Cile/Documento del MIR

Riceviamo dalle compagne del MIR

Dichiarazione pubblica

Sulla “Consulta Cittadina” realizzata questo fine settimana e la proposta della Commissione Mista per la composizione dell’Organo costituente.

La scorsa domenica si è concluso il processo di consultazione cittadina promosso da Sindaci rappresentanti delle differenti forze che fanno parte del parlamento. Su questo processo, il Comitato Centrale del Movimento della Sinistra Rivoluzionaria – MIR, afferma quanto segue:

1.- Valutiamo molto positivamente che oltre il 90% dei votanti si siano espressi a favore del fatto che la composizione dell’organismo costituente sia su base di rappresentanti eletti specificamente per questo scopo e che non ci sia partecipazione dei membri del Congresso nel processo.

2.- Questi risultati dimostrano che, malgrado le forze al potere abbiano tentato di generare confusione proponendo il concetto di “Convenzione Costituente”, la cittadinanza attiva continua con chiarezza a cercare di generare un’Assemblea Costituente per i Lavoratori e i Popoli del Cile, che includa altre forze e non solo quelle che sono nel Parlamento.

3.- In questo senso, continua ad essere fondamentale dar conto del fatto che il Potere Costituente Originario risiede nella nazione, e che non può essere usurpato da un potere derivato come quello dei Deputati e delle forze che hanno firmato l’ “Accordo per la Pace Sociale e la Nuova Costituzione”, dal momento che non è nelle loro prerogative quella di generare una Nuova Costituzione, e che tale esercizio è proprio dei popoli che formano una nazione.

4.- Alla stessa maniera, è chiaro, nelle risposte ottenute questo fine settimana, che la cittadinanza sostiene fermamente che siano garantiti nella Costituzione diritti fondamentali come l’Istruzione, la Salute e la Previdenza, tra gli altri, cosa che si vede assolutamente messa a rischio dall’accordo di mantenere il quorum dei 2/3, perché basta che 1/3 si pronunci contro la garanzia di un diritto perché questo rimanga fuori dalla Costituzione.

5.- E’ importante, comprendere che la cittadinanza si aspetta che siano rispettati criteri come la parità di genere, seggi riservati ai popoli originari e che sia garantita la partecipazione di dirigenti sociali, del posti di lavoro e degli indipendenti, abbassando le soglie affinché la loro partecipazione abbia uguali opportunità rispetto a quelle che hanno i militanti dei Partiti attualmente legali e che non esistano cittadini di prima e seconda categoria al momento di redigere una nuova carta costituzionale. Continua a leggere

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Capodanno al Nido di Vespe!!!

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Ansia militante

Ansia militante

https://nobordersard.wordpress.com/

Ho bisogno di dire la mia, sono la madre di uno dei cinque giovani indagati e per cui è stata richiesta la sorveglianza speciale .

E’ molto complicato per me vivere la giornata di questi tempi, non solo per cosa accade al movimento antimilitarista in Sardegna ma per il tanto altro che sta accadendo.

La protesta in questi mesi è cresciuta, i giovani sono tornati in piazza. Da Fridayforfuture, al sostegno per il popolo curdo, passando per NoTav, Decreto Sicurezza e altre legittime battaglie come il lavoro, la casa, la violenza sulle donne.

Vedo la voglia di esprimere in tanti modi il dissenso verso un mondo che sta andando alla rovescia. Le modalità sono diverse, ma tutte necessarie e giuste. Meno male che ci sono.

Conosco la fatica e la gestione dell’ansia materna, che inizia dalla scoperta dell’attesa e non finisce mai, ha infinite facce, quelle della quotidianità e della straordinarietà. Noi madri di figli militanti abbiamo imparato ognuna a suo modo , a farci i conti, a volte il conto è infinito. Noi madri orgogliose di avere figli che si preoccupano e occupano di ciò che accade del mondo non possiamo far altro che occuparci di loro, da lontano generalmente, un’occupazione impegnativa che deve essere invisibile e leggera.

Questo compito ci prende gran parte della nostra vita, in alcuni casi ha risvegliato la nostra militanza di giovani donne impegnate in battaglie del passato, ha fatto si che ritrovassimo grazie ai nostri figli il gusto del sapere, del conoscere le lotte e questa ricerca e lettura del mondo è diventata parte integrante del nostro agire da lontano.

Sapere è molto meglio di non sapere, vedere ciò che va visto e conoscere ci fa condividere battaglie altrimenti per noi lontane e questa è la parte che mi piace di più. Mi piace perché mi fa sentire vicina e coinvolta nella vita di mio figlio e dei suoi compagni e compagne, dà una motivazione seria e importante all’ansia che provo quando non so quanto vorrei sul dove, come e perché. E’ anche sollievo.

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Rimuovere il rimosso.

RIMUOVERE IL RIMOSSO

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Cominciamo decisamente a perdere il conto. Le operazioni repressive contro gli anarchici si susseguono senza sosta: “Scripta manent”, “Panico”, “Scintilla”, “Renata”, “Prometeo”, “Lince”…

Più l’arresto di Juan e Manu, di Amma, Uzzo e Patrick. Senza scordare l’“ordinaria amministrazione” di processi e condanne per singoli episodi di lotta, le perquisizioni e lo stillicidio di misure cautelari, di detenzione domiciliare e di “misure di prevenzione”. Un sistema articolato di strumenti giudiziari e polizieschi finalizzato a togliere dalle scatole quanti più compagni possibile e di isolarli anche all’interno del carcere. Se diamo una lettura complessiva, la natura sia “reattiva” sia “preventiva” della repressione emerge chiaramente.

Di più, siamo di fronte a un processo di normalizzazione, in cui l’aspetto strettamente repressivo è solo una parte. L’obiettivo è quello di togliere alla ribellione ogni dimensione storica e sociale, trasformando tanto le pratiche quanto gli individui in “figure di reato” prive di qualunque sfondo in cui possano essere collocate. È come se, mentre la società è attraversata da un sentimento inconfessato da finale di partita – con la percezione diffusa di qualcosa che incombe –, lo Stato compendiasse tutte le forme di repressione che ha accumulato nella storia. Ci sono singole azioni che danno indubbiamente fastidio, a cui l’apparato reagisce con la solerzia di attribuirle a tutti i costi a qualcuno, forzando se del caso la realtà all’interno delle ipotesi di Digos e Ros. Ci sono interi percorsi di lotta, di cui scompare l’ingiustizia che li genera, per diventare mera realizzazione di un “progetto criminoso” di un pugno di sovversivi.

Non è l’esistenza stessa dei CPR a spingere chi vi è internato a ribellarsi, a tentare la fuga, a distruggerne il funzionamento: no, sono gli anarchici all’esterno a sobillare gli animi e a istigare le rivolte. Non è lo storico processo di servitù militare a cui sono sottoposti interi territori a suscitare le mobilitazioni antimilitariste, bensì le trame di qualche anarchico. Non è la brutalità delle politiche anti-immigrati a fomentare l’azione contro le sedi della Lega, bensì una “campagna di lotta contro il fascio-leghismo” teorizzata da una rivista anarchica. Per cui in varie inchieste torna con insistenza il reato di “istigazione”, il cui veicolo sono riviste, giornali, opuscoli. Ma siccome dietro le lotte e le pratiche di azione diretta ci sono individui che, persino nell’èra della democrazia digitale, mantengono delle relazioni umane – e, tra queste, dei rapporti di affinità –, l’Apparato colpisce anche il tessuto di relazioni di solidarietà.

Dal momento in cui anche per reati di piazza si possono accumulare anni e anni di carcere, diversi compagni potrebbero decidere in futuro, come altri in passato e nel presente, di sottrarsi al carcere. Ecco allora gli sbirri sguinzagliati nelle case di amici e parenti alla ricerca di chi è uccel di bosco e, contemporaneamente, giudici emettere condanne spropositate – con tanto di “aggravante di terrorismo” – nei confronti di chi è accusato di aver aiutato un compagno latitante. Come monito per eventuali solidali e come ingiunzione: non c’è fuga dall’apparato di cattura delle vite. Più in generale, siccome resta piuttosto complicato, nonostante le intercettazioni, i pedinamenti, le perquisizioni, capire esattamente chi fa cosa, si attaccano a lana grossa contesti e raggruppamenti umani di cui le lotte e le azioni sono parte. Quest’ultimo aspetto rievoca, benché il contesto sia molto diverso, la legislazione dello Stato liberale contro gli esordi dell’Internazionale in Italia e del nascente associazionismo proletario – proprio da quell’epoca provengono anche misure come il divieto o l’obbligo di dimora e la sorveglianza speciale. Il regime fascista si è incaricato poi di stroncare fino alla paranoia quanto e quanti si collegavano a quella storia ribelle. Per la democrazia, infine, che è la forma politica dell’intubamento privato delle vite, dietro il sovversivo non dev’esserci più alcuna storia, ma solo una catena più o meno lunga di reati. Ora, visto che lo Stato democratico, rispetto ai precedenti strumenti repressivi, non ha buttato via nulla, il  risultato è appunto un compendio: la “depoliticizzazione” di ogni forma di illegalità antagonista. Così, da un lato, si cancella ogni dimensione storico-sociale del conflitto, mentre si spinge, dall’altro, l’asticella del consentito sempre più in basso. Continua a leggere

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Dedicata a Giuseppina, uccisa dal lavoro.

Un’operaia di 66 anni, Giuseppina Marcinnò, è morta mentre lavorava all’interno della sede della Copap di Monticelli d’Ongina, nel piacentino. E’ scivolata su di un nastro mobile finendo poi sotto la pressa che l’ha schiacciata. Ci devono spiegare come mai un’operaia a 66 anni fosse ancora costretta a lavorare. 

Dedichiamo questa canzone a tutte quelle e a tutti quelli che questa società uccide impunemente tutti i giorni.

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Qui seme la misere, recolte la colere

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La Parentesi di Elisabetta del 18/12/2019

“Uomini”

“Il femminismo non ha cambiato gli uomini, ma gli uomini hanno cambiato il femminismo” Mary Kate Fain, Tradfem.wordpress.com

 Molti uomini, attualmente, si dichiarano “femministi” e nostri “alleati”. Va molto di moda. Si sprofondano in dichiarazioni in favore della lotta delle donne, condannano i comportamenti maschilisti, si dichiarano favorevoli alla così detta parità in tutti gli ambiti, da quello del lavoro a quello dei compiti domestici e familiari, portano in giro i figli con il passeggino, si sdilinguiscono nel cambiare i pannolini, si dichiarano attentissimi alle esigenze e ai desideri sessuali della consorte, partecipano alle manifestazioni femministe…fanno autocoscienza. A parte il fatto piuttosto frequente che poi nei rapporti affettivi, sentimentali, lavorativi, amicali si comportano nella migliore tradizione maschilista, ma questo potrebbe far parte delle vicende umane perché la coerenza non è di questo mondo.

Il problema è ben altro.

L’uomo “femminista” è la diretta conseguenza di una deriva che ha preso una parte del movimento femminista dagli anni ’80 in poi quando ha cominciato a sostituire l’analisi politica con quella sociologica, psicologica, culturale e ha perso di vista i principi di base che informano il patriarcato.

Il patriarcato è un modello economico. I ruoli sessuati sono costruzioni sociali, non hanno nulla di “naturale” e sono costituite per poter sfruttare al meglio i soggetti posti al lavoro. Il modello economico patriarcale ha funzionato e funziona. E’ riuscito ad estorcere alle donne il lavoro di cura e riproduttivo gratuito, ha costruito gli uomini in funzione dominante e gerarchica nei confronti delle donne in modo che il modello non subisse incrinature, fosse estremamente produttivo e fosse dotato di compiti ben precisi: la parte femminile cresce la prole secondo la scala di valori dominante, la parte maschile abitua i figli/e all’obbedienza all’autorità e ne gestisce il rapporto esterno con la società. Chiaramente questa costruzione ha subito e subisce modifiche e adattamenti a seconda delle lotte che vi si oppongono e/o delle esigenze del capitale per cui si è arrivati anche alle famiglie arcobaleno e alla GPA senza che per questo il modello sia stato messo in crisi, semmai addirittura si è rinsaldato. E’ chiaro che l’uomo viene costruito secondo categorie di dominio, di comando, di gerarchia e di pretesa di obbedienza e la donna con principi di sottomissione, di rispetto della filiera gerarchica, di riconoscimento dell’autorità, di pazienza, di comprensione e via dicendo. Sono tutte cose che sappiamo bene. Molte si sono dimenticate però che se c’è un dominante e una dominata, le modalità di lotta non possono essere condotte insieme.

E’ successo che negli anni ’80-90 del ‘900 siano state concepite alcune teorizzazioni riguardanti il genere che hanno spostato il focus rispetto al funzionamento del patriarcato e quindi al riconoscimento del nemico. Pur partendo da assunti condivisi anche dal femminismo materialista, cioè che i ruoli sessuati sono costrutti artificiali, che l’eteronormatività è uno strumento del dominio per ribadire un certo tipo di funzionamento sociale, che il concetto di “normale” è un’imposizione del sistema, queste teorizzazioni ritengono che non si debba nominare il genere perché questo ribadisce il costrutto che ci viene imposto, che siamo tutt* ingabbiati nei ruoli sessuati, sia uomini, sia donne, sia altre configurazioni che esistono ma che non vengono riconosciute e che quindi tutt* insieme dobbiamo lottare per la decostruzione e la distruzione della “normalità” imposta. Non avrebbe più senso, quindi, il separatismo femminista che anzi viene condannato come scelta identitaria.

E’ un certo femminismo, quindi, che ha creato l’uomo “femminista”. Da una parte alcune hanno dimenticato chi è il nemico o hanno fatto finta di dimenticarlo perché interessate solamente alla loro promozione personale, scordando che le concessioni così come vengono date possono essere tranquillamente tolte. Dall’altra hanno dimenticato che oppressione di genere, di classe, di razza non possono essere scisse, ma che, allo stesso tempo, ogni componente sociale che subisce un’oppressione deve necessariamente partire da sé e cercare di costruire la sua lotta in modo che diventi momento scardinante dei principi a cui si informa il dominio. Continua a leggere

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Anna Karina

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Joker. I poveri sono matti.

Una felice analisi da Joker alle Sardine

“Joker.I poveri sono matti.”

di Anna Lombroso

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/16520-anna-lombroso-joker-i-poveri-sono-matti.html

Per via di una antica idiosincrasia nei confronti dei fenomeni di moda, con l’aggiunta di un certo pregiudizio snobistico e radical chic che nutro verso i fumetti normali o supereroici, solo ieri mi sono inflitta la visione collettiva con la redazione di questo blog di Joker.

Neppure perdo tempo ad osservare che non esiste prodotto hollywoodiano che riesca a liberarsi dal peso dei complessi maturati nell’infanzia, che motivano e giustificano innocenze perdute, compresi i bombardamenti in varie geografie del mondo, nemmeno mi soffermo sul talento delle major di trasformare in merce patinata le valanghe di immondizia reale e virtuale che popolano le Gotham City occidentali di ieri e di oggi, dalle quali inizialmente veniva rimosso qualsiasi sprazzo di rosso che avrebbe potuto evocare pericolosamente il comunismo.

Cerco invece di spiegarmi il successo nostrano del povero pagliaccio promosso a incarnazione di una ribellione che esplode dopo una incubazione di anni e anni, frutto di umiliazioni, emarginazione, dileggio.

Non deve stupire, autori e interpreti americani sanno il fatto loro e è per quello che si capisce da subito che l’unica forma di rivolta e ammutinamento all’ordine costituito è quella concessa ai matti, poveri ovviamente e quindi presto o tardi privati di quella alta forma di controllo sociale rappresentata dall’assunzione di grandi quantitativi di psicofarmaci, meglio se spostati anche per appartenenza dinastica a ceppi di bipolari mitomani, meglio ancora se ingannati da narrazioni riguardanti prestigiosi lignaggi che potrebbero restituirli al consorzio civile e, ovviamente, sano di mente. Continua a leggere

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15 dicembre 1976/ Le parole di Ada Tibaldi per ricordare Walter Alasia

Oggi, 15 dicembre è l’anniversario della morte di Walter Alasia, compagno delle Brigate Rosse, ucciso a vent’anni dalla polizia nel 1976, nella casa della sua famiglia a Sesto San Giovanni, a Milano. Lo vogliamo ricordare attraverso le parole di Ada Tibaldi, sua madre, operaia, perché alle madri è affidato il ruolo da parte del sistema patriarcale e capitalista di essere catena di trasmissione dei valori dominanti, loro sono incaricate di inculcare nei figli la capacità di adattarsi ad una società di sfruttamento e dolore, ma quando le madri cominciano a farsi domande, quando prendono istintivamente coscienza, allora sono strumento di verità e di giustizia sociale e i figli capiscono.

“Mi sono svegliata subito, ho il sonno leggero. Non ho guardato la sveglia, non ho pensato che ora fosse. Faccio le punture e capita che mi vengano a chiamare anche di notte, inquilini della casa. Mi alzo, accendo la luce del corridoio, guardo nello spioncino della porta. Vedo due quasi inginocchiati, sull’orlo della scala, con qualcosa sulla faccia, come una maschera quadrata. Non mi viene in mente la polizia, penso sia uno scherzo, penso che siano gli amici di Walter che andavano e venivano a qualsiasi ora. Non ero preoccupata. Chi è? chiedo. Polizia, aprite, mi rispondono. E’ una voce ferma, dura, non poteva essere uno scherzo…”  

“…Io sentivo una specie di attrazione per la fabbrica. Ci avevo lavorato da ragazza, al mio paese, non ne avevo un cattivo ricordo. Allora ero un cavallo da corsa, tenevo dietro anche a tre telai. Lavorare mi piaceva. Poi mi pesava stare sempre a casa, volevo uscire dal solito tran tran...” Dice Ada: in fabbrica mi sentivo più libera, più sciolta, più sicura, come se non dovessi dipendere da nessuno...nel ’63 Ada aveva preso la tessera della Cgil, di nascosto, perché i capi guardavano storto chi aderiva al sindacato rosso. Cercava di convincere a iscriversi anche le più riluttanti e con altre quattro o cinque era quella che smuoveva le acque quando c’era aria di sciopero.

Ada lo ricorda sempre indaffarato. Ma non studiava, magari leggeva. Gli chiedeva lei: ma com’è questa scuola? vi fa imparare qualcosa? Walter sorrideva, diceva di non pensarci. Ogni tanto portava a casa un fracco di gente, almeno una decina di ragazzi:passavano delle ore a preparare gli striscioni, in soggiorno, sporcando il pavimento di vernice rossa. Parlavano, scherzavano, ridevano. C’era anche una ragazza, l’unica, che portava una sciarpa rossa lunga fino ai piedi….Un giorno era arrivato a casa l’invito di presentarsi al commissariato di Sesto per<comunicazioni>. Ada era andata insieme a suo marito e a Walter. Al commissariato c’erano altri ragazzi, tutti con i genitori…Aveva detto il commissario, un uomo ancora giovane, un settentrionale “ma lo sapete che vostro figlio è uno dei più turbolenti? A casa se n’era discusso, ma senza toni aspri. Che cosa poteva aver fatto Walter per essere turbolento?

“…Io avevo sempre pensato che Walter avrebbe fatto l’operaio, non lo vedevo attaccato a una scrivania o dietro a uno sportello…ma Walter voleva entrare in una grande fabbrica… aveva la politica in testa, aveva cominciato a leggere libri che io non ci capivo niente.

…Aveva il sospetto di essere stato scoperto? Era teso, nervoso, sempre con questo gesto di strizzarsi i baffetti. Forse aveva deciso.

Era andato a letto a mezzanotte. Suo fratello doveva ancora rientrare.

Testi tratti dal bellissimo libro “Indagine su un brigatista rosso/La storia di Walter Alasia” di Giorgio Manzini, Einaudi 1978

“Io venivo da un’esperienza al tramonto e tu da un futuro che era appena annunciato. Per noi, davanti, ci sarebbero stati solo pochi mesi. L’idea che il carcere o la morte stessero già aspettando, in quei giorni non ci sfiorava neppure. E comunque non ci impedì di andare a “recuperare” insieme armi e documenti in una casa “insicura”. Fu quella l’occasione in cui mi presentasti tua madre.

“Ci aiuterà una compagna di Sesto, una operaia della Pirelli – mi dicesti – puoi fidarti, è mia madre”.
Andammo insieme tutti e tre, in un pomeriggio di pioggia. Missione riuscita.
Ridevano i tuoi occhi al ritorno, mentre io non finivo di “scoprirti”. Era felice tua madre di aver partecipato insieme a te a quell’azione.
“Mia madre è la migliore confidente. Ci battiamo per le stesse cose. E ci vogliamo bene”. Era bello sentirtelo dire, bella la voce del tuo cuore.
Non mi stupì perciò che proprio a casa sua ti rifugiasti la sera del tuo appuntamento con la morte.

Testimonianza al Progetto Memoria: Renato Curcio, carcere, Roma 1995

La colonna milanese delle Brigate Rosse prenderà il nome di Walter Alasia.

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Storia, memoria e presente.

La storia e la memoria servono al presente e questo significa sempre scegliere da che parte stare.

Con le compagne e i compagni di Ponte della Ghisolfa che ieri sera hanno fatto una manifestazione per il cinquantenario della strage di piazza Fontana e dell’assassinio di Pinelli.

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Immagina!

La repressione non fermerà le lotte!

La solidarietà è un arma, usiamola!

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Il 28 gennaio si terrà l’udienza per le sorveglianze speciali dei nostri compagni, dopo il rinvio ottenuto a causa dello sciopero del 3 dicembre. Abbiamo un altro mese e mezzo per organizzare la solidarietà nelle più svariate forme che ci possiamo immaginare, per non lasciarli da soli.

I M M A G I N A

<Di non poter più decidere quando uscire o rientrare a casa , come quando eri bambino. Di non poter stare con i tuoi amici e le tue amiche come e quando vuoi. Di non poter più fare l’amore con chi vuoi. Di non poter più andare a bere una birra dove andavi fino a ieri. Che siano altri a decidere chi puoi frequentare. Di non poter più fare il lavoro che ti sei creato e di dovertene trovare uno sotto padrone. Di non poter più esprimere pubblicamente il tuo pensiero né partecipare a qualsiasi lotta. Che estranei possano entrare in casa tua per controllarti a qualsiasi ora della notte. Immagina, insomma, di non avere più il controllo della tua vita e diventare il carceriere di te stesso. Per anni.

Questa è la vita di chi è sotto sorveglianza speciale.>

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A Ponte Galeria!

Dopo il presidio del 23 novembre

https://brucerabrucera.noblogs.org/

Sabato 23 Novembre, ancora una volta, ci siamo trovat* di fronte le mura del C.P.R. di Ponte Galeria per portare solidarietà alle detenute e cercando di trovare un contatto con l’interno di quelle mura.
In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, vogliamo ricordare la presenza a Roma dell’unico CPR con una sezione femminile in Italia, dove molte donne sono rinchiuse con il rischio, dopo un lungo periodo di prigionia, di essere rimpatriate cosa che probabilmente le porterà a vivere altre violenze o addirittura la morte.
Le donne sono catturate in strada o nelle questure, a cui spesso si rivolgono per denunciare la violenza subita dal compagno o i ricatti del datore di lavoro.
Nonostante gli esigui numeri la nostra voce è giunta all’ interno e le recluse ci hanno risposto con alcune grida, richieste d’aiuto e cori.
Diversi interventi sono seguiti al microfono, ricordando anche le rivolte e gli scioperi della fame nei CRA (strutture simili ai CPR in Francia).
E’ stato ricordato l’anniversario della morte di Natalia all’interno delle mura del CPR, dovuta alla mancata assistenza medica da parte dei controllori.
La notizia fu comunicata dalle recluse proprio in occasione di un presidio, diversi giorni dopo la sua morte. Forse altri casi simili sono stati nascosti all’esterno.
Le rivolte al CPR di Torino che hanno distrutto due aree della struttura ci ricordano che solo pochi giorni dopo la riapertura del maschile a Roma ci sono state proteste e incendi. 
Dopo quei giorni alcune notizie erano riuscite a uscire all’esterno, ma anche a causa dell’impossibilità per i reclusi di possedere un telefono, il silenzio completo è calato sulla sezione maschile.
 
 
SOLIDARIETA’ A TUTT* RIVOLTOS*
NEMICHE E NEMICI DELLE FRONTIERE
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W la France!!!!!!!

Smontare i cardini del neoliberismo

Hanno normalizzato e naturalizzato lo sfruttamento, l’oppressione, la mortificazione, la degradazione. La descrizione del nostro presente, costruito sulle gerarchie di genere, classe e razza, è diventata prescrizione del presente.

 

 

 

 

 

 

 

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Genova 7 dicembre 2019/Corteo contro la guerra!

DISARMIAMO LEONARDO!                Genova corteo contro la guerra!!!

https://www.facebook.com/assembleacontrolaguerrage/

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