La Parentesi di Elisabetta del 29/05/2019

“La sveglia al collo”

Con l’espressione popolare “anello al naso e sveglia al collo”, di matrice chiaramente razzista, il comune sentire intende definire una persona che viene presa bellamente in giro e neanche se ne accorge, attribuendo questa ingenuità di comportamento ai popoli colonizzati e incapaci di gestirsi da soli e che, quindi, si possono abbindolare molto facilmente. Ma, mai come oggi, questa espressione è adatta a definire le popolazioni occidentali. D’altra parte il neoliberismo tratta i territori occidentali come colonie interne sia dal punto di vista economico che del controllo sociale e della militarizzazione. In tutti questi anni sono stati messi a punto una serie di meccanismi e di dispositivi che hanno profondamente modificato il comune sentire, annullato la capacità critica, azzerato la percezione del sopruso e dell’ingiustizia, anestetizzato la gente rispetto alla violenza che subisce quotidianamente, risvegliato gli istinti più bassi dell’essere umano dalla delazione al livore per i più deboli, dal servilismo alla perdita di ogni dignità personale e politica. E questo è tangibile, è definibile da alcuni misuratori alla portata di ognuno di noi. I militari con il mitra nelle strade, nelle piazze, nelle stazioni metro, in mezzo a gente che fa shopping, a turisti che scattano foto, a bambini che giocano ci raccontano di quanto la gente si sia assuefatta agli scenari di guerra, le  telecamere disseminate ovunque ci raccontano di come abbiamo completamente perso il rispetto per noi stessi, per la nostra dimensione privata, per il nostro quotidiano, per la nostra vita, siamo animali da pollaio, ogni tanto il padrone ne piglia uno, gli tira il collo e gli altri continuano a razzolare, la guerra ai poveri, a chi dorme per la strada, a chi chiede l’elemosina, a chi fruga nei cassonetti, agli immigrati, ma anche l’astio nei confronti ora di questa ora di quella categoria, dagli impiegati pubblici agli insegnanti,  descrive gente che ha perso qualsiasi consapevolezza della propria collocazione politico-sociale Ma perché mi è venuto in mente tutto questo? Ho letto sui media maintream due notizie.

La prima riguarda il varo a Castellamare di Stabia alla presenza del presidente della repubblica della più grande unità militare costruita dall’Italia nel dopoguerra. Ci costa, dicono, oltre 1 miliardo e 100 milioni di euro. E ci raccontano che è nata per servire la Protezione civile e che adesso sembra prepararsi ad accogliere gli F35. Si chiama Trieste ed ufficialmente è una Lhd, acronimo inglese per indicare una porta elicotteri. E, udite udite, ci dicono che ha una vocazione profondamente umanitaria, è una “nave di pace” insomma. D’altra parte se le guerre neocoloniali sono “umanitarie” perché non ci dovrebbero essere le navi da guerra “di pace”?

La seconda riguarda le alienazioni del patrimonio immobiliare organizzate dal Demanio per contribuire al maxi piano di dismissioni che dovrebbe portare quest’anno nelle casse dello Stato 950 milioni di euro.

La prima cosa che salta agli occhi è che questi 950 milioni di euro non pagano nemmeno la nave “di pace”.

Chiaramente perché, a detta di chi ci governa, ma anche e soprattutto, di chi ci ha governato prima che è l’autore principale di queste scelte, non ci sarebbero soldi, lo Stato cioè non avrebbe i soldi per mandare avanti lo stato sociale, non riuscirebbe a trovare i fondi per la sanità, per la scuola, per il lavoro, per le pensioni… Viene fatta una guerra senza quartiere ai dipendenti pubblici perché non sarebbero produttivi, alle strutture pubbliche perché sarebbero tutte in deficit, il patrimonio immobiliare pubblico sarebbe una zavorra e quindi va venduto per fare cassa, e anche il grande patrimonio privato italiano, ma non ci raccontano che a comprarlo di fatto non saranno i privati nel senso stretto della parola ma saranno strutture che in un modo, nell’altro e nell’altro ancora fanno capo alle multinazionali. E magari scopriamo per caso che il Monte dei Pegni, attività ed edificio storico del ‘500, un pezzo della storia artistica e sociale di Roma, non è più italiano ma austriaco perché ci raccontano che c’è la crisi, che l’economia è ferma. Ma si dimenticano di dirci perché.

Dovrebbero raccontarci che non c’è stata e non c’è nessuna crisi, o meglio che la crisi c’è per le classi subalterne e per i ceti medi ma che è una crisi cercata e voluta dalla borghesia trans nazionale o iper borghesia. L’impoverimento di vasti strati sociali è una precisa scelta economico-politico-sociale, l’ideologia neoliberista è l’asse portante della lotta senza quartiere tra multinazionali e Stati.

E’ chiaro che non è affatto vero che i soldi non ci sono, semplicemente non ci sono per lo stato sociale, per il lavoro, per la scuola, per la sanità, per le pensioni…perché vengono spesi altrove. E’ una scelta. Una precisa scelta ideologica.

Bisognerebbe evitare accuratamente di credere a questa barzelletta e di contribuire a rimbalzare il refrain che ci dobbiamo rimboccare le maniche, che ci dobbiamo rendere conto che i soldi non ci sono e che il tempo delle vacche grasse è finito. E’ vero che un tempo è finito. La società è stata trasformata dalle fondamenta. Non sono più applicabili le modalità di lettura che la sinistra ha usato fino a poco tempo fa, ma il metodo materialista di approccio al reale è sempre valido.

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