Cosa è una vittima

 Questo culto è, in terzo luogo, generatore di colpa. Il capitalismo è, presumibilmente, il primo caso di culto che non toglie il peccato, ma genera la colpa. In ciò questo sistema religioso sta nella caduta di un immenso movimento. Un immensa coscienza della colpa, che non sa togliersi il peccato, fa ricorso al culto non per espiare in esso questa colpa, bensì per renderla universale, martellarla nella coscienza e infine e soprattutto includere Dio stesso in questa colpa per infine interessare lui stesso all’espiazione.” W. Benjamin a proposito della dimensione religiosa del capitalismo.

Vi proponiamo un interessante testo che pur portando una firma maschile, fuori dalla nostra linea editoriale che prevede firme solo di donne, riteniamo estremamente utile pubblicare per l’indagine sul  paradigma vittimario, quella costruzione politico-giuridico-sociale che il sistema di potere usa per impedire la comprensione della natura e della causa delle cose.

Cosa è una vittima

di Gregorio Moneti [ a questo link potrete trovare un ulteriore approfondimento https://www.rivisteweb.it/doi/10.7383/98199]

1. Premessa. – 2. La vittima sacrificale. – 3. La vittima espiatoria. – 4. La vittima vincitrice. – 5. La vittima sconfitta. – 6. Una definizione pura di vittima. – 7. Non essere più vittime. Il diritto penale minimo – 8. Il femminismo materialista e il post vittimismo. – 9. Conclusioni.

  1. Premessa

La vittima ha nel diritto penale un ruolo fondamentale ma per lo più nascosto, misconosciuto. Questa è anzitutto il principale elemento di giustificazione dell’intero impianto giuridico, della potestà di punire, del monopolio statale della forza e della violenza legittima.

Nonostante sia sempre più presente nel dibattito pubblico, ed oggetto di specifici studi specialistici, la vittima è rimasta comunque un oggetto indefinito, tautologicamente ricondotto al soggetto che ha subito un torto.

Più che chiedersi chi è vittima e perché, bisognerebbe preliminarmente domandarsi cosa è una vittima.

Sosteneva Girard (2011, 35) che un qualsiasi sistema giuridico si basa su di una giustificazione, una teologia della giustizia, che può anche scomparire… e la trascendenza del sistema restare intatta”.

Ricercare una definizione minima del concetto di vittima vuol dire quindi demistificare la struttura profonda del nostro sistema penale, della nostra identità collettiva, facendo a pieno i conti con la nostra storia.

Si tratta di affrontare un percorso lungo e complesso che qui non potrà che essere solo abbozzato. Al fine di proporre una prima ipotesi della definizione minima che ci siamo preposti di ricercare tenteremo di individuare quattro modelli archetipi di vittima, provando ad isolare una caratteristica minima comune sulla base della quale sia possibile fondare delle ipotesi.

  1. La vittima sacrificale

Il primo modello archetipo che dobbiamo qui affrontare è quello della vittima sacrificale.

Il sacrificio pur nelle forme più disparate e spesso esclusivamente simboliche attraversa la storia dell’umanità.
Rene Girard (2011, 17) lo individua quale elemento fondante di ogni società.
In particolare il sacrificio assolverebbe una ben precisa funzione preventiva di tutela della comunità, consistente ne lo
“sviare in direzione di una vittima relativamente indifferente, una vittima sacrificabile, una violenza che cerca di colpire i suoi stessi membri, coloro che intende proteggere a tutti i costi”.

Affidandoci all’opera del filosofo francese possiamo allora dire che un soggetto è sacrificabile anzitutto se su di esso può essere esercitata una violenza senza timore che questa si propaghi all’interno della comunità secondo lo schema mimetico della vendetta, del contagio, della contrapposizione interna.

La vittima sacrificale è il soggetto sacrificabile su cui la violenza si ferma senza possibilità di diffondersi ulteriormente.

L’idea alla base del sacrificio si fonda su di una concezione della violenza quale elemento ineliminabile della società umana; ineliminabile ma gestibile, isolabile appunto su di un soggetto esterno o espellibile, capace di trattenere su di sé la violenza, catturandola preventivamente al di fuori prima che si propaghi all’interno. Continua a leggere

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Passacaglia della vita/ Rosemary Standley

O come t’inganni/ Se pensi che gli anni/  Non hanno a finire

O come t’inganni
Se pensi che gli anni
Non hanno a finire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
È un sogno la vita
Che par sì gradita
È breve il gioire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morir
Non val medicina
Non giova la china
Non si può guarire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
I giovani, i putti
E gli uomini tutti
Tutt’hanno a finire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
I sani, gl’infermi
I bravi, gl’inermi
Tutt’hanno a finire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
La morte crudele
A tutt’è infedele
Ognuno svergogna
Morire bisogna
Morire bisogna, morire bisogna
È pur o pazzia
O gran frenesia
Par dirsi menzogna
Morire bisogna
Morire bisogna, morire bisogna
Si muore cantando
Si muore sonando
La cetra o sampogna
Morire bisogna
Morire bisogna, morire bisogna
Si muore danzando
Bevendo, mangiando
Con quella carogna
Morire bisogna
Morire bisogna, morire bisogna
O come t’inganni
Se pensi che gli anni
Non hanno a finire
Bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morire
Bisogna morire, bisogna morir
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Iniziative il 25 aprile a Lecco, Bologna, Trieste, Ala, Bolzano, Genova…

Iniziative il 25 aprile a Lecco, Bologna, Trieste, Ala, Bolzano, Genova…

ilrovescio.info

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25 aprile 2021

25 aprile 2021

NON E’ PIU’ TEMPO DI PROCESSIONI

Per molti anni il 25 aprile è stata una ricorrenza per ribadire la lotta antifascista, anche se le Istituzioni comprese quelle partigiane <ufficiali> come l’ANPI si sono da subito espresse a tutela dell’ordine costituito snaturando, e sapendo bene cosa questo significasse, l’essenza stessa della Resistenza come lotta per il rifiuto di istituzioni coercitive, repressive e distruttive delle libertà personali, sociali e politiche e come tentativo di creare una società diversa. Gli anni ’70 sono stati emblematici rispetto a questo modo di strumentalizzare il lascito della Resistenza e di manipolare la storia e la memoria: mentre compagne e compagni riallacciavano rapporti con le partigiane e i partigiani che donavano loro anche le armi che avevano nascosto e che si erano rifiutati di dare allo Stato alla fine della guerra, le istituzioni, in tutte le varie articolazioni comprese quelle così dette di sinistra, demonizzavano la violenza politica, parlavano di opposti estremismi e portavano corone che grondavano menzogna sulle lapidi di chi per la Resistenza aveva dato la vita.

Man mano, dalla fine degli anni ’80, mentre il neoliberismo portava avanti la sua sistematica demolizione dei riferimenti politici, dei principi, degli ideali, degli immaginari per un’altra società, abbiamo assistito ad una trasformazione sempre più drammatica dei significati della ricorrenza tanto che la sinistra antagonista ha finito spesso per manifestare in piazza insieme alle Istituzioni contro un fascismo sempre più identificato solamente con quello in orbace. Qualche sussulto di consapevolezza è avvenuto più che altro per le prese di posizione fuori posto e fuori luogo della Brigata ebraica rispetto alla presenza palestinese nei cortei.

Ormai il 25 aprile è stato ridotto ad un rituale privo di significato o meglio risignificato dalle istituzioni a proprio uso e consumo.

Non è più tempo di processioni. Non è più tempo di corone di fiori. Non è più tempo di discorsi. E’ tempo di verità.

E’ tempo di riconoscere chi è il nemico, vale a dire le istituzioni neoliberiste in tutte le loro sfaccettature, dalla destra tradizionale alla sinistra riformista, vale a dire il PD e accoliti, principali artefici della naturalizzazione del neoliberismo nel nostro paese, che rappresentano il nazismo odierno. Lo Stato etico ha la pretesa di decidere delle nostre vite, di presentarsi come detentore del bene e del giusto, ha l’arroganza di proibire e permettere, aprire e chiudere, di farci spostare o di non farci spostare, di vaccinarci obbligatoriamente per sperimentazione e per profitto, di imporci il pass vaccinale, ha la faccia tosta di dirci che possiamo lavorare ma non ci possiamo divertire, che tutto quello che succede è colpa nostra e ricadrà sulle nostre teste. Vuole fare di noi schiavi/e obbedienti e riconoscenti.

Questo è il fascismo di oggi. Questo è quello contro cui dobbiamo batterci. La posta in gioco è altissima, ne va della nostra possibilità di vivere una vita che valga la pena di essere vissuta.

Non dobbiamo fare processioni di giorno, dobbiamo scendere per le strade di notte.

Saluti e baci, le coordinamente

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I ratti dell’immaginario

I ratti dell’immaginario

carmillaonline.com

Dedicato a Giovanna e a tutti coloro che subiscono ma, ancora, resistono

Prima li sentivamo muoversi nei muri, come i topi del celebre racconto di H. P. Lovecraft, poi hanno iniziato a muoversi per le stanze di casa e per le vie delle città e oggi sono venuti allo scoperto rivelandoci tutto l’orrore di questa società che si sarebbe voluto tener nascosto dietro a pareti di discorsi democratici, progressisti e green moltiplicati e riproposti all’infinito dai media.

Si sono presentati così, a volto scoperto con la scusa della pandemia e dei provvedimenti di urgenza, con i Dpcm, con i lacrimogeni sparati in faccia a chi si oppone ai loro devastanti e inutili progetti, con la criminalizzazione dei lavoratori in lotta, con la distribuzione di anni di reclusione o di sorveglianza speciale per chi si ostina a battersi contro le miserie dell’esistente e, per finire in “gloria”, con generali in pompa magna che vorrebbero farci credere di essere al servizio della società e della “nostra” salute.

Negano l’evidenza della gestione fallimentare della pandemia e dell’esistente, negano o ignorano l’assoluta dipendenza di ogni loro decisione dalle necessità immediate o future del capitale, rovinano le mezze classi fingendo di rappresentarle e si accaniscono sui lavoratori salariati e i giovani in una epocale trasformazione del lavoro e della distribuzione che lascerà sul campo milioni di disoccupati oppure di lavoratori destinati a compiti sempre più umili, non garantiti e sottopagati.

Per fare ciò, però, non possono accontentarsi di disciplinare la società e il lavoro ma, come si è già detto su queste pagine (qui) devono anche riuscire a reprimere e disciplinare ogni aspetto dell’immaginario, individuale o collettivo.
Per raggiungere questo obiettivo hanno dovuto andare oltre i limiti della normale produzione di narrazioni tossiche cui ci hanno abituato da tempo le fake news sistemiche e di Stato; hanno superato i limiti di una produzione culturale mainstream, contro cui questa rivista si batte ormai da molti anni poiché ritiene l’immaginario un campo di battaglia fondamentale per la definizione del nostro futuro, e hanno iniziato a porre severi limiti alla libertà di immaginare, in ogni sua forma ed espressione.

In tale ipotesi la libertà d’opinione sarà definitivamente seppellita e si potrà essere liberi di immaginare soltanto se si immaginerà ciò che il Capitale e lo Stato riterranno utile e proficuo immaginare. La capacità di immaginazione sarà trasformata in reato della mente, in associazione a delinquere del desiderio e dovrà essere rigidamente controllata da una sorta di polizia politica dei sogni. Continua a leggere

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Andare a fondo

Andare a fondo. Dai vaccini biotech alle terapie digitali

ilrovescio.info

Se negli ultimi mesi abbiamo scritto parecchi testi su (e contro) la vaccinazione biotecnologica di massa, non è per una sorta di ossessione, ma perché la consideriamo una questione fondamentale. Ripetiamo ancora una volta che il punto decisivo non sono i danni sanitari immediati che essa può provocare, bensì le gigantesche incognite sui suoi effetti a medio-lungo termine (sui corpi e sui virus) e, ancor più, le sue conseguenze sociali. Basta pensare all’enorme quantità di dati sanitari personali che l’industria farmaceutica sta raccogliendo grazie alla vaccinazione di milioni di individui. Questo è il vero segreto di Pulcinella dietro la secretazione degli accordi fra Unione Europea e “Big Pharma”, ben più dei costi delle fiale o dell’immunità legale garantita alle industrie in caso di reazioni avverse gravi o di morti. Come è emerso pubblicamente nel caso dello Stato di Israele – mentre alle nostre latitudini va ancora in scena la sinistra commedia sul consenso informato e sulla “privacy” –, la concessione dei dati medici a Pfizer è stato uno degli elementi chiave nella geopolitica dei vaccini. Quei dati sono probabilmente più preziosi degli stessi profitti immediati (a cui non caso AstraZeneca ha dichiarato di rinunciare “finché dura la dichiarazione di pandemia”, garantendo ai propri azionisti che gli incassi arriveranno con le future – e periodiche – rivaccinazioni). Del tutto a proposito, l’amministratore delegato di Pzifer ha definito lo Stato di Israele «il laboratorio del mondo». Far somministrare il proprio vaccino a un’intera popolazione e raccoglierne via via i dati sanitari è decisamente il sogno di ogni multinazionale. E possiamo anche avanzare un’ipotesi sulla direzione in cui saranno usati quei dati: verso le terapie digitali o bioelettroniche, in grado di sostituire proteine, molecole e princìpi attivi con minuscoli software ingeribili. Si tratta di un mercato per cui i giganti del digitale si stanno fondendo da tempo con l’industria farmaceutica (ad esempio Google – tramite la controllata Verily Life Sciences – con Glaxo, per fare due nomi). Le terapie digitali – di cui non a caso si sente parlare sempre più spesso in televisione o alla radio – sono in commercio negli Stati Uniti dal 2017, anno in cui la FDA ne ha autorizzato l’impiego. Su quel mercato l’Europa è decisamente in ritardo. Non che manchino – soprattutto in Germania – le aziende biotech che hanno già prodotto i loro ritrovati nano-info-bio per curare l’ipertensione, il diabete o l’obesità. Cosa manca? La società in cui farle funzionare. Continua a leggere

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Appello del Comitato Solidale Grup Yorum

Ricordiamoci di Helin Bolek

APPELLO DEL COMITATO SOLIDALE GRUP YORUM

www.osservatoriorepressione.info

Il 24 aprile mobilitazione per Ali Osman Kose/ il prigioniero politico Ali Osman Köse deve essere rilasciato

Ali Osman Köse è un prigioniero politico che ha combattuto tutta la vita per la libertà del popolo turco e della sua terra. È stato arrestato durante la lotta per un paese indipendente, democratico e socialista e ha trascorso 37 anni dei suoi 65 anni di vita in carcere.

La sua prima reclusione risale al 1984 dopo che il 12 settembre 1980 la giunta militare prese il potere in Turchia, sostenuta dagli USA.

Ali Osman Köse ha vissuto molte operazioni repressive nelle prigioni turche, la più significativa delle quali è stata l’Operazione Ritorno alla Vita. Dal 19 al 22 dicembre 2000, l’esercito e la polizia hanno preso d’assalto 20 prigioni turche in cui erano reclusi prigionieri politici. Da due mesi infatti più di 1000 prigionieri politici di sinistra erano impegnati in una protesta portata avanti con lo sciopero della fame a tempo indeterminato per impedire l’introduzione delle prigioni di isolamento di tipo F. Durante questa operazione militare sono state usate armi chimiche, sono morti 28 detenuti e ci sono stati più di 300 feriti.

Ali Osman Köse è in cella di isolamento di tipo F dal 2000. Questo regime di prigionia ha compromesso ulteriormente il suo stato di salute ed è arrivato al punto di non poter più essere lasciato solo. Il parere di un medico indipendente conferma che non può alzarsi senza appoggiarsi da qualche parte o essere aiutato da qualcuno. Ha difficoltà motorie e di coordinazione, non può camminare da solo, lavarsi i vestiti, farsi la doccia, né può mangiare adeguatamente. Ha problemi di udito, di vista e di pressione alta. Ha seri danni alla memoria dovuti ai prolungati scioperi della fame, che gli impediscono di ricordare (tra l’altro) quando prendere le sue medicine. Ultimamente gli è stato diagnosticato un tumore di 9 centimetri al rene e gli è stato deliberatamente impedito un trattamento chirurgico urgente. Continua a leggere

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18 aprile/ Grave un’attivista NoTav/la polizia spara candelotti ad altezza d’uomo

Giovanna è grave, è ricoverata alle Molinette. La polizia ha sparato candelotti ad altezza d’uomo raggiungendola in pieno volto. All’ospedale ha subito pressioni da un’operatrice nonostante le sue condizioni. La polizia ha tentato di interrogarla entrando nella stanza dell’ospedale mentre dentro gli ospedali, per le norme anticovid, non fanno entrare neanche i parenti a confortare i propri cari in gravi condizioni. In poche righe è condensato tutto: violenza del potere, arroganza, discrezionalità assoluta, una donna che intimidisce un’altra donna! La lotta NoTav è una cartina di tornasole.

Questo il resoconto di notav.info

Si è svolta questa mattina alle 12,30, al Centro Polivalente di San Didero, la conferenza stampa del Movimento No Tav per denunciare e fare chiarezza sui gravi fatti accaduti ieri sera a seguito della meravigliosa giornata di lotta e del lungo e partecipatissimo corteo che ha attraversato i paesi della Valle da San Didero a San Giorio.

Il movimento No Tav, infatti, ha poi concluso la giornata di mobilitazione di ieri, con un saluto ai presidianti che ormai da giorni resistono sul tetto del presidio all’interno delle recinzioni.

Le forze dell’ordine hanno avuto una reazione spropositata a questo atto di solidarietà del Movimento, scatenando un fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo colpendo una ragazza in pieno volto.

Questa generosa donna è una valsusina acquisita fin dagli albori del Movimento No Tav. Infatti, è sempre stata  presente dal 2005 in poi con sua figlia, ha anche vissuto in Valsusa per qualche tempo e in ogni occasione possibile è sempre pronta a sostenere la lotta No Tav.

Giovanna attualmente si trova all’ospedale Molinette con due emorragie celebrali e plurime fratture al volto. Ha inoltre subito pressioni da un’operatrice nonostante lo stato fortemente provato per le lesioni subite e l’estrema situazione di fragilità, colpevolizzandola per il fatto di essere stata ferita nell’ambito di una iniziativa del movimento no tav violando quel patto di sicurezza e protezione che si dovrebbero trovare in una condizione normale nel momento in cui si varcano le porte dell’ospedale. E’ notizia di questa mattina, inoltre, che la polizia è andata alle Molinette entrando nella stanza di Giovanna cercando di interrogarla contrariamente a quanto definiscono le norme anti-covid che vietano l’entrata di esterni, compresi i parenti, in ospedale.

Presente alla conferenza anche Loredana Bellone, consigliere comunale di San Didero, che ha sottolineato come l’occupazione militare del territorio del proprio Comune, sia un fatto molto grave e come sia inaccettabile che le forze di polizia non permettano il normale svolgimento della vita quotidiana del paese. Ha inoltre denunciato il comportamento ignobile delle forze dell’ordine che hanno causato il grave ferimento di Giovanna.

Troviamo inaccettabile questo comportamento così come troviamo inaccettabile la scelta di violenza praticata e perpetrata dalle forze dell’ordine ogni volta che la popolazione valsusina decide di opporsi ai cantieri dell’alta velocità.

Da lunedì cittadini e amministratori sono in mobilitazione opponendosi alle operazioni propedeutiche alla costruzione di un nuovo autoporto, cantiere collaterale del progetto, ormai monco, della Torino- Lyone. Quello che si trovano di fronte sono forze militari che si muovono nella notte, spropositate per numero e violenza, accompagnate da idranti e gas lacrimogeni lanciati ad altezza uomo.

Ieri sera si è sfiorata una tragedia che possiamo definire annunciata.

Perchè purtroppo queste modalità le abbiamo già incontrate negli anni passati quando già in altre occasioni il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo, ha causato diversi ferimenti gravi quali ad esempio la perdita di un occhio, svariate fratture al volto e alla testa. Lo diciamo infatti da anni, è inaccettabile che le forze di polizia, in uno stato democratico, violino ogni convenzione dei diritti umani partendo dalla privazione del diritto di manifestazione arrivando a sparare ad altezza uomo lacrimogeni al CS che ricordiamo essere vietati dalla convenzione di Ginevra.

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Fuori le patriarche dalle nostre vite!

Fuori le patriarche dalle nostre vite! Noi non siamo come voi.

Il 21 aprile la Procura di Torino deciderà in merito alla richiesta di sorveglianza speciale avanzata dalla PM Emanuela Pedrotta per Boba, militante torinese e storico redattore di Radio Blackout.

<Noi, dal nostro punto di vista, siamo orgogliosi di porci in aperta opposizione ad un sistema che sfrutta, devasta e impoverisce e che per perpetuarsi usa la censura, la repressione e il controllo.

Noi non siamo come voi>
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La Parentesi di Elisabetta del 21/4/2021

“ANALISI CONCRETA DI COSE CONCRETE”

«non esiste una verità astratta, la verità è sempre concreta» Lenin

Se il pensiero dialettico, come diceva Lenin, consiste nell’«analisi concreta delle condizioni e degli interessi delle diverse classi» significa che deve analizzare il tempo presente e gli interessi di classe nel tempo presente e prima di tutto definire sempre nel tempo presente la composizione di classe.

Il neoliberismo è la struttura ideologica della borghesia transnazionale che ha portato avanti in questi anni una guerra all’interno della propria classe senza esclusione di colpi e ha ridotto le borghesie nazionali ad un ruolo di servizio e proletarizzato la piccola e media borghesia. Ci troviamo di fronte a un variegato insieme di strati sociali oppressi e vessati dal neoliberismo, un arco che va dalle classi medie impoverite al sottoproletariato urbano, agli immigrate e alle immigrate. Questa composizione ha fatto sì che molti abbiano gridato alla scomparsa delle classi sociali, alla definizione di un insieme sociale caratterizzato da fluidità e quindi difficilmente catalogabile ed inquadrabile.

Ma è la vessazione neoliberista che accomuna tutti questi strati sociali seppure in modalità e con livelli di sfruttamento diversificati ma solo apparentemente in contraddizione. E’ proprio l’operare dell’ideologia neoliberista che vorrebbe far credere alla scomparsa delle classi e che inoltre mette in atto una serie di meccanismi molto precisi, ma anche di facile lettura, per fomentare uno strato sociale contro l’altro.

Abbiamo assistito in questi anni ad una lunga serie di tentativi, nella maggior parte dei casi riusciti, di mettere impiegati contro commercianti, cittadini contro dipendenti pubblici, precari contro così detti garantiti, insegnanti contro genitori, proletari delle periferie contro immigrati, uomini contro donne…e, tanto per rimanere all’attualità, vaccinati contro non vaccinati, fragili contro tutelati, chi ha avuto dei sussidi contro chi non li ha avuti…

Una sorta di tutti contro tutti per impedire la composizione delle lotte e per dare la sensazione di una grande insicurezza sociale su cui fondare un controllo serrato e una militarizzazione dei territori oltre che un affossamento dei così detti privilegi di settore in nome di un desiderio collettivo, o meglio spacciato per tale, di eliminazione di ambiti favoriti ma utilizzato, in effetti, per abbassare drasticamente i livelli di protezione sociale.

Dare sponda e fiato a questa guerra tra i vari strati subalterni significa fare gli interessi del neoliberismo. Mai e poi mai la sinistra di classe dovrebbe prestarsi a mettere uno strato sociale vessato contro l’altro, mai e poi mai dovrebbe prestarsi a difendere interessi categoriali che ledono altri strati oppressi. E questo non per un posizionamento etico ma per un semplice interesse di tutte le classi subalterne.

In questi anni abbiamo assistito alla perdita dei riferimenti di base, alla distruzione delle coordinate dell’agire politico operata con molta sistematicità dal neoliberismo e all’impostazione di lotte sociali con parole del tipo <prima i poveri> oppure <la crisi facciamola pagare ai ricchi> che sono definizioni assolutamente spoliticizzate e che un tempo neppure le Acli si sarebbero sognate di usare.

E’ necessario trovare il comune denominatore della sofferenza sociale che sicuramente è la vessazione economica operata dallo Stato attraverso una miriade di tassazioni dirette e indirette che vanificano anche qualsiasi sforzo di miglioramento salariale e di reddito in senso lato. E’ necessario abbandonare moralismi e modalità di lotta di stampo ottocentesco e ricondurre a sintesi il malcontento. Questo significa che partendo dalla profonda sofferenza economica che attraversa tutti coloro che sono vessati dal neoliberismo si potrà immediatamente risalire alle cause politiche di questo danno e scardinare nelle menti i concetti che hanno permesso l’asservimento generalizzato e l’incapacità di riflessione e rivolta: meritocrazia, legalitarismo, la così detta sicurezza, delega, infantilizzazione, controllo sociale e tecnologico serrato, scientismo…

Lo strato sociale che sarà in grado di operare questa sintesi sarà il soggetto rivoluzionario del nostro tempo.

Tesi fondamentale della dialettica è che non esiste una verità assoluta ma la verità è sempre concreta. Attualmente, invece, la sinistra antagonista, salvo pochissime ed isolate realtà, non è stata assolutamente in grado di capire e fornire una risposta al malessere dilagante e si è focalizzata su rivendicazioni tutte interne al sistema. L’obiettivo del potere è una accelerazione verso un tipo di società controllata digitalmente e militarmente a tutto campo e basata sull’asservimento volontario, ed è qui che, insieme alla lotta contro la vessazione economica, è necessario concentrare gli sforzi. La mobilitazione contro l’obbligatorietà dei vaccini, lo smascheramento della sperimentazione su milioni di persone di vaccini di cui non si conoscono affatto gli effetti a medio e a lungo termine, ma neanche quelli a breve, la lotta contro il pass vaccinale, contro l’impostazione ricattatoria di tutti i provvedimenti coercitivi che sono stati messi in atto nei confronti di chi lavora nella sanità ma che saranno sicuramente estesi man mano a tutta la popolazione, sono solo alcuni dei temi che la sinistra di classe non solo non affronta ma della cui pericolosità non si rende nemmeno conto tacciando di complottismo chiunque osi denunciarli. Continua a leggere

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Altro che malasanità, questa è vendetta!

Riceviamo e diffondiamo

ALTRO CHE MALASANITÀ, QUESTA È VENDETTA!

Mattia è uno dei cinque detenuti che hanno sottoscritto l’esposto per i fatti di Modena del Marzo 2020, i pestaggi dopo la rivolta e la morte in cella di Salvatore Piscitelli, avvenuta nel carcere di Ascoli Piceno.

Già circa un anno fa fu valutato in Pronto Soccorso ad Ascoli Piceno mentre si trovava in quel carcere (prima che uscisse l’esposto), ed in tale occasione gli fu indicata la necessità di programmare un intervento chirurgico per un grave problema di salute, destinato a peggiorare se trascurato. Attualmente Mattia si trova recluso nel carcere di Montacuto (Ancona). È passato oltre un anno e ancora l’intervento suggerito non è stato effettuato. Nelle ultime settimane la sua situazione di salute si è ulteriormente aggravata ed è stato trasferito ben due volte in Pronto Soccorso. Qui i medici hanno nuovamente programmato un intervento e prescritto la somministrazione di un antibiotico che tuttavia, al rientro in carcere, non gli è stato dato per svariati giorni. Nonostante i ricoveri in Pronto Soccorso il medico del carcere sostiene che le condizioni di salute di Mattia siano buone e che possa effettuare una nuova visita fra 6 mesi. Nel frattempo, nonostante sia stata disposta l’autorizzazione per l’ingresso di un medico di fiducia da circa un mese, non viene comunicata una data per effettuare la visita.

Come leggere tutto ciò?

Partiamo da una considerazione certamente non originale: la sanità in carcere è pessima di prassi. L’eccezione non è la malasanità, ma trovare un medico non connivente con le guardie. L’abbiamo visto e continuiamo a vederlo, basti ripensare alle rivolte di un anno fa con cui i detenuti hanno chiesto a gran voce la tutela della propria salute, concetto incompatibile con quello di reclusione. Basti guardare oggi, dopo oltre un anno, quanto la pandemia attraversi ancora quelle mura e continui a diffondersi, senza che vengano adottate misure dignitose per frenare tutto questo. Basti ascoltare cosa ci dicono detenuti e detenute a cui il vaccino anti-COVID viene presentato più come una costrizione che come una scelta: se non ti vaccini ti mettiamo in isolamento, ti blocchiamo ogni attività, ti impediamo ogni visita medica.

Ma torniamo un istante alla situazione di Mattia.

Sono ripetute le vessazioni destinate a lui e agli altri detenuti che hanno sottoscritto l’ ormai noto esposto; tra pacchi e corrispondenza rifiutati o trattenuti, posta sottoposta a censura, soldi spediti dai familiari che non vengono recapitati, rifiuti di protocollare richieste interne, e l’onnipresente ricatto sul corpo e sulla salute. La macchina statale, dopo le brutalità e gli omicidi di massa commessi nelle carceri un anno fa, ha apertamente deciso di non invertire la rotta e di dare chiari segnali a tutti/e coloro che non stanno zitti di fronte ai quotidiani soprusi di carcerieri e personale sanitario.

Il pugno duro messo in campo in decine di galere nel marzo 2020 è una prassi tuttora rivendicata dallo Stato. E chi alza la voce per denunciare la violenza delle guardie e la connivenza dei medici deve essere messo a tacere. Hanno provato a vessare i 5 detenuti autori dell’esposto con trasferimenti, con continue minacce e ripetuti interrogatori. Nulla di tutto ciò, ad oggi, ha avuto l’effetto desiderato. Ora rincarano la dose facendo aggravare volontariamente la situazione di salute di uno di loro.

Vogliono la vendetta. Questo stanno dicendo a Mattia trascurando la sua salute, questo stanno dicendo a tutti noi.

Sempre solidali e complici con chi non chiude gli occhi e non abbassa la testa di fronte agli aguzzini di Stato! Facciamo sentire tutta la nostra solidarietà e rabbia.

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Defender-Europe 21

DEFENDER-EUROPE 21

       In una situazione economica e sociale di difficoltà pesante e di impoverimento generalizzato, già in atto, ma fatta precipitare dal governo dei mesi passati e tracollata con il governo Draghi che ribadisce a destra e a manca che si fa il possibile perché i soldi non ci sono e che forse risolveremo qualcosa indebitandoci fino al collo, cosa fa l’Italia? diventa <paese ospite>dell’esercitazione annuale dell’esercito Usa, Defender-Europe 21.

In marzo è cominciato il trasferimento dagli Stati Uniti in Europa di migliaia di soldati, di mezzi corazzati, di equipaggiamenti pesanti, in 13 aeroporti e 4 porti europei compresi quelli italiani. Mentre ai cittadini italiani è vietato spostarsi, in maggio in Europa, Italia compresa, si svolgeranno  quattro grandi esercitazioni e naturalmente con i nostri soldi.

Chiaramente il tutto non ha niente a che fare con la difesa dell’Europa bensì è in funzione antirussa e anticinese come hanno esplicitamente dichiarato i 30 ministri degli Esteri della Nato, per l’Italia Luigi Di Maio, riuniti fisicamente a Bruxelles il 23-24 marzo.

Ma  dato, però, che l’Italia ha appunto  la “soddisfazione” di partecipare alla Defender-Europe 21 come paese ospite avrà anche l’onore, in giugno, di ospitare l’esercitazione conclusiva del Comando Usa, con la partecipazione del V Corpo dello US Army da Fort Knox.

Le parole non riescono a esprimere a sufficienza la sfrontatezza e l’arroganza di tutti costoro.

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Campeggio resistente NoTav

16/17/18 aprile: Campeggio resistente No Tav!

Venerdì 16, sabato 17 e domenica 18, per continuare la mobilitazione permanente in difesa dei terreni di San Didero su cui sorge il presidio ex-autoporto, e per ostacolare i lavori del nuovo ecomostro di cemento, invitiamo tutti e tutte a raggiungerci per un campeggio resistente!

I terreni che ci ospiteranno sono a San Didero nella zona dell’acciaieria, pertanto invitiamo tutte e tutti a portarsi il necessario per campeggiare.

Sarà un momento necessario per confrontarsi, organizzarsi e rispondere in maniera collettiva a quest’ennesimo tentativo di devastazione ambientale e di militarizzazione.

Avanti No Tav!

(Ricordiamo che il venerdì dalle ore 18 si terrà la consuete assemblea del presidio ex-autoporto, che è comunicata ai CC come manifestazione statica e dunque raggiungibile dalle 16 alle 20 in sicurezza anche da altre regioni).

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13/4/2021 La Val Susa paura non ne ha!

notav.info

Susa la resistenza continua. Dopo la lunga notte passata a fronteggiare le forze dell’ordine i No Tav si sono dati un doppio appuntamento questa mattina per avvicinarsi alla zona dell’ex-autoporto di San Didero cercando di arrivare a dar man forte a chi sta ancora resistendo all’interno del presidio.
Lo scenario che si sono trovati di fronte, alla luce del giorno, è ancora più impressionante. Statale bloccata, centinaia di agenti in antisommossa, mezzi da cantiere che si spostano bulimici tra i boschi della Località Baraccone, alla ricerca di pezzi di terra da distruggere.

I sindaci di San Didero e dei paesi limitrofi (Bruzolo, Bussoleno, Mattie e San Giorio) si sono incontrati questa mattina per dare subito un’immediata risposta di presenza, interesse e amore per il proprio territorio e ,insieme ai No Tav, hanno raggiunto il check-point della polizia per accertarsi che i ragazzi che si trovano, ancora ora, sul tetto del presidio stessero bene ma non c’è stato nulla da fare. Gli amministratori locali sono stati bloccati e non hanno tutt’ora modo di andare a verificare cosa succede sul proprio territorio.
Nel frattempo i manifestanti accorsi da tutta la valle vengono quasi subito caricati dalla polizia che, continua a difendere solertemente Telt e i suoi operai.
30 anni di lotta No Tav forse non sono bastati per far capire che qui non si fanno passi indietro e si è pronti a continuare la lotta.  Infatti sono già due gli appuntamenti lanciati nel pomeriggio:

h 16 – Presidio San Didero – Conferenza stampa dei sindaci

h 18 – Polivalente di San Didero – Manifestazione No Tav

Avanti No Tav!

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Succede a Firenze

PRESIDIO CONTRO LA SORVEGLIANZA SPECIALE

resistenzefirenze.noblogs.org

UN DESERTO SOCIALE A TUTTI I COSTI

Come ulteriore giro di vite per i fatti del 30 ottobre in cui migliaia di persone si rivoltarono a Firenze contro il governo, il comune e la polizia, eccoci recapitata l’ennesima lettera verde dal tribunale: non si tratta di una denuncia, ma dell’invito per una nostra compagna a presentarsi in tribunale il giorno 14 Aprile 2021 per presenziare all’udienza in cui verrà decisa o meno l’applicazione della sorveglianza speciale contro di lei. Che significato dare a questa nuova mossa del questore?
Innanzitutto dobbiamo rilevare come la repressione sia tanto mutabile nei mezzi quanto poco lo è nei fini. Neanche un mese è passato dalla definitiva caduta del reato di associazione a delinquere spillato ormai più di dieci anni fa all’interno dell’operazione “400 colpi”, ed ecco ora, dopo i dubbi successi raggiunti con la pioggia di fogli di via staccati negli ultimi anni dalla questura, l’arrivo del Daspo anche per chi allo stadio non ha mai messo piede e, amarum in fundo, questa richiesta di sorveglianza speciale. Perché associare tra loro strategie e misure tanto diverse in questo scritto? Perché è fondamentale che queste si riconoscano per ciò che sono: operazioni di repressione politica. Per uno stato che dice di averla fatta finita con il fascismo è essenziale che, almeno in teoria, ad esser puniti siano i reati e non le idee. Ma come togliere allora i compagni dalle strade di fronte a una magistratura che per quanto sia classista non può non applicare il codice penale? Come togliere di mezzo persone e percorsi di auto organizzazione se gli stessi giudici nella maggioranza dei casi sono in imbarazzo di fronte alle richieste di carcerazione in relazione ai reati contestati? Come assicurarsi quella tanto agognata pace sociale se anche le misure cautelari preventive  svaniscono in pochi mesi proprio in virtù della moderata gravità dei reati in relazione alle leggi attuali? Ecco quindi spiegato il ricorso a questi mezzi di repressione politica, di cui da sempre lo stato italiano si serve, ma che di volta in volta possono tornare più o meno utili. Tanti piccoli reati non ti aprono così spesso le porte di Sollicciano, ma se ci inventiamo una associazione a delinquere la musica cambia. Teoria troppo fantasiosa anche per la magistratura? Allora la scavalchiamo con misure di polizia: fogli di via e Daspo, che non necessitano dell’approvazione del giudice, ma vengono emessi direttamente dal prefetto. C’è chi ancora si ostina a non voler piegare la testa? Ecco qua la sorveglianza speciale.

UNA SORVEGLIANZA (E UNA PUNIZIONE) DAVVERO SPECIALE.
Un capolavoro del legislatore democratico. Ben oltre: “l’innocente fino a prova contraria”, ben oltre le misure cautelari preventive in attesa che il processo si sgonfi, si arriva al “colpevole dei reati che potresti commettere”. Sì, perché contrariamente a quanto potremmo essere portati a pensare, avere la sorveglianza speciale non significa ricevere un’attenzione particolare da parte delle forze dell’ordine, che quella la subiamo già da sempre, significa veder materialmente distrutta la propria libertà. Del tutto arbitrariamente potremmo quindi avere per un tempo che va da uno a cinque ann i l’obbligo di rientro notturno, il divieto di lasciare la provincia di residenza, di incontrare pregiudicati o persone sottoposte a misure cautelari, di partecipare a riunioni o assemblee di qualsiasi tipo e, per tutta la durata della sorveglianza speciale, possono essere sospesi passaporto e addirittura patente. Per anni dunque devi star lontano dai tuoi compagni, dai tuoi affetti, rinunciare a viaggiare o anche solo a lasciare la tua provincia, rinunciare a far politica, rinunciare ad uscire la sera… La pena per chi infrange queste regole può essere anche il carcere immediato. Tutto ciò, lo ripetiamo, non in connessione ad un particolare reato per cui viene prevista questa punizione, ma in relazione a chi sei, a cosa fai nella vita e quali reati potresti commettere in futuro. Proposta da Digos e questore, l’applicazione di questa misura passerà alle mani di un giudice che valuterà quindi se la persona che ha davanti merita l’appellativo di “minaccia della difesa sociale”. Il tutto in un perverso gioco di rimandi incrociati in cui la polizia dice che son anni che ci colpisce e quindi è giusto colpirci ancora di più, sennò avrebbero già smesso anche loro, che son tanto bravi, e difendersi è estremamente complicato… dal momento che non c’è nessun episodio criminoso di cui si viene accusati e quindi in sostanza… non c’è niente da cui difendersi! È così dunque che una compagna neanche pregiudicata rischia di veder cambiare la propria vita e chiunque abbia sofferto in questo anno delle limitazioni che ci sono state imposte per il Covid19 ed ora invoca l’estate nella speranza di poter tirare un sospiro di sollievo può capire quanto sia grave veder limitata radicalmente la propria libertà per un periodo tanto lungo. Continua a leggere

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