che c’è un rapporto dialettico fra lo specifico e il momento unitario.

I rapporti di produzione capitalistici sono inscritti nei processi di lavoro e si traducono nei ruoli e, questi, compresi quelli sessuati, si riproducono continuamente nella divisione sociale capitalistica del lavoro.

Ma questa condizione non si realizza a partire dall’automatismo in sé, ma ha le radici dentro le condizioni sociali, cioè nella natura della società.

C’è una tendenza negli articoli e nelle prese di posizione della sinistra dopo gli avvenimenti che hanno segnato, ad esempio, la manifestazione del 25 marzo a Roma, a porre l’accento sulla deriva autoritaria con cui sono state condotte le operazioni di polizia nel controllo così detto “preventivo”, nel controllo della piazza, nella preparazione mediatica dell’opinione pubblica, nella demonizzazione del movimento. Si parla di fascistizzazione del paese, di gestione sudamericana e si parla di spazi democratici venuti meno.

Invece siamo di fronte ad un passaggio epocale che si è esplicitato in maniera particolarmente evidente nella gestione da parte della forza pubblica della piazza del 25 marzo. La polizia si è mossa autonomamente dal punto di vista delle scelte e degli obiettivi, è passata dall’essere entrata nel salotto buono alla dimostrazione di messa in atto di un’idea di società.

Il neoliberismo forma compiuta e attuale del capitalismo progetta una società sul modello dello Stato/Capitale dove le risorse destinate alla collettività, pensioni, sanità, istruzione, ammortizzatori sociali…vengono totalmente eliminate e destinate all’apparato militare e a quello poliziesco. L’apparato militare porta un attacco a tutto campo ai paesi del terzo mondo e a quelli asimmetrici rispetto agli interessi delle multinazionali anglo-americane e l’apparato poliziesco rende irrealizzabile da parte degli oppressi l’aspirazione ad una società più giusta ed equa. I ruoli tra l’altro diventano interscambiabili perché i territori interni vengono militarizzati e l’esercito assume caratteri di polizia interna e la polizia assume caratteri di forza di occupazione militare. La Nato allo stesso tempo assume il nuovo ruolo di polizia internazionale sancito dal neocolonialismo.

L’apparato militare industriale e quello poliziesco penitenziario diventano volano dell’economia anche perché devono reprimere le resistenze e le rivolte messe in preventivo.

Pertanto la strategia terroristica del capitale è divenuta la forma costruttiva del dominio. Una condizione scelta per la riproduzione del rapporto di produzione capitalistico.

Il neoliberismo è la forma a cui è approdato il capitalismo nella sua necessità di autoespansione. Non c’è nessuna crisi, bensì il neoliberismo è una precisa ideologia e la così detta crisi non è un effetto collaterale sgradito, qualcosa sfuggito di mano, bensì una scelta precisa e voluta.

L’ iper borghesia transnazionale, la nuova aristocrazia borghese nella fase imperialista, sta conducendo una lotta senza quartiere alle classi subalterne e a vasti strati della borghesia così come l’abbiamo finora conosciuta.

L’impoverimento della media e piccola borghesia, la sua proletarizzazione è un’operazione scelta scientemente, in una lotta di classe all’interno della classe condotta senza alcuno scrupolo e senza esclusione di colpi. In questa situazione mentre vengono buttati a mare quegli strati sociali che costituivano l’ossatura della borghesia così come tradizionalmente la conoscevamo, altre soggettività vengono fatte entrare nei posti di comando. Sono gli esponenti dell’apparato militare e poliziesco.

La crescita esponenziale di mezzi, di finanziamenti e di strutture che caratterizza l’apparato militare industriale e quello poliziesco fa sì che questi sistemi di servizio acquistino nella struttura gerarchica neoliberista sempre più peso e il potere che viene loro dal ruolo di gestione del dissenso, del controllo territoriale e sociale fornisce una posizione estremamente importante. Tanto importante da controllare ormai e tenere sotto scacco anche la stessa politica.

Le polizie nelle varie accezioni, nella struttura borghese tradizionale, erano situate in una collocazione di servizio e di subalternità alla politica. Ne eseguivano le direttive. Perfino durante il fascismo, in cui la repressione poliziesca era parte fondante del sistema, la sua subalternità alla politica era evidente. Le scelte, la volontà, i percorsi erano politici e la polizia faceva sì che potessero trovare gambe con cui camminare senza l’intralcio di dissidenti, fomentatori e ribelli. E questo anche nelle azioni e nei momenti polizieschi più sporchi. Nella dichiarazione alla Camera dei deputati del 26 maggio 1927, conosciuta anche come il <discorso dell’Ascensione> Mussolini affermava <Signori: è tempo di dire che la polizia non va soltanto rispettata, ma onorata. Signori: è tempo di dire che l’uomo, prima di sentire il bisogno della cultura, ha sentito il bisogno dell’ordine: In un certo senso si può dire che il poliziotto ha preceduto nella storia il professore (…) Ed era chiara la subalternità della polizia al progetto di ordine fascista.

Sta avvenendo una mutazione genetica, la polizia si sta svincolando dalla politica, va per conto suo, ha messo in atto una dichiarazione di indipendenza, di autonomia che apre scenari nuovi che ci ricordano il ruolo dei pretoriani.

E la politica è in palese perplessità. Non aveva nessun interesse il 25 marzo a presentare le manifestazioni contro l’UE come pericolose, ma anzi avrebbe voluto una città senza particolari problematiche mentre l’apparato poliziesco ha fatto chiaramente capire che la situazione di tranquillità o di ferro e fuoco sarebbe dipesa solamente dalle sue scelte.

La politica non voleva a nessun costo porre l’accento sulle manifestazioni di protesta contro l’Unione Europea mentre la questure e gli organi di gestione del così detto ordine pubblico si premuravano di creare un clima di terrore tra negozianti e cittadini in vista della “calata dei barbari”. Anche durante la manifestazione abbiamo assistito ad un tentativo di minimizzare le manifestazioni di dissenso da parte dei media mentre la polizia in piazza cercava ogni pretesto possibile per poter dare il via a quello che aveva attivamente propagandato nei giorni precedenti.

Il neoliberismo è una società di stampo nazista per il governo diretto dei potentati economici, per l’affossamento di tutte le situazioni di mediazione tra cittadini e Stato, per la pretesa di ridurre il dissenso a rivendicazioni corporative gestite dall’associazionismo collaborazionista, per la pretesa di incidere e di legiferare su ogni aspetto della vita, anche il più privato, imponendo uno Stato etico, appunto, di nazista memoria di cui il decreto Minniti è l’ultimo esempio, ma quello che sta succedendo nei rapporti tra polizia e politica è un’altra cosa. È il prodotto della lotta di classe interna alla borghesia che ha sostituito buona parte degli strati sociali che la costituivano con gli apparati polizieschi e militari.

E’ importante riconoscerlo perché ci permette di non pensare che quello che sta accadendo nella gestione dell’ordine pubblico sia una deriva reazionaria, un arretramento, una regressione della democrazia bensì ci dà modo di inquadrarlo come momento insito ed integrante del progetto neoliberista.

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La Pastora “Maquis” 1917-2017

La Pastora “Maquis”

 Teresa nel 1943

Teresa Pla Meseguer nacque ermafrodita a Vallibona un piccolo paese spagnolo, ora nella comunità autonoma Valenciana, nel 1917, il mese non è certo, da una famiglia poverissima. La madre, non sapendo come regolarsi, la registrò come femmina con il nome appunto di Teresa, perché pensava che così avrebbe avuto meno problemi. La discriminazione che subì per tutta la fanciullezza e l’adolescenza nell’ambiente rurale in cui era nata la portarono ad autoescludersi dalla comunità e si rifugiò in montagna, in solitudine, a fare la pastora. Da qui uno dei nomi con cui fu conosciuta.

Non partecipò alla guerra civile spagnola, ma quando andò al potere Franco entrò nel Maquis, il movimento di guerriglia e resistenza antifranchista. La presa di coscienza politica si accompagnò alla crescita personale e a quella culturale. Imparò a leggere e a scrivere e prese consapevolezza dei propri desideri e delle proprie sensazioni. Scelse l’identità di genere maschile e prese il nome di Florencio che divenne anche il suo nome di battaglia.

pastora teresa pla florencio maquis

La sua conoscenza profonda delle montagne che aveva maturato negli anni della solitudine fu molto utile al movimento maquis, tanto da farne una leggenda. Florencio per anni riuscì a sfuggire alla cattura, e fu arrestato in territorio andorrano e solo in seguito ad un tradimento. Condannato a morte nel 1960, la pena fu commutata in ergastolo e fu incarcerato per 17 anni in un carcere femminile, fino al 1977, quando uscì per l’amnistia proclamata dopo la morte di Francisco Franco. Nel 1980 cambiò ufficialmente identità all’anagrafe.  Morì ad Olocau nel 2004.

Florencio nel 1960, quando fu catturato

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Dédiée a Lumi Videla

https://youtu.be/eIjOaZo5Lzg

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Sabato 1 aprile/Centro di Documentazione Palestinese

SEMPRE DALLA PARTE DELLA PALESTINA!

Non prendere posizione, non compiere una scelta, significa in realtà accettare la logica del più forte, la logica dell’arroganza, della prevaricazione e dell’aggressione. E noi donne sappiamo fin troppo bene come funziona questo meccanismo.

Sappiamo bene cosa significa confondere aggredita ed aggressore quando veniamo messe sullo stesso piano di chi ci avvilisce, ci umilia e ci opprime perché, ci dicono, anche lei avrà avuto le sue colpe, perché, tutto sommato, se l’è cercata….

Il Centro Documentazione Palestinese, in collaborazione con Al-Ard Doc Film Festival, invita a partecipare alla proiezione del documentario «La guerra dei disabili», sul fenomeno dei sistematici ferimenti dei giovani palestinesi da parte delle forze di occupazione.
Collegamento con Hanaa Mahamed, regista e corrispondente dell’emittente Al-Mayadeen, e Mustafa Elayan, giovane palestinese del campo profughi Dheisheh (Betlemme), ferito nel 2015.
L’appuntamento è per: Sabato 01 aprile 2017 (H17:00) Via dei Savorgnan 40 – Roma

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Dossier sulla guerra nello Yemen e le bombe RWM

Dossier “DUE ANNI FA, NEL 2015, L’INIZIO UFFICIALE DELLA GUERRA NELLO YEMEN E LA FABBRICA DELLE BOMBE RWM A DOMUSNOVAS”

https://nobasi.noblogs.org/

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30 marzo Giornata della Terra

Palestina libera, Palestina rossa!

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6 aprile 2017 a BAM/ La schiavitù è stata davvero abolita?

Roma – 6 aprile aperitivo e proiezione del documentario “13th” benefit lotta contro CPR e frontiere

da Hurriya.noblogs.org

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Marzo 1999-Marzo 2017/ Jugoslavia e Dynamic Manta

Marzo 1999-Marzo 2017/ Jugoslavia e Dynamic Manta

La socialdemocrazia ha portato in dote al neoliberismo l’impianto teorico del ritorno al colonialismo che, una volta, verteva sulla diffusione della civiltà cristiana, del commercio e del progresso e, oggi, trova giustificazione  nei diritti umani, nei mercati e nella democrazia.

Dal 24 marzo al 28 giugno del 1999, la Jugoslavia fu aggredita dall’Alleanza Atlantica guidata dagli Stati Uniti, Bill Clinton presidente e Madeleine Albright segretario di Stato e, non a caso, con i governi inglese, francese, tedesco e italiano a guida socialdemocratica, senza mandato dell’ONU e senza l’approvazione dei rispettivi parlamenti.

Il governo italiano che ha aggredito la Jugoslavia aveva come Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, vicepresidente con delega in materia di servizi di sicurezza Sergio Mattarella, Sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio Domenico Minniti, ministro di Grazia e Giustizia Oliviero Diliberto.

L’aggressione alla Jugoslavia è il debutto in società del nuovo concetto strategico della NATO e la sua trasformazione in polizia internazionale che interviene là dove i governi e i popoli hanno l’ardire di sottrarsi o almeno di tentare di sottrarsi al dominio imperiale.

Dal 12 al 24 marzo appena trascorsi, si è tenuta, di fronte alle coste della Sicilia, l’esercitazione navale NATO DYNAMIC MANTA con la partecipazione della marina militare di Stati Uniti, Canada, Italia, Francia, Spagna, Grecia e Turchia. L’Italia è un riferimento strategico importante perché fornisce stazioni aeronavali, marittime e terrestri e punti strategici di rifornimento, partenza e munizionamento.

L’uscita dell’Italia dalla NATO è una necessità imprescindibile e dovrebbe essere posta in qualsiasi lotta venga portata avanti sul fronte interno, sul fronte esterno e anche nel nostro specifico femminista. 

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Non siamo Negan

Non siamo Negan

Pubblicato il 26 marzo 2017 · in Cinema & tv, Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

negan[Non contiene spoiler maggiori]

La settima stagione di The Walking Dead è stata lenta e stiracchiata da troppe digressioni inutili. Il budget è stato ridotto al limite della sopravvivenza. La serie ormai si svolge tutta fra baracche e discariche, e la CGI sembra fatta con Paint.
Il senso d’angosciosa impotenza, di paralizzante frustrazione che ha gravato come una cappa soffocante su tutta la stagione però è stata una scelta narrativa precisa, sensata, e interamente voluta.
Di tutti i nefandi antagonisti affrontati in questi anni dal gruppo dei sopravvissuti di The Walking Dead, Negan è infatti il più ostico, il più pericoloso, perché è quello che più somiglia allo Stato.
Il modo in cui riscuote i tributi, requisisce e (non) redistribuisce le risorse, assegna i ruoli, decide dei delitti e delle pene, reclama il monopolio assoluto dell’uso della forza, e soprattutto il modo in cui pretende adesione ideologica, identificazione: “Noi siamo Negan” è la sua versione di “Lo Stato siamo noi”.
I suoi prigionieri portano divise da carcerato. I suoi schiavi sono formalmente liberi di scegliere fra la schiavitù, e la morte.
Il suo primo raid ad Alexandria più che a una razzia somiglia a un pignoramento, uno sgombero, uno sfratto.
Gli interminabili comizi autocelebrativi che precedono le sue esemplari esecuzioni pubbliche hanno tutto il sinistro paternalismo dei discorsi ufficiali che anche in questi giorni abbiamo sentito così spesso.
I Saviours di Negan non sono una semplice gang, una tribù, sono uno Stato, anzi sono lo Stato.
Con la sua organizzazione sistematica, burocratizzata del sopruso, Negan fa qualcosa di peggio che rendere l’apocalisse più spaventosa, la normalizza.  
Per Negan gli zombie non sono una minaccia, sono una risorsa.
Li utilizza come recinzione, come arma, come esercito di riserva.
Per Negan in fondo tutti, vivi o morti sono zombie allo stesso modo.
Negan è l’orrore quotidiano.
Negan è lo Stato.
E per batterlo a Rick e Michonne toccherà organizzare una rivoluzione.

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La Parentesi di Elisabetta del 22/03/2017

“A proposito di Torino”

 Il tribunale di Torino ha assolto in questi giorni un uomo accusato di violenza sessuale perché “il fatto non sussiste”. Nelle motivazioni si legge che la donna non avrebbe «tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona». La vittima ha detto solo “basta”, non ha chiesto aiuto, non ha urlato.

Ora non solo la donna che ha sporto la denuncia  dovrà accettare il fallimento della sua causa, ma dovrà rispondere anche di calunnia, perché la prima sezione penale presieduta dalla giudice Diamante Minucci ha trasmesso gli atti al pubblico ministero non ritenendo “verosimile” la sua versione dei fatti. Non c’è assolutamente percezione di come si possa reagire alla violenza sessuale, di cosa sia in effetti la violenza sessuale e di come le donne siano sempre soggetti in difficoltà psicologica, fisica e culturale di fronte alla violenza che viene loro inflitta perché costruite secondo un canone in cui l’abitudine alla soggezione e la paura del giudizio portano persino all’incapacità di reazione. Tutto ciò è ormai da anni patrimonio del movimento femminista ed è stato elaborato in riflessioni di tutti i tipi.

Ma la sentenza non è dovuta al fatto che la magistratura non è abbastanza educata  a riconoscere la violenza di genere, o al fatto che non vengono fatti corsi  di formazione adeguati per giudici, magistrati, poliziotti, forze varie così dette dell’ordine. Non è il risultato di un’arretratezza culturale riguardo alla violenza sulle donne che ne impedisce la percezione e la valutazione da cui deriverebbe la necessità, come va propagandando la socialdemocrazia femminile, di rapportarsi con lo Stato e di renderlo adeguatamente edotto rispetto a questa violenza.

E’ semplicemente dovuto al fatto che la ruolizzazione sessuata e la soggezione delle donne sono parte integrante del modello economico-politico-sociale. E non si può pensare di scardinare il ruolo sessuato che fa parte di una organizzazione del lavoro piramidale, gerarchica e meritocratica coltivando una visione di tutela categoriale.

Il fatto che il giudice sia una donna è esemplare. Questo sistema coltiva ed incentiva l’emancipazione  come mezzo di promozione personale,  spinge le donne affinché si mettano al servizio del potere e assumano la scala di valori neoliberista e patriarcale. E l’assunzione dei valori dominanti è necessariamente a tutto campo. La giudice che ha emesso questa sentenza è la stessa che ha condannato nel maggio del 2014 dei militanti NoTav a pesanti pene per banalità avvenute al cantiere di Chiomonte ed è la stessa che ha presieduto la corte che sempre a Torino ha inflitto undici condanne da nove mesi a un anno e due mesi ai militanti che avevano manifestato contro il comizio di Salvini nel marzo 2015. Ed è la stessa che ha condannato nel gennaio di quest’anno a un anno e dieci mesi di reclusione una madre per maltrattamenti sui sette figli, su denuncia del marito.

In una società come la nostra fondata sulla violenza, sull’ineguaglianza, sullo sfruttamento, la socialdemocrazia ha portato in dote la capacità di imbellettarsi, e uno di questi belletti dovrebbe essere l’attenzione alla violenza sulle donne, ma nulla può essere scisso dal contesto in cui vive e di cui si nutre.  L’esperienza ci ha insegnato che le donne nelle istituzioni si sono messe, insieme ai maschi, al servizio del sistema. L’emancipazionismo usato come fine e non come mezzo ha stravolto il percorso di liberazione, confondendo piani che avrebbero dovuto essere solo strumentali, con piani di rottura dell’ordine sessista e classista stabilito, riportando la lotta femminista a modalità funzionali a questo sistema, anzi facendone un fiore all’occhiello del sistema stesso.

Un abisso divide l’insieme donne in questo momento storico e anche se l’oppressione che subiamo è trasversale allo spazio e al tempo e attraversa tutte le classi e le frazioni di classe, ci sono donne che scelgono strade di liberazione e altre che scelgono di perpetuare il dominio patriarcale e di contribuire a opprimere le altre donne e tutti gli oppressi.

La sentenza di Torino esplicita, ancora una volta e in maniera evidente chi si colloca da una parte e dall’altra dell’abisso.

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3 aprile 2017 / STOP RWM!

3 aprile 2017 / STOP RWM! 

Presidio e Corteo a Domusnovas

https://nobasi.noblogs.org/

STOP ALLA FABBRICA DI MORTE RWM

LUNEDÌ 3 APRILE 2017 A DOMUNOVAS

PRESIDIO AL PIAZZALE DELLA RWM DALLE 11.00 ALLE 16.00

CORTEO DAL PIAZZALE DELLA FABBRICA AL PAESE – PARTENZA ALLE 16.00

Ormai è un dato di fatto: la RWM Italia spa produce bombe, lo stabilimento di Domusnovas fabbrica ed esporta gli ordigni che devastano lo Yemen e tanti altri paesi, per alcune centinaia di posti di lavoro e decine di milioni di fatturato.

In nome del profitto si uccidono centinaia di migliaia di civili, si coprono le complicità delle istituzioni e in nome del ricatto occupazionale si giustifica chi lavora e contribuisce manualmente alla costruzione di strumenti di morte.

Fermiamo la filiera di questa produzione di morte, dal padrone all’operaio, dai trasporti dei materiali a chi li prende in carico.

La produzione di bombe deve cessare qui e ovunque, produrre e vendere morte non può essere un’attività da svolgere serenamente né ora né mai.

Per questi motivi ci ritroviamo il 3 aprile nel piazzale dello stabilimento RWM a Domusnovas per un presidio dalle 11:00 alle 16:00, cui seguirà un corteo verso il paese.

Vi invitiamo a partecipare per provare tutti insieme ad inceppare anche se per poche ore questo macchinario e rimarcare che chi contribuisce ai suoi ingranaggi “per quanto si creda assolto è lo stesso coinvolto”

Non lasciamo in pace chi vive di guerra!

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I Nomi delle Cose del 22/03/2017

I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/Anno 2016/2017-Nuova Stagione 

i-nomi-delle-cose

Puntata del 22/03/2017

 “Aborto libero! ” “Io abortisco perché lo voglio e basta!”

 

“Aveva assunto un farmaco contro gli spasmi addominali che in grande quantità provoca l’interruzione di gravidanza. Secondo Il Giornale di Vicenza, il tribunale ha emesso una sentenza per 15 giorni di reclusione, con pena sospesa” Questa la notizia di questo 8 marzo che riguarda una ragazza di Vicenza

NON CI SIAMO STUFATE DOPO QUARANT’ANNI DI ESSERE ANCORA A QUESTO PUNTO? NON CI SIAMO STUFATE DI PIETIRE DALLO STATO QUELLO CHE APPARTIENE SOLO E SOLTANTO A NOI? BASTA! E’ NECESSARIO ORGANIZZARSI E DIFENDERSI IN MANIERA AUTONOMA

CLICCA QUI

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