“41 Bis Il carcere di cui non si parla”

contro il 41bis

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Educare e punire nella scuola azienda

TUTTO È LECITO, NIENTE È CONCESSO

Educare e punire nella scuola azienda renziana

Sembra normale e ordinario vedere agenti in borghese e in divisa irrompere in un istituto pubblico, prendere a spallate gli studenti, chiamarli per nome e portarli via.

Indecorosa invece la protesta successiva degli alunni, le richieste di spiegazioni alla dirigenza, la voglia di mostrare tutta la loro rabbia.
C’è da distinguere due ruoli ben definiti in seguito agli ultimi accadimenti non solo nel Liceo Virgilio di Roma, ma avvenuti anche in altre città italiane come Modena o Bologna.

Il ruolo dell’educatore e quello di chi reprime e castiga.

La scuola è un luogo di formazione e crescita in cui ci si aspetta di essere al sicuro e avere un clima stimolante che garantisca il confronto. Il compito dell’educatore è di tutelare tutto ciò, salvaguardando la crescita di ciascuno studente, risolvendo le problematiche tramite dialogo e informazione.

Chi arresta non educa, spaventa. Chi proibisce e castiga senza spiegazioni o, alle volte, senza motivo, non fornisce una formazione ma applica una repressione totalitaria.

Allora perché è stato permesso proprio dal dirigente scolastico un blitz all’interno del cortile e l’installazione delle telecamere per controllare gli studenti? In nome della legalità, della sicurezza, del decoro.
La solita pantomima perbenista con cui si cerca di eliminare tutto ciò che è al di fuori della “pubblica decenza”. In questo caso specifico da eliminare è ciò che non si addice a un liceo altolocato come il Virgilio, che punta ad essere una “scuola d’eccellenza” secondo tre criteri base: ordine, disciplina e merito.
La figura del dirigente scolastico non ha più l’obbiettivo di creare quell’ambiente stimolante citato sopra, ma di sviluppare un modello di scuola basato sulla logica del mercato, in cui si cammina in fila, in cui niente è lecito ma, da parte della dirigenza, tutto è concesso, pur di stabilire il tanto agognato ordine.

Si cerca di dividere e disciplinare, andando a ledere qualsiasi forma di aggregazione, con ogni mezzo necessario. Lo spaccio non può e non deve esistere in tale realtà e non è un problema da risolvere ma un’indecenza da reprimere e annullare.

Vediamo come gli stessi strumenti politici utilizzati nelle città vengono riproposti in piccolo negli ambienti scolastici. Roma è governata da un prefetto sceriffo e un commissario sindaco che hanno il pugno di ferro su ogni tipo di lotta sociale, una politica puntata al pacificare i territori e “normalizzare” ciò che non è considerato normale, sempre secondo la pubblica decenza.

Si ricorre così alla militarizzazione della città, agli sfratti e agli sgomberi.
All’interno del Liceo Virgilio la dirigente scolastica colpevolizza e prende di mira l’unica organizzazione politica esistente in quell’ambiente (il collettivo), nega la possibilità di avere un luogo dove ritrovarsi(privazione dell’aula autogestita), impedisce la possibilità di riunirsi (scuola chiusa il pomeriggio) e minaccia l’intervento delle forze dell’ordine in ogni occasione di movimento o agitazione.

Il punto non è quindi lo spaccio all’interno degli istituti ma capire cosa e come sta cambiando la scuola come l’abbiamo sempre conosciuta.

L’ordine, la disciplina e il merito.
La scuola si evolve insieme al mondo del mercato, ora come ora l’investimento che si sta facendo su di essa a livello europeo è l’istruzione all’imprenditorialità, per cui l’obbiettivo della scuola è il profitto.

La valutazione è l’esempio lampante dell’aziendalizzazione progressiva degli spazi scolastici, questa infatti favorisce la concorrenza, la frammentazione e l’individualismo per cui se non sei in grado di fare una qualsiasi cosa e vieni valutato male, la colpa non è del sistema scolastico, non in grado di giudicare in base alle diverse capacità degli studenti, ma è solo e soltanto tua perché ti sei “meritato” ciò che ti spettava. Tutto ciò va inoltre a rimarcare le differenze socio economiche: chi ne ha la possibilità può prendere ripetizioni, comprarsi la nuova edizione del libro di testo o avere il tablet, chi non ne ha le facoltà non viene agevolato ma viene valutato allo stesso modo anche non avendo gli stessi mezzi. La valutazione meritocratica sviluppatasi negli ultimi decenni infatti non crea una differenziazione tra le competenze ma tende all’omologazione di ogni studente. Ad esempio se l’obbiettivo di due ragazzi di altezze diverse è di guardare oltre un muro, non possiamo pretendere che gli vengano date due scale di altezza uguale, che entrambi vedano allo stesso modo e vengano giudicati in base a ciò che vedono perché, ovviamente, il ragazzo più basso avrà una visione parziale.
In questo panorama non tutti possono essere competenti e meritevoli, così da alimentare la competizione e di conseguenza anche le dinamiche aziendali.
In questo panorama si attua un piano di depoliticizzazione progressiva per cui ogni spazio di confronto viene negato e la scuola non è più vivibile dagli alunni, ormai utenti di un ufficio qualsiasi.

Tutto ciò è stato messo in atto, su scala più ampia, dai test INVALSI che da anni valutano diversi istituti con diverse disponibilità economiche e didattiche allo stesso modo, premiando le più “meritevoli”. Anche qui si va a creare una dinamica per cui si costituiscono scuole di serie A, che vengono sempre più premiate e hanno sempre più possibilità, e scuole di serie B, abbandonate a loro stesse perché non possiedono gli stessi mezzi.
La soluzione è ricostruire dal basso quegli spazi che ci sono stati tolti col tempo, riprenderci la facoltà di creare dissenso e aggregazione dentro le scuole tramite i collettivi. Essere in grado di comunicare con una componente scolastica non politicizzata per ricominciare da ora verso una mobilitazione forte che vada a scardinare le logiche di un sistema scolastico basato sul profitto e sul mercato.

Una studentessa

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Janis Joplin-Summertime

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1 Aprile/ La Coordinamenta a Milano

La Coordinamenta alla Libreria Calusca

https://www.facebook.com/events/1299606396722988/

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venerdì 1 aprile 2016, ore 21
Calusca City Lights
via Conchetta 18 – Milano
presenta il libro

“I ruoli, le donne, la lotta armata / Questioni di genere
nella sinistra di classe”
a cura della Coordinamenta femminista e lesbica
[ottobre 2015]

Come femministe materialiste siamo consapevoli che tutte/i noi siamo un risultato sociale: il maschile e il femminile sono costruzioni strutturate sulle esigenze del modello socio-economico, in questo momento storico, capitalista neoliberista.
Tutto quello che noi siamo è una costruzione sociale, perfino il nostro essere fisico.
I ruoli sono parte fondante di questo modello e sono strutturati sulla gerarchia e sul comando e tanto più questo vale per i ruoli sessuati.
Insieme alle compagne che hanno attraversato l’esperienza della lotta armata e con cui ci siamo incontrate il 14 dicembre 2013 e il 13 aprile 2014 abbiamo cercato di capire se in un momento così particolare e di rottura della normalità come quello della clandestinità i ruoli sessuati si sono scomposti e/o ricomposti, se sono saltati e, una volta che le protagoniste sono state rigettate appunto nella cosiddetta “normalità”, che cosa è successo, che cosa è rimasto, come hanno vissuto tutto ciò…
Questi due incontri sono stati sorprendenti e ne sono scaturiti risultati che vanno ben oltre l’ambito femminista, riguardando la lotta politica e il movimento tutto, a conferma che l’analisi intrecciata di genere e di classe è uno strumento preziosissimo di comprensione dei meccanismi che informano la società. Tali risultati riguardano la necessità di spezzare la “normalità dell’esistente”, di ricostruire immaginari fuori da una società che viene presentata come l’unica possibile, di creare crepe… fessure… squarci… attraverso il sabotaggio delle sbarre visibili e invisibili che patriarcato e neoliberismo ci hanno costruito addosso, di praticare forme di lotta diverse dai rituali in cui il potere ci trascina e dai controrituali ch’esso stesso ci permette facendoci credere di stare lottando.
L’egemonia culturale del sistema si esprime anche in questo, nel coinvolgerci in lotte che non ci interessano, che non ci appartengono e cheb sono spesso contro di noi, nel dettare tempi, ritmi, scadenze e appuntamenti e farci credere che siano nostri…
La legalità patriarcale e neoliberista è violenza, la misura della nostra forza è la capacità di pensare e praticare un modo diverso di lottare e di vivere.

Le coordinamente

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In ricordo di Annamaria Ludmann

Annamaria Ludmann – Genova 28 marzo 1980

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Nicoletta Salvi -La Fica

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Nina Simone-Ain’t Got No. I Got Life

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Joan Baez

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Podcast della Trasmissione del 23/3/2016

” I Nomi delle Cose” /Puntata del 23/3/2016

”Quando la polizia entra nella scuola è dittatura ” e “Cose Nostre”

“Collegamento con una studentessa del Liceo Virgilio/ 24 Marzo/ COSE NOSTRE”

Qui la trasmissione  clicca qui

in collegamento con la Consultoria Autogestita di Milano/ Un ciclo di incontri sul ciclo/Un ciclo di incontri sulla vagina/ Mercoledì 23 marzo Secondo incontro su ” Vagina amica mia”

Qui il collegamento integrale con la Consultoria Autogestita

clicca qui

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sabato 26 marzo

sabato 26 marzo

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Condanna a 8 mesi per le compagne che hanno osato esporre uno striscione!!

Striscione per MartaLe compagne condannate a 8 mesi per la solidarietà a Marta!

Dalla lista femminista Sommosse

Luglio 2013. Manifestazione notturna al cantiere Tav di Chiomonte. Marta, una compagna pisana viene fermata dalla polizia dopo una violenta carica. Pestata, insultata e molestata sessualmente dalle forze dell’ordine, viene pure denunciata.

Alla prima udienza del processo il Movimento notav organizza un presidio per non lasciare Marta da sola ad affrontare quel difficile momento. Un gruppo di compagne, donne, amiche decide di portare uno striscione che oltre a solidarizzare con Marta, denuncia le violenze della polizia. “Se toccano una toccano tutte”. Un gesto di solidarietà femminista, contro la violenza maschile in divisa nei confronti di una compagna. Non fanno in tempo ad aprirlo per appenderlo fuori dal tribunale che la polizia carica,  manganella e poi denuncia. In un processo farsa in cui le molestie subite da Marta vengono completamente rimosse così come le ragioni del presidio, le compagne vengono accusate di ogni sorta di reato. La Pm punta il dito sul “clima festoso” del presidio a indicare la pretestuosità  della presenza del movimento. Per la Pm le donne presenti avrebbero dovuto vestirsi a lutto e piangere tutte le loro lacrime per dimostrare il loro dolore per la vittima? Una reazione determinata da parte di quelle donne è un fatto così inaccettabile e incomprensibile? Ancora la Pm insiste con una testimone sul fatto che non avendo subito lei stessa violenze sessuali non avrebbe potuto capire e quindi solidarizzare con una donna che invece quelle violenze dice di averle subite. Queste sono solo alcune delle perle che si sono sentite durante il processo. Oggi la sentenza e la condanna a 8 mesi per chi ha osato esporre lo striscione.

Giustizia è fatta. La loro.

La giustizia secondo il tribunale di Torino (sulla sentenza presidio per Marta)

http://www.notav.info/post/la-giustizia-secondo-il-tribunale-di-torino-sulla-sentenza-presidio-per-marta/

Si è concluso questa mattina il processo a carico di sei Notav imputati per aver tentato di appendere uno striscione all’inferriata del palazzo di Giustizia di Torino. La sentenza è stata per tutti di condanna con pene che vanno dagli 8 ai 9 mesi di reclusione, esattamente come aveva chiesto la Procura (per quattro era contestata anche il reato di resistenza da cui sono stati assolti)

Era il 26.7.2013 quando un centinaio di Notav si diedero appuntamento davanti al Tribunale per accompagnare Marta, ancora provata fisicamente e psicologicamente dalle violenze, anche di carattere sessuale, subite ad opera di alcuni agenti di polizia nel corso della passeggiata notturna del 19.7.2013 in cui furono fermati nove manifestanti, di cui sette arrestati.

Marta quel giorno doveva essere sentita dai Pubblici Ministeri (i soliti) sia come indagata (poi assolta) che come persona offesa. Fu accompagnata e sostenuta dall’affetto di donne ed uomini del Movimento ai quali fu impedito di appendere all’esterno del palazzo uno striscione con la scritta “SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTTE, NON UN PASSO INDIETRO, SOLIDARIETA’ A MARTA – COMPAGNE NO TAV”. Proprio mentre Marta entrava per incontrare i Pubblici Ministeri la polizia caricò i presidianti, ferendone alcuni con i manganelli, di cui fecero il solito indiscriminato uso. Gli identificati furono poi indagati per violenza aggravata a pubblico ufficiale perché, così ha sostenuto la Procura, non rispettarono il divieto di appendere lo striscione.

A nulla è valso provare e documentare che tale ordine, peraltro espresso a suon di manganellate, era del tutto illegittimo posto che sui cancelli del Tribunale, di Torino come di altre città, sono sempre stati appesi striscioni, cartelloni e vessilli vari, anche da parte dello stesso Movimento No Tav (v. Operazione Hunter).

Tra 60 giorni verranno depositate le motivazioni di tale condanna e capiremo con quali argomentazioni il Tribunale di Torino riuscirà a giustificare una condanna tanto iniqua, ma due circostanza vanno da subito evidenziate.

La Procura ha portato avanti l’accusa non solo recependo, acriticamente e pedissequamente, le indicazioni della Questura di Torino, ma, mettendoci del suo, ha svillaneggiato, evento peraltro non raro, i testimoni della difesa. Il Pubblico Ministero (una donna, così come donne sono i componenti del Collegio Giudicante), oltre al tentativo incessante di screditare le dichiarazioni delle testimoni, è infatti giunta a chiedere ad una di loro, forse per cercare di comprendere le ragioni di un sentimento solidaristico che evidentemente non le appartiene, se avesse mai subito personalmente molestie sessuali. Il Pubblico Ministero deve dunque aver ritenuto che la solidarietà a Marta potesse essere legittima o comprensibile solo se espressa da donne che avessero sperimentato in prima persona la brutalità delle ff.oo. e la violenza sessuale. Ma d’altronde appare ormai sciocco, o quanto meno ingenuo, aspettarsi giustizia, o anche solo umana comprensione da coloro che hanno archiviato la stessa vicenda di Marta asserendo che i palpeggiamenti dovevano intendersi come accudenti manovre di soccorso e che dare della “puttana” ad una fermata costituisca una semplice “generica imprecazione”.

Mentre oggi la Magistratura torinese esprimeva la sua sempre meno autorevole giustizia pronunciando la condanna di chi si era già visto manganellare dalle forze dell’ordine e spingere in mezzo alle macchine che transitavano davanti al Palagiustizia per aver espresso solidarietà ad una vittima di quegli stessi agenti, contemporaneamente, fuori dal Tribunale, altri, del tutto ignorati dalle forze dell’ordine pure presenti, appendevano cartelli e cartelloni per denunciare altre e diverse ingiustizie. Ma non erano No Tav e, soprattutto, non denunciavano le brutalità della polizia.

E, sempre oggi (che bella giornata!), apprendiamo della promozione a Questore di chi, tra gli altri, proprio il 19.7.2013 dirigeva l’operazione di Ordine Pubblico che ha portato all’accerchiamento in Clarea dei manifestanti, al loro arresto, alla loro umiliazione fisica e psicologica, alle violenze da tutti subite ed alla violenza sessuale esercitata su Marta.

COMPLIMENTI E FELICITAZIONI!

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25 marzo, Viva la Commune!

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VIVA LA COMMUNE!!!!!!

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Podcast della Parentesi del 23/3/2016

La parentesi di Elisabetta del 23/3/2016

“24 Marzo”

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La Parentesi di Elisabetta del 23/3/2016

“24 Marzo”

Morire-di-Zastava_large Il 24 marzo 1999 è una data da non dimenticare. E’ la data in cui  l ‘Alleanza Atlantica, guidata dagli Stati Uniti, Bill Clinton presidente e Madeleine Albright Segretario di Stato, senza alcun mandato delle Nazioni Unite, avviava la campagna militare “Allied Force”, che, avrebbe determinato in breve tempo il completo collasso della Repubblica Federale della Jugoslavia. La lunga strada verso Damasco è cominciata da Belgrado. Questo è stato possibile perché in Europa erano al governo i socialdemocratici, comunque si chiamassero, in Germania era Cancelliere Gerhard Schroder dell’SPD, in Francia  primo ministro Lionel Jospin del Partito Socialista ,in Inghilterra  primo ministro Tony Blair del Partito Laburista e in Italia primo ministro D’Alema, con il PdCI che faceva parte dell’esecutivo, e segretario generale della Nato era un alto dirigente del PSOE ,Javier Solana.

Il neoliberismo, per potersi realizzare, ha potuto utilizzare e ha potuto contare sulla socialdemocrazia che, diventata destra moderna, ha trasformato i partiti locali in agenzie territoriali delle multinazionali e i suoi dirigenti in funzionari delle stesse.

Ed abbiamo assistito al ritorno della guerra in Europa, sia pure in forma di aggressione unidirezionale.

Il secondo governo D’Alema fu costituito proprio per poter aderire e partecipare all’aggressione alla Jugoslavia. Furono imbarcati anche noti fascisti e il PdCI era nell’esecutivo con il suo segretario ministro della giustizia. Non passando attraverso l’autorizzazione del Parlamento e violando gravemente l’articolo 11 della Costituzione, l’Italia partecipò ad una campagna di aggressione militare condotta unicamente dal cielo, costellata di bombardamenti che non risparmiarono le strutture civili come case, ospedali, scuole, fabbriche. Fu bombardata la sede della televisione jugoslava e la sede dell’ambasciata cinese a Belgrado. Ogni crimine venne perpetrato. Furono usate anche bombe all’uranio impoverito.

Il governo rimase indifferente a milioni di italiani/e che scendevano in piazza contro la guerra. Le scritte sui muri che denunciavano la responsabilità del governo D’Alema e l’aggressione venivano sollecitamente cancellate dai sindaci del PD che mobilitavano le squadre per il decoro urbano.

Ancora oggi non sappiamo quanti operai siano morti sotto le macerie dei bombardamenti delle fabbriche. Quanti i civili uccisi. Ma sappiamo con certezza che ancora adesso nei territori dell’ormai ex Jugoslavia si muore per effetto delle conseguenze dell’uranio impoverito, che anche militari italiani sono morti per questo e che le acque del mare Adriatico sono inquinate pesantemente, come del resto le acque del Mediterraneo, perché gli aerei che hanno partecipato all’aggressione alla Jugoslavia come del resto anche a quella libica, avevano l’ordine di sganciare in mare nel viaggio di ritorno gli ordigni inutilizzati, con buona pace dei Verdi sponsor di tutte le aggressioni Nato.

Vi furono molti esposti a molte Procure, tutti respinti o fatti decadere, mentre centinaia di militanti e pacifisti/e furono denunciati, processati e condannati.

La data del 24 marzo, quindi, è tanto più importante oggi che gli Stati Uniti spingono perché l’Italia si imbarchi in un’avventura neocoloniale in Libia. Sarà un caso, ma gli stessi circoli del PD che allora promossero l’aggressione alla Jugoslavia oggi escono dal loro letargo e spingono per l’avventura libica.

Senza giri di parole, stiamo parlando di Massimo D’Alema. E chi l’appoggia se non Giorgio Napolitano che fu lo sponsor principale dell’aggressione alla Libia del 2011? Potremmo definirlo un teatro dell’assurdo se le vicende non fossero così tragiche: coloro che sono stati la causa principale della rovina della Libia oggi si trovano in prima fila per spingere l’Italia a ritornare da colonizzatrice in quello sventurato paese.

Il PD è un partito guerrafondaio nella misura in cui tutela gli interessi delle multinazionali e in particolare di quelle anglo-americane.

Attualmente, le mobilitazioni che pure sono state indette contro le nuove avventure militariste hanno avuto poco seguito, checché ne dicano gli organizzatori. Ma questi ultimi dovrebbero fare autocritica per il silenzio, quando non per l’assenso alle precedenti avventure neocoloniali. Come possono avere fortuna mobilitazioni che sono promosse con sigle e figure screditate per aver partecipato alle precedenti aggressioni ed aver votato i crediti di guerra? Ora che sono all’opposizione vorrebbero cavalcare i sentimenti pacifisti, ma nessuno dà loro più credito. Hanno fatto da cassa di risonanza a tutte le più grossolane bugie dette dalla NATO, da massacri di massa mai esistiti e ricostruiti attraverso false testimonianze e riprese e foto manipolate a rivoluzioni colorate e a primavere arabe, usando parole come “tiranno” o “novello Hitler” come un marchio itinerante per far fuori tutti i politici asimmetrici agli interessi americani, avallando il TPI, tribunale penale internazionale che non è altro che un braccio del Dipartimento di Stato americano.

Ricordare il 24 marzo serve per poter ricominciare perché i 600 raid aerei giornalieri fatti contro la Jugoslavia non solo hanno raso al suolo quel territorio ma hanno anche distrutto la credibilità del termine “sinistra” di cui la socialdemocrazia ha fatto strame.

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Perché la Valsusa paura non ne ha!

Appello Pasqua a Venaus, perchè la Valsusa paura non ne ha!

 ” La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. Qui, dove anche per perdere bisogna sapersi battere.” (Jean-Claude Izzo)
 lunedì-28

Il 15 marzo scorso 8 attivisti del movimento No Tav, grazie ad una becera operazione messa in campo dal corpo dei carabinieri e dalla procura, si sono visti perquisire casa e notificare obblighi di firma giornaliera e arresti domiciliari con restrizioni.

In quello stesso giorno è stato anche perquisito e violato uno dei luoghi simbolo della nostra lotta. Il presidio di Venaus, figlio della resistenza dei nostri tempi in Valle di Susa. Durante la perquisizione sono stati richiesti i permessi, le bollette e il giorno successivo il sindaco è stato convocato in caserma. Sono state fatte troppe domande per pensare ad un semplice controllo. Tutto questo ci fa dire che questo luogo è sotto attacco, rischia come tutti gli attivisti coinvolti anche lui delle “misure cautelari”.

Il presidio non è solo mura di legno e distese di campi alle pendici della grigia autostrada. Il presidio è casa. Lo è per chi lo ha costruito, per chi lo ha visto nascere, per chi ci vive da 10 anni, e per chi ci è stato solo per un giorno per conoscere il tanto discusso movimento No Tav. E’ casa per chi vuole lottare e per chi crede ancora che un altro futuro è davvero possibile.

Forse i governi che da anni portano avanti senza se e senza ma questa assurdità hanno timore di tutto questo. E noi non possiamo fare altro che dargli ragione. Quest’operazione, come tutte le altre precedenti e future, forse voleva essere un tentativo per farci abbassare la testa, per farci fare un passo indietro, ma non è altro che la dimostrazione della tristezza e dell’inutilità di questo progetto che da 25 anni tentano di imporci con qualsiasi mezzo.

La settimana appena passata è stata teatro di iniziative di risposta immediata, dalla fiaccolata di giovedì alla festa al presidio di domenica.  Ma non ci fermeremo sicuramente qui.
Invitiamo quindi tutti a mandare un pensiero, un messaggio, un attimo del loro tempo per questo luogo. La storia di questi anni ci ha insegnato molto, il cercare punti comuni ci ha fatto marciare insieme tante volte e lo vogliamo fare ancora, nel rispetto delle differenze e trovando la forza laddove le difficoltà e i sogni ci uniscono.

Invitiamo dunque tutti gli amici e i compagni a festeggiare le feste di Pasqua alla moda nostra al presidio di Venaus, per dimostrare ancora una volta e tutti insieme che la Valsusa paura non ne ha!

Avanti No Tav!

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