Il capitalismo non è mai sostenibile!

IL CAPITALISMO NON E’ MAI SOSTENIBILE !

di Nicoletta Poidimani

http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1492

La sostenibilità richiede la protezione di tutte le specie e di tutte le genti e il riconoscimento che specie differenti e genti differenti giocano un ruolo essenziale nel mantenimento degli ecosistemi e dei processi ecologici […]. Tanto più l’umanità continua sulla strada della non sostenibilità, quanto più diventa intollerante verso le altre specie e cieca verso il loro ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. 

Vandana Shiva

Se nella ‘fase 1’ ci hanno ammorbate&blindate col pretesto della ‘nostra salute’, per la ‘fase (che) 2 (ovaie!)’ e successive il capitale-Hexenmeister ha già pronte le sue armi propagandistiche sulle magnifiche sorti e progressive per tutelare noi e il pianeta che abitiamo: le energie rinnovabili.

Nulla di nuovo, sia chiaro. Dalla ‘rivoluzione verde’ – che «non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari dell’India, che ha provocato una grave crisi idrica» – al greenwashing non c’è soluzione di continuità.

Il capitalismo sostenibile, ossimoro che nulla ha da invidiare alla ‘guerra umanitaria’, è l’inganno in cui continuano a cadere tanti ‘gretini’.

Perché il capitalismo si fonda sul mal(e)development – di cui ho scritto già brevemente, tempo fa – «ovvero uno sviluppo privo del principio femminile, conservativo, ecologico», «ridotto ad una continuazione del processo di colonizzazione». Uno sviluppo fondato su «categorie patriarcali che interpretano la distruzione come “produzione” e la rigenerazione della vita come “passività”» (*).

Soltanto il femminismo radicale e anticapitalista/materialista è capace, secondo me, di uno sguardo bifocale e postvittimista che comprenda gli stretti nessi tra violenza contro le donne e violenza contro la terra, per opporsi con determinazione allo stato di cose presente e ai suoi sviluppi devastanti.

Per cominciare a trasformare la ‘fase 2’ in ‘fase 2 occhi che finalmente si liberano dalle fette di salame’, consiglio la visione di Planet of the Humans (ringrazio la cara Miky ‘de Belfast’, che me l’ha segnalato).

(*) Vandana Shiva, Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, 1993 [poi ripubblicato da Utet, nel 2004, col titolo Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo]

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CPR /Ancora proteste e pestaggio

Ancora proteste e pestaggio nel CPR di Ponte Galeria a Roma

https://brucerabrucera.noblogs.org/post/2020/05/01/roma-ancora-proteste-e-pestaggio/

Nelle ultime settimane, grazie alla quarantena, la polizia ha alzato il livello di violenza nelle strade. L’abbiamo visto a Torino, o il 25 Aprile a Milano. In tutto il mondo in effetti girano video di sbirri italiani che picchiano gente con la scusa dei controlli. Se prima la violenza veniva esercitata nascondendosi, in strade non affollate o nei commissariati, adesso si fa meno caso alle apparenze.  Per chi i pestaggi li ha sempre avuti come pane quotidiano, la situazione è sempre più difficile. Ce lo dicono, oltre a ciò che si vede in strada con lx senza tetto, le persone pestate e uccise nelle prigioni.

Il 25, nel Cpr di Ponte Galeria a Roma, c’è stato l’ennesimo pestaggio. Nella sezione maschile ci sono una trentina di persone, i due terzi hanno cominciato il Ramadan e protestavano per ricevere cibo. Per questo due di loro sono stati aggrediti dalla polizia, senza troppi complimenti, senza nemmeno coprire le tracce dei manganelli.

Sostanzialmente la stessa cosa che era accaduta pochi giorni prima nel “hotel covid” il posto dove erano state deportate le persone positive ai test dopo la protesta di Torremaura di cui avevamo già scritto.  Anche lì le persone in Ramadan avevano chiesto di ricevere più cibo a cena dato che non stavano consumando il pranzo. Fortunatamente qui non abbiamo notizie dei pestaggi. 

Non c’è da stupirsi né che i Centri di Permanenza per il Rimpatrio restino aperti mentre i rimpatri non possono avvenire; né che gli unici che si preoccupano della propagazione del contagio siano i detenuti che si mettono a dormire all’aperto – come sta succedendo al cpr di Gradisca – visto che non vengono divisi i positivi dai negativi al virus. 

Nulla di strano nel fatto che una volta che le persone escono perché scadono finalmente i termini della loro detenzione, per molte è quasi impossibile raggiungere le persone care (o un posto dove dormire) per via delle restrizioni ai movimenti.

Non c’è da stupirsi se uno stato che sempre ci uccide nelle fabbriche e nelle strade e ci avvelena distruggendo la terra e i suoi abitanti, adesso ci mette tuttx agli arresti domiciliari per salvare le nostre vite.

SEMPRE SOLIDALI CON CHI SI RIBELLA!

CONTRO OGNI STATO, FRONTIERA E GALERA.

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Una lettera dalla compagna di Julian Assange

Libertà per Julian Assange

di Stella Morris   http://www.marx21.it

La vita del mio compagno, Julian Assange, è in grave pericolo. È detenuto nella prigione di Belmarsh e il coronavirus si sta diffondendo tra le sue mura. Julian ed io abbiamo due figli. Da quando sono diventata madre, ho riflettuto sulla mia infanzia.

I miei genitori sono europei, ma quando ero piccola vivevo in Botswana, a otto chilometri dal confine con il Sudafrica dell’apartheid. I genitori di molti miei amici venivano da oltre quel confine. Erano scrittori, pittori e obiettori di coscienza. Abbiamo vissuto in un centro di creatività artistica e di scambio intellettuale.

I libri di storia descrivono l’apartheid come segregazione istituzionale ma era molto di più. La segregazione è stata praticata in pieno giorno. Rapimenti, torture e uccisioni sono avvenuti di notte.

Le fondamenta del sistema dell’apartheid erano precarie, così il regime ha risposto alle idee di riforma politica con le pallottole. Nel giugno 1985 gli squadroni della morte sudafricani hanno attraversato il confine armati di mitragliatrici, mortai e granate. Non appena i colpi sono stati sparati nella notte, i miei genitori mi hanno avvolto in una coperta. Ho dormito mentre loro guidavano a tutta velocità per portarci in salvo. Il rumore delle esplosioni ha raggiunto l’intera capitale nell’ora e mezza necessaria per uccidere 12 persone.

Il primo morto era un pittore eccezionale, un intimo amico della mia famiglia. Il Sudafrica ha sostenuto che l’obiettivo del raid era l’ala armata dell’ANC ma in realtà la maggior parte delle vittime erano civili innocenti e bambini uccisi mentre dormivano nei loro letti. Dopo qualche giorno abbiamo lasciato il Botswana. Continua a leggere

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Video e foto del 1 maggio a Trieste

ancora dalle compagne friulane video e foto del                  1 maggio a Trieste!

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Donna-macchina-di riproducibilità

Riceviamo da una compagna un interessante contributo

????????????????????????????????̈. ???????????????????????? ???????????? ???????? ???????????????????????? – episodio 4 : IO SONO UNA CINGHIA DI TRASMISSIONE

 

ASCOLTARE QUI https://www.spreaker.com/user/radio_india/puntata-quattro-4 )

All’epoca dei film muti, le donne occupavano una vasta gamma di ruoli nell’industria cinematografica di Hollywood. A quel tempo, scrive Shelley Stamp, l’attività cinematografica era “probabilmente molto più aperta alle cineaste di quanto non lo sia oggi”.

L’attitudine speciale delle donne al montaggio fu notata per la prima volta 1925 dal “Motion Picture Magazine”, dove è scritto: “Le più grandi montatrici sono donne. Sono veloci, ingegnose, piene di risorse”.

Montatore non era ancora il nome di un MESTIERE

Si chiamavano patchers e si limitavano a incollare i pezzi di pellicola: erano in prevalenza donne perché costavano (molto) meno degli uomini. Prima di diventare film-cutter o film-editor si poteva essere assunte come Joiner, diventando assemblatrici di centinaia di rulli da cui estrarre bobine su misura. Il montaggio non era considerato un’arte, ma una procedura monotona e meramente tecnica. Letteralmente un “taglia e cuci”, qualcosa di simile al paziente lavoro di una sarta o d’una bibliotecaria, adatto a mani femminili.

Essere assunte come cutter divenne possibile per giovani con poca o nessuna formazione professionale. Manodopera non qualificata, una cutter non veniva accreditata nei titoli di coda o sulle locandine.

Margaret Booth fu assunta nello studio di Griffith appena diplomata. Da Joiner fu promossa a negative cutter.

Quando ancora non era possibile incidere dei numeri di riferimento sui margini della pellicola, il lavoro risultava difficile, complicato, tedioso, richiedeva un’enorme quantità di tempo: la corrispondenza dei frames andava scovata ad occhio nudo. Ma una lenta inquadratura poteva durare centinaia e centinaia di fotogrammi.

Prima che fosse introdotta la Moviola (che assomigliava molto nella sua struttura a una “macchina da cucire”) le bobine scorrevano direttamente tra le dita delle montatrici.

“Scorrendoli mi mettevo a contare come se stessi contando la musica, per dare alla scena il giusto ritmo”, scrive Booth nel suo saggio Cutter. Continua a leggere

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Il virus uccide-Il capitalismo di più

Riceviamo dalle compagne friulane

Sui fatti di Campo S. Giacomo, a Trieste, nella mattinata del Primo Maggio 2020

Siamo i compagni e le compagne che hanno retto lo striscione con la scritta Il virus uccide Il capitalismo di più”.

Stamattina ci siamo recati, come molti altri, in Campo S. Giacomo, su invito della Rete Triestina per il Primo Maggio e della Rete Antifascista-Antirazzista, per testimoniare il nostro punto di vista sulla situazione attuale, determinata dall’epidemia di coronavirus e sulle dinamiche sociali ed economiche dominate da provvedimenti di sospensione – o quantomeno di forte limitazione – delle libertà individuali e collettive (diritto di manifestare, diritto di sciopero…), proprio nel momento in cui il prezzo della crisi è e sarà pagato principalmente dai soggetti più deboli e sfruttati.

Dopo alcuni minuti nei quali reggevamo lo striscione (tre persone su una lunghezza di oltre cinque metri, quindi con rispetto delle distanze prescritte) ed in assenza di altre forme di comportamento e/o azione che normalmente qualificano una manifestazione – volantinaggi, discorsi amplificati, corteo, lanci di slogans – funzionari della Digos ci intimavano di chiudere lo striscione o abbandonarlo a terra, sostenendo che il suo dispiegamento, di per sé, costituiva una manifestazione non autorizzata. Di risposta affermavamo che ci limitavamo a reggere lo striscione stesso con le dovute precauzioni (indossavamo tutti le mascherine), rispettando le prescrizioni in materia di coronavirus. Nonostante ciò, la polizia passava alle vie di fatto, avventandosi in forze per strapparci di mano lo striscione. Tra le urla di disapprovazione e le proteste dei presenti, i poliziotti hanno di fatto determinato, con il loro comportamento, una situazione di “faccia a faccia” tra noi e loro e tra loro stessi, che ha fatto carta straccia di tutte le distanze di sicurezza tanto propagandate.

Un episodio di tensione da noi non voluto, foriero a detta degli stessi agenti di possibili denunce a nostro carico: episodio che dimostra una volta di più come i periodi di emergenza siano sempre e comunque funzionali a togliere spazi di comunicazione e incontro, ovvero di democrazia reale, aumentando la discrezionalità e l’onnipotenza delle forze di polizia.

Con la frase riportata, “Il virus uccide Il capitalismo di più”, intendevamo evidenziare la stretta connessione tra la diffusione dell’epidemia e l’attuale sistema di rapporti sociali e di produzione che, con la sua logica predatoria e di sfruttamento delle risorse naturali – minerali ed animali – ed umane, alla ricerca di margini di profitto sempre maggiori, sta portando l’umanità, sopratutto la sua parte più debole, al collasso. Non a caso, sembra che l’epidemia sia partita da una delle aree della Cina più industrializzate ed inquinate, ad altissima densità abitativa, in funzione della produzione, e in prossimità di allevamenti intensivi che – per le condizioni di vita degli animali – ne fanno un probabile diffusore di virus verso gli esseri umani, come denunciato negli ultimi anni da biologici ed epidemiologi non asserviti al potere economico.

Anche se il virus fosse uscito per sbaglio da qualche laboratorio di ricerca, altra ipotesi più volte avanzata, ciò non scagionerebbe il capitalismo dalla sua responsabilità, in quanto quel tipo di ricerca è determinata dalla sua volontà di manipolazione e dominio della natura, a scopo di profitto o bellico.

Non a caso in Italia la regione colpita per prima e più delle altre è la Lombardia, anch’essa ad altissimo tasso di industrializzazione ed inquinamento atmosferico, con una logica produttivistica, che costringe centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici a permanere in fabbrica o in ufficio a stretto contatto per lunghe ore.

Se quindi è corretto individuare nel sistema economico dominante la causa della pandemia, va evidenziato come la risposta del sistema sanitario nazionale sia risultata da subito insufficiente ed inadeguata a contenere la stessa, dopo che negli ultimi 30 anni governi di ogni risma hanno portato tagli alla sanità, riducendo drasticamente i posti letto, indebolendo i presidi sanitari, deviando risorse verso le strutture private, mettendo così a repentaglio la sicurezza di chi opera negli ospedali. Questo non è avvenuto per errore dei governanti, ma per la loro subalternità ai poteri economici, agli interessi di chi ha trasformato il diritto alla salute di tutti in un business per pochi. Peraltro, nel mentre, enormi risorse economiche sono state drenate a favore delle spese militari o per “grandi opere” dannose.

Ad oggi, la preoccupazione principale del governo è quella di riaprire le attività produttive, molte delle quali mai cessate realmente, continuando a ragionare con la logica del profitto come unico pensiero guida. Il risultato di tutto ciò è una situazione in cui dovremmo accettare una comunicazione unidirezionale dal potere verso le masse, la digitalizzazione dei rapporti sociali, il disciplinamento individuale, la militarizzazione sociale e territoriale, la possibilità di muoverci solo per lavorare ed acquistare. Quindi dovremmo accettare l’apparato produttivo di sfruttamento come l’unico legittimato a far valere le sue ragioni. O riusciamo a lottare contro tutto questo o tanto vale tenerci il virus…

DIFENDIAMO LE LIBERTA’ INDIVIDUALI E COLLETTIVE!

MAI PIU’ TAGLI ALLA SANITA’!

IL VIRUS UCCIDE, IL CAPITALISMO DI PIU’!

I compagni e le compagne che tenevano lo striscione

1° Maggio 2020 – Trieste

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In ricordo di Viviana

da compagne/i che la conoscevano

Ciao Vivi

Alcuni giorni fa è girata, tramite passaparola e articoli di giornale, la notizia dell’omicidio di una ragazza di 34 anni di Bergamo, Viviana. L’ennesimo atto di violenza patriarcale: picchiata brutalmente a calci e pugni dal suo convivente per motivi di gelosia, Viviana è morta dopo sei giorni di coma in seguito ai traumi riportati. In questo periodo in cui lo Stato ci impone di stare rinchiusx in casa, pretendendo perfino di decidere quali dovrebbero essere i nostri affetti principali (al cui vertice stanno ovviamente la famiglia di sangue e la coppia stabile), i casi di violenza di genere sono ancora più numerosi del solito. Coppia e famiglia sono i pilastri dell’ordine sociale eteronormativo funzionale allo Stato. Nella retorica degli ordini imposti da papà-Stato, del #restiamo a casa e delle bandiere tricolori vengono rilanciati valori familistici e patriottici dal marcio odore fascista. Molte donne e persone LGBT si trovano in questo momento in situazioni di difficoltà in quanto costrette a una convivenza forzata in relazioni oppressive o con una famiglia che non le accetta, impossibilitate ad andarsene e private della possibilità di raggiungere le proprie reti di supporto, composte soprattutto dai legami di amicizia.

Alcunx di noi hanno conosciuto Viviana in uno squat o in un concerto punk, o l’hanno magari incrociata a una manifestazione. Da diversi anni ci si era persx di vista, ma chi l’ha conosciuta la ricorda come una ragazza dolce, solare, amabile, che non meritava certo una fine così orribile.

Non dimenticheremo niente e non perdoneremo niente. Perché non si dica mai più che il patriarcato non esiste o è acqua passata. Perché le nostre relazioni siano finalmente liberi scambi tra individui e non gabbie di possessività. Perché questa civilizzazione assassina crolli con tutte le sue fondamenta, comprese quelle cementate dentro di noi.

Ciao Vivi

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1 maggio 2020!

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30 aprile 1975/Liberazione di Saigon!

Storia e memoria/30 aprile 1975/Liberazione di Saigon!

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ADESSO BASTA!!!

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Responsabil* ma mai ubbidient*!

RIPOSTIAMO QUESTO COMMENTO CHE ABBIAMO TROVATO SUL PROFILO DI UNA COMPAGNA E CREDIAMO VALGA LA PENA LEGGERLO

“Un’amica ha detto:

Questa non è la fase 2, è la fase 1950. L’avvocato del Popolo, con insopportabile e inguaribile paternalismo, ci ha rivelato che la crisi Covid-19 è RESPONSABILITA’ (quindi COLPA) nostra. Non uno straccio di parola sulla riforma del SSN, non una presa di responsabilità sugli errori commessi da amministratori di ogni livello, sulle zone rosse non fatte, sugli interessi criminali di Confindustria che hanno mandato al macello decine di migliaia di persone. No, la responsabilità è dei cittadini e delle cittadine, ammonit@ e bacchettat@ dal Preside del Consiglio che detta la linea del ritorno alla famiglia clanica, piccolo-borghese, eterosessuale, politicamente repressa, dove il welfare non esiste e il lavoro di cura è interamente responsabilità dei membri della famiglia, e soprattutto delle donne, certificata con i legami di sangue e controfirmata sul modello di autocertificazione #41bis vidimato dal Poliziotto di turno che ti ferma (se non ti manganella) e che deve accertare se e quanto il tuo legame familiare e affettivo sia autentico ed impellente. Questa sarebbe la soluzione ad una crisi che non hanno alcuna intenzione di affrontare potenziando (non sia mai RIFORMANDO!) il SSN, potenziando l’istruzione ricerca, nazionalizzando e riconvertendo settori produttivi strategici, predisponendo strumenti di welfare per non lasciare indietro nessun@ e non condannare migliaia di persone alla fame, o al welfare sostitutivo delle mafie (e dei fascisti) che impestano i nostri territori, quindi in ogni caso alla guerra tra poveri.

Tanto per cominciare dal lato più personale ma non ‘individualista’ (perché car* opioninist* facebookari, vi ricordo che anche negli anni Settanta si diceva che il personale è politico, cerchiamo almeno nel ragionamento di non tornare 50 anni indietro per cortesia) chi non ha relazione sentimentali omonormative certificate da una residenza comune o da carte bollate (e magari non ha i parenti dietro l’angolo) può rimanere a casa da sol@ a vita. Chi a casa ha relazioni familiari abusanti, mariti violenti e già prima non poteva andarsene perché non aveva i mezzi economici, ora è semplicemente spacciat@ ma ehi, sta in famiglia, quindi per il governo Conte il problema è risolto! Eh sì, perché oltre al dovere di incontrare (e persino poter invitare ai funerali!) solo persone con le quali si hanno comprovati legami di sangue, tali persone devono necessariamente risiedere nello stesso comune, o Regione. Le ‘famiglie’ composte da figli, figlie, congiunti o legami affettivi che si sono dovuti spostare lontano da casa, quelli non contano niente. Ah e dimenticavo, nella fase 1950 siccome la Famiglia è importante, puoi andare tranquillamente a fare una cena a casa di tua nonna 80enne, cardiopatica e con varie patologie, ma non puoi incontrare un amic@ o un@ partner che sia in salute e senza malattie perché appunto, oltre la famigghia non c’è futuro.

E d’altronde, per forza, dato che di strumenti di welfare, reddito e ricerca che facciano fronte alla crisi qui non c’è nemmeno l’ombra. L’istruzione, la socialità, l’educazione affettiva e la formazione non contano nulla, nemmeno si prova ad affrontarla, semplicemente si mollano bambini bambine e adolescenti nelle mani delle loro famiglie, la formazione superiore è sospesa sine die e manco menzionata, nemmeno accennata dietro allenamenti di sport di gruppo e commercio al dettaglio. A fronte di questa situazione, nei migliori dei casi, ci saranno famiglie colte, con case decenti e spazi ampi, mezzi tecnologici adeguati per garantire l’insegnamento a distanza, alfabetizzazione digitale e livelli culturali abbastanza elevati da consentire di sopperire alla totale mancanza della scuola e della socialità. Se manca una qualsiasi di queste condizioni, se si proviene da una famiglia economicamente, culturalmente o tecnologicamente arretrata, questa è la pietra tombale su un gap d’istruzione e socializzazione che non verrà mai colmato. D’altronde, si è capito che della disuguaglianza, di chi magari un indirizzo di residenza e una casa non ce l’ha, di chi è precari@ e sfruttat@, di chi ha bisogno della sanità pubblica (consultori, ambulatori, ospedali ecc) perché non si può (e non si vuole) permettere prestazioni private, a questo governo, importa meno di zero. E se non riescono a mangiare, che si accontassero dei contributi per la spesa se e quando arriveranno, o ancora meglio dei pacchi alimentari donati da associazioni e mutualismo socialismo che, volenti o nolenti, finiscono per fare da ammortizzatori sociali e levare le castagne dal fuoco alle istituzioni che di tali situazioni dovrebbero farsi carico.

E a fronte di questo, “Nessuno pensi di fare assembramenti!”, ci dice il paternalista presidente del Consiglio. Nessuno pensi di incazzarsi per reclamare i propri diritti, di manifestare in modo responsabile e sanitariamente sicuro il proprio dissenso, perché il manifestante e il runner sono gli untori par excellence, benché non esista UN singolo caso di studio o aneddotica che dimostri che, qui in Italia, qualcuno sia stato contagiato dal runner che correva da solo sotto casa inseguito dai droni, o da coloro che in queste settimane hanno dimostrato pubblicamente il proprio dissenso. E se vi manganellano, vi denunciano e vi reprimono, ringraziate e state zitt@, che quelli sono ‘normali’ controlli di polizia e delle autocertificazioni, come detto per esempio a Milano, così come è normale che i detenuti e le detenute schiattino ammazzat@ nelle carceri o dal Covid-19 o dai secondini senza alcune indagine perché si sa, erano tutti drogati e sono morti d’overdose, così come è lampante che Cristo s’è morto de freddo.

Premesso tutto ciò, io non mi aspettavo nulla nemmeno prima da questi figuri, ma così mi pare troppo. Chi vuole rimanere a casa e osservare religiosamente il lockdown sperando che, senza un minimo piano di prevenzione, pianifcazione e tutela di massa, il virus se ne vada, lo faccia. Con tutti gli altri, responsabili ma mai ubbidienti, ci vediamo presto in città.”

M.Z.

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25 aprile 2020 a Torpignattara a Roma

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25 aprile 2020 al Quadraro a Roma

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ADESSO BASTA!!!!

Un bellissimo testo di Nicoletta Poidimani che condividiamo pienamente in ogni parola!!!

ADESSO BASTA!!!!

http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1486

Il tempo della reclusione “volontaria” avanza e si dilata a dismisura.

Quella che era stata spacciata per prevenzione si rivela essere, sempre più chiaramente, una tecnica di addomesticamento.
La prima, infatti, mette immediatamente in campo tutte le misure realmente efficaci, quindi necessarie, per anticipare ed evitare il diffondersi delle patologie; l’addomesticamento, invece, presuppone la gradualità dell’addestramento, fino ad ottenere la totale obbedienza e sottomissione.

Ci hanno infantilizzate/i in base ad un concetto distorto che vede i bambini non come esseri dotati di propria autonomia ma come figli su cui esercitare la propria autorità e ci hanno ammorbate/i con continui consigli su come trascorrere il nostro tempo blindato – cosa leggere, come scopare, cosa cucinare, come vestirsi, quanto dormire, cosa cantare e a che ora, come e quando lavarsi le mani, …
Hanno dispiegato apparati di controllo e repressione costosissimi – polizie, eserciti, droni, elicotteri, guardie costiere, telecamere, e varie altre amenità – contro chi “si permette” di fare un po’ di movimento all’aperto, di portare il proprio figlio a prendere un po’ d’aria, di salutare un’amica, di comprarsi una matita, di fermarsi per strada ad annusare un fiore, di guardare un tramonto, di commemorare le partigiane e i partigiani (ormai diventato un reato di “resistenza” <https://radiocane.info/milano-cronaca-25-aprile-quarantena/>) e perfino di sudare <https://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2020/04/26/news/rischia-di-prendere-una-multa-perche-era-sudata-sulla-strada-1.38762193>!
Hanno sollecitato la pratica infame della delazione ripescandola dal ventennio fascista e ora arrivano, con una rinnovata polizia dell’anima, a cercare di violare definitivamente la nostra intimità invadendo la nostra sfera relazionale e stabilendo chi potremo vedere e chi no nella pagliacciata che chiamano “fase 2″ – e che in realtà dovremmo chiamare “fase che 2 ovaie!” (grazie, Giò, per questo geniale detournement!).

Ed ecco riemergere il clerico-fascismo “mai morto” (proprio come suona il motto della X Mas!) che (im)pone al centro delle nostre vite ‘a famigghia: ci dicono che potremo vedere i parenti – se pure con misura e senza riunioni familiari. Ma guai se ci si incontra con chi pare a noi!

Adesso basta!

Nessuno riuscirà mai a disciplinarmi né ad immiserirmi in questa logica familista, di cui si nutre anche lo ius sanguinis!

Io voglio vedere le mie amiche, le mie compagne di vita, e le vedrò (una l’ho già riabbracciata, tiè!).

I miei genitori sono morti da decenni, grazie a questa “civiltà” cancerogena, e dei legami di parentela rimasti ne faccio volentieri a meno.

C’è, per me, una differenza fondamentale tra la parentela – che è casuale – e le relazioni che, invece, mi sono scelta e mi hanno nutrita negli anni, come c’è un abisso tra la vera sorella e la sorella vera.

Quando, nel 2016, ho attraversato l’esperienza del cancro e mi avevano pronosticato pochi mesi di vita, accanto a me ho voluto le mie compagne di vita e le mie relazioni autentiche. Non i parenti.
La forza di queste relazioni è stato uno degli elementi della mia guarigione – “guarigione miracolosa”, a detta dei medici.

A differenza dei preti, non credo nei miracoli ma nella forza dell’autodeterminazione, di quel grande dono che il movimento delle donne mi ha fatto quando ero adolescente!

Quella stessa autodeterminazione, che di fronte ad una prognosi infausta ha guidato le mie scelte terapeutiche, alimentari, lavorative, esistenziali e relazionali, oggi è più forte che mai.

Non mi sono fatta sovradeterminare dalla paura del cancro, non vedo perché dovrei farmi sovradeterminare da quella del covid, che cercano in tutti i modi di instillarci.

In Italia il cancro è la seconda causa di morte. Non lo dico io, ma le statistiche <http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/04/C_17_notizie_3897_0_file.pdf>.
Quali governanti si sono mai preoccupati di rendere questa società meno cancerogena?
Nessuno. Perché la scelta è sempre tra il profitto e la vita altrui dal punto di vista del capitale, e tra il pane e la propria vita – intesa come qualità della vita e non come mera sopravvivenza – dal punto di vista del lavoro.

Nel 1976 abitavo accanto a Seveso <http://www.nicolettapoidimani.it/wp-content/uploads/2020/02/Atti_TOPO.pdf> e, come me, decine di migliaia di persone. Andassero a vedere l’incidenza del cancro in chi abitava o ancora abita quelle zone, lor signori che oggi pretendono “in nome dalla scienza” di decidere al posto nostro cosa sia “salutare” e cosa no.
E a cosa è servita la “direttiva Seveso”? La riposta è a Taranto, nella “terra dei fuochi”, a Carrara e in numerose altre zone di questo paese, così come in questo intero pianeta spolpato dai predatori – come direbbe Toni Morrison – e da quegli stessi predatori avvelenato.

La mia laica pietas non può essere solo nei confronti dei morti per covid-19, per altro causati in gran parte dall’inettitudine, dagli intrallazzi e dalle politiche dei vari governi locali e nazionali – si veda il caso dello sterminio di anziani nelle Rsa.

La mia laica pietas ha urlato davanti all’impossibilità di abbracciare per l’ultima volta un caro amico in fin di vita – non per covid, perché si continua a morire anche per altre ragioni sia chiaro!
Mai come davanti alla sua morte ho sentito il peso di questa reclusione forzata che diventa lontananza straziante dagli affetti e dalla condivisione anche del dolore e del lutto, che sono la cifra dell’umano.

Allora si fottano lor signori col loro linguaggio bellico di fronte alle malattie.
Per me nemmeno il cancro è stato un nemico da combattere, ma un modo in cui il mio corpo chiedeva di essere ascoltato e, al contempo, indicava i veri nemici nei predatori e negli avvelenatori della terra.

E si fottano ancor più, lor signori, con le loro direttive e con l’insopportabile ed ipocrita arroganza di stabilire per me quale sia “il mio bene”.

Il mio bene è autogestire la mia salute. Il mio bene è tornare ad abbracciare le mie amiche, a condividere con le mie compagne di vita. Il mio bene è annusare il profumo della primavera e contemplare le montagne. Il mio bene è continuare a lottare contro l’ingiustizia sociale. Il mio bene è nella mia etica e nelle mie relazioni.

Sono femminista. Mettetevelo bene in testa: la vita è mia e me la gestisco io!

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25 aprile 2020/ Podcast di una cronaca dalla Sardegna

Cronaca da Cagliari della giornata delle antimilitariste e antimilitaristi per il 25 aprile 2020!

“Io esco e protesto”

<Ci siamo incontrate/i in Piazza Garibaldi alle 11.30, una piazza dalla quale in passato sono partite molte manifestazioni antifasciste. Durante  la mattinata sono arrivati alcuni solidali, abbiamo volantinato, cantato e parlato con i passanti che incuriositi si sono avvicinati. Delle persone anziane hanno espresso la loro contrarietà per la reclusione e discriminazione nei loro confronti. Ad alcuni non siamo stati graditi e l’abbiamo scoperto dopo che abbiamo letto degli articoli, uno è di Gianfranco Piscitelli, un avvocato, che ha commentato negativamente l’iniziativa, suggerendo quali sanzioni si sarebbero potute applicare nei nostri confronti. Alcune compagne e compagni sono stati identificati dalle forze dell’ordine che hanno presidiato la piazza fino a quando non siamo andati via.>

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Pubblicato in 25 aprile, Antifascismo, Autorganizzazione, I Nomi Delle Cose, Podcast, Territorio | Contrassegnato , , , , , , , | Commenti disabilitati su 25 aprile 2020/ Podcast di una cronaca dalla Sardegna