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Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza
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Qui seme la misere, recolte la colere
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La Parentesi di Elisabetta del 18/12/2019
“Uomini”
“Il femminismo non ha cambiato gli uomini, ma gli uomini hanno cambiato il femminismo” Mary Kate Fain, Tradfem.wordpress.com
Molti uomini, attualmente, si dichiarano “femministi” e nostri “alleati”. Va molto di moda. Si sprofondano in dichiarazioni in favore della lotta delle donne, condannano i comportamenti maschilisti, si dichiarano favorevoli alla così detta parità in tutti gli ambiti, da quello del lavoro a quello dei compiti domestici e familiari, portano in giro i figli con il passeggino, si sdilinguiscono nel cambiare i pannolini, si dichiarano attentissimi alle esigenze e ai desideri sessuali della consorte, partecipano alle manifestazioni femministe…fanno autocoscienza. A parte il fatto piuttosto frequente che poi nei rapporti affettivi, sentimentali, lavorativi, amicali si comportano nella migliore tradizione maschilista, ma questo potrebbe far parte delle vicende umane perché la coerenza non è di questo mondo.
Il problema è ben altro.
L’uomo “femminista” è la diretta conseguenza di una deriva che ha preso una parte del movimento femminista dagli anni ’80 in poi quando ha cominciato a sostituire l’analisi politica con quella sociologica, psicologica, culturale e ha perso di vista i principi di base che informano il patriarcato.
Il patriarcato è un modello economico. I ruoli sessuati sono costruzioni sociali, non hanno nulla di “naturale” e sono costituite per poter sfruttare al meglio i soggetti posti al lavoro. Il modello economico patriarcale ha funzionato e funziona. E’ riuscito ad estorcere alle donne il lavoro di cura e riproduttivo gratuito, ha costruito gli uomini in funzione dominante e gerarchica nei confronti delle donne in modo che il modello non subisse incrinature, fosse estremamente produttivo e fosse dotato di compiti ben precisi: la parte femminile cresce la prole secondo la scala di valori dominante, la parte maschile abitua i figli/e all’obbedienza all’autorità e ne gestisce il rapporto esterno con la società. Chiaramente questa costruzione ha subito e subisce modifiche e adattamenti a seconda delle lotte che vi si oppongono e/o delle esigenze del capitale per cui si è arrivati anche alle famiglie arcobaleno e alla GPA senza che per questo il modello sia stato messo in crisi, semmai addirittura si è rinsaldato. E’ chiaro che l’uomo viene costruito secondo categorie di dominio, di comando, di gerarchia e di pretesa di obbedienza e la donna con principi di sottomissione, di rispetto della filiera gerarchica, di riconoscimento dell’autorità, di pazienza, di comprensione e via dicendo. Sono tutte cose che sappiamo bene. Molte si sono dimenticate però che se c’è un dominante e una dominata, le modalità di lotta non possono essere condotte insieme.
E’ successo che negli anni ’80-90 del ‘900 siano state concepite alcune teorizzazioni riguardanti il genere che hanno spostato il focus rispetto al funzionamento del patriarcato e quindi al riconoscimento del nemico. Pur partendo da assunti condivisi anche dal femminismo materialista, cioè che i ruoli sessuati sono costrutti artificiali, che l’eteronormatività è uno strumento del dominio per ribadire un certo tipo di funzionamento sociale, che il concetto di “normale” è un’imposizione del sistema, queste teorizzazioni ritengono che non si debba nominare il genere perché questo ribadisce il costrutto che ci viene imposto, che siamo tutt* ingabbiati nei ruoli sessuati, sia uomini, sia donne, sia altre configurazioni che esistono ma che non vengono riconosciute e che quindi tutt* insieme dobbiamo lottare per la decostruzione e la distruzione della “normalità” imposta. Non avrebbe più senso, quindi, il separatismo femminista che anzi viene condannato come scelta identitaria.
E’ un certo femminismo, quindi, che ha creato l’uomo “femminista”. Da una parte alcune hanno dimenticato chi è il nemico o hanno fatto finta di dimenticarlo perché interessate solamente alla loro promozione personale, scordando che le concessioni così come vengono date possono essere tranquillamente tolte. Dall’altra hanno dimenticato che oppressione di genere, di classe, di razza non possono essere scisse, ma che, allo stesso tempo, ogni componente sociale che subisce un’oppressione deve necessariamente partire da sé e cercare di costruire la sua lotta in modo che diventi momento scardinante dei principi a cui si informa il dominio. Continua a leggere
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Anna Karina
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Joker. I poveri sono matti.
Una felice analisi da Joker alle Sardine
“Joker.I poveri sono matti.”
di Anna Lombroso
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/16520-anna-lombroso-joker-i-poveri-sono-matti.html
Per via di una antica idiosincrasia nei confronti dei fenomeni di moda, con l’aggiunta di un certo pregiudizio snobistico e radical chic che nutro verso i fumetti normali o supereroici, solo ieri mi sono inflitta la visione collettiva con la redazione di questo blog di Joker.
Neppure perdo tempo ad osservare che non esiste prodotto hollywoodiano che riesca a liberarsi dal peso dei complessi maturati nell’infanzia, che motivano e giustificano innocenze perdute, compresi i bombardamenti in varie geografie del mondo, nemmeno mi soffermo sul talento delle major di trasformare in merce patinata le valanghe di immondizia reale e virtuale che popolano le Gotham City occidentali di ieri e di oggi, dalle quali inizialmente veniva rimosso qualsiasi sprazzo di rosso che avrebbe potuto evocare pericolosamente il comunismo.
Cerco invece di spiegarmi il successo nostrano del povero pagliaccio promosso a incarnazione di una ribellione che esplode dopo una incubazione di anni e anni, frutto di umiliazioni, emarginazione, dileggio.
Non deve stupire, autori e interpreti americani sanno il fatto loro e è per quello che si capisce da subito che l’unica forma di rivolta e ammutinamento all’ordine costituito è quella concessa ai matti, poveri ovviamente e quindi presto o tardi privati di quella alta forma di controllo sociale rappresentata dall’assunzione di grandi quantitativi di psicofarmaci, meglio se spostati anche per appartenenza dinastica a ceppi di bipolari mitomani, meglio ancora se ingannati da narrazioni riguardanti prestigiosi lignaggi che potrebbero restituirli al consorzio civile e, ovviamente, sano di mente. Continua a leggere
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15 dicembre 1976/ Le parole di Ada Tibaldi per ricordare Walter Alasia
Oggi, 15 dicembre è l’anniversario della morte di Walter Alasia, compagno delle Brigate Rosse, ucciso a vent’anni dalla polizia nel 1976, nella casa della sua famiglia a Sesto San Giovanni, a Milano. Lo vogliamo ricordare attraverso le parole di Ada Tibaldi, sua madre, operaia, perché alle madri è affidato il ruolo da parte del sistema patriarcale e capitalista di essere catena di trasmissione dei valori dominanti, loro sono incaricate di inculcare nei figli la capacità di adattarsi ad una società di sfruttamento e dolore, ma quando le madri cominciano a farsi domande, quando prendono istintivamente coscienza, allora sono strumento di verità e di giustizia sociale e i figli capiscono.
“Mi sono svegliata subito, ho il sonno leggero. Non ho guardato la sveglia, non ho pensato che ora fosse. Faccio le punture e capita che mi vengano a chiamare anche di notte, inquilini della casa. Mi alzo, accendo la luce del corridoio, guardo nello spioncino della porta. Vedo due quasi inginocchiati, sull’orlo della scala, con qualcosa sulla faccia, come una maschera quadrata. Non mi viene in mente la polizia, penso sia uno scherzo, penso che siano gli amici di Walter che andavano e venivano a qualsiasi ora. Non ero preoccupata. Chi è? chiedo. Polizia, aprite, mi rispondono. E’ una voce ferma, dura, non poteva essere uno scherzo…”
“…Io sentivo una specie di attrazione per la fabbrica. Ci avevo lavorato da ragazza, al mio paese, non ne avevo un cattivo ricordo. Allora ero un cavallo da corsa, tenevo dietro anche a tre telai. Lavorare mi piaceva. Poi mi pesava stare sempre a casa, volevo uscire dal solito tran tran...” Dice Ada: in fabbrica mi sentivo più libera, più sciolta, più sicura, come se non dovessi dipendere da nessuno...nel ’63 Ada aveva preso la tessera della Cgil, di nascosto, perché i capi guardavano storto chi aderiva al sindacato rosso. Cercava di convincere a iscriversi anche le più riluttanti e con altre quattro o cinque era quella che smuoveva le acque quando c’era aria di sciopero.
Ada lo ricorda sempre indaffarato. Ma non studiava, magari leggeva. Gli chiedeva lei: ma com’è questa scuola? vi fa imparare qualcosa? Walter sorrideva, diceva di non pensarci. Ogni tanto portava a casa un fracco di gente, almeno una decina di ragazzi:passavano delle ore a preparare gli striscioni, in soggiorno, sporcando il pavimento di vernice rossa. Parlavano, scherzavano, ridevano. C’era anche una ragazza, l’unica, che portava una sciarpa rossa lunga fino ai piedi….Un giorno era arrivato a casa l’invito di presentarsi al commissariato di Sesto per<comunicazioni>. Ada era andata insieme a suo marito e a Walter. Al commissariato c’erano altri ragazzi, tutti con i genitori…Aveva detto il commissario, un uomo ancora giovane, un settentrionale “ma lo sapete che vostro figlio è uno dei più turbolenti? A casa se n’era discusso, ma senza toni aspri. Che cosa poteva aver fatto Walter per essere turbolento?
“…Io avevo sempre pensato che Walter avrebbe fatto l’operaio, non lo vedevo attaccato a una scrivania o dietro a uno sportello…ma Walter voleva entrare in una grande fabbrica… aveva la politica in testa, aveva cominciato a leggere libri che io non ci capivo niente.”
…Aveva il sospetto di essere stato scoperto? Era teso, nervoso, sempre con questo gesto di strizzarsi i baffetti. Forse aveva deciso.
Era andato a letto a mezzanotte. Suo fratello doveva ancora rientrare.
Testi tratti dal bellissimo libro “Indagine su un brigatista rosso/La storia di Walter Alasia” di Giorgio Manzini, Einaudi 1978
“Io venivo da un’esperienza al tramonto e tu da un futuro che era appena annunciato. Per noi, davanti, ci sarebbero stati solo pochi mesi. L’idea che il carcere o la morte stessero già aspettando, in quei giorni non ci sfiorava neppure. E comunque non ci impedì di andare a “recuperare” insieme armi e documenti in una casa “insicura”. Fu quella l’occasione in cui mi presentasti tua madre.
“Ci aiuterà una compagna di Sesto, una operaia della Pirelli – mi dicesti – puoi fidarti, è mia madre”.
Andammo insieme tutti e tre, in un pomeriggio di pioggia. Missione riuscita.
Ridevano i tuoi occhi al ritorno, mentre io non finivo di “scoprirti”. Era felice tua madre di aver partecipato insieme a te a quell’azione.
“Mia madre è la migliore confidente. Ci battiamo per le stesse cose. E ci vogliamo bene”. Era bello sentirtelo dire, bella la voce del tuo cuore.
Non mi stupì perciò che proprio a casa sua ti rifugiasti la sera del tuo appuntamento con la morte.
Testimonianza al Progetto Memoria: Renato Curcio, carcere, Roma 1995
La colonna milanese delle Brigate Rosse prenderà il nome di Walter Alasia.
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Storia, memoria e presente.
La storia e la memoria servono al presente e questo significa sempre scegliere da che parte stare.
Con le compagne e i compagni di Ponte della Ghisolfa che ieri sera hanno fatto una manifestazione per il cinquantenario della strage di piazza Fontana e dell’assassinio di Pinelli.
Immagina!
La repressione non fermerà le lotte!
La solidarietà è un arma, usiamola!
https://nobordersard.wordpress.com/
Il 28 gennaio si terrà l’udienza per le sorveglianze speciali dei nostri compagni, dopo il rinvio ottenuto a causa dello sciopero del 3 dicembre. Abbiamo un altro mese e mezzo per organizzare la solidarietà nelle più svariate forme che ci possiamo immaginare, per non lasciarli da soli.
I M M A G I N A
<Di non poter più decidere quando uscire o rientrare a casa , come quando eri bambino. Di non poter stare con i tuoi amici e le tue amiche come e quando vuoi. Di non poter più fare l’amore con chi vuoi. Di non poter più andare a bere una birra dove andavi fino a ieri. Che siano altri a decidere chi puoi frequentare. Di non poter più fare il lavoro che ti sei creato e di dovertene trovare uno sotto padrone. Di non poter più esprimere pubblicamente il tuo pensiero né partecipare a qualsiasi lotta. Che estranei possano entrare in casa tua per controllarti a qualsiasi ora della notte. Immagina, insomma, di non avere più il controllo della tua vita e diventare il carceriere di te stesso. Per anni.
Questa è la vita di chi è sotto sorveglianza speciale.>
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A Ponte Galeria!
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W la France!!!!!!!
Smontare i cardini del neoliberismo
Hanno normalizzato e naturalizzato lo sfruttamento, l’oppressione, la mortificazione, la degradazione. La descrizione del nostro presente, costruito sulle gerarchie di genere, classe e razza, è diventata prescrizione del presente.
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Genova 7 dicembre 2019/Corteo contro la guerra!
DISARMIAMO LEONARDO! Genova corteo contro la guerra!!!
https://www.facebook.com/assembleacontrolaguerrage/
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8 dicembre 2019/manifestazione NoTav!!!!
8/12 Manifestazione NOTAV
Ritrovo dalle 12 a Susa – Ponte Briancon – Statale 24
Leggi l’appello:
8/12, marcia Susa -Venaus. Perchè liberare tutt* vuol dire lottare ancora!
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La Parentesi di Elisabetta del 27/11/2019
“Venezia”
… e adesso s’è rivà el momento de dirghe basta e de cambià… Giudeca, canzone di Alberto D’Amico,1973
Ho passato a Venezia una parte di tutte le estati della mia vita fino a vent’anni. Poi i tamburi di rivolta sono stati coinvolgenti e totalizzanti e non c’è più stato spazio neanche per Venezia. Mi è rimasto per sempre stampato nelle mie sensazioni l’odore dell’acqua salsa dei canali, il rumore delle onde leggere che sbattono sulle rive, il risuonare dei passi, nella calli lontane dal turismo, della vita quotidiana di una città che va sempre a piedi. Ora, quando, per qualche motivo, ci torno mi ritrovo a camminare inconsapevolmente con piede leggero quasi a non volere pesarci su. Da anni ormai, Venezia è sommersa dall’acqua alta in maniera più violenta e continuativa che mai, la sua laguna è percorsa da navi da crociera più alte del campanile di San Marco per non parlare delle petroliere che vanno e vengono da Marghera, è invasa da masse debordanti di turisti. Ma al di là delle belle parole, delle frasi fatte e delle vesti stracciate, di Venezia non gliene importa niente a nessuno. Non importa niente ai politici locali e nazionali perché altrimenti in tutti questi anni avrebbero fatto ben altre leggi e preso ben altri provvedimenti, non importa ai turisti che si riversano in ondate, questa volta umane, incontenibili e che, se fossero coscienti di quello che fanno, a Venezia non ci dovrebbero venire, non gliene importa niente neanche alla maggior parte dei veneziani perché <fin che ghe semo noi, no che non va zò>. D’altra parte il capitalismo è un modello economico basato sul profitto e nella sua attuale fase neoliberista, caratterizzata da un delirio di onnipotenza, tutto è merce, il turismo è merce, le navi da crociera sono merce, il Mo.s.e. è business, Venezia è merce, è una gallina dalle uova d’oro e le faranno fare le uova d’oro finché non stramazzerà per terra. Continua a leggere
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Mi uccidete ogni giorno.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Mi uccidete ogni giorno
“Mi uccidete ogni giorno, Quando mi dite il come si fa, il come si è.
Mi uccidete ogni giorno, Quando mi volete a forma di madre, di moglie, di brava figlia, di buona donna. Quando ogni parte del mio corpo è in un campionario, alla stregua di una pezza.
Mi uccidete ogni giorno, Quando io vi parlo e voi mi interrompete per dirmi “come sei bella”. Quando difendo una mia idea e voi mi dite “che caratterino”. Quando penso di essere una persona e voi mi dite che sono solo una donna.
Mi uccidete ogni giorno, quando mi fate sentire insufficiente, sempre disperatamente distante da un modello la cui violenza risiede al contempo nella sua imposizione e nella sua irraggiungibilità.
Mi uccidete ogni giorno quando mi volete un po’ mulo, un po’ gazzella.
Voi mi uccidete ogni giorno, quando vi piacciono di più i culi delle tette, di più le tette dei culi, quando fate a pezzi la mia integrità. Quando non considerate me come persona, ma come ruolo, funzione. Sempre e solo a vostra disposizione, e per vostro piacere.
Quando ciò che sento non è vero se non è funzionale alla vostra idea di come devo vivere e sentire. Non è vero, ti sbagli, era solo una lusinga, esagerata, isterica, hai le cose tue, scopa di più. Non ti si può dire niente.
Mi uccidete ogni giorno.
Quando ridete ad ogni mio tentativo di liberazione, quando sminuite la mia frustrazione, perché voglio vivere tra pari e non per gentile concessione, o grazie alla vostra protezione.
Mi uccidete ogni giorno, quando mi dite che devo essere favolosa, mentre io voglio solo essere libera. Libera.
Mi uccidete ogni giorno, sorelle, quando vi sforzate di essere a forma di come ci vogliono loro. E la chiamate decostruzione, autodeterminazione, ma a me sembra più una ristrutturazione, una restaurazione.
Mi uccidete ogni giorno, quando rafforzate il modello che mi opprime, lo corteggiate, pretendete di padroneggiarlo. Ma non si padroneggia il padrone. Il padrone si uccide. Si fa carne macinata, del padrone.
Mi uccidete ogni giorno, ed io non è che non voglia morire. Ma non ogni giorno.”
Una donna
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Mani sporche di sangue
Mani sporche di sangue.
La responsabilità degli stupri, delle torture e degli assassinii di tante e tanti in Cile in questi giorni di sollevazione popolare non è soltanto degli assassini che li eseguono materialmente, ma anche di tutte e tutti quelli che in quello sfortunato paese e anche qui da noi sono fautori, supportano, sponsorizzano, sostengono le politiche neoliberiste. Ed è inutile che si nascondano dietro ipocriti condanne e pelosi cordogli. Le loro mani sono sporche di sangue.
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Cile/ 15 novembre 2019
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