22 giugno 2018 /Come se non ci fosse un daspo

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13 giugno/ ama i cagnetti, odia l’autorità!

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Riflessioni su un tabù: l’infanticidio

Réflexions autour d’un tabou : l’infanticide

(traduzione della Coordinamenta a puntate/ prima puntata )

Ouvrage collectif paru en juillet 2009.

https://infokiosques.net/spip.php?article860

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Qui e ora, nelle nostre società occidentali moderne, donne di tutte le età e di ogni contesto sono incarcerate con l’accusa di infanticidio-noi parliamo qui di neonaticidio. Le loro vite e le loro personalità sono sviscerate da specialisti di ogni tipo, sono trattate male dai media e trattate male dall’opinione pubblica. Come può essere che ci siano in mezzo a noi, in mezzo alle donne, delle <anomalie sociali> da curare o da internare; le altre donne non avrebbero niente a che vedere con questa storia di sofferenza e di solitudine, non sarebbero attraversate dagli stessi vincoli legati alla maternità e all’oppressione degli uomini sulle donne? Noi, le otto donne che hanno scritto questa brochure, di situazioni e di età diverse, affermiamo che tutti, uomini e donne, in questa società, sono coinvolti in questa storia. Analizzando ciò che ci ha formato riguardo alla sessualità e ciò che costringe nella maternità, noi vogliamo farla finita con il tabù dell’infanticidio.

Aujourd’hui et ici, dans nos sociétés occidentales modernes, des femmes de tous les âges et tous les milieux sont emprisonnées sous l’accusation d’infanticide – nous parlons ici de néonaticide. Leurs vies et leurs personnalités sont décortiquées par des spécialistes de toute sorte, elles sont malmenées dans les médias et maltraitées par l’opinion publique.
Comment peut-on croire qu’il y ait parmi nous, les femmes, des « anomalies sociales » à soigner ou à enfermer ; les autres femmes n’auraient rien à voir avec cette histoire de souffrance et de solitude, elles ne seraient pas traversées par les mêmes contraintes liées à la maternité et à la domination des hommes sur les femmes ?
Nous, les huit femmes qui avons écrit cette brochure, de situations et d’âges divers, affirmons que tout le monde, femmes et hommes, dans cette société, est concerné par cette histoire. En analysant ce qui nous formate dans la sexualité et ce qui nous contraint dans la maternité, nous voulons en finir avec le tabou de l’infanticide.

[…] PUNTO DI PARTENZA: TENTATIVO DI TOGLIERSI IL CORSETTO

Noi siamo otto donne che hanno deciso di scrivere e pubblicare questa brochure. Otto donne dai venti ai settantaquattro anni. Alcune di noi hanno dei figli, altre no. Quello che ci unisce non è il fatto di essere madri o meno, ma il fatto di essere, come donne in questa società, tutte attraversate dalle questioni della maternità. Quello che ci unisce è anche che non ci piace questo mondo com’è e che vogliamo agire contro tutte le dominazioni e le oppressioni e, dunque, tra le altre, contro il patriarcato. L’avvio per il nostro riflettere collettivamente ci è stato dato dalla storia di una donna gettata in prigione per infanticidio. Questo ci tocca e ci interroga. Ci fa rivoltare inoltre quando la stampa si scatena presentando le donne infanticide come dei mostri, tuttalpiù come delle malate.

Allora cerchiamo delle risposte. E le sole che troviamo vengono dagli psichiatri e dai magistrati. Risposte parziali e insoddisfacenti, spiegazioni di esperti che sezionano dei <casi> alcune volte con benevolenza e indulgenza ma sempre dall’alto del loro sapere e della loro posizione sociale. Noi siamo di quelle che pensano che non bisogna lasciare agli specialisti il monopolio della riflessione e della parola su dei soggetti che ci riguardano direttamente. E vogliamo dire in modo esplicito qui che l’infanticidio fa parte della nostra storia, di tutte e di tutti. E’ questa posizione che ci ha portato a cercare degli approcci e dei discorsi meno normativi e ci ha condotte ad un incontro decisivo. Questo incontro ha innescato la nostra voglia di esprimere con una presa di parola pubblica la nostra solidarietà e la nostra rivolta contro la sorte destinata alle donne che vivono questa violenza e questa solitudine.

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Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità

“Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità”

di Denys

(…)Un famoso barbuto tedesco che non ha bisogno di essere citato disse che la storia è la storia delle lotte fra classi, e io sono abbastanza ideologicamente fuorimoda da essere d’accordo. Ma aggiungo che la storia è una conversazione dove ti interrompono spesso. I discorsi di chi pretende libertà sono quelli che appena cominciano si toglie l’audio. È quel genere di situazione dove bisogna imparare ad alzare la voce; io sono qua perché sento intimamente la responsabilità di rimanere abbastanza tignoso da continuare a tenere il volume alto. Sono piuttosto fiducioso di riuscirci, perché sono virtualmente incapace di modulare la mia voce in tonalità non moleste.

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Ora, molti interventi come questo cominciano con lunghi antefatti sul proprio percorso. Ma siccome io ritengo d’essere un uomo relativamente banale, e non è che la cittadinanza di maschio d’adozione cambi granché le cose, vi evito questa noia. Sì, ok, sono nato femmina, la cosa mi deprimeva a morte, blablabla, testosterone, blablabla, e ora ho l’acne, i peli e la gioia di vivere. Ordinaria amministrazione, gente! Una cosa ve la dico, però: sono bisessuale. A essere pedanti, anche questa è una descrizione sommaria, ma amo semplificare il semplificabile. Forse ritenete superfluo parlarne, ma per me è politicamente importante ribadirlo: non sono un attivista trans. Sono un attivista trans e bisessuale. C’è tutta la differenza del mondo in questa sottigliezza. Poi sono anche molte altre cose, ma questa è un’altra storia che intendo raccontare altrove.

Veniamo a noi. Se ho dato un preciso titolo a questo intervento è perché penso all’importanza, per un movimento, di definire strategicamente le sue priorità. Spesso pensiamo male, malissimo del concetto di priorità, perché una coltre di gente a dir poco discutibile ne distorce il senso. L’accezione che conferisco a questo termine non è quella che loro utilizzano. Non solo credo che le priorità di un privilegiato siano differenti da quelle di chi privilegiato non è, ma credo anche che la posizione di privilegio strutturale (sociale ed economico) e sovrastrutturale (cioè culturale) plasmi il concetto stesso di priorità. Quando questi soggetti parlano di priorità, non parlano di definire le priorità atte a mandare avanti, in senso positivo, un progresso politico. Nei loro discorsi la priorità è un artifizio che usano per nascondere il fatto che per loro, priorizzare, non è organizzare coscientemente le istanze al fine di portarle avanti con dei risultati, i migliori possibili; è posizionarne alcune sopra le altre in un’ottica escludente e distruttiva, anti-propositiva, e infine del tutto reazionaria. Continua a leggere

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Il 9 giugno/ la Coordinamenta a Siniscola

Tramas de libertade

LA QUESTIONE FEMMINILE COME NUOVA ALTERNATIVA POLITICA.

LA STORIA E LA CRESCITA DEL FEMMINISMO DI CLASSE E DI LOTTA, DALL’INCONTRO CON LE COMPAGNE CURDE DELL’ANNO SCORSO ALLE ELABORAZIONI POLITICHE DELLE BLACK PANTHER DEGLI ANNI ’70.

NE PARLIAMO CON SILVIA BARALDINI ED ELISABETTA TEGHIL.

09 GIUGNO 2018 
GANA ‘E GORTOE ORE 20:00
via Olbia Siniscola

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Lo sciopero che non c’è, la vergogna del sindacato

Riportiamo qui un articolo da baruda.net

https://baruda.net/2018/06/04/lo-sciopero-che-non-ce-la-vergogna-del-sindacato/

Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile i suoi assassini dovrebbero essere chiamati tali.004247583-39561043-d943-4175-99cf-d77c7a8534e1
Quando ammazzano un ragazzo a colpi di fucile dicendo “stava rubando”, chi è abituato alla ricerca della verità dovrebbe metterci poco a capire.

ma c’è una cosa più grave di tutte però, più del sangue a terra di Soumaila (29 anni, maliano), una cosa che lascia basiti, che farà pensare ai giovani ai bambinetti che tutto ciò è normale.

Non c’è niente di normale invece: perché quando ammazzano un sindacalista a colpi di fucile il lavoro si ferma. Quando ammazzano un sindacalista i lavoratori incrociano le braccia e bloccano la produzione e questo nemmeno dovrebbe esser dichiarato, tanto è naturale.
Soumaila era un sindacalista dell’USB, lottava per i diritti dei braccianti nella piana di Gioia Tauro, i servi della gleba della nostra Europa ed è stato ucciso a fucilate.
Oggi il suo sindacato avrebbe dovuto dichiarare uno sciopero generale: oggi TUTTI gli iscritti USB si sarebbero dovuti fermare, incrociare le braccia, urlare la rabbia, bloccare la produzione. Il tranviere, il postino, l’insegnante: oggi tutti avrebbero dovuto urlare il nome di Soumaila.

E invece no.
L’USB ha dichiarato lo sciopero DEI BRACCIANTI.
I servi della gleba oggi si fermeranno. Quando dovrebbero, invece, marciare sulla testa del sindacato, acciaccandola e acciaccandola ancora

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Dominique Grange/Chacun de vous est concerné

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SARDEGNA: IL 2 GIUGNO CORTEO CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE

SARDEGNA: IL 2 GIUGNO CORTEO CONTRO L’OCCUPAZIONE MILITARE 

A FORAS FEST – 2 GIUGNO 2018

https://www.facebook.com/aforas2016/

Anche quest’anno A FORAS chiama a raccolta tutto il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna, per una giornata di mobilitazione popolare, che capovolga la festa della repubblica italiana. Perché questa data? È la repubblica che da oltre 60 anni impone unilateralmente il 60% di servitù militari alla nostra terra trasformandola di fatto in una colonia militare.
Manifesteremo la nostra opposizione non solo nei confronti dello stato italiano, ma anche della NATO, e di tutti gli altri eserciti stranieri e le multinazionali che operano ogni giorno nella nostra terra per trarre profitto da industria bellica e guerre di aggressione. Quest’anno manifestiamo anche contro la complicità del governo regionale, che a dicembre 2017 ha ratificato l’accordo truffa col Ministero della difesa, col quale, in cambio di poche spiagge (che erano già aperte durante l’estate), ratifica l’occupazione militare della Sardegna e insieme pone le basi per un aumento della presenza militare in Sardegna (con la caserma di Pratosardo e il SIAT a Teulada). Per questo motivo quest’anno il corteo partirà dalla sede della giunta regionale, in viale Trento a Cagliari. Il 2 giugno di quest’anno lanceremo anche la nostra assemblea itinerante, che durante l’estate toccherà diversi territori della nostra isola, occupati dai poligoni e non, per conoscerli meglio e farci conoscere, e per rilanciare anche lì la lotta contro l’occupazione militare.
La manifestazione sarà anche il momento per dichiarare guerra alla guerra e per dimostrare al mondo che il Popolo Sardo non è complice delle aggressioni imperialiste.

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2 giugno/contro la guerra del capitale contro l’ordine patriarcale

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2 giugno 2018/ No al Pentagono!

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A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella

A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella

“Un gioco borghese” teresina 2Parentesi del 21/o5/2014

di Elisabetta Teghil

No, no, non stiamo parlando del Bridge, ma del così detto “gioco democratico”, vale a dire la democrazia borghese.

E’ una specie di “teresina”, solo che la borghesia gioca a carte coperte e “bluffa”, le/gli oppresse/i le carte le devono avere scoperte, sennò il gioco non vale.

Il gioco democratico attualmente si basa sul suffragio universale

Il principio di suffragio universale è correlato alle idee di volontà generale e di rappresentanza politica promosse da Jean-Jacques Rousseau :in base a questi principi, si elabora l’assunto per il quale la rappresentanza politica trova legittimazione nella propria volontarietà.

I cittadini/e, nei moderni Stati democratici, sono alla base del sistema politico e col suffragio universale viene eletto l’organo legislativo di uno Stato; nelle repubbliche presidenziali, ciò avviene anche per l’elezione del Capo dello Stato.

Il principio del suffragio universale maschile è stato introdotto per la prima volta durante la rivoluzione francese da un “comitato di salute pubblica”

In Italia il primo suffragio universale maschile è del 1912 e noi donne abbiamo votato per la prima volta il 2 giugno del 1946, quando ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica.

Le elettrici e gli elettori quindi, dovrebbero votare i loro rappresentanti, mandare in Parlamento chiunque secondo loro possa fare i loro interessi.

Anche il re dei ladri. Perché l’immunità parlamentare dovrebbe essere sacra a tutela degli oppressi e delle oppresse e della minoranza.

Però se poi gli elettori votano qualcosa o qualcuno non gradito a chi tiene banco, allora si cambiano le carte in tavola, il gioco non vale e si butta tutto all’aria: esempi ce ne sono tanti dal Cile di Allende all’ultimo referendum in Ucraina…..con colpi di stato cruenti o bianchi, rivoluzioni colorate, guerre umanitarie ….oppure nella stagione odierna neoliberista si esautora il parlamento, si demonizza la politica, si toglie l’immunità parlamentare….

Avete vinto il referendum sull’ ”acqua pubblica” ? non vale, era un scherzo. Quello sul no al finanziamento pubblico ai partiti? Beh, si cambia nome, basta chiamarlo rimborso….

Poi, il gioco democratico si basa su un altro principio fondante, vale a dire la libertà di pensiero e di espressione. Chiunque dovrebbe essere libera e libero di esprimere un’opinione, la legge può perseguire solo i fatti reali. Ma gli ultimi avvenimenti degli stadi di calcio sono l’esempio lampante di un gioco sleale: se scrivo su una maglietta “Speziale libero” sono condannato a cinque anni di Daspo, mentre lo Stato si può permettere di dare del terrorista a ogni piè sospinto a chiunque non gli sia gradito/a, dimostrando un’assoluta e, chiaramente voluta, ignoranza della stessa lingua italiana, dato che il termine terrorista ha un preciso significato nel vocabolario e nei codici.

Di solito, se un gioco è taroccato, non ha senso giocare. Di solito le bambine e i bambini che sono sempre molto concreti e diretti prima di essere rovinati dalle così dette regole sociali, danno uno spintone a chi bara e si girano altrove.

E, noi, che vogliamo fare?

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Podcast del monologo “Io, Ulrike, grido” all’interno dell’iniziativa del 25/5/2018

“Io, Ulrike, grido”

Monologo di Martina Giusti (tratto dal testo di Dario Fo e Franca Rame) all’interno dell’iniziativa “La norma e la legalità” Sezione Controllo/Paradigma della Violenza-Non Violenza del 25 maggio 2018

clicca qui

Stralcio dal testo “Io,Ulrike, grido” di Dario Fo e Franca Rame in Tutta casa, letto e chiesa, Edizioni F.R. La Comune, Milano, 1981 

Nome: Ulrike. Cognome: Meinhof. Di sesso femminile. Età: 41 anni. Sì, sono sposata. Due figli, nati con parto cesareo.

Si, divisa dal marito. Professione: giornalista. Nazionalità: tedesca. Sono qui rinchiusa da quattro anni in un carcere moderno di uno Stato moderno. Reato?

Attentato alla proprietà privata e alle leggi che difendono la suddetta proprietà e il conseguente diritto dei proprietari ad allargare a dismisura la proprietà di tutto.

Tutto: compreso il nostro cervello, i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri gesti, i nostri sentimenti e il nostro lavoro e il nostro amore. Tutta la nostra vita insomma.

Per questo avete deciso di eliminarmi, padroni dello Stato di Diritto. La vostra legge è davvero uguale per tutti, meno per quelli che non sono d’accordo con le vostre sacre leggi. Voi avete sollevato alla massima emancipazione la donna; infatti, pur essendo una femmina, mi punite proprio come un uomo.

Vi ringrazio. Mi avete gratificata del più duro carcere: gelido, asettico, da obitorio e mi sottoponete alla più criminale delle torture, cioè “la privazione del sensoriale”.

Che espressione elegante per dire che mi avete seppellita in un sepolcro di silenzio. Un silenzio bianco; bianca è la cella, bianche le pareti, bianchi gli infissi, di smalto bianco perfino la porta, il tavolo, la sedia e il letto, per non parlare del cesso.

La luce al neon è bianca, accesa sempre: giorno e notte.                   

Ma qual è il giorno, e quale la notte? Come posso saperlo? Attraverso la finestra passa sempre una stessa luce bianca. Una luce finta come è finta la finestra e finto è il tempo che mi avete cancellato, dipingendomelo di bianco.

Silenzio. Silenzio dal di fuori, non un suono, un rumore, una voce. Dal corridoio non si sentono passi, né porte che si aprono o si richiudono. Niente!

Tutto silenzio e bianco. Silenzio nel mio cervello, bianco come il soffitto. Bianca la mia voce se provo a parlare.

Bianca la mia saliva che mi si aggruma agli angoli della bocca. Silenzio e bianco nei miei occhi, nello stomaco, nel ventre che mi si gonfia di vuoto. Come in un acquario, galleggiante nel silenzio, come un pesce giapponese senza pinne a ventaglio mi trovo sospesa. Sensazione perenne di vomito. Il cervello mi si stacca dal cranio al rallentatore vagando per l’acqua di luce nella stanza. Di polvere sciolta come un detersivo nella spaventosa lavatrice è tutto il mio corpo: lo raccolgo… lo metto insieme… mi ricompongo… No! No! Devo resistere… non riuscirete a farmi impazzire… Devo pensare! Pensare! Ecco penso… Penso a voi, voi che mi tenete in questa tortura: vi vedo appiccicati col naso schiacciato al gran cristallo di questo acquario dove m’avete messo a galleggiare, e mi guardate interessati. Vi godete lo spettacolo… Temete che io sappia resistere… Temete che altri come me e i miei compagni tornino a cercare di guastarvi il bel mondo che avete inventato.

Che grottesco, a me togliete ogni colore e fuori il vostro mondo fradicio e grigio l’avete ridipinto a tinte sgargianti, perché nessuno se ne accorga, e costringete la gente a consumare tutto a colori: avete colorato di rosso sgargiante gli sciroppi al lampone, e che importa se procurano il cancro, d’arancio brillante gli aperitivi. Fate trangugiare ai bambini verde smeraldo e giallo cromo, riempite di coloranti velenosi il burro e la marmellata. Come pagliacci impazziti tingete perfino le vostre donne: rosa garanza sulle guance, azzurro pervinca e violetto sulle palprebre e rosso cinabro sulle labbra e unghie dipinte con tutti i colori impossibili da carnevale d’oro e d’argento , verde e arancione e perfino blu di cobalto.

E costringete me nel bianco perché il mio cervello si frantumi e scoppi in tanti coriandoli: i coriandoli del vostro carnevale, del vostro Luna Park della paura.  Sì, ostentate tanta sicurezza, ma è solo la gran paura che vi fa tanto crudeli e pazzi. Per questo avete bisogno di continuo baraccone e baccano, di tante luci al neon colorato dappertutto e vetrine e suoni e fracasso e la radio e la filodiffusione sempre accesa dappertutto nei vostri grandi magazzini, nelle case, in macchina, nel bar, perfino a letto quando fate l’amore. E’ la paura del silenzio che imponete a me… perché voi sì avete il terrore di star soli con il vostro cervello… perché avete orrore del dubbio che questo vostro non sia il migliore dei mondi… ma il peggiore: il più squallido.

E mi avete chiusa nell’acquario solo perché… No, non sono d’accordo con la vostra vita. No, non voglio essere una delle vostre donne confezionate sotto cellophane. Non voglio essere presenza tenera di piccole risate di sorrisi stupidamente allettanti alla vostra tavola del sabato sera in un ristorante con menù vario ed esotico e con sottofondo di musiche idiote ma filodiffuse. E dovermi sforzare di essere quel tanto triste e ammiccante e al tempo pazza e imprevedibile e poi sciocca e infantile e poi materna e puttana e poi all’istante ridere pudica in falsetto a una vostra immancabile trivialità.

Oh, eccolo un leggero fruscio: si apre la porta, appare una guardiana, mi guarda come se non esistessi, come fossi trasparente. Non dice una parola, ha in mano un vassoio con il pranzo. Lo posa sul tavolo, se ne va. Richiude. Di nuovo il silenzio.

Cosa m’han portato da mangiare? Hamburger. Un bicchiere di succo di pompelmo. Verdura cotta, una mela. E poi si preoccupano che non mi salti in testa di suicidarmi. Infatti il piatto è di carta. Non c’è coltello né forchetta, solo un cucchiaio di plastica molle, che sembra gomma. No, non vogliono che io decida di eliminarmi. Spetta loro decidere. Quando sarà il momento giusto ci penseranno di persona, mi daranno l’ordine di suicidarmi e dal momento che in questa cella non ci sono sbarre alla finestra per potere appendere un lenzuolo torto e una cinghia e quindi impiccarmi mi daranno una mano loro… o anche più di una mano. Un lavoretto pulito. Come tutta pulita è questa socialdemocrazia, che si prepara a uccidermi… in buon ordine.

Nessuno sentirà un mio grido, né un lamento… tutto in silenzio, con discrezione, per non turbare i sonni sereni dei cittadini felici di questa nazione pulita… e ordinata.

Dormite, dormite, gente pasciuta e attonita della mia grande Germania e anche voi dell’Europa, gente benpensante, dormite sereni come morti! Il mio grido non vi può svegliare… Non si svegliano gli abitatori di un cimitero.

Gli unici ai quali crescerà l’odio e la rabbia, lo so, saranno quelli che stanno giù a sudare e crepare nella sala-macchine della vostra grande nave: gli immigrati turchi, spagnoli, italiani, greci, arabi e i fottuti, sfottuti da tutta Europa e le donne, tutte le donne che hanno capito la loro condizione di sottomesse, umiliate e sfruttate, loro capiranno anche perché mi trovo qui e perché questo Stato ha deciso di ammazzarmi… proprio come una strega al tempo delle streghe. E si convinceranno, o lo sono già, che anche oggi è sempre tempo di streghe per il potere.

E le streghe devono stare ai telai, alle macchine, alle presse, alla catena, al rumore, al fracasso, agli stridii… plaff…tritritri….vlam hahaha! Tritritri, vhoom, vhoom… Pressa! Fluuuttss… il maglio! Blamm! Il trapano! Frufrufrufru…. Il motore popopopo….. le caldaie ploch, ploch, ploch…

Che bello il rumore, il baccano, il fracco! Ah ah ah l’avete inventato voi padroni, per il vostro profitto… e io ne approfitto.

Basta col silenzio! Me lo faccio da me il rumore. Presa: flutts… il maglio: blamm blamm… il trapano: frufrufru… le caldaie: ploch, ploch, ploch…. Il gas! Esce il gas! Fa tossire: achrf achrf achrf!

La catena: vai ritmo vai coi tempi ritmo, plaf pochh sblam bengh tramp pungh sgnaf tuh tuh frr frr!

Basta!

Basta! Fermate le macchine, silenzio!… Che bello il silenzio, grazie carcerieri che mi date questo straordinario piacere del silenzio… assoluto… oh come sto assaporando, godendo… ascoltate come è dolce, ristoratore… sono in Paradiso… Carcerieri, giudici, politicanti vi ho fregati… non riuscirete mai a farmi uscire pazza, dovete ammazzarmi da sana… in perfetta salute di mente e di spirito… e tutti capiranno, tutti sapranno con certezza che siete degli assassini, un governo, uno Stato di assassini.

Vi vedo già correre a nascondere il mio cadavere, bloccare la porta ai miei avvocati… No, Ulrike Meinhof non si può vedere… Si, si è impiccata. No, non potete assistere all’autopsia. Nessuno. Solo i nostri periti di Stato, che hanno già decretato… La Meinhof si è impiccata. Ma non ci sono segni di strangolamento sul collo… nessun colore cianotico al collo… in compenso ci sono lividi su tutto il corpo! Fatevi in là, circolate, non guardate! Proibito scattare foto, proibito chiedere un perizia di parte, proibito esaminare il mio cadavere. Proibito. Proibito pensare, immaginare, parlare, scrivere, proibito, tutto proibito! Sì, tutto proibito!

Ma non ci potrete mai proibire di sghignazzare di tanta vostra imbecillità, imbecillità classica di ogni assassino.

Pesante come una montagna è la mia morte… centomila e centomila e centomila braccia di donne l’hanno sollevata questa immensa montagna e addosso ve la faranno franare con una terribile risata!                                                                                                               

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Podcast dell’iniziativa “La norma e la legalità” del 25 maggio 2018

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Ciclo “Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza”

È il sesto appuntamento del Ciclo 

Sezione Controllo/La norma e la legalità

Con Silvia De Bernardinis “Anni ’70: Infrangere la superstizione della legalità” e Martina Giusti “Io, Ulrike, grido”

clicca qui

“LA NORMA E LA LEGALITA’ “.

< La legge è la sanzione formale di un rapporto di forza, è fatta da chi detiene il potere ed è destinata alle oppresse/i.E noi sappiamo quanto male e quanto dolore hanno portato e portano le leggi nella vita delle donne. 

La normalizzazione è l’esigenza di chi ha la pretesa di “governarci”, più il potere è autoritario più c’è un proliferare di leggi e di norme che soffocano ogni momento della quotidianità. In pratica è necessario smascherare quella che è l’essenza dello Stato autoritario, la richiesta di ordine e di legalità che è divenuta debordante. Si omette che lo Stato possiede il monopolio della forza che pretende legittima e la esercita in maniera tale da essere legale perché legalmente convalidata. La ri-legittimazione del dominio si presenta come una necessità prioritaria per il capitale e si dispiega attraverso il neocolonialismo nei paesi del terzo mondo e nel disciplinamento e nella colonizzazione del quotidiano e dei territori nelle società occidentali.

Ora assistiamo ad uno spostamento importante verso lo Stato etico che si arroga il diritto di decretare per noi quello che è buono e quello che non lo è e noi dovremmo adeguarci. 

L’ operazione portata avanti in questi anni soprattutto dalla socialdemocrazia riformista per conto del sistema di propagandare concetti come legalità, rispetto dell’autorità, sacralità delle istituzioni e delle figure pubbliche, non-violenza, riproposizione del concetto di patria, di nazione, di convivenza civile…ha ottenuto il risultato non solo di far dimenticare che la società è divisa in classi, ma anche di far perdere completamente il significato di parole come “legge” e “democrazia” che a differenza di quanto ci propagandano non sono altro che la veste pubblica che si dà questo sistema. 

Chi non può pagare le bollette si sente ed è percepito/a come “delinquente” rifiutarsi di pagare le tasse è addirittura foriero di una “scomunica sociale” quasi fosse un obbligo dettato da un dio al di sopra delle nostre capacità di comprensione, rifiutarsi di pagare il biglietto del treno al ritorno da una manifestazione provoca la calata degli agenti antisommossa  e scenari di “pericolosità sociale”. 

Dobbiamo porre molta attenzione a non essere compartecipi di questa visione autoritaria del sociale Dobbiamo evitare accuratamente di contribuire a creare stigma e divieti, norme e colpevolizzazione. Non ci si deve prestare ad essere strumento del neoliberismo. 

Mai come in questo momento storico in cui il neoliberismo, attraverso un legiferare continuo, invasivo e capillare si arroga il diritto di intervenire in ogni aspetto della nostra vita, l”illegalità diffusa” assume connotati di presa di coscienza.>

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26 maggio a Sassari/Iniziativa di lancio del ciclo sulle Black Panthers/ La Coordinamenta in Sardegna

26 maggio a Sassari, iniziativa di lancio del ciclo sulle Black Panthers

https://nobordersard.wordpress.com/2018/05/23/ciclo-incontri-black-panthers/

Dall’8  all’11 giugno la coordinamenta sarà in Sardegna insieme a Silvia Baraldini proprio per questo ciclo di incontri.

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29 maggio/E questo è quanto, storie di rivoluzionarie e rivoluzionari

E questo è quanto/ Storie di rivoluzionarie e rivoluzionari/29 maggio al Nido di Vespe

con Barbara Balzerani , Salvatore Ricciardi, Pasquale Abatangelo, Militant, 

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