Coscienza illusoria di sé/ Introduzione

  Pubblichiamo l’introduzione di“Coscienza illusoria di sé” Elisabetta Teghil,  Bordeaux 2013

La fase dell’attuale modo sociale di produzione, il neoliberismo, è lo stadio del capitale nella sua dinamica auto espansiva, caratterizzato dalla guerra fra le Nazioni e fra le multinazionali per la ridefinizione dei rapporti di forza, che vede all’offensiva le multinazionali anglo-americane e i loro rispettivi Stati. Questi, usati come braccio esecutivo, in attesa che gli USA diventino lo Stato del capitale. Lo aveva già previsto Stokely Carmichael , nel luglio del ’67, nel Convegno di Londra “Dialectics of liberation”, per il quale l’occidente avrebbe teso in futuro a identificarsi e/o a subire  lo strapotere egemonico degli Stati Uniti e la contrapposizione non sarebbe stata tanto tra l’occidente e il terzo mondo, quanto fra gli USA e il resto del globo.

I popoli del terzo mondo, in questo processo, sono destinati ad essere schiacciati e a rivivere le pagine più nere del colonialismo.

La borghesia transnazionale acquisterà i tratti e i connotati di una nuova aristocrazia.

La restante parte della borghesia sarà ricondotta al ruolo di servizio che aveva prima della rivoluzione francese.

I paesi europei non sono in grado di resistere e/o di ostacolare questo processo. Ma, siccome c’è spazio solo per una super potenza e una multinazionale per settore, lo scontro finale avrà i caratteri di una resa dei conti particolarmente cruenta. Per noi materialiste/i questo è l’ “Armageddon” che ci aspetta.

Le condizioni del capitalismo, al massimo livello di sviluppo, vengono assunte a modello ideale di ogni altra forma passata e contemporanea, europea e non europea, borghese e non borghese, di sfruttamento e di alienazione dei lavoratori/trici.

L’individuo non esiste più, la stessa personalità è rappresentata solo come adeguamento ad un modello uguale per tutte/i. La stessa borghesia, così come l’abbiamo conosciuta, tende a scomparire, dove non è già scomparsa. Grazie alla proprietà dei mezzi di produzione e alla relativa autonomia economica, aveva conquistato le connesse libertà politiche, intellettuali e culturali. La condizione di non libertà che era la condizione dei proletari, degli oppressi/e, è oggi la condizione della quasi totalità degli esseri umani, è la sostanza e l’essenza dell’odierno vivere. Essere borghesi, nella stragrande maggioranza dei casi, esclusa l’iper borghesia, non è più una zona di privilegio. Oggi una minoranza della borghesia stessa, quella che abbiamo definito iper-borghesia, tiene soggetta la maggioranza dei cittadini/e grazie al controllo della produzione e al connesso potere politico, scientifico, ideologico.

Ciò che era nato come occasione di libera iniziativa e autonomia dell’individuo, sia pure riservato alla sola borghesia, si sta concludendo nella programmazione omologante sempre più generale, nella predeterminazione del comportamento di ciascuno, nella più radicale esclusione della libertà che si sia mai verificata, giacché il condizionamento avviene all’interno della stessa coscienza individuale.

Da tutto questo ne consegue un rovesciamento nello sviluppo del capitalismo rispetto all’approccio e all’approdo.

Oggi ci troviamo in una situazione reale che appare radicalmente nuova rispetto alle formulazioni “ideali” della borghesia. Pertanto gli oppressi/e, compresa la piccola e media borghesia, si trovano a combattere il nemico, declinato in parole semplici, l’iper-borghesia, e lo Stato del capitale, gli USA, a mani nude sul piano della scienza e dei valori teorici così come lo sono sul piano del potere e della proprietà.

La fase attuale è quella del dominio reale del capitale, e la tendenza è ad esserlo sempre di più. Il capitale non solo è metabolismo sociale, ma in questa fase sostituisce tutte le forme di organizzazione sociale proprie ed altre, in un processo di sottomissione di tutta la vita ai propri bisogni di auto valorizzazione.

Il capitale sussume tutto il corpo sociale ai suoi meccanismi, tendendo sempre più a farsi società e presentando quest’ultima, la società del capitale, come l’unica società possibile imponendosi in ogni piega dell’esistente individuale e collettivo.

Questo meccanismo di sussunzione coinvolge anche il femminismo che viene presentato come ormai superato. Le donne avrebbero la possibilità di accedere a qualsiasi carica politica/sociale/economica/istituzionale/ lavorativa e non lavorativa e godrebbero di una libertà che non hanno mai avuto.

Le situazioni di dipendenza economica, psicologica, fisica sarebbero dovute alla scarsa consapevolezza personale. Il neoliberismo addossa sempre alla singola o al singolo la ragione della propria inadeguatezza e illibertà, definita nell’incapacità di realizzarsi e di proporsi in questa società che sarebbe aperta, invece, a qualsiasi realizzazione personale. E’ la teoria della colpevolizzazione. La società viene scaricata da qualsiasi responsabilità e, anzi, viene danneggiata da individui che rappresentano una zavorra sociale.

Da qui la presunta positività, propagandata ad ogni piè sospinto, dell’accesso delle donne alle cariche di potere, donne che potrebbero portare un contributo proprio del genere, un’attenzione ed una sensibilità di cui il genere maschile sarebbe carente.

Viene completamente e volutamente ignorato l’aspetto strutturale dell’oppressione di genere, in una visione interclassista che tutte ci dovrebbe abbracciare.

Noi siamo consapevoli, invece, che il nostro essere donne è una costruzione socio-economico-politico-culturale, in questo momento definita dal patriarcato e dal capitalismo nella sua versione neoliberista e che il nostro riconoscimento di gruppo oppresso non ha niente a che vedere con definizioni sessuali, né tanto meno naturali, ma viene dall’oppressione che subiamo, a tutti i livelli sociali, inscindibilmente di genere e di classe.

Tutte quelle e tutti quelli che osano mettere in discussione questi valori vengono immediatamente etichettate/i come estremiste/i, violente/i, settarie/i.

L’autonomia nei riguardi del pensiero unico è un crimine e come tale viene perseguita.

Ma, essere femministe, oggi, significa rompere con questi valori mortiferi, sottraendoci tutti i giorni e in tutti i momenti della nostra quotidianità.

Significa rompere l’assuefazione al controllo, ribaltare la colpevolizzazione in cui ci vogliono invischiare, recuperare la capacità di indignarci, promuovere la criticità verso la meritocrazia, la gerarchia, l’autorità, smascherare l’uso improprio di parole come democrazia, riforme, partecipazione…spezzare l’ipocrisia in cui ci vogliono imbrigliare.

Significa cercare di innescare meccanismi di uscita da questa società.

Dobbiamo lottare per la realizzazione di una vita che valga la pena di essere vissuta e per la realizzazione dei nostri desideri.

Il capitale, in quanto rapporto sociale, diventa società, mentre lo Stato si fa carico di assumere, legittimare, promuovere e difendere tutte le relazioni di dominio del capitale stesso. Pertanto sottopone a comando e a controllo preventivo e repressivo tutti i nodi in cui si produce antagonismo sociale. Da qui ogni ipotesi rivoluzionaria non può che incardinarsi ed approdare alla conclusione che si deve porre fuori e contro di esso in quanto affermazione della vita sulla morte, dell’attività creativa sulla merce.

E’ necessario, perciò ,recuperare la valenza antagonista e liberatoria del femminismo. Riaffermare con forza l’alterità di ogni movimento femminista a qualsiasi ipotesi di gestione di questa società.

Porsi fuori e contro la società del capitale a partire dal rifiuto della sua ideologia al fine di far valere la volontà di riscatto e di liberazione degli oppressi/e. Una pratica di riappropriazione e soddisfazione dei propri bisogni, fuori e contro il lavoro salariato, i ruoli, la meritocrazia, le gerarchie….sapendo che dovremo fare i conti con il riformismo e la socialdemocrazia tutti tesi ad amministrare l’oppressione delle donne, di chi lavora, dei popoli del terzo mondo….. Infatti, sono soprattutto riformisti e socialdemocratici che premono maggiormente per le “riforme”, parola di cui hanno stravolto il significato originale, per ridefinire i rapporti lavorativi, lo Stato sociale, il sistema giuridico mentre spetta a noi praticare direttamente i nostri bisogni reali con la consapevolezza della portata liberatoria che questo ha nei confronti dei miti volutamente fallaci e fuorvianti della legalità e della non violenza.

Un ruolo particolarmente importante viene ricoperto all’interno della componente socialdemocratica dalle vestali della legalità e dalle prefiche della non violenza, tutte intente a contrabbandare un buonismo di facciata per anima del femminismo. Un buonismo infinitamente violento per l’intolleranza, ,la demonizzazione, la ghettizzazione di chi non la pensa come loro.

Un buonismo violento che trascina ogni rivendicazione nel pantano di un asservimento volontario, in una litania di querule richieste di delega e di protezione, togliendo capacità di indignarsi e possibilità reattiva, un buonismo di facciata che riporta le donne e le diversità alla condizione di esseri da tutelare, continuamente alla ricerca di attenzione e approvazione.

Una reiterata riproposizione di quello che il patriarcato richiede alle bambine  fin dalla più tenera età ed il neoliberismo pretende dai popoli del terzo mondo, attraverso le Ong, le Onlus, le associazioni non governative. Popoli del terzo mondo che dovrebbero trovare una loro dichiarazione di esistenza nell’approvazione da parte della cultura occidentale e neocoloniale a cui si dovrebbero affidare mani e piedi legati.

Questo vale anche per noi.

E’ indispensabile recuperare l’autonomia che è la presa in carico direttamente da parte nostra dei nostri desideri e la consapevolezza della possibilità di realizzarli. E’ un tessuto di comunicazioni e organizzazioni, informazioni, lotte, conoscenze e saperi che si oppone alla società capitalista patriarcale e della quale è alternativa.

E’ la riappropriazione di un tempo liberato dal lavoro salariato, dal lavoro di cura, dai ruoli ed è coscienza e tessuto di comunicazione e organizzazione sociale.

L’autonomia e l’autorganizzazione sono due entità che si rapportano dialetticamente e permettono la nostra crescita e il nostro arricchimento perché sono capacità di esprimere rottura e identità politica, di scardinare il controllo che si manifesta nel dominio culturale e sociale prima ancora che in quello militare e repressivo.

Mentre si infittiscono i queruli richiami alla non violenza e alla legalità, lo Stato supera questi limiti e abbatte le ultime apparenze della sua “democrazia” ed intere aree sociali e geografiche si trovano prive di ogni “garanzia”, occupate, rastrellate, perquisite, represse.

Una simile guerra il capitale non può combatterla solo militarmente, con i soli corpi “separati” dello Stato. In questa guerra vengono esaltate le funzioni ideologiche dei Think Tank, dei Troll, delle prefiche della non violenza, delle vestali della legalità e delle “guerre umanitarie” nonché dei partiti e partitini socialdemocratici.

Le così dette “democrazie occidentali” hanno impostato un meccanismo tanto perverso quanto, in questo momento, vincente, attraverso la strumentalizzazione dei diritti umani, delle donne e delle diversità, sia sul fronte interno che su quello esterno.

Sul fronte interno vengono elevati a rappresentanti delle donne…delle differenze sessuali… di quelle etniche… coloro che, provenendo da questi ambienti oppressi, si prestano, in cambio della promozione sociale personale, a perpetuare l’oppressione delle aree da cui provengono, presentando il sistema come democratico e, quindi, rafforzandolo, e avallando attraverso questa presunta democraticità la persecuzione di tutte quelle/i che non sono disposte/i a subire passivamente e si ribellano.

Questo meccanismo è particolarmente evidente per le donne : cariche istituzionali…ministre…deputate…associazioni femminili di svariata natura…da una parte portano avanti una “difesa” categoriale delle donne, finendo per farci diventare invise agli oppressi tutti, dall’altra contribuiscono al mantenimento delle donne in soggezione, con i tagli allo stato sociale, alla sanità, incentivando la precarizzazione, la povertà, supportando agenzie di rapina come Equitalia, allargando la platea asfissiante del controllo sia da parte delle strutture di stampo poliziesco  e militare, sia di quelle di controllo civile…dalle  assistenti sociali, ai tribunali per minori, dalle case famiglia agli psicologi/ghe….tutte strutture che mascherate da servizio sociale di prima necessità per le situazioni di disagio, diventano veri e propri armamentari di costruzione della rete della soggezione.

Sul fronte esterno, il pinkwashing, il meccanismo attraverso il quale le potenze occidentali si presentano nel Terzo Mondo come paladine dei diritti umani e di quelli delle donne e delle diversità, è diventato uno strumento tanto potente quanto smaccato e ridicolo.

Ogniqualvolta un paese del terzo mondo, non gradito alle potenze occidentali e, in particolare agli USA, è in odore di invasione, sbucano da ogni dove blogger che lamentano diritti violati, donne che denunciano stupri, atteggiamenti omofobici e sessisti.

Poi, spesso, si scopre che non sono veri, che sono stati addirittura costruiti a tavolino, con danno gravissimo per tutte quelle situazioni che esistono veramente.

Quindi, tutte queste figure supportano le funzioni poliziesche di snidare e annientare gli oppressi che si organizzano, ghettizzandoli e demonizzandoli e, attraverso questo, immunizzando gli oppressi/e tutti/e.

Emblematica, in questo senso, è la funzione del Cie, vero e proprio strumento di controllo sociale che, attraverso la creazione del principio della detenzione amministrativa, ha aperto la strada alla possibilità di rinchiudere chiunque non sia gradito/a al sistema, non per quello che ha fatto, ma per quello che è. Oggi tocca ai/alle migranti senza permesso di soggiorno, ma un domani potrebbe toccare a chiunque non sia omologato /a: dai migranti alle persone socialmente disadattate, a quelle senza possibilità di mantenersi, ai vagabondi, ai senzatetto, alle prostitute, alle diversità che possono suscitare “scandalo”…il passo è breve.

La società neoliberista si sta definendo per tre aspetti che si combinano e si supportano: è una società con caratteristiche ottocentesche, medioevali e naziste.

E’ una società che sta riproponendo condizioni di vita e di lavoro proprie  dell’800, situazioni di degrado del tempo di Dickens. Le avvisaglie ci sono già: i bambini che non pagano la mensa nella scuola pubblica possono venire allontanati, devono mangiare in disparte il panino portato da casa ( e se non lo hanno?), Emergency ha creato, anche qui in Italia, postazioni mediche volanti per le strade, cosa già attuata da anni nella “civile” Inghilterra, perché è moltissima la gente che non può accedere alla sanità pubblica, in Spagna i migranti muoiono di tisi per la strada perché la sanità pubblica è riservata solo ai residenti.  I poveri sono colpevoli della loro miseria e gli oppressi non sono letti per il loro status sociale, ma come un’indistinta marmaglia, la plebaglia di vittoriana memoria. Il quadro istituzionale tende a riproporre i collegi uninominali, forma di conservatorismo sociale.

E’ una società con caratteristiche medioevali perché ripropone in maniera forte le corporazioni, le lotte categoriali e le associazioni di categoria, le tutele avvengono per gruppi sociali che si riconoscono in un mestiere, in una condizione, come avviene anche per le donne, per gli omosessuali, per i migranti…. La borghesia transnazionale si pone come una nuova aristocrazia.

E’ una società di stampo nazista  per il trascinamento sempre più evidente dallo Stato di diritto allo Stato etico,  per la pretesa di normare ogni aspetto della vita, compresa la sfera personale, sessuale, ludica…per l’affossamento di tutte le forme politiche  di mediazione, partiti, sindacati, forme di rappresentanza parlamentare , per la tendenza al governo diretto dell’iper-borghesia, di chi detiene il potere economico, per l’asfissiante controllo sociale con l’utilizzo di ogni possibile tecnologia.

I socialdemocratici hanno rinunciato al loro compito storico di intendere la politica come arte della mediazione e del compromesso e sono diventati i missionari del verbo neoliberista in partibus infidelibus.

Il femminismo vuole essere, invece, dentro gli infiniti processi individuali e collettivi per farli rivivere come un processo unico di liberazione.

I riformisti si trovano a loro agio in questa società a cui vendono la loro testa e il loro cuore in cambio di promozione sociale personale a danno anche di tutti e tutte quelli/e dalle cui file provengono.

Con l’emancipazione usata come mezzo di promozione personale e non come strumento di un percorso articolato di liberazione, le donne che ricoprono un ruolo nelle istituzioni, ma anche quelle che,a vario titolo si identificano nei meccanismi di questa società, le donne in carriera che credono nella meritocrazia, nell’autorità ,nella gerarchia, quelle in divisa che lavorano nelle istituzioni totali e nel controllo, quelle che usano la professionalità per contribuire all’assoggettamento delle personalità così dette devianti, non omologate, refrattarie a questa società, le esperte del comportamento, ma anche tutte quelle che lavorano in maniera attiva e collaborativa nei media, le intellettuali, le insegnanti.. …si prestano ad essere veicolo privilegiato del pensiero unico dominante, perpetuando l’oppressione su tutte le altre donne.

Noi non ci stiamo, non abbiamo nessuna intenzione di renderci complici del riportare gli oppressi/e… le donne…le diversità… i neri/e….al loro posto, del perpetuare gerarchie, ruoli, sistemi di lavoro che sono quelli che caratterizzano questa società. Paradossalmente, sembrerebbe una contraddizione ma tale non è, nel momento in cui i riformisti si fanno Stato, la legalità diviene patrimonio portante dei partiti e dei partitini socialdemocratici e la condotta antisociale, anche quella della sfera comportamentale che non veniva assunta come giuridicamente rilevante, è soggetta al sistema punitivo e condotta dentro i canoni della criminalità generica, e tanto più tutto ciò vale per la militanza politica.

E le teoriche/i e le piazziste/i della non violenza e della legalità così come i partiti e partitini socialdemocratici, diventano vere e proprie figure istruttorie nel concorrere nella definizione della pericolosità del soggetto. Il potere esecutivo, giuridico, poliziesco ha le sue protesi politiche ramificate dentro il corpo sociale riottoso all’omologazione e alla subordinazione.

E’ un proliferare di figure nuove, dall’esperto/a che riduce tutto ad un caso singolare che va studiato, dal/dalla giornalista che suona la carica, dal/dalla dirigente del partito socialdemocratico al bonzo della triplice che dà il suo assenso preventivo al/alla giudice a cui detta per certi versi la motivazione della condanna.

Da questo punto di vista, scontiamo un grave ritardo, quello di non aver fatto i conti con l’humus in cui è nato il 7 aprile a Padova. L’avviso di garanzia, da strumento di tutela dell’imputato, è diventato un giudizio preventivo. L’immunità parlamentare da difesa della minoranza è un’occasione di manifestazione di forza della maggioranza. Si assiste ad un uso/abuso delle denunce e condanne per sovversione, associazione, saccheggio e devastazione…che non sono altro che modalità di repressione di ogni forma di antagonismo. E’ stata sdoganata come valore la delazione, la corsa al successo comunque. Nella società gli individui si sono trasformati nelle tartarughe appena nate che devono correre il più velocemente possibile verso il mare per sopravvivere. E’ il trionfo del darwinismo sociale.

E’ stata solleticata la parte peggiore della società e ne sono stati smossi i fondali melmosi. E’ stato scardinato il principio della separazione dei poteri.

Tutto è chiaro, però, come mai in passato.

Il blocco sociale che, allo stato attuale, va dalla media borghesia ai sottoproletari, deve difendersi da chi vuole ridurlo o mantenerlo, in uno stato di oppressione, l’iper-borghesia.

La dislocazione territoriale decentrata delle attività produttive dall’Italia e dai paesi occidentali a quelli del terzo mondo, con l’obiettivo di indebolire la base contrattuale della classe operaia  nei paesi occidentali, nonché attuando lo sfruttamento intensivo degli operai nei paesi dove vengono insediate le grandi concentrazioni produttive, conferma che non ci sono effetti negativi non previsti e situazioni di crisi non preventivate, ma tutto fa parte di un unico progetto, è il risultato dell’autovalorizzazione del capitale.

Contemporaneamente si ottiene il risultato di tagliare drasticamente la capacità di acquisizione di reddito attraverso lo strumento del salario. Man mano che si attua il processo di riconversione industriale il lavoro marginale, che prima era fonte aggiuntiva di reddito o tappa verso il lavoro garantito, si allarga a dismisura.

La caccia all’evasore fiscale, l’imposizione di un sempre maggior numero di balzelli, sempre più esosi per il cittadino/a, le campagne sulla legalità e la non violenza, la distruzione delle conquiste inerenti allo Stato sociale, la destrutturazione del mondo del lavoro, l’annullamento delle differenze tra forze di polizia, servizi di sicurezza e forze armate, sono le tappe di un processo di trasformazione dello Stato in senso terroristico.

Terrorismo di Stato e terrorismo riformista sono la prospettiva storica verso la quale il capitale tende, attraverso la quale ripropone il proprio regime di sfruttamento.

La distruzione della piccola proprietà, in maniera particolare di quella contadina,nei paesi del terzo mondo , che ha provocato il fenomeno dell’inurbamento ed ora l’esodo biblico  verso le fortezze occidentali, conferma l’impianto ideologico e la scelta di fondo del capitale e le conseguenze sono messe in preventivo dal neoliberismo.

Pertanto la strategia terroristica del capitale è divenuta la forma costruttiva del dominio. Non più una politica legata a determinate persone o partiti, ma una condizione scelta per la riproduzione del rapporto di produzione capitalistico.

Intanto avanza rapidamente il processo di adeguamento della sovrastruttura politica alle esigenze del capitale nella stagione neoliberista. Qui in Italia, il Pd è parte fondante di questo processo e si offre, altresì, con il concorso dei partitini –satellite, come costruzione del consenso. Quello che sta accadendo è la crisi dell’alleanza tra l’iper-borghesia che potremmo chiamare altrimenti borghesia imperialista, e la borghesia burocratica o di Stato e la media e la piccola borghesia.

La riduzione del ruolo delle classi intermedie è accompagnata da un ridimensionamento altrettanto grande del loro peso economico.

In questo quadro si assiste al tentativo di decretare la morte del femminismo come inutile in una situazione di libertà che le donne, come questo sistema propaganda, non avrebbero mai avuto come ora e di trascinare, allo stesso tempo , il femminismo nel femminile, con la rivalutazione delle caratteristiche che sarebbero proprie del donne e che andrebbero rivalutate. In questo senso i primi risultati deleteri del tentativo di riportarci  ad una condizione anni ’50, sono già visibili nella legge sull’affido condiviso, nell’uso della PAS che ,anche se non ufficialmente ,viene già usata come principio informatore nelle sentenze di separazione, nella rivalutazione ,addirittura, del lavoro domestico con “le femministe casalinghe” che ci vengono propinate come l’ultima frontiera del dibattito statunitense… nelle teorizzazioni sulla morte del patriarcato e sulla fine del capitalismo.

L’iper-borghesia tende, quindi, a definire nuovi sistemi di consenso non più basati sullo Stato sociale, su una distribuzione della ricchezza “attenta” ai bisogni dei cittadini e delle cittadine, e, magari, su un consenso basato su un sistema clientelare e consociativo.

Nello specifico attuale, il così detto polo riformista, progressista, socialdemocratico, oggi imperniato sul PD, ha emarginato il polo conservatore proponendosi come puntello al governo dei banchieri e delle multinazionali, altrimenti privo di qualsiasi base elettorale e di qualsiasi legittimità politica.

In questo contesto è fondamentale l’apporto dei partiti e partitini della così detta sinistra che si prestano a far apparire come nemico principale dei lavoratori la frazione di borghesia nazionale perdente, leggi Berlusconi.

In funzione anti Berlusconi è stato sdoganato dalle componenti femminili socialdemocratiche un moralismo che, come femministe, credevamo morto e sepolto, che divide di nuovo le donne fra sante e puttane, fra donne per bene e donne per male, che rivaluta il perbenismo di facciata e vizi privati e pubbliche virtù, in un quadro in cui, alla fine dei giochi, chi ci rimette sono sempre le donne.

Occorre scardinare la logica che tende a separare la crisi economica dal processo stesso di produzione capitalistico, la logica che rimanda sempre a fattori esterni o transeunti. Per cui l’iper-borghesia si presenta come vittima della situazione. I media usano il malcontento popolare per trasformarlo in consenso verso il PD e quest’ultimo, aiutato dai partitini così detti radicali, indirizza la rabbia verso i corrotti, gli incapaci, gli evasori fiscali, i fannulloni, i falsi invalidi, gli immorali…..E’ omesso che la produzione capitalistica è essenzialmente produzione di plusvalore e  trasformazione di quest’ultimo in profitto.

Il processo di pauperizzazione nei confronti di un numero sempre più crescente di cittadini/e, ha ampliato il fronte degli oppressi, allargando a dismisura i luoghi dello scontro, dalle fabbriche al territorio, dalla casa alla salute, all’istruzione.

Per rimanere in Italia, l’imposizione da parte dell’iper-borghesia o borghesia imperialista, della propria valorizzazione come priorità assoluta, determina la rottura del patto sociale e la necessaria ridefinizione degli assetti istituzionali. Nel contempo, esplicita le contraddizioni interne alla borghesia, amplificate in un paese storicamente a sovranità limitata. Per questo il quadro politico istituzionale, così come lo conoscevamo, sta per essere spazzato via e per essere sostituito dal processo di concentrazione del potere reale nelle mani dell’iper-borghesia.

Da qui il ruolo di partiti e partitini, così detti di sinistra, di presentare la ristrutturazione borghese come un problema di tangenti, di moralità e di guerra alla mafia.

Nella stagione in cui non si usano più i mezzi economici per sollecitare il consenso, si ricorre sempre di più alla mobilitazione delle masse in funzione reazionaria, all’opinione pubblica moralista e acritica contro la mafia, contro il proporzionale, contro l’immunità parlamentare, contro gli evasori fiscali…In un quadro di scomposizione di classe così forte e lacerante, si riapre, allo stesso tempo, concretamente, la prospettiva della ricomposizione di classe, un processo di ricostituzione e di ricomposizione politica all’altezza della situazione che si va determinando.

E’ la forma politico-giuridica Stato-Nazione che, se pur lentamente, con resistenze, sta scomparendo per far posto ad una forma sovra-nazionale di comando non solo economico, ma anche politico- istituzionale-militare.

E’ in questa prospettiva che vanno letti gli avvenimenti degli ultimi mesi e il posizionamento dei partiti. Allora è chiara l’inconsistenza della lettura che mistifica il tutto riducendolo ad una questione di funzionalità dello Stato, di corruzione o di evasione fiscale. Queste posizioni non sono errori ma vere e proprie operazioni fraudolente tese a dividere i cittadini/e, lavoro dipendente contro lavoro autonomo, classe operaia contro pubblico impiego, italiani contro immigrati, uomini contro donne, “normali” contro “diversi”…

Occorre rompere la compatibilità del sistema capitalistico–patriarcale. Il territorio può essere il luogo della ricomposizione e delle alleanze di tutti i gruppi sociali colpiti dalla crisi.

La distruzione dello Stato sociale, delle conquiste del lavoro, la messa alla disperazione di milioni di italiani/e, chiarisce molto bene il carattere oligarchico, autoritario e reazionario dell’iper-borghesia che non si limita, come nel passato, a scaricare le conseguenze delle proprie scelte sui lavoratori/trici, ma oggi, dopo aver ridotto i profitti delle altre fazioni della borghesia, mette mano ai loro risparmi e alle loro proprietà.

E’ in questa stagione che l’iper-borghesia trova alleati i riformisti che presentano tutto come un problema di etica, di ingegneria istituzionale, di democrazia diretta (primarie), di corruzione, di mafia e di evasione fiscale. Non è casuale che la stessa persona possa passare, indifferentemente, dal fare il magistrato impegnato nella lotta contro la mafia, al guidare un cartello di partitini di sinistra e al dichiararsi disponibile a dirigere l’Agenzia per le riscossioni in Sicilia.

E’ in questo contesto che bisogna leggere le vicende degli ultimi spezzoni dell’industria pubblica, tutte tese a creare le premesse, magari arrestandone i vertici,della loro privatizzazione, maniera elegante per dire della svendita alle multinazionali anglo-americane.

L’ultima frontiera è il ruolo di ascaro dell’esercito italiano che, nell’ambito della Nato, partecipa alle varie guerre neocoloniali in giro per il mondo, spacciate per guerre “umanitarie”, con la strumentalizzazione dei diritti umani e della difesa delle donne che vede in prima fila gli stessi/e che hanno votato a suo tempo l’istituzione e l’introduzione in Italia dei Cie.

Guerre “umanitarie” nel corso delle quali viene commessa ogni forma di barbarie, ogni tipo di crimine, però chi le promuove si arroga il diritto di giudicare chi resiste e ne condanna ipocritamente alcuni aspetti odiosi, compresi gli stupri, e si autoassolve in partenza. Come uno sciacallo si nutre della disumanizzazione di un numero crescente di vittime minacciate da quei crimini che finge di combattere. Il crollo delle Nazioni Unite consumato nei Balcani non permette più alcuna illusione. I tribunali penali internazionali, le leggi internazionali sono ghetti minacciosi in cui rinchiudere l’Altro e attraverso la sua condanna, autoassolversi.

Allo stesso tempo, nella sinistra è presente una lettura che racconta lo stato attuale delle cose come prova provata della crisi del capitalismo che, pertanto, sarebbe arrivato alla fase terminale, con un’immagine pittorica, alla frutta, e, perciò, gli oppressi/e sarebbero maturi/e per la rivoluzione.

Questa interpretazione dimentica che non c’è nessuna crisi in atto, almeno nel senso tradizionale del termine, ma che tutto quello che sta avvenendo è il frutto dell’autoespansione del capitale e che gli aspetti più negativi sono stati messi in preventivo, anzi voluti.

Viene dimenticata, altresì, la lezione della Storia che ci dice che nei momenti così detti di “crisi”, la risposta non è necessariamente rivoluzionaria, ma può essere anche reazionaria.

Tutto questo non è che una variante della concezione che teorizza che lo sviluppo del capitalismo conduce, di per sé, inevitabilmente, alla società socialista.

Una visione deterministica e, perciò, idealista.

Diversa, ma complementare, è la teoria della “democratizzazione”, tradotta in parole povere, un graduale ed indolore spostamento dei rapporti di forza a favore delle classi oppresse.

Si nega e/o si dimentica l’esistenza stessa di una “macchina statale” e si sviluppano le attuali teorie del “potere diffuso”, del cambiamento senza prendere il potere.

Fondamentalmente sono teorie apologetiche delle istituzioni borghesi. E’ la vecchia ideologia revisionista e, in questo hanno ragione,” moderna”, che ha assunto ruoli, connotati e funzione di integrazione sociale e di repressione dell’opposizione di classe.

E, pertanto, in definitiva, di natura autoritaria.

Pensando di utilizzare gli apparati esistenti per democratizzarli, si dimentica che lo Stato è lo strumento e l’emanazione della classe dominante, si cassa ogni considerazione sulla natura di classe dello Stato stesso, presentandolo come neutrale e necessario per le “oggettive” esigenze di direzione della società. L’idea della non neutralità dello Stato, una delle acquisizioni fondamentali del marxismo, è completamente dimenticata, non soltanto nel revisionismo tradizionale, ma anche nelle tesi del neo revisionismo.

Da qui l’inconsistenza degli appelli dei partitini di sinistra per il ritorno a Keynes, che dimenticano che l’autosviluppo del capitalismo comporta la tendenza al monopolio e che quest’ultimo per imporsi ha bisogno della mediazione politica dello Stato.

Proprio perché la borghesia non si presenta immediatamente come classe unita, ma come classe frazionata e conflittuale, ha la necessità di recuperare la propria identità dominante tramite un’istanza specificatamente destinata all’esercizio del dominio di classe, lo Stato, appunto, strettamente inteso come nucleo coercitivo. Il carattere specifico del modo di produzione capitalistico, in particolare la caratteristica frammentazione della produzione sociale, fa sì che alcune specifiche istanze del politico siano accentrate nello Stato, momento unificante della classe capitalistica. Pertanto le teorie della democratizzazione delle istituzioni e del potere diffuso fanno perdere di vista la nozione e la natura dello Stato e dimenticare l’obiettivo della rottura rivoluzionaria, con il voluto oblio del ruolo repressivo dello Stato stesso e della lezione storica del fallimento della scelta, sempre perdente, della democratizzazione degli apparati politici, fallimento che ha sempre accompagnato l’idea di utilizzazione alternativa delle Stato esistente nell’attuale società, magari con ulteriori e più capillari ramificazioni all’ interno della società civile.

Una teoria che rappresenta una chiara regressione infantile, una riedizione dell’opportunismo socialdemocratico.

Lo Stato borghese è profondamente innestato, tramite i rapporti della connessione circolatoria, al movimento fondamentale della riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici. In questo legame, appunto, consiste la specificità della forma politica borghese e, pertanto, bisogna abbandonare l’idea della neutralità delle forze produttive rispetto ai rapporti di produzione. Non legare la forma statale borghese alla forma dei rapporti di produzione capitalistici, incarnati nelle forze produttive, ci impedisce una chiara individuazione dell’Altro, dell’avversario.

Ci impedisce di leggere i limiti delle esperienze della rivoluzione russa e cinese e ci coinvolge in una lettura borghese di quello che sono state, con relativa demoralizzazione ed accettazione dell’impossibilità della realizzazione del progetto rivoluzionario.

Questo perché si dimentica che il modo di produzione capitalistico mette in luce le sue diverse articolazioni e che c’è un rapporto dialettico fra lo specifico e il momento unitario.

I rapporti di produzione capitalistici sono inscritti nei processi di lavoro e si traducono nei ruoli e, questi, compresi quelli sessuati, si riproducono continuamente nella divisione sociale capitalistica del lavoro.

Ma questa condizione non si realizza a partire dall’automatismo in sé, ma ha le radici dentro le condizioni sociali, cioè nella natura della società. Pertanto la liberazione non è un programma per il futuro, ma l’inventario del presente, l’insieme delle potenzialità incorporate nel sapere sociale. Nell’inventario del presente bisogna scrivere la possibilità di una grande trasformazione dei rapporti di produzione e di scambio fra gli esseri umani. Questo a dispetto di tutte le culture riformiste che danno per scontata ed inevitabile questa società, sia che lo facciano per interesse, sia che lo facciano per ignoranza perché l’una e l’altra non comportano innocenza.

Il potere è la guerra. La guerra continuata con altri mezzi, è questo il senso delle teorie riformiste e del mantra socialdemocratico per cui da questa società non si può uscire, al massimo si può migliorare. Si omette che il neoliberismo fagocita nell’universo mercantile tutto, il lavoro, la natura, la sostanza vivente e, pertanto, anche l’immaginario e la mente.

Da qui l’adesione entusiastica e gregaria a tutte le mode, come i Beni Comuni, l’Audit, le rivoluzioni colorate…formulazioni tese, di fatto, al di là dei buoni propositi di alcuni, alla conservazione di questa società, utilizzando codici, funzioni e canali della comunicazione culturale della classe dominante. Tutte teorie innatiste e idealiste dettate dall’ideologia vincente.

Da qui il recupero necessario del materialismo storico e dialettico, strumento rivoluzionario che, passando attraverso la presa di coscienza delle stesse leggi di formazione della coscienza, approdi ad una pratica sociale trasgressiva e comunicata, orientata al soddisfacimento dei nostri bisogni materiali e delle nostre aspirazioni, cioè alla pratica della lotta di genere e di classe  per la liberazione  dal patriarcato e dal capitale, per un tempo ed una vita sottratti alla tirannia del plusvalore, alla metabolizzazione sociale del possesso ,dell’autoritarismo, della gerarchia, dei ruoli. Per il riformismo il futuro è una proiezione del presente, per il femminismo è prassi politica, è prassi sociale, è un trasformarsi trasformando la società.

Questa voce è stata pubblicata in Capitalismo/ Neoliberismo, Violenza di genere e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.