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Che il neoliberismo sia una vera e propria ideologia e che le sue linee di tendenza siano molto chiare ce lo dice, se mai ce ne fosse bisogno, la parabola politicoeconomica che l’Italia ha percorso in tutti questi anni.
Il PD è stato il motore trainante delle scelte che hanno portato alla privatizzazione di importanti strutture pubbliche, alla svendita di interi settori produttivi alle multinazionali, alla aziendalizzazione della sanità, della scuola e degli altri servizi sociali, alla trasformazione del mercato del lavoro, nel senso di una precarizzazione selvaggia, alla distruzione dei ceti medi e delle piccole strutture economiche, alla elaborazione di una vera e propria ideologia della “sicurezza” e “legalità”, apparato teorico giustificativo di una serie di stravolgimenti dello stesso diritto borghese, primo fra tutti la creazione di quelle infami istituzioni totali chiamate oggi Cpr e del principio della detenzione amministrativa e delle sanzioni amministrative. Riforme che hanno avuto un forte impatto sul tessuto sociale e culturale del Paese, determinando alcuni spostamenti del comune sentire, progressivamente sempre più assuefatto all’utilizzo di strumenti di controllo generalizzato, capillare, diffuso e parossistico di ogni azione personale e collettiva. Una maggiore disponibilità della popolazione all’asservimento che se, per un verso, è stata estorta anche attraverso il frequente ricorso ai meccanismi del governo emergenziale, per altro verso, come in un circolo vizioso, rende meno problematica la possibilità stessa di ricorrere al paradigma emergenziale; come è stato reso palese dall’avvicendarsi, senza soluzione di continuità, dello stato di emergenza pandemico e di quello bellico, per non parlare di quello climatico, che seguirà.
In questo contesto, la decostruzione della “democrazia” parlamentare borghese, un gioco taroccato che pure ogni tanto occasionalmente poteva essere usato dalle classi subalterne, è un percorso cominciato da lungo tempo, le cui tappe fondamentali possono essere individuate nell’alterazione del sistema elettorale, sotto il profilo della sostituzione del metodo proporzionale in favore di quello maggioritario, nella torsione verso lo strapotere dell’organo esecutivo, conquistata attraverso il ricorso abusivo alla decretazione d’urgenza (con la complicità delle camere che puntualmente convertono i decreti in leggi ordinaria) e all’uso della fiducia nelle votazioni parlamentari, nella progressiva e apparentemente inarrestabile estensione dell’ambito territoriale e materiale della legislazione di emergenza, nella normalizzazione dei governi tecnici e, più recentemente, nel compimento di una tecnocrazia diffusa in reti sovranazionali e transnazionali di enti tecnico-scientifici (di natura spesso privata). Un progetto di lunga durata a cui ha partecipato, a diverso titolo, tutto l’arco partitico, completamente appiattito su posizioni neoliberiste. Solo un osservatore compiacente potrebbe, infatti, negare ancora oggi il fatto che, al di là di risibili sfumature, tutti i partiti sono funzionari delle multinazionali: alcuni a busta paga, altri semplicemente idiotamente asserviti.
E’ la stessa iper borghesia che ha decretato l’avvio di questa nuova fase e la trasformazione della così detta “democrazia parlamentare” prima in democrazia autoritaria e ora in vero e proprio totalitarismo. La “tutela sociale”, se ha un senso chiamarla così, è stata da tempo delegata ad organismi categoriali e corporativi (dai colori, a volte, medievali, a volte, fascisti), creati ad hoc per ogni singola e parcellizzata evenienza. Un vero e proprio divide et impera privatizzato, raggiunto attraverso il coinvolgimento attivo della galassia di enti del terzo settore, che si prendono carico di problemi nevralgici della nostra società, come la violenza maschile contro le donne e i fenomeni migratori, ma nella cornice di leggi securitarie e razziste, che non solo non combattono le cause strutturali della violenza domestica e dell’immigrazione, ma, anzi, le fomentano (Boldrini e Minniti docent).
Il ruolo dei partiti e il gioco parlamentare sono assolutamente venuti meno. Il governo Draghi è solo l’ultimo, più eclatante e sfrontato esempio di governo diretto dei potentati economici e delle multinazionali. Non è una questione di programmi o intenzioni: anche il più avanzato dei progetti politici che decida di misurarsi con il gioco elettorale non può che essere catturato in una dinamica in cui semplicemente non si è previsti ed è impossibile incidere Continua a leggere

Questa sera:
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Per uccidere i lupi spesso gli inuit insanguinano la lama di un coltello lasciando che il sangue si congeli, strato dopo strato. Quando la lama è completamente ricoperta di sangue, seppelliscono il manico del coltello nel ghiaccio con la lama che sporge verso l’alto.
Il lupo sentendo l’odore del sangue si avvicinerà alla lama, l’annuserà e inizierà a leccarla sempre più avidamente, senza accorgersi del moltiplicarsi dei tagli sulla sua lingua ormai congelata.
Ma, anzi, trovando irresistibile quell’odore di sangue caldo – il suo stesso sangue! – si taglierà sempre più la lingua, fino a morire dissanguato.
Questa trappola, a mio parere la più perversa, mi sembra un’efficace metafora dell’epoca in cui viviamo, soprattutto in questa parte del pianeta: un’epoca i cui coltelli insanguinati sono le narrazioni dominanti e suprematiste sulle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo: biotecnologie&vaccini, guerre, democrazia&sicurezza, benessere&ricchezza, transizione ecologica…
E tutti/e a leccare, leccare, leccare…

Opera di R. Zhao Renhui

Letture sull’anarchismo rivoluzionario, la fase nichilista come passione
degli sfruttati, lo Stato d’eccezione e poi musica e suggestioni su
politica e dimensione esistenziale

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✓ Sulla campagna repressiva contro il Coordinamento No Green Pass di Trieste
✓ Divagazioni politico – poetiche su parole e cose, su vita e morte, morte
e vita, su costrizione e libertà, su sopportazione e rivolta (con qualche
cenno femminista)

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Pubblichiamo uno stralcio da <FEMMINISMO: PARADIGMA DELLA VIOLENZA/ NON VIOLENZA> che riteniamo utile in questo momento di strumentalizzazione elettorale.

[…] da anni ci siamo rese conto che femminismo significa anzitutto scegliere da che parte stare (come abbiamo avuto modo di dire in occasione di un 25 aprile, anni fa: “siamo partigiane perché abbiamo deciso da che parte stare”). E per fare questa scelta, occorre anzitutto partecipare alla vita collettiva, comunitaria, sociale, del mondo.
Che mondo è il mondo neoliberista?
Un mondo in cui manca l’alternativa: caduto il comunismo, il capitalismo non deve più giustificare le sue premesse, il potere neoliberista non si legittima attraverso un discorso “di parte”, ma attraverso argomenti quali “imparzialità”, “efficienza”, “problem solving”, “competenza tecnica”. Parallelamente, nell’orizzonte neoliberista vi è spazio per uno Stato fortemente eticizzato (tutore), per un ritorno forte alla confusione tra categorie morali e politiche, per norme e comandi sempre più invisibili e meno “legali”. Ad esempio siamo pieni di codici etici e deontologici che mancano di sanzione perché la sanzione non serve: il comando è direttamente valore, introiettato e riprodotto secondo uno standard comportamentale (v. fidelizzazione degli impiegati, delazione, “subsorveglianza”). Questa una delle manifestazioni dell’“egemonia culturale neoliberista”
Che trasformazioni sono avvenute nel linguaggio e nell’immaginario “antagonista” durante vent’anni di pacificazione ed egemonia culturale neoliberista?
Alcuni esempi:
– abbiamo introiettato la “meritocrazia” come forma di gestione del potere imparziale e trasparente, anzi “giusta”!- non sappiamo più dare significato al concetto di “riforma” o “riformismo” (da avanzamento delle condizioni materiali dei lavoratori, a processo di ristrutturazione permanente del capitale a danno delle classi subalterne); – non usiamo più le parole “comunista” o “socialista” per descrivere, ad esempio, i movimenti dell’america latina, ma concetti come “movimenti progressisti e di sinistra”; – si dice che la violenza contro le donne è un problema strutturale, ma poi si tratta il patriarcato come un fenomeno meramente culturale e ci si apre al “dialogo costruttivo” con guardie e magistrati; – si tornano ad usare parole come “sorella” o “amica” al posto di “compagna”, perché sono parole che nell’uso comune non costringono le donne a scegliere la propria parte in termini di lotta di classe; – si assume, anche da parte dei movimenti politici, la logica del problem solving e della competenza tecnica come fonte di legittimazione al proprio intervento politico che però, per questa via, diventa assistenzialismo se non vero e proprio collaborazionismo (cooperative, centri antiviolenza… ci sarebbe da citare la Critica al programma di Gotha)
Quali sono allora le forme di conflitto dentro all’egemonia culturale neoliberista?
Non lo sappiamo, ovviamente. Ma sappiamo che dobbiamo ripartire da qui: dall’interrogarci sulla fondatezza delle pratiche di lotta e dei discorsi politici che mettiamo in campo. Troppo spesso le nostre azioni politiche sono ritualizzate (cortei commemorativi, scioperi preavvisati) e musealizzate (es. gender studies). Altre volte sembrano invece rompere con il nostro quotidiano normalizzato, ma spesso sono solo carnevali (rotture della normalità circoscritte e regolate). In effetti sembra esserci stata una forte spoliticizzazione delle lotte… la cui cartina al tornasole, come ho cercato di dire, è la forte spoliticizzazione del linguaggio.
Allora ripartiamo da qui, da noi stesse e dalla ricerca di pratiche di rottura. […] l’importante è riferire il circolo “prassi-teoria-prassi” anche a noi stesse come corpo militante.
Quali sono i rischi di questa impostazione? Da una parte cadere nell’adagio cattolico “cambia te stessa per cambiare il mondo”, cioè: la tua postura morale influenza di per sé la postura morale della società. Dall’altra parte, interrogarsi sulla militanza può condurre ad una “colpevolizzazione” delle compagne e dei compagni. Su questo rischio vale la pena di spendere due parole e chiudere: i compromessi li facciamo tutti. Quasi tutti quando andiamo a lavorare, dato il forte isolamento e il forte ricatto, ci ritroviamo ad assumere atteggiamenti remissivi se non servili. Non si tratta di dire “compagne, o la militanza o il lavoro”, “integrità o morte”. Si tratta di chiamarci ad un esercizio di onestà intellettuale e responsabilità politica. Perché abbiamo urgente bisogno di inceppare meccanismi di autosabotaggio molto diffusi come, ad esempio, la prassi di sostenere una certa linea di azione o un certo programma politico non perché siamo convinte che sia davvero la scelta più efficace per spezzare la normalità dell’esistente (cioè per prendere il potere, quando torneremo ad avere la forza di desideralo), ma perché quel programma o quella linea di azione sono le scelte “più comode” per noi in quel frangente determinato della nostra vita privata, le “più integrabili” nelle nostre deliranti e precarie esistenze individuali. Stiamo ribaltando il senso della rivendicazione “Il privato è politico”. Altro meccanismo di autosabotaggio è quello per cui abbiamo smesso di fare polemica in ambiti assembleari o di movimento. Lo “scontro politico” non esiste quasi più. Quando tra gruppi o individui non si è d’accordo o si prova a ridurre quella divergenza ad un problema “personale” o “amicale”, o si prova a spostare il discorso sul piano del “metodo”, o si violano le regole della logica per rendere lo scambio incomprensibile ed evitare così il conflitto[…]
[…] aprire una discussione che, secondo noi, è una strada privilegiata per evitare di svegliarci tra altri 30 anni e capire che abbiamo lavorato, anche se in buona fede, contro noi stesse e contro i nostri desideri di liberazione.
FEMMINISMO: PARADIGMA DELLA VIOLENZA /NON VIOLENZA p.181
-Una rassegna di testi vari utili per una discussione sulla lotta contro il
carcere, dal punto di vista della critica radicale, sul mettersi in gioco,
metterci del peso, rispetto a quello che si dice e che si fa.

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Pubblichiamo volentieri questa iniziativa perché al di là della chiamata come <corteo contro il razzismo>, che potrebbe sembrare semplicistica e rituale, in effetti non lo è perché riconosce nella violenza sistemica e sistematica dello Stato la matrice della violenza che si esplicita nelle azioni dei singoli cittadini contro il <diverso> a qualsiasi titolo. Vorremmo aggiungere, quindi, quello che come femministe materialiste tentiamo di svelare da molto tempo e cioè che <il personale è politico> ma che <il sociale è il privato>. Vale a dire che, se tutto quello che potrebbe sembrare personale è il frutto della costruzione che capitalismo e patriarcato fanno di noi ed è lo specchio dei rapporti di forza e dei ruoli, allo stesso tempo anche tutto quello che il sistema di potere costruisce e impone dal punto di vista politico ed economico diventa metabolismo sociale e trasforma anche i rapporti sociali e personali. Uno Stato che usa quotidianamente una violenza inenarrabile per imporre i suoi diktat – repressione diretta anche delle minime azioni di dissenso arrivando all’arresto di sindacalisti e lavoratori o a condanne “esemplari” per militanti il cui unico problema è essere anarchici o a vendette plateali come per i condannati per il 15 ottobre, ricatto economico e lavorativo per chi si rifiuta di vaccinarsi e vendetta diretta con il diniego di reintegro al lavoro, stigma sociale nei riguardi del dissenso alla guerra degli Usa e della Nato in ucraina…e potremmo continuare senza soluzione di continuità- è chiaro che dichiara apertamente che vale solo la legge del più forte e che i conflitti, di qualsiasi tipo siano, si risolvono attraverso atti violenti e intimidatori fino alla soppressione dei soggetti più deboli, refrattari o semplicemente scomodi.

In solidarietà alla comunità nigeriana di Civitanova Marche e agli affetti di Alika Ogorchuku.
Appello alla città: dimostriamo da che parte stiamo.
Nelle questure, in mare, nei centri di espulsione, nel ricatto dei permessi di soggiorno, nella propaganda di tutti i partiti c’è solo l’apice della violenza di stato nei confronti delle persone immigrate. Attacchi sistemici che armano le violenze quotidiane come l’omicidio di Civitanova Marche.
A Roma il 10 maggio più di 100 unità della celere hanno sfrattato il Dhuumcatu, storica associazione romana dentro la quale si organizzano persone migranti e non per vivere e affrontare i problemi insieme.
Da quel giorno un ritmo incessante di minacce, controlli di documenti, un fantomatico allarme bomba, sanzioni per ogni iniziativa autorganizzata, incendi intimidatori, revoche pretestuose di permessi per spazi pubblici a firma del presidente del municipio con la complicità delle forze dell’ordine. Il clima ideale per le aggressioni che avvengono in strada.
Civitanova Marche può essere sotto casa nostra se non lottiamo ogni giorno.
Nessuno spazio al razzismo
Antirazzistx della città
✓ Aggiornamento sull’estate nelle carceri dello Stato italiano e non solo
✓ Trento 1970: utili spunti di lotta proletaria antifascista e di
svelamento dello stragismo di Stato

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ANNUNCIO DI SOSPENSIONE – NON DI CESSAZIONE – DELLO SCIOPERO DELLA FAME
Mi trovo nella spiacevole condizione di dover annunciare che interrompo questa difficile lotta senza aver ottenuto nulla di sostanziale. Tuttavia, questa battaglia non è finita e non intendo lasciarla in sospeso. La sospensione è temporanea; alcuni dei motivi sono ovvi. Alcuni non lo sono. Mi scuso con coloro che mi hanno sostenuto per non poterne condividere pubblicamente le ragioni in questo momento. Se fosse necessario ricominciarlo allora spiegherò pubblicamente e dettagliatamente i motivi per cui ho scelto oggi di fare questa pausa temporanea. Continuerò a richiedere ciò che mi spetta e spero di non dover ricominciare con questa forma di lotta.
Il sistema giudiziario è stato umiliato. L’unico successo dello sciopero della fame, finora, è che ha messo in luce le sue contraddizioni. Per quanto riguarda quello che ho cercato di mettere in piedi, ci sono stati i posizionamenti degli avvocati, cambiando la logica del “buttali dentro e butta via le chiavi”.
Ma la mia richiesta personale rimane in sospeso. E il mio impegno a non fermarmi sembra tradito a questo punto. Questo mi pesa, naturalmente, e sappiate che la mia intenzione è – se necessario – di continuare in un momento più proficuo nel prossimo futuro; ma come ho detto prima, non tutto può essere detto in questo momento e spero che non debba essere detto. Nel chiudere questo annuncio, voglio ringraziare di cuore tutti coloro che mi hanno sostenuto in qualsiasi modo. Chi ha preso posizione, chi ha trasceso i propri ruoli sociali perché l’empatia ha prevalso. Ma soprattutto chi ha lottato con le unghie e con i denti per rompere il silenzio forzato, chi è stato picchiato per strada per esprimere la propria solidarietà, chi ha rischiato e chi ha fatto lo sciopero della fame in prigione. A questi ultimi devo la mia vita. Se non fosse successo tutto questo, in questo momento non ci sarebbero le condizioni per sospenderlo.
Per ora è tutto. Attendo ancora con ansia il mio rilascio immediato. Tutto continua…
Iannis Michaelides
https://athens.indymedia.org/post/1620208/
