“L’inganno e le bugie”
L’esperienza neoliberista oggi può dirsi compiuta. Sono alcuni decenni almeno che si sta realizzando ed attuando e dal colpo di Stato in Cile in cui è stata sperimentata sono passati più di quarant’anni. Ha rivelato di essere il risultato di un voluto e devastante inganno imperniato su delle bugie grossolane che parlavano di crescita economica della società e di esaltazione delle capacità dell’individuo che si sarebbero realizzate con il riconoscimento del primato del mercato, inganno a cui ha chiesto di sacrificare tutto, da un minimo di giustizia sociale alla tutela dell’ambiente, ai contratti nazionali, ad una equa retribuzione, alla sanità e all’istruzione pubblica e gratuita….
Ma, malgrado tutto ciò, l’ideologia neoliberista sulle virtù del libero scambio continua ad imporsi grazie ad un apparato economico e politico che viene presentato come un dogma.
Il centro della nuova religione sono gli Usa e il Regno Unito che impongono alle istituzioni multilaterali il bello e il cattivo tempo, che manipolano i dati e le informazioni scomode in particolare riguardo all’occupazione e al potere d’acquisto delle popolazioni. E fanno questo non solo e non soltanto nei riguardi dei paesi che una volta si chiamavano in via di sviluppo, ma anche dei paesi occidentali utilizzando il grimaldello dei partiti così detti di sinistra.
Il neoliberismo ha ottenuto il pieno controllo dell’agenda politica e intellettuale accusando chi lo critica di essere populista, di avere uno sguardo limitato al solo breve periodo e di dimenticare che il riconoscimento della necessità delle disuguaglianze, nel lungo termine, porterà a tutti grande ricchezza. E’ la variante del racconto sulle tragedie provocate ai popoli dell’Afghanistan, della Jugoslavia, della Libia e via dicendo secondo cui queste devastazioni sono mali passeggeri e comunque dei passaggi necessari che prefigurano per loro un radioso avvenire.
L’ultima chicca di queste teorizzazioni presunte obiettive è la scoperta che la libertà di scambio tra paesi con livello di produttività molto diverso può favorirne alcuni a scapito di altri, ma, guarda caso, viene ricordata solo e soltanto per il disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Cina e viene omesso che questo avviene di solito e quasi sempre a vantaggio degli Usa.
Gli Stati Uniti attraverso i loro ascari/esperti economici, che si autodefiniscono tutti rigorosamente di sinistra e sono ospitati sistematicamente nei giornali e nei blog sempre di sinistra, gridano allo scandalo e ritengono immorale e da affrontare con misure energiche il disavanzo statunitense nei confronti della Cina e invocano forme di protezione doganale. Si dimenticano che, appena nel 2015, gli Usa hanno proposto di sopprimere tutte le forme di protezione per le industrie nei paesi in via di sviluppo nell’ambito del WTO ed oggi vogliono far passare questo anche nell’ambito dei paesi ad economia così detta avanzata promuovendo a tutto campo gli accordi di libero scambio spaziando dai settori tradizionali alla proprietà intellettuale, dall’ambito pubblico fino agli investimenti e al cibo. Non solo ma gli Usa esercitano direttamente pressioni unilaterali sia nei confronti dei paesi occidentali che nei paesi in via di sviluppo a favore della liberalizzazione degli scambi.
La teoria del libero scambio è nata in Gran Bretagna, ma questa è stata assunta solo quando l’Inghilterra aveva acquisito una posizione di forza grazie alle barriere tariffarie mantenute per un lungo periodo. La teoria del libero scambio non era altro che un atto di imperialismo destinato a bloccare i progressi dell’industrializzazione del resto dell’Europa e che coincideva con il vantaggio tecnologico della Gran Bretagna che, prima, aveva utilizzato per tanti anni protezioni doganali per le merci straniere e riduzioni tariffarie per le esportazioni nazionali.
Se la Gran Bretagna fu il primo paese ad avviare con successo la promozione delle proprie industrie passando dal protezionismo al libero scambio, la seguirono, buoni secondi, gli Stati Uniti dove i dazi doganali sulle importazioni sono stati tra i più alti del mondo tra il 1830 e la fine della seconda guerra mondiale.
La consapevolezza che il libero scambio corrispondeva agli interessi britannici è stato il motivo vero della guerra civile negli Stati Uniti, non una scelta dettata da motivi etici o morali ma una strategia tesa a tutelare gli interessi nazionali.
Lincoln disse “Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo lo farei e se potessi salvarla liberandoli tutti lo farei e se potessi farlo liberandone alcuni e lasciando gli altri là dove sono lo farei ugualmente”. Niente nobili motivazioni. Continua a leggere→