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Carovana Bialysturbo : il blog : https://bialystok.noblogs.org/

Carovana Bialysturbo
Complici con i/le prigionierx anarchicx
Solidali con chi si rivolta dentro
Ormai non si contano più le operazioni repressive che colpiscono compagn* negli ultimi anni. Però ce le ricordiamo tutte. L’ultima in data 12 giugno denominata Bialystok si è addirittura spinta oltre le frontiere italiane, arrivando in altri paesi per arrestarl*.
Lungi da noi l’idea di abituarci/rendere banali gli arresti legati a tutte queste inchieste per terrorismo. Anzi ci dipingono come viaggiatori anarchiche del conflitto. Ebbene si, non entreremo mai nei canoni del trittico produci-consuma-crepa, al quale aggiungere «stai zitt* e rimani dove sei a debita distanza dalle altre persone». Non vogliamo riconoscere e legittimare le frontiere cosi come l autorità, ci muoviamo e ci muoveremo, per fare esperienze per dare solidarietà per occupare ancora e ancora nei pezzi di mondo da sovvertire e da liberare, partendo da noi stess*.
Non ci lasceremo soffocare e con la nostra energica presa bene vogliamo prendere la strada insieme in un progetto un po frizzantino creando una carovana con i nostri mezzi, strumenti, autoproduzioni e saperi senza chiedere il permesso a nessuno.
L’asticella della repressione si è alzata non tanto per le inchieste che ci sono sempre state ma per il fatto che qualsiasi cosa fai è un elemento a carico del accusa. E se fare un saluto, un presidio o andare in giro a incontrare gente che resiste e lotta per la libertà sta diventando terrorismo allora continueremo a farlo sempre di più consapevoli che non ci aspettiamo niente dallo stato che vogliamo abbattere, niente di meno.
Questa carovana sarà/diventerà ciò che vogliamo che sia. L’idea è quella di partire dal centro italia verso sud rivendicandoci la solidarietà a tutt* le i compa incarcerat*. Vogliamo occupare strade, piazze, prati sotto le mura delle carceri, andare a incontrare compa che ci possano ospitare nei posti, creando momenti di scambio confronti iniziative per autofinanziare la carovana stessa e magari tirare su qualche spiccio per rifornire le casse antirepressione.
Portiamo nella nostra stiva ciò che vogliamo e facciamo girare la voce per essere pronti a partire prima dell’inverno. Continua a leggere
A proposito dell’argomento dell’incontro, Nicoletta Poidimani ci ha fornito i materiali di riferimento e riflessione. Eccoli qui e buon incontro a tutte!
Questo è il link del blog di Nicoletta per accedere alla voce Postvittimismo che contiene materiali estremamente interessanti
Sei pazza!, ci dicono quando andiamo troppo lontane, quando oltrepassiamo i limiti che imprigionano il nostro quotidiano.
Sei pazza!
Lasciateci la nostra follia, a noi donne, nella trasgressione dei limiti che confinano la nostra vita e soffocano la nostra dignità.
Tu sei pazza – è la reazione maschile a questo affrancamento.
La nostra reazione a questa razionalità mortale del patriarcato ci ritorna come ingiuria, come un lazo che dovrebbe catturare la nostra radicalità. Ma noi non abbiamo altra scelta che essere radicali. È l’unico modo per riprendere in mano la nostra dignità e la nostra vita.
Dorothea Brockmann (da un volantino delle Rote Zora, 31 dicembre 1983)
Poi, qui di seguito, due brevi saggi (download da http://www.nicolettapoidimani.it/?page_id=42):
di Nicoletta Poidimani
Questo intervento è frutto della mia esperienza personale e delle tracce di memoria – scritta e orale – che il movimento delle donne degli anni ’70 ha lasciato in Italia. Cercherò di mettere in luce le principali linee genealogiche su cui si sono sviluppate, all’interno del movimento delle donne italiano, tanto l’autogestione quanto l’autodifesa come pratica autogestita.
Non mi soffermerò sulle differenze specifiche che sono intercorse tra il nord, il centro e il sud Italia ; tra le diverse città e, nell’ambito di una stessa città, tra i differenti gruppi ; e, all’interno del medesimo gruppo o di gruppi differenti, tra donne eterosessuali e lesbiche. Ciascuno di questi aspetti richiederebbe, infatti, una trattazione approfondita, e limitarsi a farvi cenno rischierebbe di schematizzare in maniera riduzionista la ricchezza e la complessità di una storia che è ancora, in gran parte, da scrivere.
Continua a leggere qui L’autodifesa femminista in Italia: una pratica autogestionaria in Association Autogestion (a cura di), Autogestion. L’Encyclopédie Internationale, Syllepse 2015
di Nicoletta Poidimani
Ragionare sulla violenza non è facile né scontato. Si tratta infatti di una tematica ambigua e scivolosa, sulla quale il prevalere dell’ideologia securitaria ha alimentato un proliferare di discorsi e approcci riduzionisti. In questo clima culturale, non si nomina più il fatto che la violenza sia monopolio dello Stato e dei suoi apparati e, d’altra parte, ogni forma di ribellione antiautoritaria viene bollata con il marchio della violenza.
Come filosofa femminista utilizzerò gli strumenti critici di cui dispongo per problematizzare questa categoria, al di là di facili schematismi.
Continua a leggere qui Rabbia è violenza? Per un approccio post-vittimista al nodo della violenza in Spacco tutto! Violenza e educazione (a cura di Paolo Mottana), Mimesis 2013



E’ il tempo che è trascorso dal mio arrivo a Piacenza, tempo pieno di
vuoto, tempo speso ad addomesticare tutti i propri sensi, nella
sperimentazione di un’autodisciplina che permetta di trasformare
alchemicamente lo spreco di una vita in esperienza formativa. Non ho mai
cercato il conflitto, nonostante la quotidianità, qui, sia la
riproposizione costante di occasioni di scontro; ove abbia opposto le
mie ragioni a questo sistema di neutralizzazione dell’individuo, ho
cercato di farlo con “educazione”, nel forzato rispetto dei ruoli,
tentando di fare mie, o se non altro mie armi, quelle stesse illogiche
dinamiche che i carcerieri issano a propria bandiera: regole, diritti,
doveri, protocolli. E non lo dico certo per farmene un vanto,
tutt’altro: ma l’esperienza umana, in galera, è talmente distante da un
qualsivoglia buon senso, senso comune, o semplicemente senso qualsiasi,
che bisogna giocare la partita anche sapendo bene che è truccata. E ciò
nonostante è stato inevitabile, con il solo riaffermare e preservare la
mia dignità, il crearsi di un rapporto di manifesta inimicizia con
alcuni graduati e dirigenti di questa prigione, senza stupore e senza
sforzo, per gli stessi ruoli assegnatici dalla natura e i posti a sedere
assegnatici dalla vita e dalle scelte personali. E dunque la solerzia di
alcune guardie particolarmente comprese nel proprio ruolo, calorosamente
spalleggiate dalla comandante dell’istituto, ha fatto sì che i contenuti
della mia corrispondenza privata, anche scaduto il primo provvedimento
di censura nel dicembre 2019, privati non fossero mai, in barba a ciò
che dice il codice penale.

-Venerdì 23 Ottobre, h 20.30 SMART CITIES, DUMB PEOPLE
-Domenica 15 Novembre, h 16.30 BIG DATA IS WATCHING YOU
-Domenica 29 Novembre, h 16.30 5G MON AMOUR
Mentre ai piani alti i politici, manovrati da imprenditori e industriali, giocano con la nostra sorte e, senza logica o coerenza, sfornano giorno dopo giorno nuove restrizioni e misure anticovid, noi ci troviamo alle porte di un altro possibile lockdown, stretti tra la paura della malattia, la minaccia della crisi economica e l’ansia di essere nuovamente confinati in casa, soli e completamente immersi nella frustrazione di una vita virtuale.
Il mondo intorno a noi sta cambiando in fretta. Il Covid 19 ha segnato un’accelerazione di tutti i processi politici, economici, tecnologici, culturali e sociali già in atto ed è per questo che, proprio ora, nonostante tutte le difficoltà e i rischi, è necessario incontrarsi ed aprire spazi di discussione per capire cosa sta cambiando e quali sono i progetti per le nostre vite.
Milano è terreno di sperimentazioni, tre incontri sulla città che cambia forma.

Mentre ai piani alti i politici, manovrati da imprenditori e industriali, giocano con la nostra sorte e, senza logica o coerenza, sfornano giorno dopo giorno nuove restrizioni e misure anticovid, noi ci troviamo alle porte di un altro possibile lockdown, stretti tra la paura della malattia, la minaccia della crisi economica e l’ansia di essere nuovamente confinati in casa, soli e completamente immersi nella frustrazione di una vita virtuale.
Il mondo intorno a noi sta cambiando in fretta. Il Covid 19 ha segnato un’accelerazione di tutti i processi politici, economici, tecnologici, culturali e sociali già in atto ed è per questo che, proprio ora, nonostante tutte le difficoltà e i rischi, è necessario incontrarsi ed aprire spazi di discussione per capire cosa sta cambiando e quali sono i progetti per le nostre vite.
Milano è terreno di sperimentazioni, tre incontri sulla città che cambia forma. Continua a leggere
Questo incontro a Trento previsto per domani è stato annullato. Lo riportiamo ugualmente perché riteniamo la chiamata molto interessante e importante. Questa è la strada che dovremmo percorrere <per capire in che direzione ci stanno trascinando e come opporsi.>
https://ilrovescio.info/2020/10/20/trento-memoria-del-presente-i-rovesci-materiali-del-mondo-digitale-estrattivismo-ristrutturazione-del-lavoro-e-societa-della-sorveglianza/


Il 25 ottobre saremo lì, davanti quelle mura che tornano a “ospitare” un centro di reclusione per immigrati senza permesso di soggiorno. Per dire che questo abominio non è ammissibile, che chiunque dovrebbe potersi muovere liberamente, da qualunque parte della terra provenga, senza dover soggiacere a trattamenti così disumani, che il razzismo è una creazione della propaganda dei potenti che fa leva su bassi istinti rancorosi, ma che serve solo a loro per mantenersi saldi nella posizione di comando. Insomma saremo lì per vedere se potrà mai essere possibile trovare la forza, la determinazione, la strada per lottare contro gli orrori odierni.
In ricordo degli algerini e delle algerine trucidati in Francia il 17 ottobre 1961 riportiamo uno stralcio di un articolo che abbiamo pubblicato nel 2015
[…] il più grande eccidio civile in Francia nel dopoguerra non è stato quello del 14 novembre di quest’anno [2015 n.d.r.] ma quello del 17 ottobre del 1961, quando una manifestazione di algerini francesi che chiedevano indipendenza per il proprio paese fu repressa nel sangue. Manifestazione indipendentista che aveva assunto anche un aspetto sociale: gli invisibili abitanti delle periferie più squallide, che producevano alla Renault e nelle altre fabbriche della Parigi operaia, invasero il centro della “ville lumière”, vetrina del benessere e della “grandeur” francesi. La manifestazione era assolutamente pacifica, la chiamata era contro l’imposizione del coprifuoco alla popolazione algerina e diceva testualmente “ non saranno tollerate armi – “neanche una spina” – né comportamenti violenti” e parteciparono in trentamila comprese famiglie, donne e bambini. Ancora oggi non si sa esattamente quanti siano stati i morti, non è stato neanche mai possibile definirne la cifra, approssimativamente fra i duecento e i trecento. Per settimane la Senna riportò a galla decine di cadaveri. La polizia di allora disse che i morti erano stati tre e che si era dovuta difendere da manifestanti armati. Da quel tragico giorno si sono succeduti numerosi governi, nessuno ha voluto e saputo raccontare quegli avvenimenti, neanche i vari personaggi istituzionali che si sono avvicendati nella magistratura e nella polizia. Nessuno è stato chiamato a risponderne. Nessuno ha pagato. E’ calato un silenzio tombale che ha ucciso per la seconda volta donne, bambini, anziani e uomini. A proposito di questi ultimi molti dei cadaveri recuperati erano evirati, a conferma dell’efferatezza di quelle uccisioni e a smentita di una presunta superiorità della civiltà bianca. A questo silenzio si sono accodati accademici e storici, quell’episodio non viene citato in nessun libro di storia, come allora non fu riportato da nessun giornale tranne che dall’Humanité e dalle riviste Temps Modernes e Testimonianza Cristiana, e fu denunciato solo da pochi coraggiosi intellettuali come Jean Paul Sartre, Jean Luc Einaudi e dallo storico Pierre Vidal-Naquet. Da questo punto di vista non è cambiato niente.[…]



“Ogni donna, del percorso della sua crescita, porta dentro di sé uno o più marchi indelebili di illibertà. Sono segni del potere, iniziazioni a quel maschile e al suo rispetto, sono seduzioni dell’alterità vincente che ci hanno fatto sentire vive dentro gli stereotipi di questa cultura e ce li hanno fatti assumere come nostri, dentro e fuori di noi: il risultato è una complicità con e per ciò che è “vincente”.” Daniela Pellegrini.[1]
L’8 marzo del 2019 il Consiglio superiore della Magistratura ha pubblicato i dati che ufficializzavano il così detto sorpasso rosa: su 9401 magistrati ordinari, 5103 erano donne, cioè il 53% del totale. E se guardiamo ai giovani magistrati in tirocinio, il dato è ancora più netto, perché la percentuale di donne è del 66%, 231 su un totale di 351.
In Italia poi fra i direttori di carcere, e usiamo volutamente il maschile sottraendoci all’ uso politicamente corretto di un femminile che costituisce un artificio e suona come un coccio rotto, le donne sono il 60%. Sei su dieci. Moltissime poi sono nei corpi di polizia e di controllo in senso lato.
Qualche giorno fa la portavoce del Movimento No Tav, Dana Lauriola, è stata arrestata all’alba e trasferita al carcere delle Vallette a Torino. Dana deve scontare una condanna definitiva a due anni per una protesta NoTav del 2012 in cui fu occupata l’area del casello autostradale di Avigliana facendo passare gli automobilisti senza pagare il pedaggio. Il legale di Dana aveva chiesto l’applicazione delle misure alternative che vengono normalmente concesse in questi casi, applicazione che è stata respinta tanto che l’avvocato difensore ha dichiarato che in trent’anni di professione non gli era mai capitato un caso analogo. La paradossale sentenza è stata emessa dal Tribunale di sorveglianza di Torino nella persona del giudice Elena Bonu.
Il giudice è una donna.
Il movimento NoTav ha già fatto esperienze di questo tipo. Nella vicenda di Maya, tanto per citare un altro caso, uno dei tanti. Maya, compagna No Tav, nel 2017 aveva denunciato le violenze e gli insulti subiti da parte della polizia di Torino e venne interrogata sia come parte lesa, perché aveva sporto denuncia, ma anche come indagata, non si sa bene di cosa. Anche in questo caso, il pubblico ministero era una donna, Emanuela Pedrotta, nota per l’ “attenzione” al movimento No Tav e ai militanti torinesi.
O il caso di Marta, compagna pisana che durante una manifestazione notturna al cantiere di Chiomonte venne fermata dalla polizia dopo una violenta carica nel luglio 2013 e denunciò in una conferenza stampa di essere stata pestata, insultata e molestata sessualmente, ripetutamente insultata, anche da un’agente donna, con gravi epiteti di carattere sessista. Come se non bastasse fu lei ad essere denunciata. Alla prima udienza del processo, le compagne che esposero uno striscione di solidarietà furono caricate, denunciate e accusate di ogni sorta di reato e condannate a 8 mesi. La pm era una donna come tutto il collegio giudicante.
Questo solo per citare alcuni casi che riguardano il Movimento NoTav dato che il posizionamento nei riguardi di questa lotta è una cartina di tornasole.
Queste donne di repressione fanno parte del vasto arcipelago delle Patriarche Continua a leggere
Un’interessante trasmissione su radiocane.info

Da anni ormai, nella aule scolastiche di ogni genere e grado, l’educazione alla legalità rappresenta di fatto una materia trasversale vòlta a inculcare le basi ideologiche della cittadinanza e dell’obbedienza, secondo cui «la legge è sempre buona» e «se si vogliono cambiare le cose, bisogna cambiare la legge» – beninteso: «secondo le modalità previste dalla legge stessa». Stante la delicatezza della materia da plasmare, il trattamento riservato ai “minori” che decidono determinare in piena autonomia i propri valori e, soprattutto, le proprie modalità di intervento sul reale prevede una gamma surreale di interventi di reinserimento spesso ancor più subdoli e violenti della schietta azione repressiva.
In questo contributo, a partire da una fantomatica maxi-inchiesta relativa a fatti risalenti all’autunno del 2017, seguiamo una giovane compagna in un viaggio nei labirinti del dispositivo correttivo minorile dove l’occhiuta sorveglianza di giudici-psicologi e assistenti sociali valuta non già le condotte specifiche degli imputati (i supposti reati), bensì il grado di raddrizzamento della persona e dei suoi tratti socialmente pericolosi.