Con Silvia e Anna da oggi in sciopero della Fame!

Questa la comunicazione di Silvia e Anna che da oggi 29 maggio sono in sciopero della fame! Solidarietà, vicinanza e lotta!

<Ci troviamo da quasi due mesi rinchiuse nella sezione AS2 femminile de L’Aquila. Ormai sono note, qui e fuori, le condizioni detentive frutto di un regolamento in odore di 41 bis ammorbidito.

Siamo convinte che nessun miglioramento possa e voglia essere richiesto, non solo per questioni oggettive e strutturali della sezione gialla (ex 41 bis): l’intero carcere è destinato quasi esclusivamente al regime di 41 bis, per cui allargare di un poco le maglie del regolamento di sezione ci pare di cattivo gusto e impraticabile, date le ancor più pesanti condizioni subite a pochi passi da qui, non possiamo non pensare a quante e quanti si battono da anni, accumulando rapporti e processi penali. A questo si aggiunge il maldestro tentativo del DAP di far quadrare i conti istituendo una sezione mista anarco-islamica, che si è concretizzata in un ulteriore divieto d’incontro nella sezione stessa, con un isolamento che perdura. Esistono condizioni di carcerazione, comune o speciale, ancora peggiori di quelle aquilane. Questo non è un buon motivo per non opporci a ciò che ci impongono quì. Noi di questo pane non ne mangeremo più. Il 29 maggio iniziamo uno sciopero della fame chiedendo il trasferimento da questo carcere e la chiusura di questa sezione infame.

Silvia e Anna>

 

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La Parentesi di Elisabetta del 29/05/2019

“La sveglia al collo”

Con l’espressione popolare “anello al naso e sveglia al collo”, di matrice chiaramente razzista, il comune sentire intende definire una persona che viene presa bellamente in giro e neanche se ne accorge, attribuendo questa ingenuità di comportamento ai popoli colonizzati e incapaci di gestirsi da soli e che, quindi, si possono abbindolare molto facilmente. Ma, mai come oggi, questa espressione è adatta a definire le popolazioni occidentali. D’altra parte il neoliberismo tratta i territori occidentali come colonie interne sia dal punto di vista economico che del controllo sociale e della militarizzazione. In tutti questi anni sono stati messi a punto una serie di meccanismi e di dispositivi che hanno profondamente modificato il comune sentire, annullato la capacità critica, azzerato la percezione del sopruso e dell’ingiustizia, anestetizzato la gente rispetto alla violenza che subisce quotidianamente, risvegliato gli istinti più bassi dell’essere umano dalla delazione al livore per i più deboli, dal servilismo alla perdita di ogni dignità personale e politica. E questo è tangibile, è definibile da alcuni misuratori alla portata di ognuno di noi. I militari con il mitra nelle strade, nelle piazze, nelle stazioni metro, in mezzo a gente che fa shopping, a turisti che scattano foto, a bambini che giocano ci raccontano di quanto la gente si sia assuefatta agli scenari di guerra, le  telecamere disseminate ovunque ci raccontano di come abbiamo completamente perso il rispetto per noi stessi, per la nostra dimensione privata, per il nostro quotidiano, per la nostra vita, siamo animali da pollaio, ogni tanto il padrone ne piglia uno, gli tira il collo e gli altri continuano a razzolare, la guerra ai poveri, a chi dorme per la strada, a chi chiede l’elemosina, a chi fruga nei cassonetti, agli immigrati, ma anche l’astio nei confronti ora di questa ora di quella categoria, dagli impiegati pubblici agli insegnanti,  descrive gente che ha perso qualsiasi consapevolezza della propria collocazione politico-sociale Ma perché mi è venuto in mente tutto questo? Ho letto sui media maintream due notizie.

La prima riguarda il varo a Castellamare di Stabia alla presenza del presidente della repubblica della più grande unità militare costruita dall’Italia nel dopoguerra. Ci costa, dicono, oltre 1 miliardo e 100 milioni di euro. E ci raccontano che è nata per servire la Protezione civile e che adesso sembra prepararsi ad accogliere gli F35. Si chiama Trieste ed ufficialmente è una Lhd, acronimo inglese per indicare una porta elicotteri. E, udite udite, ci dicono che ha una vocazione profondamente umanitaria, è una “nave di pace” insomma. D’altra parte se le guerre neocoloniali sono “umanitarie” perché non ci dovrebbero essere le navi da guerra “di pace”?

La seconda riguarda le alienazioni del patrimonio immobiliare organizzate dal Demanio per contribuire al maxi piano di dismissioni che dovrebbe portare quest’anno nelle casse dello Stato 950 milioni di euro.

La prima cosa che salta agli occhi è che questi 950 milioni di euro non pagano nemmeno la nave “di pace”.

Chiaramente perché, a detta di chi ci governa, ma anche e soprattutto, di chi ci ha governato prima che è l’autore principale di queste scelte, non ci sarebbero soldi, lo Stato cioè non avrebbe i soldi per mandare avanti lo stato sociale, non riuscirebbe a trovare i fondi per la sanità, per la scuola, per il lavoro, per le pensioni… Viene fatta una guerra senza quartiere ai dipendenti pubblici perché non sarebbero produttivi, alle strutture pubbliche perché sarebbero tutte in deficit, il patrimonio immobiliare pubblico sarebbe una zavorra e quindi va venduto per fare cassa, e anche il grande patrimonio privato italiano, ma non ci raccontano che a comprarlo di fatto non saranno i privati nel senso stretto della parola ma saranno strutture che in un modo, nell’altro e nell’altro ancora fanno capo alle multinazionali. E magari scopriamo per caso che il Monte dei Pegni, attività ed edificio storico del ‘500, un pezzo della storia artistica e sociale di Roma, non è più italiano ma austriaco perché ci raccontano che c’è la crisi, che l’economia è ferma. Ma si dimenticano di dirci perché.

Dovrebbero raccontarci che non c’è stata e non c’è nessuna crisi, o meglio che la crisi c’è per le classi subalterne e per i ceti medi ma che è una crisi cercata e voluta dalla borghesia trans nazionale o iper borghesia. L’impoverimento di vasti strati sociali è una precisa scelta economico-politico-sociale, l’ideologia neoliberista è l’asse portante della lotta senza quartiere tra multinazionali e Stati.

E’ chiaro che non è affatto vero che i soldi non ci sono, semplicemente non ci sono per lo stato sociale, per il lavoro, per la scuola, per la sanità, per le pensioni…perché vengono spesi altrove. E’ una scelta. Una precisa scelta ideologica.

Bisognerebbe evitare accuratamente di credere a questa barzelletta e di contribuire a rimbalzare il refrain che ci dobbiamo rimboccare le maniche, che ci dobbiamo rendere conto che i soldi non ci sono e che il tempo delle vacche grasse è finito. E’ vero che un tempo è finito. La società è stata trasformata dalle fondamenta. Non sono più applicabili le modalità di lettura che la sinistra ha usato fino a poco tempo fa, ma il metodo materialista di approccio al reale è sempre valido.

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28 maggio/Prendiamoci la città

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E’-STREET!!! 2019!! Riprendiamoci l’estate!

Ricomincia E’-STREET! E’-STREET – Riprendiamoci l’estate!

Che cos’è E’-STREET?

E’-street nasce da una riflessione che abbiamo portato avanti sul cosiddetto tempo libero.

Non intendiamo dare una definizione di cosa sia il tempo libero, ma concentrarci sulla sua accezione come tempo non esplicitamente produttivo.

Per chi ha un lavoro il tempo libero è quello esterno dall’orario lavorativo.

Per chi non ha un lavoro, ne ha uno precario o semplicemente ha smesso di cercarlo, il tempo esterno all’orario lavorativo è invece una condizione permanente.

Questo tempo è immediatamente produttivo in quanto caratterizza la condizione di ricatto cui siamo costantemente sottoposte/i ed è quello che tentiamo quotidianamente di liberare attraverso le nostre lotte:  dall’occupazione delle case alla lotta sui posti di lavoro, dalla riappropriazione di spazi e saperi alla lotta contro la devastazione dei territori.

Oltre al tempo del lavoro ed a quello del ricatto, dal nostro punto di vista crediamo che produttivo sia anche quel tempo che a prima vista definiremmo di svago; la messa a valore delle nostre vite passa anche attraverso la commercializzazione di emozioni, sensazioni ed esperienze. Consapevoli della complessità dell’argomento e non volendo trattarlo in maniera esaustiva, vogliamo concentrarci in particolare sul cosiddetto “tempo del divertimento”.

Abituati a considerarlo tra gli aspetti secondari del nostro intervento, siamo portati a viverlo individualmente e scisso dall’azione militante; come fosse una sacca che, se non estranea alle logiche del profitto, certamente ne è meno influenzata e vi è meno influente.

L’uscita serale, la vacanza estiva o la domenica al centro commerciale, sono momenti di consumo vincolati alla possibilità economica e pertanto inaccessibili a chi tale spesa non possa permettersela.

A fronte di tale inaccessibilità sono tuttavia fortemente legati alla nostra percezione di benessere: è proprio attraverso il desiderio che suscitano, quindi, che esercitano la loro influenza.

In questo senso è paradigmatica “L’Estate Romana”: quella collezione di eventi gratuiti sponsorizzati da banche e fondazioni private, di vetrine per lo shopping, di concertoni dai 60 euro in su… Grandi eventi i cui profitti sono garantiti dal divario tra costi di ingresso o consumazioni e lo stipendio orario di chi vi lavora: un successo tutto fondato sullo sfruttamento delle masse di precari e disoccupati accuratamente create durante il resto dell’anno dalle politiche di ricatto lavorativo.

Ad ospitare il tutto è sempre il centro della città, mentre le periferie restano abbandonate: quartieri dormitorio visitati solo durante le campagne elettorali, quando i politicanti di turno si aggirano per le strade, cappelletto alla mano, in cerca di voti.

All’interno di questo quadro abbiamo immaginato di creare un’alternativa al “pacchetto divertimento” offerto. Costruire momenti di socialità che non siano fondati sulla logica del profitto non vuol dire spendersi per una controcultura di nicchia da potersi rivendere in un secondo momento, ma riappropriarsi del proprio tempo libero, del proprio modo di viverlo: del nostro tempo di vita. Ed in quest’ottica abbiamo pensato “E’-street, quest’estate in città” come una cornice all’interno della quale le più disparate iniziative possano essere messe in comunicazione e presentate come un’alternativa reale all’estate romana ufficiale.

Da un lato vorremmo coinvolgere quella composizione sociale che in altri momenti difficilmente riusciamo ad intercettare: giovani che non vanno e mai andranno all’università, disoccupati, sottoccupati o lavoratori che nella routine quotidiana non trovano il tempo o il modo di partecipare a lotte e vertenze che magari, pur riguardandoli, ancora non sentono proprie.

Dall’altro vorremmo sperimentarci nel dar vita a momenti di festa che, anche se non immediatamente conflittuali, ci permettano di rinsaldare rapporti e di tentare un po’ di quelle forme di vita e socialità altre che vorremmo costruire.

Crediamo, infatti, che rivendicare ciò che viene fatto passare come “secondario” sia parte integrante del nostro agire politico; specialmente in un momento in cui lo smantellamento dello stato sociale e l’aziendalizzazione dei più disparati aspetti delle nostre vite vengono giustificati proprio in virtù di quest’essere “secondari” e quelli che sono diritti fondamentali diventano privilegi. In questo senso diviene quindi normale che i libri di testo abbiano costi estremamente elevati, che gli studentati siano distanti dalle sedi universitarie o che, come abbiamo visto accadere nei mesi passati al Policlinico Umberto I, un servizio essenziale come quello della mensa sia stato esternalizzato ad una cooperativa privata che trae profitto dalla scadenza del servizio stesso.

E’-street è una rete in cui le iniziative che animano i territori sono connesse e riconoscibilmente contro l’Estate romana ufficiale.

Consapevoli di come in ogni territorio ci si possa fare protagonisti/e di un’alternativa, facendolo vivere, anche solo una sera, così come noi vorremmo fosse quotidianamente.

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Pulizia

“Strumentalizzare la voce di bambine e bambini per spoliticizzare la lotta ambientalista è odioso. La lotta contro il cambiamento climatico è lotta anticapitalista. La lotta contro la produzione di rifiuti è lotta contro il capitale. Spieghiamo ai nostri figli che possiamo non usare le bottigliette di plastica ma che la battaglia contro le nocività è contro il Tav, contro le basi militari, contro il nucleare, contro le multinazionali. Altrimenti è solo in atto una pulizia delle spiagge, delle strade, delle campagne, delle coscienze e del capitalismo.”

Giu mannina

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La linia del front(Roba Estesa)

Ai mare, aneu a missa, que jo faré el dinar. Quan hagueu tornat de missa la casa buida serà. No em busqueu per rius i planes, busqueu-me on el sol es pon, que som dalt d’una carreta, cap a la línia del front. No ploreu pas per mi, mare, faig lo que em vau ensenyar: serem les dones valentes, sense por del que vindrà. Si Madrid cau la primera, Aragó també caurà. Si Aragó cau presonera, nosaltres caurem demà. Si no la lluitem nosaltres, ningú més la lluitarà.

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La videoconferenza nei processi, strumento di isolamento e vessazione!

Con Silvia, Anna e con ogni reclus*

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31 maggio 2019/Nuova udienza al tribunale de L’Aquila

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Con tutte le donne che si difendono!

L’autodifesa femminista non solo è lecita, l’autodifesa femminista è necessaria!

Una ragazza di 19 anni, a Monterotondo, vicino a Roma, ha ucciso il padre violento al culmine dell’ennesimo maltrattamento nei confronti suoi, della madre, della nonna, della zia.

Con tutte le donne che si difendono! Deborah libera! libera subito!

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Gilets Jaunes/ J’veux du soleil

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Riflessioni femministe sull’antifascismo

“Linea di demarcazione”

“….RESISTI RESISTI RESISTI…Resistenza è quando faccio in modo che ciò che non mi sta bene non accada più”  REFE,Relazioni Femministe-Digitalis Purpurea-dicembre 2012-Liberamente ispirato a “Disoccupate le strade dai sogni” di Alois Prinz

Abbiamo letto un po’ in giro che essere antifasciste/i oggi significa tracciare una linea di demarcazione netta. Ma tra chi? Tra che cosa? Ci sono i fascisti che si dichiarano apertamente tali, come Forza Nuova, CasaPound e via discorrendo che hanno alzato la cresta, così sembra, e vanno in giro a manifestare, a picchiare come è loro costume chi con loro non è d’accordo. C’è il fascismo di Salvini che non si dichiara apertamente tale ma che rappresenta il comune sentire di una parte di popolazione reazionaria, intollerante e razzista.  Poi c’è il fascismo neoliberista che si è incarnato in questi anni e continua ad incarnarsi nel PD, annessi e connessi, che è quello che ha costruito con pervicacia, in un lungo percorso, un’egemonia culturale basata sulla prevaricazione nei rapporti interpersonali e lavorativi, sul darwinismo sociale, sulla violenza razzista e neocoloniale delle guerre “umanitarie”,  sulla violenza razzista e classista della guerra tra poveri, sulla delazione dei cittadini come valore,  sul controllo sociale serrato e debordante,  sulla militarizzazione dei territori, sui campi di internamento e sulla trasformazione poliziesca dei servizi sociali. E che ha operato lo sdoganamento e la rivitalizzazione del fascismo in orbace attraverso la fascistizzazione del comune sentire.

Un pensiero diffuso quando si parla di rigurgito fascista è quello che ritiene che le politiche reazionarie e di abbattimento dello stato sociale con il conseguente impoverimento generalizzato portate avanti dal PD abbiamo causato un malcontento diffuso che ha aperto la strada ad una protesta di tipo reazionario e fascista ritenendo quindi che la socialdemocrazia riformista abbia compiuto una serie di errori che l’hanno allontanata da una visione di sinistra. Niente di più sbagliato. La socialdemocrazia riformista non è in errore, il pensiero fascista è la sua sostanza. Un fascismo moderno quindi, accanto al fascismo tradizionale in orbace, una destra moderna accanto a quella tradizionalmente fascista.

Il fascismo, al di là della collocazione storica e dei nostalgici fuori tempo, ha delle caratteristiche ideologiche precise che guidano l’approccio con il sociale e la visione economico-politica.

I principi fondanti del neoliberismo, di cui il PD, con i suoi gregari, è stato ed è il principale naturalizzatore, sono principi esplicitamente fascisti, ma sono stati veicolati attraverso linguaggi, segni, segnali, modalità, parole, atteggiamenti e strumenti tradizionalmente di sinistra. Questo ha fatto sì che alle persone non sia sembrato vero di potersi ammantare di una collocazione di sinistra, che ci sta sempre bene ed è un fantastico alibi, e assimilare, rimbalzare, fare propri, discorsi profondamente reazionari, perbenisti, forcaioli.

Questa è stata la grande vittoria del neoliberismo, l’aver costruito un’egemonia culturale improntata ad un pensiero di destra profonda in cui dominano il culto della legalità, il darwinismo sociale, il razzismo, l’individualismo sfrenato, il culto dell’arrivismo e della meritocrazia, la deferenza per l’autorità e la gerarchia, la superiorità del mondo occidentale rispetto agli altri popoli propagandata dalle guerre “umanitarie” e che spinge all’odio razziale, usando gli strumenti e il lessico di sinistra portati in dote dalla socialdemocrazia.

Il femminismo antagonista si è opposto e si oppone con tutte le sue forze a “dio, patria e famiglia” portati avanti com’è loro costume da fascisti, destra e clericali ma anche a “ordine, legalità, decoro, stato etico, pensiero unico” nella pericolosissima visione <politicamente corretta della socialdemocrazia riformista> che sotto le mentite spoglie di democraticità e di modernità ha la pretesa di imporre una nuova scala di valori improntati ad un antisessismo sessista, antirazzismo razzista, antifascismo fascista.

E’ vero, quindi, che è necessario tracciare una linea di demarcazione netta ma questa linea deve essere tracciata tra il fascismo tradizionale e quello neoliberista socialdemocratico da una parte e chi invece, dall’altra, al fascismo si oppone in tutte le sue espressioni. Questo è tanto più importante perché è proprio l’area socialdemocratica che ipocritamente si pone ora come antifascista e chiama all’antifascismo.

Tutti quelli e tutte quelle che si prestano a questo gioco sappiano che stanno lavorando per il fascismo neoliberista e non cerchino improponibili alibi. 

Leggere anche qui:

Siamo tutte Lavinia!

Il fascismo, quello di oggi

Ri-Conosci il fascismo… Continua a R-Esistere

Il neoliberismo fascista

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La difficoltà di avere difficoltà

La difficoltà di avere difficoltà

Denys

Ho difficoltà a fare molte cose.

Non so condividere i miei spazi, non senza impazzire. Non so cominciare e finire le cose con facilità. Non me la cavo granché col linguaggio del corpo e le sottili implicazioni emotive dei messaggi sottintesi. Non sempre riesco a comunicare a voce, e anche quando posso, avverto un enorme peso nel tradurre le mie immagini in lessico intellegibile. Non posso tollerare  i programmi stravolti di punto in bianco. Non so gestire più di un impegno al giorno, massimo due, per le mie energie limitate e per via dell’angoscia e del disorientamento che mi porta la gestione simultanea o sequenziale delle mie istanze quotidiane. Non esco molto di casa perché mutare spesso ambientazione mi stressa molto. Non ho realmente idea di come ci si faccia delle amicizie, o di come si manutengano i rapporti umani: devo i miei residuati di socialità a tutte quelle persone che fanno lo sforzo di perseguire la mia compagnia. Ho bisogno di fare tutto sempre allo stesso modo e di obbedire a piccole e grandi compulsioni utili e inutili che non sono dettate dallo sfogo di un’ossessione ansiosa ma da un’innata, non estirpabile, tendenza alla routine, e non posso non ammettere che mi sento a disagio nel continuare questo paragrafo rompendo lo schema che mi fa iniziare le frasi con un bel non. Ho dei sensi che funzionano in modo intenso e bizzarro, offrendomi la capacità di causarmi disgusto fino al vomito di fronte a molti sapori e consistenze; sentirmi benedetto sulla terra per le deliziose, friabili onde sonore di tarallo masticato sull’autobus dalla passeggera dietro di me; scoppiare in una immensa crisi di rabbia notturna graffiandomi le braccia e sbattendo la testa contro il mobiletto del bagno per via della irritante frequenza dei miei che russano e dell’insopportabile nenia di slinguazzamento che fanno i gatti nei loro riti di toelettatura, poiché dormiamo nella stessa stanza da vent’anni con buona pace del mio ineluttabile bisogno di privacy; avvertire la benché minima variazione di temperatura dunque non riuscire a tenere in mano una tazza moderatamente calda e ciononostante uscire spesso di casa con un abbigliamento inviso a ogni briciolo di buonsenso meteorologico, sudando a fiotti o sfidando la morte per ipotermia con gagliardo sorriso futurista e mani cianotiche. Regolare amministrazione autistica.

Molto tempo fa mi sono accorto di queste difficoltà senza accorgermene davvero. Ho assunto presto la consapevolezza che la mia percezione non corrispondeva alle percezione delle persone che incrociavo. Non che sia poi così difficile quando chiunque ti fa notare che una buona parte dei tuoi modi di fare e d’essere sono per così dire inappropriati, fuori luogo, strani. Dove non sono arrivato io con arguto dedurre, c’è arrivata la pressione sociale con le persuasive argomentazioni della persecuzione fra pari; anche fra dispari, vista l’annosa abitudine delle persone dotate di un potere ad abusarne. Lezione appresa. Diverso non si può, trovarsi in una brutta situazione è un crimine imputabile anche se non è un crimine e anche se non è stato commesso. I bravi bambini obbediscono. Io ho obbedito. Per fortuna ho quasi smesso, ora consumo solo mezzo pacchetto al giorno. Continua a leggere

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12 maggio 2019/Per Giorgiana e per noi

Per Giorgiana e per noi

Contro la militarizzazione e il controllo sociale sia reazionario che <politicamente corretto>!

< ” L’ordine regna a Berlino! ” Stupidi sbirri! Il vostro “ordine” è costruito sulla sabbia. La rivoluzione già da domani “di nuovo si rizzerà in alto con fracasso” e a vostro terrore annuncerà con clangore di trombe: io ero, io sono, io sarò!…> Rosa Luxemburg, 14 gennaio 1919 “Rote Fahne”.

“Era il rifiuto di dover fare sua la misura della illibertà come condizione desiderabile, in cambio della certezza che l’ingranaggio avrebbe continuato a funzionare e a dispensare anche a lei il poco che le spettava.
Com’è che a volte il meccanismo tramandato si inceppa?
e qualcuno dice no, io no. “Compagna luna/Barbara Balzerani 1998

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Internazionalismo e Questione Irlandese

Internazionalismo e Questione Irlandese

Intervista ad una compagna appena tornata dall’Irlanda del Nord

Parte seconda: Storia e Memoria/ Brexit/Attualità dell’internazionalismo/L’Irlanda del Nord laboratorio di militarizzazione e di controllo sociale

clicca qui

La Parte prima è stata fatta dalle compagne e dai compagni di Radiocane, eccola qui:

https://radiocane.info/free-derry/

Free Derry? Sugli scontri del 18 aprile a Creggan 

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Resoconto del presidio del 4 maggio al CPR di Ponte Galeria

Resoconto del presidio del 4 maggio al CPR di Ponte Galeria

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

 

Sabato 4 siamo tornatx sotto le mura del C.P.R. di Ponte Galeria. Nonostante le difficoltà posteci dal meteo e non solo, il presidio ha comunicato in maniera molto forte con l’interno. Non avere l’amplificazione non è stato un problema dato il potente sostegno di alcunx compagnx della murga e l’ausilio di un megafono.

Le risposte da dentro sono state fortissime. Si è raccontato del corteo della scorsa settimana alla frontiera e delle lotte determinate che nei C.R.A (equivalente francese dei CPR) ormai da mesi si susseguono. Un’intermittente battitura e forti slogan sia da dentro che da fuori le mura ci hanno ricordato (se ce ne fosse bisogno) l’importanza di essere lì fuori; senza proclami né ricette su come portare avanti la lotta per la libertà, ma cercando di sostenere chi viene isolata e rinchiusa, le resistenze individuali e quotidiane quanto i momenti di organizzazione collettiva. Gli slogan urlati dall’interno ci dimostrano come i regolamenti e le separazioni imposte da chi gestisce il centro non sono servite a impedire l’autorganizzazione e la solidarietà.

Un volantinaggio pre e post presidio ha comunicato ax numerosx avventorx del festival dell’oriente la doppia faccia del capitalismo, che da un lato mette in circolo le merci per capitalizzarle e dall’altro impedisce la circolazione degli esseri umani rendendoli schiavizzabili. Il nostro sostegno va alle persone senza documenti che hanno deciso di scioperare lunedì 6 nelle campagne del foggiano contro questo sistema capitalista e assassino. Un abbraccio caloroso va a chi è fuggito dal CRA di Saint-Exupéry e si è guadagnato la libertà e a quelli che sono stati ripresi e si trovano ancora reclusi e a chi al CPR di Bari ha distrutto la sua gabbia.

Per la libertà di tutte e tutti.
Per un mondo senza autorità, patriarcato e capitalismo.

A seguire il testo del volantino distribuito

GUARDA C’È UN LAGER NELLA TUA CITTA’!

A Fiera di Roma, proprio davanti a te, c’è un lager. Donne senza documenti vengono prese per strada, nelle questure, nelle carceri di ogni parte d’Italia e portate qui, l’unico CPR (centro di permanenza per il rimpatrio) femminile in Italia, mentre altri ve ne sono in altre città per soli uomini. Anche qui vi era una sezione maschile, distrutta da una rivolta dei reclusi nel dicembre del 2015 e ad oggi continuano i lavori di ristrutturazione per riaprirla. Come qui, in ognuna di queste prigioni, sono quotidiane le resistenze di chi si trova imprigionato per mesi aspettando di essere rilasciato con un permesso di soggiorno, un foglio di via o, nel peggiore dei casi, messo su un aereo che per il rimpatrio. Forse non sai che molte di queste donne vengono da quell’Oriente di cui si parla oggi al festival a Fiera di Roma, dove si celebra il culto dell’esotico, “i colori, i profumi e le musiche di terre lontane” (cit.), ma l’unico colore che si vede qui è il grigio del muro che imprigiona, che separa la vita tra chi è fuori e dentro, tra chi ha un passaporto e può viaggiare per puro svago e chi no; l’unica musica che sentiamo è la voce delle donne che urlano “Libertà” o che rispondono al presidio qui fuori con delle battiture sulle sbarre. Siamo qui oggi per provare a far arrivare alle donne recluse un po’ della nostra solidarietà, perché le nostre voci rompano quell’isolamento in cui cercano di costringerle, per chiedergli di raccontarci quello che succede lì dentro. Fermati, non restare indifferente, non credere a chi celebra la “Roma che incontra il mondo”, la Roma multiculturale e accogliente… quel mondo oggi tanto idolatrato è presente qui dentro tutti i giorni, nascosto agli occhi di tutt*, portato ai margini della città.

Per un mondo libero da confini e galere
tutt* liber*

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