Marisol/anda jaleo

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La Parentesi di Elisabetta del 21/12/2016 e Podcast

“Lo sciopero delle donne: interclassismo e spoliticizzazione.”

“Da una sovrastruttura all’altra: ovvero come girare in tondo senza cambiare di posto” Christine Delphy < Un féminisme materialiste est possible> Agosto 1982

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Che cosa significa “sciopero delle donne” ? Interrompere il lavoro che una donna presta, di qualunque tipo esso sia e a qualunque titolo, significa far pesare alla controparte, in questo caso allo Stato quanto conti il lavoro delle donne nella società.

E’ quindi una richiesta di riconoscimento.

Ma una richiesta di riconoscimento è tutta interna al sistema, sia al patriarcato sia al capitalismo, che  ha assunto il patriarcato a seconda delle sue esigenze, e, in questo momento specifico,  rispetto alle esigenze della sua fase neoliberista.

Quindi la richiesta può essere riassunta in questi termini: se io non vengo riconosciuta per quello che valgo in questa società e per l’apporto che do, mi rifiuto di lavorare, e, allo stesso tempo, se la mia vita non vale e quindi non vengo tutelata dalle istituzioni rispetto alla violenza maschile, io mi rifiuto di dare il mio apporto a questa società.

E’ quindi una richiesta non solo  di riconoscimento  ma anche di  tutela.

Ma il patriarcato è una configurazione economica piramidale, gerarchizzata, autoritaria in cui la parte maschile è investita del ruolo guida e la parte femminile è in una posizione subalterna. E questo per una efficace messa al lavoro dei soggetti. Chiaramente il patriarcato viene assunto e reimpostato dal sistema a suo uso e consumo ed, infatti, il capitale, in questa sua fase, attraverso l’emancipazionismo ha caricato le donne anche del lavoro all’esterno in modo da ottenere due risultati: sfruttarle anche come salariate e inglobare, quelle che si prestano, nelle situazioni di comando e/o di potere e/o di trasmissione dei valori neoliberisti così che sostengano il sistema e perpetuino lo sfruttamento di tutte le altre e degli oppressi tutti. L’emancipazione delle donne è, comunque, sempre, sub iudicio, perché la loro condizione di lavoratrici in cui  sono soggetti di serie B, è evidente nel diritto che il capitale si arroga di rimandarle “a casa” qualora il loro lavoro non serva più o la loro disponibilità non sia più utile. E per far questo non occorrono leggi o proclami speciali, basta che attraverso i canali con cui il sistema produce egemonia culturale, faccia passare segnali ad hoc……la maternità è bella…le femministe casalinghe che rifiutano la carriera… le donne che lavorano sono troppo stressate…è necessario recuperare i valori del tempo dedicato a se stesse e alla famiglia… il lavoro è un falso mito… e così via a seconda di quello che serve.

Ma il lavoro principale che il sistema pretende dalle donne, a titolo tra l’altro gratuito, è quello riproduttivo e di cura, ed è questa la grande vittoria del patriarcato, aver fatto passare per “naturale” un lavoro  vero e proprio e averlo fatto passare per “non-lavoro”.

Quindi, scioperare come donne significa interrompere il lavoro che possiamo definire “all’esterno” o anche il lavoro di cura e riproduttivo che è il nodo centrale del nostro asservimento patriarcale? E se interrompere il lavoro di cura può essere tutto sommato fattibile, come si interrompe il lavoro riproduttivo? A meno che il lavoro riproduttivo non venga identificato con il lavoro sessuale, ma è una visione limitata ed è una forzatura, visto che il lavoro sessuale è un’altra attività vera e propria che ci viene accollata sia che sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.

Fondamentalmente quindi scioperare significa far presente alla controparte che le donne lavorano nella società a tutti i livelli e che quindi pretendono riconoscimento e tutela dallo Stato.

Ma tutto questo  non ha niente di femminista e tantomeno di rivoluzionario, anzi è una dichiarazione  esplicita di subalternità sia al maschile che allo Stato perché si chiede alla controparte riconoscimento della propria esistenza.

Questo tipo di modalità di lotta poteva avere un senso  nei periodi storici in cui le donne erano escluse del tutto dalla vita sociale effettiva ed erano tutte fuori dai circuiti produttivi e decisionali, relegate, tutte, in modi diversi a seconda della classe sociale, al lavoro riproduttivo e di cura, dove risiedeva principalmente, anche se non esclusivamente, il perpetuarsi del rapporto di dominio patriarcale.

Oggi, nella stagione neoliberista, la nuova frontiera del perpetuarsi della società patriarcale passa anche attraverso la cooptazione di donne che in cambio della loro promozione personale vendono le altre donne e svendono la lotta femminista e spacciano la loro promozione personale per emancipazione.

Oggi, ci sono donne che fanno il lavoro sporco di licenziare altre donne,  che reprimono, giudicano, condannano, forti di una divisa o di una carica istituzionale, che comandano le cariche nelle piazze contro chi osa ribellarsi, che giustificano, sponsorizzano e partecipano alle guerre umanitarie, che propagandano i valori neoliberisti e patriarcali attraverso la stampa e i media, che veicolano la medicalizzazione dell’esistenza di tutte le altre donne , forti di un camice bianco… L’operaia dovrebbe scioperare insieme alla dirigente aziendale di turno che la licenzia, la compagna insieme alla poliziotta che la manganella nelle piazze? quella che occupa la casa insieme all’assistente sociale che le toglierà i figli  dato che fornisce un pessimo esempio educativo? la secondina insieme alla carcerata? la magistrata insieme alla NoTav…la migrante insieme a Livia Turco che l’ha messa in un Cie ? la disoccupata insieme a Susanna Camusso che ha firmato tutti gli accordi più nefandi sul lavoro? perché tutte sono utili alla società e con il loro lavoro danno un contributo fattivo alla “Nazione”?

Tutto questo risponde a quella fascistizzazione dello Stato che sta attuando il neoliberismo, fascistizzazione  che si manifesta  anche e proprio nel far dimenticare che la società è divisa in classi per cui, in questo caso, ogni donna nel suo ruolo e al suo livello sociale , nella sua collocazione dovrebbe essere contenta di avere il riconoscimento del proprio lavoro e, tutte insieme, ottenuto il riconoscimento e la tutela dovrebbero lavorare per costruire, tutte insieme, questa società migliorata e migliorabile..

Una modalità di lotta interclassista, come è lo sciopero delle donne, ha dei connotati profondamente reazionari e neoliberisti ed incentiva la svendita delle donne al potere.

E’ la spoliticizzazione delle lotte che il neoliberismo propugna da molti anni, in tutti gli ambiti, per cui la protesta e la ribellione devono perdere i connotati di classe e le rivendicazioni devono essere delegate ai rappresentati di categoria o alle associazioni di consumatori o alla Class action.

In questo modo si fornisce un paravento dietro il quale la società patriarcale e neoliberista può nascondere i propri obiettivi reali  quali l’inasprimento della disoccupazione, la precarizzazione della vita, le crescenti disuguaglianze, le guerre umanitarie, il ruolo di cura  da cui dicono di voler affrancare le donne, ma in cui ne viene prepotentemente confermata la stragrande maggioranza. Poiché questi obiettivi sono inconfessabili, si veicolano come emancipazione, come transizione che dovrebbe condurre  alla nostra liberazione così come nella società il neoliberismo viene presentato come “moderno” e dovrebbe condurre alla crescita, alla piena occupazione, alla giustizia sociale e, nei paesi del terzo mondo, alla democrazia. La donna viene ridotta ad una dimensione conformista indotta dal “politicamente corretto”. Il conformarsi diventa una variante del consumo, in definitiva l’unica attività umana che definisce l’essenza dell’individuo.

Non c’è più il riconoscimento del nemico, la comprensione e la chiarezza su come opera ora il patriarcato e sugli obiettivi che si pone. La trasversalità della nostra oppressione, che è reale, non ha niente a che fare con l’interclassismo. E’ necessaria  la consapevolezza che solo uscendo dalla dimensione interclassista, fuorviante e fraudolenta, è possibile la presa di coscienza di genere indispensabile per combattere il nostro asservimento.

Mai come in questo momento storico, proprio per l’uso specifico dell’emancipazionismo che fa il dominio neoliberista e patriarcale, il femminismo è stato attraversato dalla classe. Mai come in questo momento è necessario scardinare i ruoli sessuati insieme all’organizzazione gerarchica, autoritaria, verticistica e mercificante del potere.

 

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Detto questo, come sempre, ci si vede sulle barricate

Approvato l’accordo per la Torino Lione? Ne abbiamo viste tante e non ci demoralizziamo, tranquilli

votazione

Con 285 voti favorevoli, 103 contrari e 3 astenuti la Camera ha ratificato l’accordo di Parigi 2015 e Venezia 2016 relativi al progetto Torino-Lione, ovvero il via libera a progettare e realizzare il tunnel trasfrontaliero di 57 km, quello che non esiste e per molto tempo, politica e informazione, hanno spacciato al posto del tunnel esplorativo esistente oggi.

Hanno votato a favore Pd, Forza Italia, Ap-Ncd, Lega Nord, Civici e Innovatori, Ala-Scelta Civica, Democrazia Solidale-Cd, Fdi-An. Contrari M5s, Sinistra Italiana-Sel, Alternativa Libera.

Ci teniamo a ribadire i voti e nei prossimi giorni non mancheremo di pubblicare i nomi dei votanti perchè, su di loro gravano enormi responsabilità del presente e del futuro del nostro Paese. Bisognerà ricordarsi di loro ogni volta che ci sarà un terremoto, un alluvione, un tetto di una scuola che crolla o semplicemente un esame all’ospedale che non si potrà prenotare prima di un anno; tutte le volte che ci chiameranno a fare dei sacrifici perchè “non ci sono i soldi”.

Perchè con questa scelta il sistema dei partiti e i politici che campano di questo ha determinato quali siano le priorità, secondo loro, del paese: indebitare ulteriormente l’Italia per un’opera dimostrata inutile, costosa e  dannosa (al territorio e alle casse pubbliche). La politica del palazzo ha determinato le priorità, ma per chi dovremmo chieder loro? Perchè quest’opera garantisce continuità con il sistema delle grandi opere che ha da sempre foraggiato non solo mafie e malaffare, ma interi ceti politici e industriali, che con disinvoltura e facendosi le leggi, le hanno usate come bancomat per prelevare denaro pubblico (anche quello europeo lo è) per autofinanziarsi e finanziare ditte amiche.

Il progetto del corridoio 5, quello che alcuni hanno citato in aula oggi, è naufragato da molto tempo: Lisbona, Kiev e i vari angoli del corridoio sono falliti da tempo e una ferrovia internazionale collega già l’Italia e la Francia, solo che non ci sono merci che devono viaggiare (nemmeno sui tir).

Inoltre, quelli che oggi si riempiono la bocca del “bene dell’Italia” dovranno poi spiegare a tutti perchè hanno finanziato un progetto che non ha ancora un costo certo e come mai l’Italia paga buona parte della tratta di competenza della Francia e come mai ogni km della galleria di base costa quasi 5 volte più della Francia.

Ora, sono 25 anni che spieghiamo con scrupolo (e siamo sempre pronti a farlo) tutte le ragioni tecniche, economiche, ambientali e sociali sul perchè ci opponiamo a questa grande inutile opera dannosa. Lo continuiamo a fare anche dopo tutti i modi messi in campo per fermarci, mandando la magistratura avanti a fare il lavoro sporco che la politica ha sempre rifiutato di fare perchè perso in partenza.

Abbiamo visto passare apporre di firme, presidenti del consiglio, presidenti della Repubblica, politici e giornalisti eppure siamo ancora in splendida forma e pronti a studiare i nuovi scenari di conflitto che si apriranno sul nostro territorio, ci siamo già portati avanti da tempo!

Il tempo è dalla nostra parte del resto non ci saremmo mai aspettati che la città di Torino uscisse dall’Osservatorio tempo fa; non avremmo pensato di vincere un referendum e far traballare il trono di Renzi e quindi siamo fiduciosi e diciamo di avere calma e pazienza, le cose che non sono così definitive come vorrebbero farci credere.

Detto questo, lasciamo sbraitare chi oggi ha da festeggiare, ma vogliamo dirlo a tutti: ricordatevene perchèfesteggiano sulla nostra pelle, sulle nostre pensioni, sul futuro di tutti perchè ogni euro speso per il Tav è un euro rubato a qualcosa di utile per tutti e tutte.

Ci fanno pena quei giornalisti che finalmente sono riusciti a scrivere l’articolo della vita, e parlano della Torino Lione come se fosse la scoperta di una cura alla malattia del secolo.

Detto questo, come sempre, ci si vede sulle barricate.

Ora e sempre notav!

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Jean Seberg

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Sul presidio al CIE di Ponte Galeria

Roma – Sul presidio al CIE di Ponte Galeria del 17/12

photo_2016-11-30_12-57-02Sabato 17 dicembre, un gruppo di circa 30 nemiche e nemici delle frontiere è tornato sotto le mura del CIE di Ponte Galeria.
Dopo la deportazione di giovedì in Nigeria, e mentre in città migliaia di persone in corteo chiedevano l’apertura di nuovi centri accoglienza in cui continuare a gestire e controllare le persone migranti, davanti al CIE si urlavano slogan, saluti e il nostro odio per ogni forma di potere, prigione e controllo.
Risolti i problemi tecnici, di casse e microfono, si è continuato con diversi interventi e musica a spezzare il silenzio e la desolazione di quel luogo attraversato solo da sbirri, militari, suore e complici del lager, oltre che da amanti dello shopping che dopo gli acquisti natalizi sono costretti a passarci davanti restando comunque indifferenti.
Un gruppo di sex workers e alleate-i ha ricordato, nella giornata internazionale contro la violenza che colpisce i lavoratori e le lavoratrici del sesso, quanto l’oppressione suprematista e di genere, la militarizzazione e il regime delle frontiere siano strumenti del potere per controllare i nostri corpi, reprimere e deportare chi vive vendendo sesso. Numerose infatti sono le sex workers detenute nel CIE romano a seguito di rastrellamenti in ogni parte d’italia.
Solidarietà è stata dimostrata anche ai lavoratori e alle lavoratrici delle campagne che lottano contro sfruttamento, ricatti e repressione delle persone migranti.
Mentre dalle casse si succedevano interventi e saluti in diverse lingue, da dentro le mura le telefonate e le voci delle detenute (come al solito prontamente chiuse a chiave in cella dai loro aguzzini) hanno scaldato i cuori di chi, sotto lo sguardo del solito nutrito nugolo di guardie, tenta come può di comunicare e mostrare vicinanza a chi è privata della propria libertà.
Fuochi d’artificio e un indisturbato lancio di palline da tennis – con dentro il numero di telefono per rimanere in contatto – hanno accompagnato la fine del presidio. Alcune scritte sono comparse in stazione per ricordare a chi prende il treno che a pochi metri c’è un lager. Un momento di comunicazione con gli- apparentemente ignari- avventori del treno che riportava i/le solidali in città ha chiuso la giornata.
A un anno quasi esatto dalla rivolta che ha portato alla distruzione della sezione maschile del CIE di Ponte Galeria, un abbraccio solidale va alle persone condannate ad anni di galera per la rivolta avvenuta nel lager di Bari Palese nel 2011.
Sempre a fianco di chi lotta e distrugge ogni gabbia, con la speranza che il prossimo anno sia ricco di nuove macerie.

                                                                                                          nemiche e nemici delle frontiere

https://hurriya.noblogs.org/post/2016/12/19/roma-presidio-cie-ponte-galeria-1712/

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Domani mattina calzerò gli scarponi e andrò in Clarea, non in tribunale

Nicoletta: “Domattina calzerò gli scarponi e andrò in Clarea non in tribunale”


Nevica. Una neve sottile, che bagna la terra senza ancora fermarsi; ora che è sera, si intravede appena, come una pioggia ghiacciata contro il giallo dei lampioni.

In cortile i passeri stanno riparati sotto l’edera, occhieggiano di tra il fogliame; qualche breve volo per becchettare le briciole di pane, tributo quotidiano alla loro dolce e petulante presenza.

La sera che scende rapida e silenziosa potrebbe essere l’ultima delle misure preventive che sistematicamente ho violato. Domani si consumerà l’atto conclusivo del teatrino tra la procura di Torino che, colpita dal boomerang delle sue stesse determinazioni, chiede di annullare nei miei confronti arresti domiciliari diventati l’emblema di un un’ingiustizia rifiutata per questo ingestibile, ed il tribunale che ha ribadito tali arresti.

Non assisterò alla rappresentazione ridicola e insieme inquietante di una “giustizia” che nulla ha da proclamare se non la propria iniquità ed impotenza. Non mi coinvolgono le loro decisioni, quali che siano

La mia evasione dalle loro imposizioni è diventata per me una via senza ritorno, una speranza di liberazione collettiva troppo grande perché possa essere ridotta ai calcoli meschini sulla partita di giro del dare e dell’avere.

Dalla finestra della mia tiepida stanza vedo la nevicata farsi più fitta.

Domattina calzerò gli scarponi e andrò in Clarea, ritroverò un sentiero di splendente candore ed alberi come grandi, soffici nuvole. Mi guideranno le tracce degli animali del bosco e forse, in tutta quella primigenia innocenza, il cantiere sarà scomparso, come un brutto sogno che l’alba cancella.

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La Sostituzione della Repubblica

La Sostituzione della Repubblica

Pubblicato il 18 dicembre 2016 · in Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

magritte-decalcomaniaLa conduttrice sorride al suo ospite.
– Congratulazioni per il suo incarico da ministro. Ricordiamo però che il nuovo governo è stato definito un clone del precedente, cosa dire quindi del risultato del referendum che l’aveva bocciato a larghissima maggioranza?
– Non ce ne frega un cazzo.
La conduttrice tace perplessa. Poi chiede
– Eh?…
– Del risultato del referendum non ce ne frega un cazzo – Ripete tranquillo l’ospite – Abbiamo riconfermato praticamente tutti, e persino promosso i più cialtroni. La ministra dell’Istruzione ha la terza media. Il ministro degli Esteri ai vertici fa il grammelot. Non è evidente? Ce ne fottiamo.
– E lo ammette così?
Il ministro si stringe nelle spalle.
– Tanto non potete farci niente.
– Non è in arrivo un altro referendum?
– Possiamo evitarlo cambiando la copertina del Jobs Act, e lasciando il contenuto identico come abbiamo già fatto col governo.
– Ma comunque alle prossime elezioni…
– Quali elezioni?
– Prima o poi si dovrà votare.
– Ah certo, ma lo si farà con una legge elettorale in grado d’impedire altri abusi come quello del 4 dicembre: il Neo Mattarellum.
Neo?
– Il Mattarellum, con una correzione in chiave ullteiormente maggioritaria. Noi l’avevamo già detto: il suffragio universale è obsoleto e non più sostenibile in una democrazia avanzata. Milioni di elettori che svolgono tutti la stessa funzione sono uno spreco di tempo e di denaro. Il multielettroralismo è persino peggiore del bicameralismo. È il momento di passare al monoelettoralismo.
– Cioè?
– Un solo elettore che vota per tutti.
– Chi?
– Appunto Mattarella. Questo otterrà il fondamentale risultato di snellire le procedure: invece di aspettare il risultato delle elezioni, il nostro presidente potrà conferirci direttamente l’incarico di formare il nuovo governo. Come ha appena fatto. Visto che il dissociato corpo multielettorale ha respinto la nostra Riforma Costituzionale, s’è resa indispensabile una Riforma Sostituzionale. La sostituzione della Repubblica democratica con la Repubblica monocratica.
– Ma questa non è una forzatura istituzionale? – Azzarda la conduttrice.
– No, è proprio un golpe. Non l’avete ancora capito? Certo, non ci sono i carri armati e i colonnelli, ma quella è paccottiglia obsoleta, il nostro è un Golps Act: per tornare efficiente la democrazia ha bisogno di licenziare i suoi elettori in esubero. Un monoelettore basterà. E nel caso dovesse servircene qualcun altro, potremo sempre comprarcelo dal tabaccaio. Adesso mandi la pubblicità. È tassativa.
La conduttrice si gira verso la telecamera, e mormora
– Pubblicità.

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Preavvisi di esproprio a Bussoleno.

Pre avvisi di esproprio a Bussoleno.

progetto-bussoleno

Come già successo nelle scorse settimane a San Didero, altro vicino comune della valle di Susa sono arrivati anche a Bussoleno i primi preavvisi di esproprio. Per la prossima settimana dunque si preavvisano serate intense di dibattito e discussione politica che culmineranno in un’assemblea popolare sempre a Bussoleno.  Sono dei meri atti formali in cui Telt, detentrice del progetto Torino Lione, avvisa i proprietari dei terreni interessati dai futuri cantieri. Si apre dunque lentamente la prospettiva per i cantieri nel fondo valle. A dirla tutta sembra più un escamotage per prendere tempo in una fase difficile che altro. Non sono infatti tempi d’oro per i sostenitori della linea. Nonostante la firma del “ventesimo” trattato internazionale e conseguente ratifica nei parlamenti italiano e francese oltre le carte non sembra trovarsi traccia di spinta e volontà politica. Se da un lato il movimento no tav regge e preme sul cantiere di studio geognostico a Chiomonte dall’altro i continui cambi di governo e l’instabilità del PD non giovano alle cause “perse” come la Torino Lione. Proprio il PD, in crollo verticale nei sondaggi era ed è l’unico vero “motivatore” internazionale dell’opera. Caduto in disgrazia con la sconfitta dell’arrogante renzismo, Virano, artefice e architetto del progetto con le trovate degli espropri sembra voler prendere ossigeno. Un modo pre continuare a raccontare balle in Europa e recuperare o meglio sperperare e rubare denaro pubblico. Staremo a vedere, nel frattempo scaldiamo i “motori” e rilanciamo la mobilitazione.

Di seguito un articolo sempre valido sul tema del gennaio 2013 testimonianza di una lotta sicuramente già di lunga durata.

http://www.notav.info/senza-categoria/bussoleno-feletti-luca-una-casa-con-futura-vista-cantiere/

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Perquisizioni in Valle.

Perquisizioni in Valle

http://www.notav.info/post/perquisizioni-in-valle/

cancello
Sono scattate all’alba le perquisizioni a danno di alcuni militanti No Tav del Comitato di Lotta Popolare di Bussoleno all’interno di un’indagine appena  aperta dal fido pm Rinaudo.

Il fatto sotto la lente d’ingradimento della procura torinese è l’apericenza del 2 dicembre scorso, di cui avevamo scritto nei giorni scorsi Attacco a sorpresa al cantiere polizia molto arrabbiata.

Nel descrivere brevemente la serata, non avevamo potuto esimerci dal deridere la reazione isterica della digos torinese che, dopo un attacco subito in Via dell’Avanà all’interno della zona presidiata, si era recata dai No Tav che banchettavano nei pressi dei cancelli minacciando tragiche conseguenze.

Le prime conseguenze sono quindi arrivate, con lo stesso approccio isterico, perquisendo tre fra i più attivi giovani della valle col chiaro intento di intimidire il più vasto movimento che nei giorni scorsi si è largamente mobilitato in occasione della 5 giorni per celebrare l’8 dicembre.

Le motivazioni della perquisizione fanno acqua da tutte le parti, con riconoscimenti talmente approssimativi da far impallidire il più inesperto degli investigatori, ad esempio “la p.g. ritiene, per le movenze e le caratteristiche fisiche, trattarsi di tre uomini ed una donna: l’individuo, abbigliato con indumenti di colore scuro, longilineo, alto circa mt 1,80, che impegna nella mano destra una telecamera con la quale riprende tutte le fasi dell’attività violenta corrisponderebbe a XXX, mentre l’individuo travisato di sesso femminile, indossante pantalone tipo jeans di colore chiaro, un giubbotto di colore scuro, di altezza circa 1.65 corrisponderebbe a XXX.”

Sembra uno scherzo, lo sappiamo, ma vi assicuriamo che è proprio così.

Ora, tralasciando questi dettagli, crediamo che tale operazione sia finalizzata ad acquisire più che altro generiche informazioni sul movimento e i suoi attivisti, considerando che le perquisizioni sono state fatte sulla base di elementi insussistenti e che gli unici sequestri sono stati i cellulari dei 3 perquisiti (a parte  uno scalda collo e dei guanti, abbigliamento comune in montagna).

Serviva evidentemente una prima risposta (ma per darla così avrebbero potuto farne a  meno), alla luce delle difficoltà in cui navigano (vedi Nicoletta in perenne evasione e le mobilitazioni vincenti del movimento nelle ultime settimane) e del fatto che moltissime indagini della “perspicace” questura torinese brancolano nel buio.

Esprimiamo solidarietà ai No Tav perquisiti ed agli altri indagati.

Andiamo avanti, forza No Tav!

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Que volen aquesta gent?

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Collegamento con una compagna di Pellicceria Occupata!

sgombero-pellicceria-genova

Potete ascoltare qui di seguito il collegamento con una compagna di Pellicceria Occupata di Genova, durante lo sgombero dello stabile avvenuto oggi, 14 dicembre 2016.

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pellicceria-occupata

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Joan Baez/ No Nos Moveran

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Lila Downs y Chavela Vargas/ La Llorona

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Il Patto Cazzaroni

Il Patto Cazzaroni

Pubblicato il 11 dicembre 2016 · in Schegge taglienti,

di Alessandra Daniele

Il Cazzaro ha passato la campagna referendaria a promettere che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica.
Naturalmente non l’ha fatto.
Indovinate perché.
Vi do un aiutino.
Perché è un cazzaro.
È rimasto qualcuno che creda ancora alle parole di Matteo Renzi?
A questo punto c’è persino da chiedersi se si chiami davvero Matteo Renzi.
Invece di rendere conto della disfatta, mercoledì scorso ha liquidato la direzione del suo partito con un surreale comizietto trionfalistico pieno delle sue solite millanterie miste a spiritosaggini da cena aziendale, lasciando basiti i convocati, a cui è stato impedito di controbattere.
Dopodiché ha ricominciato immediatamente a intrigare per restare al potere, personalmente come segretario del PD, e al governo attraverso un suo fedelissimo, Paolo Gentiloni Silveri, rampollo dei Conti Gentiloni Silveri di Filottrano, Cingoli e Macerata, sessantottino pentito, ed ex delfino di Rutelli come Renzi.
Quale migliore risposta all’incazzatura popolare che affidare la presidenza del Consiglio a un conte?
Esecutore degli stessi mandanti, come pattuito il governo del conte Gentiloni è programmato per essere la fotocopia in bianco e nero di quello del Cazzaro, e durare almeno sei mesi.
La scusa ufficiale è che occorrano soprattutto per rifare la legge elettorale.
Indovinate un po’.
Vi do un altro aiutino.
È una cazzata.
L’Italicum è una legge ordinaria, per abrogarla basta un voto parlamentare a maggioranza semplice, non c’è bisogno d’aspettare il parere della Consulta, volendo non ci vogliono sei mesi e nemmeno sei giorni. Abrogando l’Italicum, e ripristinando anche alla Camera il cosiddetto Consultellum, il proporzionale risultato dalle modifiche della Consulta al Porcellum, si potrebbe votare subito.
Per quanto il Consultellum sia racchio, l’Italicum fa schifo al cazzo, come tutte le cose prodotte dal governo Renzi.
È l’ultimo rimasuglio di quella controriforma fascistoide e golpista che abbiamo giustamente appena respinto a calci in culo.
L’unico motivo per cui Grillo adesso sembra gradirlo, seppure corretto, è perché pensa di poterci vincere le elezioni. Originariamente confezionato dai renziani apposta per garantire il potere assoluto al loro spocchioso ducetto, l’Italicum s’è invece rivelato di fatto della taglia del M5S di Grillo.
E i renziani danno degli incapaci ai grillini.
Nei prossimi mesi, con l’aiuto dei berlusconiani più esperti di loro in riformaialate, i renziani cercheranno di scucire l’Italicum e ricucirlo di nuovo su misura del Cazzaro, che nel frattempo dovrà però faticare per non finire divorato dalle formiche carnivore della minoranza PD che ha cercato di schiacciare per anni, e che ovviamente non vedono l’ora di vendicarsi.
Se “Bastonare il Cazzaro che affoga” sarà il loro motto, per una volta avranno qualcosa da insegnarci. Infatti, benché la nostra del No al referendum sia stata una grande, epocale vittoria, finora è soltanto una mezza misura.
No alla Cazzariforma, e anche alla sua continuazione con altri mezzi.
No half measures.

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14 dicembre a Napoli/ Assemblea contro la guerra e il militarismo

Riceviamo da una compagna della Rete contro la guerra e il militarismo-Napoli

Mostra fotografica «Nome in Codice: Caesar»

PROPAGANDA DI GUERRA

Dopo poco meno di sei anni, quasi sei milioni di rifugiati e più di 250 mila morti, la Siria continua ad essere devastata da una guerra terribile: una guerra che, all’inizio, veniva fatta passare per una guerra civile tra opposte fazioni, ma che sempre più si è dimostrata essere, prima, una guerra per procura e, da almeno due anni a questa parte, una guerra a tutto campo, combattuta dalle maggiori potenze, tutte, direttamente o indirettamente, presenti e attive nello scacchiere siriano.

Strumentalmente “giustificata”, al suo esordio, con il sostegno alle forze della società siriana che rivendicavano più democrazia, sulla scorta di una presunta “primavera siriana”, la guerra ha finito, mano a mano che si aggravava lo scontro, con il mostrare il suo volto più autentico: una vera aggressione di natura imperialistica, volta al rovesciamento di un governo inviso alle potenze occidentali, quello di Bashar al-Assad, e allo smembramento del Paese, per impossessarsi delle risorse strategiche, impadronirsi dei canali di approvvigionamento e ridisegnare la mappa del Vicino Oriente.

I cosiddetti ribelli e le formazioni terroriste e separatiste, dei diversi fronti riconducibili prima ad Al Qaeda poi allo “Stato Islamico”, ampiamente armati, addestrati e finanziati in primo luogo da Stati Uniti, Europa, Turchia e petro-monarchie, sono stati la longa manus che ha consentito alle grandi potenze di condurre, per il loro tramite, questa aggressione. Ma i risultati sul terreno e l’intervento della Russia al fianco del governo siriano (e, ovviamente, a difesa dei propri interessi e delle proprie aree di influenza), facendo saltare i piani predisposti, hanno imposto alle potenze occidentali un’ingerenza sempre più forte.

Non solo quindi le operazioni di supporto ai “ribelli”, l’imposizione di sanzioni crudeli contro il popolo siriano e il provocatorio condizionamento dei tavoli negoziali, nel tentativo di piegare ai propri interessi un controverso e condizionato processo di pace, ma l’intervento militare diretto in concorrenza e scontro sempre più aperto con la Russia.

Il risultato è una “catastrofe umanitaria” di dimensioni gigantesche, morti e devastazioni, che la macchina della propaganda continua a motivare con la necessità di eliminare il “dittatore” Assad e con la lotta al terrorismo dell’ISIS, diventato un alleato troppo autonomo e scomodo per chi ne aveva favorito l’ascesa in funzione anti-Assad.

In questo contesto, è stata lanciata nei circuiti mainstream, ed è ora giunta anche in Italia, una mostra fotografica, «Nome in Codice: Caesar» che, mostrando immagini di vittime di abusi o di torture nelle carceri siriane, è stata recentemente presentata al Museo MAXXI di Roma, alla presenza, tra gli altri, di un ex ambasciatore degli Stati Uniti e di personalità politiche e istituzionali, già note per le posizioni e le iniziative da loro assunte a sostegno delle sanzioni, della rottura delle relazioni e dell’aperta ostilità al governo siriano. Continua a leggere

Pubblicato in Antimperialismo | Contrassegnato | Commenti disabilitati su 14 dicembre a Napoli/ Assemblea contro la guerra e il militarismo