Assemblea Nazionale alla Sapienza 22 gennaio 2017

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Siamo quelli che hanno detto NO in piazza alla Leopolda di Firenze il 5 novembre, il 27 novembre a Roma e il 4 dicembre nelle urne. Siamo scesi in piazza in decine di migliaia di persone a Roma, venendo dalle grandi città e dalla province, dai territori devastati dalle grandi opere, dalle periferie e dalle zone terremotate. Siamo le stesse persone che, tra milioni di altre, hanno respinto la riforma costituzionale: i giovani e giovanissimi, gli abitanti del Sud Italia e tutti coloro per cui la povertà è un certezza e il futuro un dubbio.

La partecipazione al voto è stata un segnale di rifiuto all’arrogante progetto di Renzi e del Partito Democratico sull’immiserimento dell’Italia. Un progetto fatto da abbassamento del costo del lavoro con il Jobs Act, speculazione sui territori con lo Sblocca Italia, la negazione dei più basilari diritti con il Piano Casa, la privatizzazioni dei beni e dei servizi pubblici a causa del pareggio di bilancio, la trasformazione delle scuole in aziende con la Buona Scuola.

Sappiamo bene che tanti partiti politici, anche xenofobi e razzisti, hanno rivendicato la vittoria del NO, ma non possiamo non notare come nelle città in cui le lotte territoriali hanno prodotto una partecipazione popolare la delegittimazione della riforma abbia raggiunto percentuali di voto importanti: dalla Val Susa alle assemblee dei quartieri di Napoli, dalla Laguna veneziana alle coste trivellati dei nostri mari.
Pochi minuti dopo l’esito del referendum abbiamo visto gli sconfitti riciclarsi ai posti di governo, mostrando arroganza e disprezzo nei confronti delle volontà di chi è andato alle urne.
Renzi prima ha messo in atto l’ultimo show con le sue dimissioni, poi si è trasformato in Gentiloni, personaggi come la Boschi venivano addirittura promossi mentre i ministri delle riforme mantenevano le loro poltrone e difendevano il loro operato, disposti a tutto pur di garantire la continuità clientelare del Partito Democratico.

Sapevamo da subito che il 4 dicembre non sarebbe stato il punto di arrivo, ma l’inizio di una nuova fase di mobilitazione che si opponga, al di là di Renzi, a chi pensa di mantenere lo status quo, ovvero la generalizzazione della miseria per i molti e dell’arricchimento di pochi. Gentiloni non è altro che la continuità delle misure di austerità e impoverimento imposte dall’Unione Europea, e sono queste le politiche che dobbiamo contrastare.
E’ questo governo che rappresenterà l’Italia nei prossimi mesi in chiave internazionale, attraversando passerelle di autocelebrazione delle virtù dell’Unione Europea come quella prevista per il 25 Marzo a Roma. La stessa Europa che mentre smantella i diritti, indirizza le responsabilità della sua gestione fallimentare della crisi contro i più poveri, soprattutto i migranti. Per questo motivo la data dell’anniversario dei Trattati di Roma rappresenta una possibilità di mobilitazione per ridare corpo e voce al NO sociale. Capiamo insieme come.
I tanti temi delle realtà e dei comitati che hanno animato la campagna “C’è chi dice NO” hanno trovato negli scorsi mesi dei momenti di condivisione. La loro mobilitazione allude ad un cambiamento radicale delle condizioni di vita del presente e non si limita ad opporsi alle riforme strutturali dei governi della crisi.

Non ci interessa la competizione elettorale tra partiti, ma le ragioni che hanno portato diciannove milioni di cittadini ad esprimersi contrariamente alla riforma costituzionale.
Sono i contenuti reali delle lotte e delle iniziative sociali a dover essere messi al centro di un dibattito collettivo e aperto con una grande occasione di confronto, che proponiamo per domenica 22 gennaio alle ore 13.30 all’Università della Sapienza a Roma.

MOVIMENTI E TERRITORI DEL NO SOCIALE

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21 gennaio 2017 al CIE di Ponte Galeria!

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CIE e deportazioni

CIE e deportazioni – La libertà è il fuoco della rivolta: perché lottiamo contro Cie, frontiere e accoglienza

 https://hurriya.noblogs.org/post/2017/01/16/cie-e-deportazioni-la-liberta-e-il-fuoco-della-rivolta-perche-lottiamo-contro-cie-frontiere-e-accoglienza/

A seguito delle dichiarazioni del ministro dell’Interno Minniti di voler aprire un CIE in ogni regione, puntando a una capienza complessiva di 1600 posti, i Centri di Identificazione ed Espulsione sono tornati al centro dei riflettori mediatici e della pubblica attenzione.

Le dichiarazioni del governo non ci stupiscono. A seguito degli attentati nel cuore d’Europa, dal Bataclan a Nizza sino al recentissimo attentato di Berlino, la paura di “attacchi terroristici” è divenuta parte del quotidiano. Basti pensare all’agghiacciante vicenda del cinema evacuato a Torino perché madre e figlia sordomute, di origine maghrebina, avevano destato sospetti e scatenato il panico solo perché comunicavano su Whatsapp. I governi d’Europa, artefici e complici dei massacri in medioriente, sfruttano il terrore di ritorno per rafforzare il paradigma dello stato di emergenza permanente e rispolverare le solite armi: contenimento degli stranieri irregolari e potenziamento della macchina delle espulsioni.

Ogni anno in Italia 5000 donne e uomini senza documenti vengono prima rinchiusx e poi condottx su un aereo destinato al rimpatrio nel pesantissimo silenzio generale. Non pago, il governo italiano vuole intensificare gli accordi bilaterali tra l’Italia e i Paesi di origine, per rendere più veloci ed efficienti le deportazioni. Ad oggi l’Italia mantiene tali accordi con Egitto, Tunisia, Nigeria e Marocco, Paesi che applicano leggi contro l’omosessualità, che ammettono la tortura di Stato e la condanna a morte e che perseguitano attivisti contrari al regime e giornalisti. Paesi, tra l’altro, che accettano tali accordi in cambio di afflussi di capitale destinati a ristrutturazioni in chiave neoliberista.

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Need for Speed

Need for Speed

Pubblicato il 15 gennaio 2017 · in Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

padre e figlioLa corsa verso le prossime elezioni sembra essere una gara da vincere rallentando.
Berlusconi, che era stato fra i principali sponsor di Renzi, adesso punta a bollirlo a fuoco lento. Il suo piatto preferito è sempre stato la zuppa di delfino. Come Saturno, Berlusconi è un padre che divora i suoi figli. Sul menù di quest’anno c’è Renzi, col suo bisogno di correre al voto prima che la carrozza dorata che l’ha portato al potere finisca di tornare la zucca marcia trainata da sorci che in realtà è sempre stata.
Sulla partita delle riforme il Cazzaro s’è giocato tutta la posta. E l’ha persa.
Il suo buttarsi disperatamente a pancia in giù sul tavolo verde nel tentativo di recuperare le fiches perdute è patetico.
Renzi rappresentava il tentativo dell’establishment d’intercettare il voto antisistema con un falso rinnovatore.
L’esperimento è fallito.
Per quanto gli piacerebbe, Renzi non può ripresentarsi in scena, e ricominciare a promettere quelle stesse cazzate che sono state appena smascherate, e respinte a calci in culo.

Se Renzi ha fretta, a Berlusconi serve invece che il governo Gentiloni duri il più possibile, gli cucini una legge elettorale proporzionale che spunti le zanne a Salvini, e soprattutto gli salvi le aziende.
Tira una brutta aria per le aziende degli sponsor di Renzi, come la FCA.
Ironia della sorte che la scalata di Vivendi a Mediaset somigli tanto a una trama di Dinasty.
Sulla stessa barca di Berlusconi ci sono ovviamente tutti i centristi, e la minoranza PD.
Anche la sentenza della Consulta, che con un cavillo depotenzia il referendum contro il Jobs Act, fa il gioco degli attendisti.

Cosa sia meglio per il Movimento 5 Stelle non è così scontato. Alcuni pensano gli convenga allontanare il voto il più possibile dal meltdown della giunta Raggi e dalla porta in faccia ricevuta dall’ALDE, benché in realtà non sembrino eroderne il consenso elettorale più di tanto.
Chi spera che qualche figura di merda possa danneggiare seriamente il M5S non ha ancora capito la lezione del voto USA.
Il raccapricciante Donald Trump, col suo ciuffo placcato oro e la sua corte di nerd neonazisti, è campione mondiale di figure di merda, eppure è stato preferito all’imperatrice bizantina Hillary Clinton da un numero di americani sufficiente a portarlo alla presidenza degli Stati Uniti, accompagnato dalla maggioranza parlamentare più ampia del secolo. Per le fabbriche USA sarà più difficile delocalizzare all’estero? Agli operai che l’hanno votato basta questo.
Anche se Grillo diventasse biondo e raccapricciante quanto Trump, anche se a Bruxelles lasciasse il gruppo Farage e si unisse al Circo Togni, anche se si scoprisse che a Roma fra gli infiltrati nella squadra Raggi c’era pure Filippo De Silva, comunque abbastanza italiani continuerebbero a preferire il M5S a quel PD ormai giustamente considerato il ferale maggiordomo dei peggiori vampiri della finanza nazionale e internazionale.

Nel 2012 la Lega era moribonda. A salvarla dal baratro dell’irrilevanza non è stato solo l’opportunismo di Salvini, che l’ha spostata dall’ormai sputtanato federalismo a più astute posizioni lepeniste, è stato anche il fatto che la semplice esistenza della Lega rispondesse a un bisogno degli elettori italiani creato dal tradimento del centrosinistra dimostratosi il più servile garante del grande Capitale.
A questo stesso bisogno, senza i limiti territoriali e i trascorsi berlusconiani della Lega, risponde il Movimento 5 Stelle. Il suo rifiuto di connotarsi a destra o a sinistra gli serve a rastrellare voti in entrambi i campi, ma anche a differenziarsi il più possibile sia dalle fetide frattaglie berlusconiane, che da quel centrosinistra meschino e corrotto diventato sinonimo di sanguisuga.
Al coro mediatico che incessantemente denuncia qualunquismo, complottismo, pressapochismo e doppiopesismo grillini, la reazione degli elettori è lo sticazzismo.
I grillini sono cialtroni? Sticazzi.
Gli esperti, i professionisti, i progressisti, i democratici ci stanno portando al macello, facendoci pure pagare lo scarrozzo.
Il salvataggio del Monte dei Paschi di Renzi ci costerà 100€ a testa. A tutti noi.
Compresi i malati che in ospedale finiscono sdraiati a terra per mancanza di letti e barelle.
I pensionati che dovranno restituire parte della loro pensione minima perché secondo il governo è stata sopravvalutata, mentre tutte le bollette aumentano.
I licenziati dai call center che hanno scoperto di non essere ancora abbastanza economici, perché altrove c’è sempre qualcuno più disperato di loro da sfruttare.
Di tutte le porcate infami riuscite al governo Renzi il Jobs Act è la peggiore. Per questo tutto l’establishment lo difenderà fino all’ultimo.
Per questo dobbiamo cancellarlo.

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Gallo Rojo/Silvia Pérez Cruz

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15 gennaio 1919/15 gennaio 2017

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“Si rivela qui non soltanto la generale insufficienza del primo immaturo stadio della rivoluzione, ma anche la difficoltà propria di questa rivoluzione proletaria, la peculiarità di questa situazione storica. In tutte  le rivoluzioni precedenti i contendenti entravano in lizza con la visiera alzata: classe contro classe, programma contro programma, stendardo contro stendardo. Nell’attuale rivoluzione i difensori del vecchio ordinamento non entrano in lizza sotto lo stendardo caratteristico delle classi dominanti, ma sotto lo stendardo di un ‘partito socialdemocratico’. Se la questione fondamentale suonasse apertamente e onestamente: capitalismo o socialismo, oggi non sarebbe possibile nessuna esitazione, nessun dubbio, nella grande massa del proletariato.”

Rosa Luxemburg/Rote Fahne, 21 dicembre 1918

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La Parentesi di Elisabetta dell’11/01/2017 e Podcast

Questa è l’ultima Parentesi in podcast, le prossime saranno solo scritte.

“Ci stanno raccontando”

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Ci stanno raccontando della fine delle classi sociali, ma le barriere tra queste sono fatte sempre della stessa materia…soldi, istruzione, famiglia, situazione professionale…e, invece di ridursi, tendono ad aumentare. L’unico elemento nuovo è l’iper borghesia o borghesia imperialista, comunque la si voglia chiamare, che si è organizzata come nuova aristocrazia e ha ridotto la restante borghesia a funzioni di servizio gettando il resto della popolazione nella precarietà, nella disoccupazione e dando ai lavoratori/trici soltanto la speranza di essere arruolati/e come nuovi servi/e. Tutto è accompagnato dal refrain della fine delle ideologie facendo un’opera di stravolgimento nella misura in cui la borghesia transnazionale, mentre esclude tutte le parole che finiscono in ismo, si presenta e si realizza come unica ideologia.

Questo è il quadro nuovo determinato dal neoliberismo che è sì il frutto dell’autoespansione del capitale ma che si pone con connotati diversi da quelli con cui si è manifestata questa autoespansione in passato e che è ora caratterizzata da una ridefinizione profonda dei rapporti di forza, presentata come crisi, che ha allargato a dismisura la platea dei poveri e le differenze sociali, perciò crisi scelta e voluta così come scelto e voluto è l’abbandono da parte del capitale di ogni politica keynesiana e la rottura del patto sociale.

Democrazia politica e democrazia sociale sono indissociabili. Tutto questo che esisteva in effetti solo a livello di racconto è venuto meno. Lo smantellamento del diritto del lavoro avanza inesorabile e paradossalmente il lavoro diventa un oggetto asociale, senza una regolamentazione collettiva rimossa nel nome di una presunta libertà personale. Oggi nella stagione della diffusione della robotizzazione del processo produttivo crolla la richiesta di forza lavoro. Pensare di recuperare non la piena occupazione ma almeno qualcosa di parziale è assolutamente impossibile ed è evidente che la lotta non può essere fatta contro i robot, con una forma attualizzata di luddismo, ma deve essere di natura immediatamente politica. Tanto più che si è approdati all’economia digitale che recupera l’idea di schiavitù e la ripropone sotto forma velata ma non meno dura e violenta.

Il neoliberismo è un’impostazione ideologica che si traduce anche nella dimensione economica per cui il lavoro è stato rimosso nella sua centralità, nella coscienza, nel pensiero, nell’immaginazione di tutti. Siamo tutti precari/e. E’ questo il destino che attende anche quelli che usufruiscono di una momentanea occupazione. Siamo tutti precari perché l’’impresa non è più un collettivo di lavoro, non è un luogo di lavoro, ma si rivolge a prestatori di servizi che utilizzano il tempo strettamente necessario per il servizio stesso. In questo quadro il rapporto con il lavoro va ridefinito, ferma restando la centralità della lettura marxista secondo cui è il lavoro che produce plusvalore ed è il capitalismo che lo espropria. Come leggere e vivere il lavoro in una società dove il capitale ne può fare sempre di più a meno utilizzando la tecnologia? E il tema del reddito di cittadinanza acquista un’importanza come non ha mai avuto in passato.  Evidentemente la risposta è solo nelle scelte politiche ed intorno a queste si devono organizzare le lotte per ridefinire i rapporti di forza.

E’ questa la ragione dell’aumento a dismisura di una pletora di così dette forze dell’ordine, in tutte le variegate accezioni, che si presenta ed è una compagine di novelli pretoriani a difesa del grumo di interessi dell’iper borghesia.

E’ evidente che il sistema, data una società articolata e complessa come quella attuale, non può reggersi rispetto ad una prevedibile conflittualità su una repressione continua seppure su larga scala come quella che sta mettendo in atto. Ha bisogno di ottenere un consenso il più largo e diffuso possibile. Perciò, questo quadro per tanti versi eccezionale richiede da parte del capitale multinazionale uno sforzo adeguato. Da qui la proliferazione dei Think Tank che, nati durante la guerra del Vietnam, sono stati perfezionati e a cui oggi si sono aggiunte organizzazioni non governative, blog, fondazioni, case editrici, cattedre universitarie con un’attenzione particolare all’utilizzo di un linguaggio di sinistra stravolgendone contenuti e significati, comunque tutti tesi a salvaguardare attraverso “dotte elucubrazioni” lo status quo. Una nota a parte riguarda i nicodemisti, questi non nuovi, che si distinguono per la capacità di non prendere mai posizione, di non affrontare mai le questioni sostanziali e di rifugiarsi nelle disquisizioni sul sesso degli angeli.

E così tutti questi ci stanno raccontando che le città ed i territori sono invasi dalle telecamere per la nostra sicurezza, che i navigatori satellitari sono necessari così non ci perderemo mai e saremo ritrovati in qualsiasi momento qualunque cosa ci accada, che i tornelli sui luoghi di lavoro servono a eliminare i “lavativi”, che la meritocrazia premia i migliori, che l’eliminazione del contante serve a combattere l’evasione fiscale, che comprare on line ci fa risparmiare tempo e fatica, che le pratiche via internet riducono la burocrazia, che non si può vivere e lavorare senza tablet e cellulari perché non saremmo abbastanza efficienti e connessi, che i bambini non devono più imparare a leggere, scrivere e fare di conto ma ad usare le nuove tecnologie, che i militari nelle metropolitane ci tutelano contro il terrorismo…mentre l’obiettivo è controllarci 24 ore su 24, entrare perfino nei nostri pensieri.

E così, in questo contesto, hanno alzato l’asticella. Ci vorrebbero raccontare che è necessario un organismo “indipendente” di tutela e di controllo della rete internet. Nella stagione delle “bufale”, delle false notizie, della manipolazione della verità, gli stessi che le promuovono e le diffondono si vorrebbero arrogare il diritto di decidere quali siano le notizie vere e quelle false in modo che abbiano corso solo quelle da loro prodotte che, senza tanti giri di parole, sono quelle della televisione di Stato e dei principali quotidiani nazionali. Non basta loro controllarci in ogni momento della vita nei modi più svariati, devono anche impartirci in esclusiva le direttive per i nostri percorsi mentali. Il pensiero in autonomia e la riflessione personale e politica non sono più tollerate.

Tutto quello che sta succedendo non è farina del nostro sacco, ma, ancora una volta, viene dagli USA. Tutto ciò è tanto più grave perché settori degli Stati Uniti che contano e che fino ad ora hanno dettato la linea politica ai presidenti di quel paese, compreso quello uscente, Barack Obama, spingono senza remore verso la terza guerra mondiale.

Di questo dovremmo preoccuparci veramente ed è una sfida non teorica ma concreta perché le conseguenze sarebbero devastanti.

Per questo alcuni, con riferimento ai tentativi di censurare le notizie da parte di chi ha il monopolio delle notizie false, sono ricorsi a esempi quali il Maccartismo, il Grande Fratello, il Ministero della Verità, tutti paragoni validi ma che non danno l’esatta misura della dimensione di questa proposta che è coerente e in sintonia con le caratteristiche precipue della società americana e neoliberista che è la realizzazione del programma nazista.

I paesi che più rischiano da una possibile guerra mondiale sono sei, caratterizzati da una particolare posizione geografica e dalla presenza ingombrante e soffocante della Nato, maniera elegante per dire gli Stati Uniti. Stiamo parlando dei tre paesi baltici, della Polonia, dell’Italia e del Giappone. Abbiamo due impegni pressanti, uscire dalla Nato e mandare a casa il PD.

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Solidarietà a Pola Roupa e Konstantina Athanasopoulou!

Solidarietà a Pola Roupa e Konstantina Athanasopoulou!

 

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La pappa pseudoprimitivista

La riproduzione artificiale dell’umano, ovvero la pappa pseudoprimitivista di Alexis Escudero – prima puntata

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In un primo momento, avevo deciso di non proferire verbo a riguardo del libro di Alexis Escudero “La riproduzione artificiale dell’umano”: se diamo credito all’aforisma che sostiene “bene o male, l’importante è che se ne parli”, far passare sotto silenzio la traduzione e pubblicazione in Italia di questo delirio antitecnologico – ma soprattutto omofobo, razzista e sessista – si rivelava, strategicamente, la migliore scelta politica.Purtroppo però, alcune realtà di movimento hanno deciso di dare spazio alla presentazione di questo testo, del quale immagino che – ad esclusione de* ferventi sostenitor* (e, dunque, di chi l’ha proposto) – non abbiano letto nemmeno l’estratto pubblicato su web: in caso contrario, mi sento di suggerire una seria autocoscienza sulle motivazioni alla base della scelta di  dare agibilità politica a simili obbrobri.Eppure, così è. In questi giorni il libro in questione verrà portato in giro per l’Italia, stasera a Torino, domani a Milano e poi a seguire (se volete sapere dove/come/quando… cercatevelo, non intendo fare ulteriore pubblicità a questo “evento”).  Ho deciso dunque di rompere gli indugi, e di scrivere poche (spero) righe di commento, auspicando che altr* prendano parola in merito.

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Deprezzamenti di genealogie e rivalità generazionali intollerabili.

Dalla pagina facebook di Daniela Pellegrini https://www.facebook.com/daniela.pellegrini.98499

DEPREZZAMENTI DI GENEALOGIE E RIVALITA GENERAZIONALI INTOLLERABILI.
…e non solo dentro certi gruppi

Trovo offensiva (e distruttivo e masochistico) una frase apparsa in fb riguardante l’assemblea preparatoria a Milano dell’8 marzo che :”dà lezione al femminismo storico” per assommare e per deprezzare uno stuolo di donne (comprese le loro madri nei secoli di resistenza) – ed erano allora davvero tante e determinate, donne in movimento (e non femminismo si chiamavano) che hanno aperto per TUTTE la strada della consapevolezza e delle VERE libertà e senza le quali e la loro affermazione di autonomia di sguardi ed azioni non avrebbe permesso a nessuna di intraprendere la strada dell’uscita dal patriarcato.
Potrei essere offensiva anch’io, nonna in questo percorso, e leggere in questo atteggiamento da “figlie” nel patriarcato che preferiscono allearsi e fare coppia (!!!?) coi loro cosiddetti “compagni “(di cosa?) che riconoscere ed affermare la propria autonomia e chiarezza. Preferiscono denigrare le proprie madri, vecchia storia patriarcale…e vecchie perciò loro (le figlie) e non altre.
Che poi ci siano madri che si alleano a tali figlie per compiacerle è il massimo della sfiga, loro e di tutte.
Dico anche però che non sono certo io ad essere in sintonia (e per non esserlo mai stata, mi hanno spesso definita “eretica”) con certi iter ed affermazioni teoriche e politiche che hanno voluto e potuto influenzare ed affermarsi ed hanno così forse in parte determinato la situazione aattuale.
Ma sono orripilata da altrettanti iter ed affermazioni/azioni attuali che vedo influenzate e dipendenti in una alleanza al subdolo neoliberismo patriarcale, quello che seduce nuovamente “al maschile” con lo specchietto per allodole (da mangiarsi in tutte le salse, come è sempre stato) del “concedere”(!!per renderli più ambiti che mai nella eroica lotta per il giusto) a TUTTI tutti i diritti…. E non certo RISPETTI. Quelli che dovremmo mettere al mondo con la “nostra” politica.
A cominciare in questo caso del RISPETTO nelle relazioni generazionali: la genealogia ci dà valore reciproco.
Non aspettiamo di accorgersene quando ci saranno “più maschi che femmine” e il patriarcato resterà l’orrido paradigma culturale per tutta la specie, e ritrionferà avendoci inglobate…e tutte felici e violente……

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Omaggio a Teresa Rebull/VISCA L’AMOR

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Podcast della presentazione di “Amore e lotta” al Nido di Vespe!

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9 gennaio 2013/9 gennaio 2017

Per ricordare Sakinè, Fidan, Leyla

Le problematiche sul fronte esterno non sono mai disgiunte da quelle sul fronte interno. I Paesi occidentali , Usa in testa, conducono le guerre neocoloniali, destabilizzano interi paesi e aree geografiche e contemporaneamente producono sul fronte interno la militarizzazione dei territori, l’impoverimento sempre crescente della popolazione, l’affossamento delle garanzie sociali, la strumentalizzazione dell’antirazzismo e dell’antisessismo. Ci dobbiamo sempre ricordare che la Turchia che conduce con una violenza inenarrabile la persecuzione della popolazione curda, è un paese che fa parte della Nato ed è tutto interno al progetto di destabilizzazione dell’area mediorientale che gli Stati Uniti e Israele stanno portando avanti con determinazione e senza esclusione di colpi. L’Isis non è altro che un prodotto di questa politica. E non dobbiamo mai dimenticarci il ruolo e la funzione dell’Italia in questo contesto: Ocalan è stato, di fatto, con la sua espulsione, consegnato alle autorità turche dal governo D’Alema, con il PCDI al governo, l’Italia fornisce ufficialmente armi all’Arabia Saudita che servono per reprimere il popolo yemenita e vengono, neanche tanto occultamente, passate all’Isis.

In questo quadro il modo migliore per ricordare e rivendicare il patrimonio politico lasciatoci da Sakiné, da Fidan e da Leyla è mettere all’ordine del giorno l’uscita dell’Italia dalla Nato.

Sakine, Fidan, Leyla.


Lunedì 9 gennaio dalle ore 16:00 alle ore 18:00 il Centro Socio-Culturale Curdo Ararat e la Rete Kurdistan Roma chiamano ad una manifestazione a Campo Dei Fiori, nei pressi dell’Ambasciata Francese;

Dalle ore 19 in poi, al Centro socioculturale Ararat, proiezione del documentario “Tutta la mia vita è stata una lotta”

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I Nomi delle Cose del 4/1/2017

I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/Anno 2016/2017-Nuova Stagione 

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Puntata del 4/01/2017

“Riflessioni femministe sul femminismo”

Apriamo il 2017 partendo da un articolo di Meghan Murphy per indagare su nove punti fondamentali che riguardano il femminismo

1) Essere una donna è centrale rispetto all’essere femminista perché il femminismo è un movimento  fatto dalle donne per le donne

2)Il femminismo non è un sentimento né un’identità, è un movimento politico 

3)Non c’è impegno politico senza ideologia. L’ideologia è l’insieme delle idee che definiscono un movimento politico. 

4)Il femminismo non c’entra con il politicamente corretto.

5)Il femminismo non è scontro generazionale, ma anzi cerca il collegamento con le donne che hanno lottato nel passato

6) Non si devono accusare le femministe di detestare il sesso e gli uomini come se questa fosse una brutta cosa.

7) Una femminista non può essere dalla parte del patriarcato

8) La donna oggetto e la nudità non sono la stessa cosa

9)Il femminismo non può essere accattivante perché il femminismo è lotta e come tale dice delle cose sgradite.

clicca qui

“CI TOLGONO LA GIOIA CI TOLGONO LA VITA / CON QUESTO SISTEMA FACCIAMOLA FINITA”

 

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6 gennaio 2017

Un augurio a tutte noi e a tutte voi!!!!!

 

JEAN TEPPERMAN, “Strega”

Mi dicevano
è meglio se sorridi a bocca chiusa.
Mi dicevano è
meglio se ti tagli i capelli lunghi,
così crespi,
sembri ebrea.
Mi zittivano nei ristoranti
guardandosi intorno
mentre gli specchi sopra il tavolo
riverberavano beffardi in infiniti
riflessi un volto rozzo, squadrato.
Mi chiedevano perchè
quando cantavo per le strade.
Loro alti, grandi al tè
coi loro modi melliflui, didattici
io con gli occhi sul piattino
che cercavo di nascondere la bomba
a mano nella tasca dei calzoni,
e mi rannicchiavo dietro il pianoforte.
Mi deridevano con riviste
piene di seni e merletti,
contenti come pasque
quando il primogenito del dottore
sposava una ragazza tranquilla e carina.
Mi raccontavano storie
di signore eleganti e sportive
e le loro diverse carriere.
Mi svegliavo la notte
con la paura di morire.
Costruivano schermi e divisori
per nascondere il desiderio
non bello a vedersi
a sedici anni
inesperta disperata
mi abbottonarono dentro vestiti
a fiori rosa.
Aspettavano che io finissi
per riprendere la conversazione.
Sono stata invisibile,
strana e soprannaturale.
Voglio il mio vestito nero.
Voglio che i capelli
mi si arriccino selvaggi.
Voglio riprendere la scopa
dall’armadio dove l’ho rinchiusa.
Stanotte incontrerò le mie sorelle
nel cimitero.
A mezzanotte
se ti fermi al semaforo
nel traffico umido della città,
guarda se ci vedi contro la luna.
Noi gridiamo,
noi voliamo,
noi ricordiamo e non smetteremo.

JEAN TEPPERMAN “Strega”, 1969.

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