Omaggio a Teresa Rebull/VISCA L’AMOR

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Podcast della presentazione di “Amore e lotta” al Nido di Vespe!

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9 gennaio 2013/9 gennaio 2017

Per ricordare Sakinè, Fidan, Leyla

Le problematiche sul fronte esterno non sono mai disgiunte da quelle sul fronte interno. I Paesi occidentali , Usa in testa, conducono le guerre neocoloniali, destabilizzano interi paesi e aree geografiche e contemporaneamente producono sul fronte interno la militarizzazione dei territori, l’impoverimento sempre crescente della popolazione, l’affossamento delle garanzie sociali, la strumentalizzazione dell’antirazzismo e dell’antisessismo. Ci dobbiamo sempre ricordare che la Turchia che conduce con una violenza inenarrabile la persecuzione della popolazione curda, è un paese che fa parte della Nato ed è tutto interno al progetto di destabilizzazione dell’area mediorientale che gli Stati Uniti e Israele stanno portando avanti con determinazione e senza esclusione di colpi. L’Isis non è altro che un prodotto di questa politica. E non dobbiamo mai dimenticarci il ruolo e la funzione dell’Italia in questo contesto: Ocalan è stato, di fatto, con la sua espulsione, consegnato alle autorità turche dal governo D’Alema, con il PCDI al governo, l’Italia fornisce ufficialmente armi all’Arabia Saudita che servono per reprimere il popolo yemenita e vengono, neanche tanto occultamente, passate all’Isis.

In questo quadro il modo migliore per ricordare e rivendicare il patrimonio politico lasciatoci da Sakiné, da Fidan e da Leyla è mettere all’ordine del giorno l’uscita dell’Italia dalla Nato.

Sakine, Fidan, Leyla.


Lunedì 9 gennaio dalle ore 16:00 alle ore 18:00 il Centro Socio-Culturale Curdo Ararat e la Rete Kurdistan Roma chiamano ad una manifestazione a Campo Dei Fiori, nei pressi dell’Ambasciata Francese;

Dalle ore 19 in poi, al Centro socioculturale Ararat, proiezione del documentario “Tutta la mia vita è stata una lotta”

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I Nomi delle Cose del 4/1/2017

I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/Anno 2016/2017-Nuova Stagione 

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Puntata del 4/01/2017

“Riflessioni femministe sul femminismo”

Apriamo il 2017 partendo da un articolo di Meghan Murphy per indagare su nove punti fondamentali che riguardano il femminismo

1) Essere una donna è centrale rispetto all’essere femminista perché il femminismo è un movimento  fatto dalle donne per le donne

2)Il femminismo non è un sentimento né un’identità, è un movimento politico 

3)Non c’è impegno politico senza ideologia. L’ideologia è l’insieme delle idee che definiscono un movimento politico. 

4)Il femminismo non c’entra con il politicamente corretto.

5)Il femminismo non è scontro generazionale, ma anzi cerca il collegamento con le donne che hanno lottato nel passato

6) Non si devono accusare le femministe di detestare il sesso e gli uomini come se questa fosse una brutta cosa.

7) Una femminista non può essere dalla parte del patriarcato

8) La donna oggetto e la nudità non sono la stessa cosa

9)Il femminismo non può essere accattivante perché il femminismo è lotta e come tale dice delle cose sgradite.

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“CI TOLGONO LA GIOIA CI TOLGONO LA VITA / CON QUESTO SISTEMA FACCIAMOLA FINITA”

 

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6 gennaio 2017

Un augurio a tutte noi e a tutte voi!!!!!

 

JEAN TEPPERMAN, “Strega”

Mi dicevano
è meglio se sorridi a bocca chiusa.
Mi dicevano è
meglio se ti tagli i capelli lunghi,
così crespi,
sembri ebrea.
Mi zittivano nei ristoranti
guardandosi intorno
mentre gli specchi sopra il tavolo
riverberavano beffardi in infiniti
riflessi un volto rozzo, squadrato.
Mi chiedevano perchè
quando cantavo per le strade.
Loro alti, grandi al tè
coi loro modi melliflui, didattici
io con gli occhi sul piattino
che cercavo di nascondere la bomba
a mano nella tasca dei calzoni,
e mi rannicchiavo dietro il pianoforte.
Mi deridevano con riviste
piene di seni e merletti,
contenti come pasque
quando il primogenito del dottore
sposava una ragazza tranquilla e carina.
Mi raccontavano storie
di signore eleganti e sportive
e le loro diverse carriere.
Mi svegliavo la notte
con la paura di morire.
Costruivano schermi e divisori
per nascondere il desiderio
non bello a vedersi
a sedici anni
inesperta disperata
mi abbottonarono dentro vestiti
a fiori rosa.
Aspettavano che io finissi
per riprendere la conversazione.
Sono stata invisibile,
strana e soprannaturale.
Voglio il mio vestito nero.
Voglio che i capelli
mi si arriccino selvaggi.
Voglio riprendere la scopa
dall’armadio dove l’ho rinchiusa.
Stanotte incontrerò le mie sorelle
nel cimitero.
A mezzanotte
se ti fermi al semaforo
nel traffico umido della città,
guarda se ci vedi contro la luna.
Noi gridiamo,
noi voliamo,
noi ricordiamo e non smetteremo.

JEAN TEPPERMAN “Strega”, 1969.

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La Parentesi di Elisabetta del 4/01/2017

“Oseremo ancora assolverci?”

dedicata a Sandrine

Il governo Gentiloni  con il ministro Minniti, ha deciso di rilanciare i CIE, le strutture di detenzione per i migranti e le migranti “irregolari”.

In questi anni i CIE hanno sempre funzionato, ma essendo stati oggetto di rivolte e di proteste da parte degli internati e delle internate, alcuni avevano subito danni e quindi erano stati chiusi e altri erano stati trasformati in così detti “centri di accoglienza”.

Il concetto di detenzione amministrativa, introdotto dalla Legge Turco-Napolitano nel 1998 con l’istituzione dei Cie, non è mai stato percepito nel comune sentire in tutta la sua gravità, eppure ci riguarda tutti e tutte ed è una breccia gravissima nel concetto di diritto così come noi lo conosciamo. La detenzione amministrativa prevede che qualcuno/a possa essere internato non perché ha commesso un reato, ma perché si trova in una condizione. E il fatto che questa condizione sia prevista da una legge non giustifica ma anzi aggrava il principio stesso di esistenza della detenzione amministrativa.

Chiunque un domani può essere dichiarato/a passibile di internamento in base a principi di pericolosità sociale come d’altra parte era previsto dalla legislazione nazista che internava le ragazze dichiarate “asozialen”  dai servizi sociali. Non è un caso, infatti, che il concetto di detenzione non per colpa o reato ma per una condizione personale, uno status, un modo di essere o di pensare sia un concetto introdotto dal diritto nazista alla fine degli anni ’30.

Chiaramente e come al solito, tutto questo viene ammantato da ragioni che vengono propagandate per buone per le cittadine e i cittadini  “legittimi”  quali la sicurezza, gli sbarchi continui di migranti sul nostro territorio, la necessità dei controlli e dei rimpatri, l’estendersi delle baraccopoli, di gente pericolosamente povera e senza fissa dimora…allo stesso tempo, e sempre gli stessi che hanno creato i Cie, ci dicono attraverso il “politicamente corretto” che bisogna informare la società alla tolleranza e allo scambio culturale, che i migranti e le migranti possono essere una risorsa per il nostro paese, che non si dice “negro” ma si deve dire “nero”…e gli stessi e le stesse fanno convegni sull’integrazione, sulla società multietnica, sulla convivenza civile …ma tutte e tutti si dimenticano di dire quali siano le cause di questi flussi migratori, chi siano i mandanti degli sbarchi continui e delle migranti e dei migranti affogati di cui ormai si è perso il conto, salvo versare qualche lacrima di coccodrillo in occasione di qualche disastro particolarmente eclatante. Si “dimenticano” bellamente che sono proprio loro a sponsorizzare, attuare, portare avanti, finanziare le “guerre umanitarie”, che sono stati proprio loro a destabilizzare interi paesi e intere aree geografiche fomentando guerre interreligiose, etniche, foraggiando con armi e denaro i gruppi integralisti per destabilizzare governi laici asimmetrici rispetto ai loro interessi.

E così tutti dimenticano, in buona e in cattiva fede, salvo pochi gruppi di antagonisti e antagoniste che da anni si battono contro i Cie, quali sono le ragioni e le cause di tutto ciò.

E così vengono fatte manifestazioni “buoniste” che chiedono centri di prima accoglienza, gestione “umana” dei/delle migranti, divisione in “quote”, differenziazione tra “migranti economici” e “rifugiati politici”, che propongono progetti “vantaggiosi” anche per la nostra economia, che suggeriscono di far svolgere ai migranti lavori “socialmente utili” così da essere apprezzati anche dalla cittadinanza. Un grande business, quello dell’accoglienza e dell’integrazione. E un grande business è anche quello del rimpatrio dei/delle migranti, delle strutture di controllo, della gestione dei CIE in cui sono coinvolti lavoratori e lavoratrici italiani, cittadini/e qualunque che poi tornano a casa dalle loro famiglie e considerano l’esistenza dei Cie normale amministrazione “Io non ho ucciso nessuno. Ho solo organizzato i trasporti” così si difendeva Eichmann .

D’altra parte J.P. Sartre parlando della guerra d’Algeria diceva <Falsa ingenuità, fuga, malafede, solitudine, mutismo, complicità rifiutata e, insieme, accettata, è questo quello che abbiamo chiamato, nel 1945, la responsabilità collettiva. All’epoca non era necessario che la popolazione tedesca sostenesse di aver ignorato l’esistenza dei campi. “Ma andiamo” dicevamo “Sapevano tutto! “ Avevamo ragione, sapevano tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché anche noi sappiamo tutto…Oseremo ancora condannarli? Oseremo ancora assolverci?>

Il concetto di integrazione è di per sé profondamente razzista. Presuppone che qualcuno e qualcuna che viene accolto “per bontà e disponibilità” in una società chiaramente democratica e piena di risorse, che quindi fornisce a persone “arretrate” culturalmente, politicamente, economicamente la possibilità di farne parte, debba dare in cambio la massima gratitudine e la assoluta propensione a assumere la cultura del paese ospitante. Certo, dato che questa società ospitante è profondamente democratica permetterà ai/alle migranti di mantenere alcuni usi e costumi purché non siano invadenti e sappiano stare al loro posto che di fatto è quello folkloristico. I bianchi e le bianche occidentali si potranno così sentire importanti, superiori e tolleranti quando con sussiego mangeranno nei ristoranti etnici o frequenteranno i mercatini artigianali o guarderanno con comprensione il bambino straniero, nella classe del proprio figlio, che non sa nemmeno parlare l’italiano.

Tutto questo però non è casuale,  è un modo di porsi della società neoliberista ed è una modalità specifica di gestire il sociale. E’ la società dell’antirazzismo razzista, quella che propaganda il politicamente corretto, l’integrazione e la  convivenza civile e  allo stesso tempo porta avanti le guerre neocoloniali che di tutto questo sono la principale causa. Ottiene così il risultato di vantare a parole l’antirazzismo e di costruire una società profondamente razzista in cui la popolazione “nostrana” si sente superiore a quella del terzo mondo, di serie B e incapace di gestirsi.

Così le popolazioni occidentali impoverite fortemente dalle politiche sfrenatamente neoliberiste, dalla venuta meno dello Stato sociale, da lavori al limite della sopportazione trovano lo sfogo alle loro frustrazioni e alla loro miseria nella colpevolizzazione del migrante e della migrante, in una guerra di poveri contro poveri che fa il gioco del potere.

Questo ha provocato uno spostamento forte a destra del nostro paese ma anche del mondo occidentale e la responsabilità è della socialdemocrazia, principale sponsor del neoliberismo e delle guerre neocoloniali, socialdemocrazia che, nel comune sentire, è stata assimilata all’idea di sinistra  provocando un discredito a tutto campo di questa parola.

La “sinistra” tra la gente non evoca più immaginari rivoluzionari,  liberazione, giustizia sociale e sogni di uscita da questa società bensì ipocrisia, buonismo peloso, opportunismo, pavidità, legalismo esasperato, vessazione fiscale.

La necessità imprescindibile è di rompere ogni collaborazionismo con la socialdemocrazia e smascherare come si muove e opera questo sistema.

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Per Sandrine /Sabato 14 gennaio a Cona

Verità e giustizia sociale per Sandrine Bakayoko Tutte e tutti a Cona (Venezia) Sabato 14 gennaio

https://www.facebook.com/CISPM-Italia-Coalizione-Internazionale-Sans-Papiers-e-Migranti-476214095866848/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf

Noi saremo a Cona (Venezia) là dove la vita di Sandrine Bakayoko è stata spezzata, mentre era insieme ad altri profughi “parcheggiati” nel cosiddetto Centro d’accoglienza, per chiedere Verità e giustizia sociale. Caro Ministro degli Interni Marco Minniti, le sue operazioni di deportazione, avviate nei confronti di alcuni profughi a differenza di altri, e la gestione affaristica dell’accoglienza costituiscono – insieme ai Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) – il problema e non la soluzione. Motivo per cui siamo, senza Se e senza Ma, dalla parte della giusta protesta che ha seguito la morte di Sandrine Bakayoko. Perché non vogliamo vivere in queste gabbie create dallo Stato tra indifferenza e miopia politico culturale.

Questi depositi umani che voi definite centri d’accoglienza stanno sempre più diventando dei luoghi di privazione di diritti e dignità nonché di sfruttamento lavorativo e sociale dei profughi e degli operatori sociali. E là dove le persone sono costrette a vivere in queste condizioni i diritti dell’uomo sono violati. Uomini e donne scaricati e sospesi tra procedure amministrative, ricatti di ogni natura e forme evidenti di razzismo.

Denunciamo la vergognosa campagna strumentale e razzista secondo cui i richiedenti asilo e i migranti ricevono dai 25 ai 35 euro al giorno! Questi soldi non li abbiamo mai visti. Si tratta di pura campagna demagogica e strumentale finalizzata a speculare sul disagio sociale dovuto alla crisi economica che vive la società tutta.

Invitiamo Sabato 14 gennaio tutte le associazioni, movimenti, forze sociali e laiche antirazziste a condividere insieme un momento di mobilitazione a Cona (Venezia) e in tutti i territori per Sandrine Bakayoko e per la liberazione dei profughi da questo “sistema”. Sistema creato dalle politiche dei vari governi italiani con la complicità di affaristi dell’assistenzialismo senza scrupoli.

Coalizione Internazionale Sans-papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo (CISPM).

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L’accoglienza per Sandrine

L’accoglienza per Sandrine

Nell’epoca della post verità l’accoglienza è, come titolano sul blog Hurrya, qualcosa che segrega ed uccide.

Così è morta Sandrine, in questo contesto dove una parola che dovrebbe significare rifugio e protezione è in realtà tutt’altro.

Questo hanno denunciato le proteste delle persone del centro per richiedenti asilo di Conetta, in provincia di Venezia.

Quello che sono e come vengono gestiti questi centri è tutto ben documentato qui; sono la continuazione del grande business che i cie realizzavano alla grande sulla pelle de* migranti.

E dal momento che occorre fingere di dare una riposta ai deliri securitari, alle paure sempre opportunamente sollecitate che indicano in ogni migrante un possibile terrorista, il 2016 si è chiuso con la previsione dell’apertura di un centro di identificazione ed espulsione in ogni regione.

I cie erano dei lager; lo saranno ancora perchè chi li ripropone non può pensare nulla di meglio.

Perciò noi saremo sempre a contrastarli e combatterli.

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Sabato 7 gennaio ore 16:30 presidio antifascista all’Alberone

Riceviamo da lavoratriciaciinfo@gmail.com

NESSUNO SPAZIO A PADRONI E FASCISTI!

 

Dal 1970 la sede del Comitato di Quartiere Alberone è un luogo aperto alla città che si autorganizza, che lotta per i propri bisogni, che costruisce spazi di solidarietà e cultura altra dal pensiero unico dominante.
In questi 47 anni diversi gruppi di donne e uomini hanno fatto vivere questo spazio secondo le diverse esigenze che innervavano i soggetti proletari nel divenire storico. Pur quindi nelle differenti esperienze che hanno animato e animano i collettivi che si sono ritrovati e si ritrovano nella sede dell’Alberone un filo rosso è costante: la ricerca di percorsi per la trasformazione dello stato di cose presenti, cioè per l’affermazione della vita contro la morte del capitale.
In questi percorsi alcuni principi si sono sempre mantenuti vivi ed anzi arricchiti di nuovi linguaggi e più ricche riflessioni e pratiche: l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo.

Il 7 gennaio di ogni anno, dal 1979, siamo costretti a presidiare questo luogo per impedire ai fascisti, nel giorno dell’anniversario dei morti di Acca Larentia, di compiere impunemente le loro provocazioni nel quartiere.
Anche quest’anno vogliamo ribadire con fermezza che nei nostri quartieri non c’è spazio per l’apologia del fascismo, il razzismo, il sessismo, l’omofobia, il settarismo religioso e l’odio verso chiunque venga percepito come “diverso”.

Per altro stiamo vivendo una fase di acuta crisi del sistema capitalistico, che padroni e speculatori – con l’uso delle marionette partitiche e istituzionali – utilizzano per condurre un duro attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne attraverso le politiche di taglio ai servizi sociali, la riduzione dei salari, il saccheggio e la devastazione dei territori. In questi momenti il ruolo storico dei fascisti di indirizzare la rabbia popolare anziché contro i veri responsabili delle nostre miserie – padroni e reggiborsa – contro i più deboli, emerge in tutta evidenza, ieri con le leggi sulla razza oggi contro gli immigrati. Coloro che soffiano sul fuoco del razzismo e della paura del diverso, che invocano la legalità contro le occupazioni abusive, che parlano di “degrado”, sono gli stessi personaggi che, dietro le quinte, speculano e rubano milioni di denaro pubblico (quindi di lavoratrici e lavoratori che contribuiscono per oltre l’80% alle entrate fiscali dello Stato) attraverso la gestione dei campi rom, dell’accoglienza dei rifugiati, dell’emergenza abitativa e del ciclo dei rifiuti.

Se dunque la connivenza tra fascisti, malavita organizzata e gruppi affaristici e clientelari trasversali al mondo della politica è il sistema attraverso il quale mantenerci subalterni e sfruttati; noi staremo il 7 gennaio in piazza come in tutti gli altri 364 giorni dell’anno per costruire nei territori, nelle scuole e nei posti di lavoro vertenze reali portatrici di istanze di cambiamento radicale dello stato di cose presenti.

SABATO 7 GENNAIO DALLE ORE 16,30
DAVANTI LA SEDE DEL COMITATO DI QUARTIERE ALBERONE
VIA APPIA NUOVA, 357
PRESIDIO ANTIFASCISTA

COMPAGNE E COMPAGNI ANTIFASCISTE/I DI ROMA

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6 gennaio 2017 “AMORE E LOTTA”

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Capodanno NOTAV con il botto!

Capodanno No Tav con il botto!

Come da tradizione ecco che si rinnova l’appuntamento per capodanno. Dalle ore 20.00 cena al presidio di Venaus e a seguire dalle 23.00 brindisi in val Clarea.

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31 dicembre 2016/ ODIO IL CARCERE

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Aqui nadie muere companeras

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Gli italiani sono bianchi?

GLI ITALIANI SONO BIANCHI? Come l’America ha costruito la razza – pdf

da  mojumanuli.noblogs.org

GLI ITALIANI SONO BIANCHI? Come l’America ha costruito la razza [pdf]

GLI ITALIANI SONO BIANCHI? Come l’America ha costruito la razza a cura di Jennifer Guglielmo e Salvatore Salerno è edito da Il Saggiatore, ma il cartaceo è ormai fuori catalogo. Siccome ci tenevo molto a che venisse letto e diffuso, ho fatto “un paio di giri” e finalmente eccolo – di nuovo – online (più giù ringraziamenti) ????

cover-2%2c-toc-1-copia“Sin dall’inizio, il nostro obiettivo è stato quello di creare uno spazio per un lavoro culturale antirazzista d’equipe. Il risultato è un nutrito dialogo pubblico e la prima antologia mai pubblicata dedicata al rapporto specifico e peculiare che gli italiani hanno avuto con la razza in America.

Per rappresentare il libro abbiamo scelto il titolo Gli italiani sono bianchi? Perchè mette sul tavolo la questione della pratica del razzismo da parte degli italiani americani e pone la domanda: continueremo a scegliere la bianchezza? Il titolo rimanda anche alle complesse e contraddittorie esperienze vissute dagli italiani rispetto alla razza negli Stati Uniti, dove hanno sperimentato sia le pesanti discriminazioni razziali, sia i molti privilegi della bianchezza.” da GLI ITALIANI SONO BIANCHI? Come l’America ha costruito la razza – Introduzione Bugie bianche, verità scure di Jennifer Guglielmo

Ripeto come un disco rotto che il fatto che le voci e le esperienze della migrazione non tornino (quasi) mai indietro o comunque non vengano raccolte nel luogo “di partenza” sia una grossa mancanza, una perdita…quindi leggere finalmente delle storie che si fanno largo, muovendo “dall’altra parte” è come una boccata d’aria, tanto più per le questioni che sono andate a sviscerare.

Queste voci sono importanti e preziose perché ci raccontano una storia molto più articolata di quella che conosciamo, e una storia che è anche la nostra. Ci spiegano come la linea del colore, costruita negli Stati Uniti, sia una divisione di potere, legata non solo al fattore “razza”, o etnia, ma a quello di provenienza, alla classe, ai processi di colonizzazione. Se dagli USA questa costruzione sociale e politica ha rimbalzato negli immaginari, percezioni, politiche del resto del Mondo, al contempo la sua costruzione negli Stati Uniti è stata influenzata anche da pregiudizi e politiche dei luoghi di origine delle persone migranti, per cui nel caso degli/le italianx americanx le politiche di razzializzazione del Sud, della Sicilia e della Sardegna attraversarono l’Atlantico e pervasero il modo di pensare dei bianchi nati sul suolo americano.

E ci danno anche una visione che è un’opportunità che chi emigra/migra conosce bene: una differente lettura di “sé” non solo grazie ad un contesto differente rispetto a quello da cui si è partitx, ma attraverso gli occhi dell’”altro da sé”, o meglio ancora degli “altri da sé”. E’ un qualcosa che contribuisce a ridefinire le proprie identità, è a volte straniante ma molto molto interessante.

“Praticamente tutti gli immigrati italiani sono arrivati negli Stati Uniti senza essere consapevoli dell’esistenza della linea del colore. Ma impararono in fretta che essere bianchi significava riuscire a evitare molte forme di violenza e di umiliazione, assicurarsi, tra gli altri privilegi, l’accesso preferenziale alla cittadinanza, al diritto di proprietà, a un’occupazione soddisfacente, a un salario con cui si poteva vivere, ad abitazioni decorose, al potere politico, allo status sociale e a un’istruzione di buon livello. <<Bianco>> era sia la categoria nella quale erano più frequentemente collocati, sia una consapevolezza che adottarono e respinsero allo stesso tempo.” dall’Introduzione Bugie bianche, verità scure di Jennifer Guglielmo

Amo molto questa raccolta. Per quello che significa per me individualmente e per quello che ci porta per una risignificazione collettiva.

Penso che ci dia un utile cambio di prospettiva sulle questioni relative alla “razza”, alla classe, alle colonizzazioni, al proprio collocarsi e riconoscersi nella Storia e nei processi contemporanei, in particolare come persone legate all’esperienza degli italianx americanx ma più in generale per il valore che queste storie hanno al di là del fatto che ci coinvolgano o meno. Partendo dal mio definirmi come sarda, penso che questa storia ci riguardi anche se nello specifico non sono emigratx o oriundx sardx a raccontarla, apparteniamo però alle popolazioni e categorie sociali che l’hanno condivisa. Sono convinta che queste storie ci diano delle chiavi di lettura nuove, per ripensarci e riposizionarci, capendo che spesso la lettura della storia non ha un solo verso, e che gli stessi soggetti possono avere ruoli differenti, scelte collettive e individuali praticabili. Mi riferisco anche ai processi di colonizzazione, che non solo abbiamo subito ma ai quali abbiamo anche preso parte, e coi quali dovremmo confrontarci…riconoscersi come soggetti colonizzati non ci esime infatti dal mettere le mani sulla storia delle colonizzazioni in Africa – negate e nascoste sotto il tappeto – alle quali anche italiani del Sud, i Siciliani e i Sardi hanno preso parte.

Sono felicissima di pubblicare sul blog quest’antologia di scritti preziosi, e anche se il lavoro non è mio faccio un paio di ringraziamenti:

intanto grazie infinite a Jennifer Guglielmo per il suo lavoro, per aver reso fruibili incontri, pensieri, storie realizzando con altrx questa raccolta e per aver acconsentito a diffonderla in rete. Grazie ad Edvige Giunta per avermi messa in contatto con lei.

Ringrazio Bà perché a questo sono arrivata anche grazie ai confronti con lei, per avermi regalato un’altra raccolta di testi di scrittrici italiane americane anni fa e per avermi passato inizialmente Gli italiani sono bianchi? in pdf, che aveva scaricato a suo tempo da un blog che ora non si trova più e grazie a “Purroso”, del suddetto blog che ha scansionato e rielaborato. E poi Roberto ché mi ha risolto l’appiccico delle parti di pdf e Paolo per la traduzione di questa mia breve introduzione.

Spero vivamente che questo scritto sia riconosciuto per il suo valore nella costruzione di una letteratura ed immaginari post coloniali in Italia come in Sardegna.

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Laura Nyro “Wedding Bell Blues”

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