15 dicembre 1976/ Le parole di Ada Tibaldi per ricordare Walter Alasia

Oggi, 15 dicembre è l’anniversario della morte di Walter Alasia, compagno delle Brigate Rosse, ucciso a vent’anni dalla polizia nel 1976, nella casa della sua famiglia a Sesto San Giovanni, a Milano. Lo vogliamo ricordare attraverso le parole di Ada Tibaldi, sua madre, operaia, perché alle madri è affidato il ruolo da parte del sistema patriarcale e capitalista di essere catena di trasmissione dei valori dominanti, loro sono incaricate di inculcare nei figli la capacità di adattarsi ad una società di sfruttamento e dolore, ma quando le madri cominciano a farsi domande, quando prendono istintivamente coscienza, allora sono strumento di verità e di giustizia sociale e i figli capiscono.

“Mi sono svegliata subito, ho il sonno leggero. Non ho guardato la sveglia, non ho pensato che ora fosse. Faccio le punture e capita che mi vengano a chiamare anche di notte, inquilini della casa. Mi alzo, accendo la luce del corridoio, guardo nello spioncino della porta. Vedo due quasi inginocchiati, sull’orlo della scala, con qualcosa sulla faccia, come una maschera quadrata. Non mi viene in mente la polizia, penso sia uno scherzo, penso che siano gli amici di Walter che andavano e venivano a qualsiasi ora. Non ero preoccupata. Chi è? chiedo. Polizia, aprite, mi rispondono. E’ una voce ferma, dura, non poteva essere uno scherzo…”  

“…Io sentivo una specie di attrazione per la fabbrica. Ci avevo lavorato da ragazza, al mio paese, non ne avevo un cattivo ricordo. Allora ero un cavallo da corsa, tenevo dietro anche a tre telai. Lavorare mi piaceva. Poi mi pesava stare sempre a casa, volevo uscire dal solito tran tran...” Dice Ada: in fabbrica mi sentivo più libera, più sciolta, più sicura, come se non dovessi dipendere da nessuno...nel ’63 Ada aveva preso la tessera della Cgil, di nascosto, perché i capi guardavano storto chi aderiva al sindacato rosso. Cercava di convincere a iscriversi anche le più riluttanti e con altre quattro o cinque era quella che smuoveva le acque quando c’era aria di sciopero.

Ada lo ricorda sempre indaffarato. Ma non studiava, magari leggeva. Gli chiedeva lei: ma com’è questa scuola? vi fa imparare qualcosa? Walter sorrideva, diceva di non pensarci. Ogni tanto portava a casa un fracco di gente, almeno una decina di ragazzi:passavano delle ore a preparare gli striscioni, in soggiorno, sporcando il pavimento di vernice rossa. Parlavano, scherzavano, ridevano. C’era anche una ragazza, l’unica, che portava una sciarpa rossa lunga fino ai piedi….Un giorno era arrivato a casa l’invito di presentarsi al commissariato di Sesto per<comunicazioni>. Ada era andata insieme a suo marito e a Walter. Al commissariato c’erano altri ragazzi, tutti con i genitori…Aveva detto il commissario, un uomo ancora giovane, un settentrionale “ma lo sapete che vostro figlio è uno dei più turbolenti? A casa se n’era discusso, ma senza toni aspri. Che cosa poteva aver fatto Walter per essere turbolento?

“…Io avevo sempre pensato che Walter avrebbe fatto l’operaio, non lo vedevo attaccato a una scrivania o dietro a uno sportello…ma Walter voleva entrare in una grande fabbrica… aveva la politica in testa, aveva cominciato a leggere libri che io non ci capivo niente.

…Aveva il sospetto di essere stato scoperto? Era teso, nervoso, sempre con questo gesto di strizzarsi i baffetti. Forse aveva deciso.

Era andato a letto a mezzanotte. Suo fratello doveva ancora rientrare.

Testi tratti dal bellissimo libro “Indagine su un brigatista rosso/La storia di Walter Alasia” di Giorgio Manzini, Einaudi 1978

“Io venivo da un’esperienza al tramonto e tu da un futuro che era appena annunciato. Per noi, davanti, ci sarebbero stati solo pochi mesi. L’idea che il carcere o la morte stessero già aspettando, in quei giorni non ci sfiorava neppure. E comunque non ci impedì di andare a “recuperare” insieme armi e documenti in una casa “insicura”. Fu quella l’occasione in cui mi presentasti tua madre.

“Ci aiuterà una compagna di Sesto, una operaia della Pirelli – mi dicesti – puoi fidarti, è mia madre”.
Andammo insieme tutti e tre, in un pomeriggio di pioggia. Missione riuscita.
Ridevano i tuoi occhi al ritorno, mentre io non finivo di “scoprirti”. Era felice tua madre di aver partecipato insieme a te a quell’azione.
“Mia madre è la migliore confidente. Ci battiamo per le stesse cose. E ci vogliamo bene”. Era bello sentirtelo dire, bella la voce del tuo cuore.
Non mi stupì perciò che proprio a casa sua ti rifugiasti la sera del tuo appuntamento con la morte.

Testimonianza al Progetto Memoria: Renato Curcio, carcere, Roma 1995

La colonna milanese delle Brigate Rosse prenderà il nome di Walter Alasia.

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