L’Estaca/ Euskal Herria amb Catalunya

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Fascisti spagnoli a Barcellona

https://youtu.be/3GnIutPfCyY

https://youtu.be/rH6rv05PQCY

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1 ottobre 2017

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Sabato 30 settembre al Centro di Documentazione Palestinese

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La Parentesi di Elisabetta del 27/9/2017

“Una lunga storia”

Durante la seconda repubblica spagnola (1931-1939) l’approvazione degli statuti autonomi della Catalogna e del Paese Basco aveva rappresentato il primo passo verso la costruzione di uno Stato di tipo federale, ma la vittoria del franchismo aveva portato alla repressione della cultura catalana e basca.

La Spagna nata dopo la morte di Franco ha scartato qualsiasi ipotesi di messa sotto accusa di coloro che avevano partecipato alla dittatura e alla sua violenza, tanto da promulgare nel 1977 un’amnistia di tutti i crimini del franchismo conosciuta come “patto dell’oblio” nome che rende in maniera impressionante quale ne sia stata la volontà politica. Dopo quasi quarant’anni di oppressione nel corso dei quali migliaia di persone sono state torturate, incarcerate e decine di migliaia di prigionieri politici sono stati uccisi, nessuno ha dovuto rispondere di tanta violenza, dolore e morte.

Le forze più reazionarie operanti sotto il franchismo hanno poi continuato a far parte dell’esercito, della polizia e della magistratura. La transizione dal ’75 all’82 si è tradotta in una rinuncia della speranza di vedere un giorno i responsabili dei loro crimini renderne conto. E’ qui, in questo diniego della realtà storica, l’origine dell’attuale crisi politica della Spagna.

Questo insieme di passaggi, di responsabili della dittatura non chiamati in giudizio, della loro permanenza nei ranghi della polizia, dell’esercito e della magistratura, della creazione di statuti autonomi al ribasso e spesso mai realizzati, fa dell’attuale democrazia spagnola una sorta di prolungamento con altri abiti della dittatura. Esempio più eclatante è stata la “guerra sporca” fatta di arresti, torture, omicidi, condotta dal ’76 all’87 da agenti dello Stato che però non usavano sigle ufficiali ma si camuffavano dietro sigle di comodo di cui la più famosa è il GAL Ma tutti conoscevano la matrice di questa violenza.

Il GAL si è coperto dei più feroci delitti mostrando una linea di continuità con i metodi della repressione franchista a tal punto che due ventenni Josean Lasa e Joxu Zabala, vennero rapiti nella città basca francese di Baiona, torturati per giorni nei sotterranei di quella che è poi diventata la residenza del governatore Jauregui e infine uccisi con una pallottola in testa e sotterrati sotto uno strato di calce viva a Busot, una sperduta località nella zona di Valencia. I poliziotti coinvolti furono pagati ed intascarono i fondi riservati alle operazioni sporche e/o coperte. Naturalmente voi penserete che la Francia abbia fatto fuoco e fiamme per questa flagrante violazione del suo territorio e, invece, Laurent Fabius in un’intervista televisiva dell’aprile del 1986 affermava che l’idea di eliminare fisicamente i militanti baschi in territorio francese “non mi sorprende e, non spettando a me questa decisione, non l’ho presa, ma se avessi dovuto farlo, lo avrei fatto”. Voi vi chiederete, ma chi è questo ineffabile personaggio? Un alto dirigente del partito socialista francese e primo ministro dal 1984 al 1986. Continua a leggere

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“Di riffa o di raffa se ne devono andare!”

“Di riffa o di raffa se ne devono andare!”

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Ora e sempre NoTav!

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No Grandi Navi!

No Grandi Navi nella laguna di Venezia!

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Le donne che non difende nessuno

Le donne che non difende nessuno

Ieri sera in provincia di Arezzo una donna ha ucciso il marito, al culmine di una lite, colpendolo con un mattarello. Questa la notizia. Vi proponiamo le riflessioni che abbiamo recentemente fatto proprio a questo proposito. 

Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/

i-nomi-delle-cose

 ..la ribellione delle donne al patriarcato si esprime spesso in forme estreme, violente e disperate in cui  è dominante la sensazione di impotenza e di non aver vie d’uscita oppure di rabbia repressa per anni. 

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Violenza maschile sulle donne/Stereotipi

Violenza maschile sulle donne/Stereotipi

 

SI CREDE CHE…

Si crede che la violenza verso le donne sia un fenomeno eccezionale. Invece è un fenomeno esteso anche se ancora sommerso e per questo sottostimato. Ci sono molte donne che hanno alle spalle storie di maltrattamenti ripetuti nel corso della loro vita.

Si crede che la violenza verso le donne riguardi solo le fasce sociali emarginate o che sia maggiormente presente nei contesti familiari meno acculturati e/o economicamente più poveri. Invece è un fenomeno trasversale che interessa ogni strato sociale, economico e culturale senza differenze di età, religione, etnia…

Si crede che le donne siano più a rischio di violenza da parte di uomini a loro estranei. Invece i luoghi più pericolosi per le donne sono la casa e gli ambienti familiari, gli aggressori più probabili sono i loro partner, ex partner, o altri uomini conosciuti: familiari, amici, colleghi, insegnanti, padri spirituali, vicini di casa…

Si crede che solo alcuni tipi di uomini maltrattino la loro compagna. Invece come molti studi documentano non è stato possibile individuare il tipo del maltrattatore. Né età, né condizioni economiche o socio culturali, né classe sociale, né etnia sono determinanti. I maltrattatori non rientrano in nessun tipo specifico di personalità o di categoria.

Si crede che la violenza non incida sulla salute delle donne. Invece la violenza di genere è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un problema di salute pubblica che incide gravemente sul benessere fisico e psicologico delle donne e di tutti coloro che ne sono vittime.

Si crede che la violenza contro le donne sia causata da una momentanea perdita di controllo, da un raptus, che i partner violenti siano persone con problemi psichiatrici o tossicodipendenti, che gli uomini violenti siano stati vittime di violenza nell’infanzia. La violenza è una scelta dell’uomo che la esercita, una strategia di controllo per ottenere ciò che vuole. Il fatto di aver subito violenza da bambini non comporta automaticamente diventare violenti in età adulta. Credere inoltre che il maltrattatore abbia problemi o patologie mentali è una giustificazione che la società trova per non prendere atto della realtà ed ampiezza del fenomeno della violenza contro le donne. La diffusione della violenza degli uomini contro le donne esclude la possibilità dell’eccezionalità. E’ quasi sempre un comportamento ripetuto, una abitudine. La maggior parte degli episodi di violenza sono premeditati: basti solo pensare al fatto che le donne sono picchiate in parti del corpo in cui le ferite sono meno visibili.

Si crede che alle donne che subiscono violenza “piaccia” essere picchiate, altrimenti se ne andrebbero da casa. Invece, paura, dipendenza economica, isolamento, mancanza di alloggio, riprovazione sociale, spesso da parte della stessa famiglia di origine, sono alcuni dei numerosi fattori che rendono difficile per le donne interrompere la situazione di violenza.

Si crede che la donna venga picchiata perché se lo merita. Invece nessun comportamento messo in atto dalle donne giustifica la violenza da loro subita e, inoltre, gli episodi di violenza iniziano abitualmente per futili motivi.

Si crede che i figli e le figlie abbiano bisogno del padre anche se violento. Invece gli studi a questo riguardo dimostrano che le bambine e i bambini crescono in modo più sereno con un genitore solo piuttosto che in una famiglia in cui il padre picchia la madre.

Si crede che anche le donne siano violente nei confronti del loro partner. Invece una significativa percentuale di aggressioni e di omicidi compiuti dalle donne nei confronti del partner, si verifica a scopo di autodifesa e in risposta a gravi situazioni di minaccia per la propria sopravvivenza.

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Fuori le forze di occupazione!

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Gerarchia e ruolizzazione.

Gerarchia e ruolizzazione

Non c’è giorno in cui una donna non venga ammazzata dal padre, dal marito, dal figlio, dall’ex, dal fidanzato o dall’amante o non venga stuprata o non subisca violenza.

Abbiamo gridato per molti anni e per molto tempo nelle piazze che le donne le uccidono gli uomini, che il problema non è di ordine pubblico e che nessuna legge sulla sicurezza deve sfruttare i nostri corpi. Ma non basta più.

Noi siamo consapevoli che il patriarcato si perpetua da secoli, è un modello economico che le società che si sono succedute hanno assunto perché funziona molto bene, sfrutta in maniera ottimale le soggettività messe al lavoro essendo basato sulla gerarchizzazione e sui ruoli e il capitalismo lo ha fatto proprio in maniera ancora più forte che in passato perché il modello capitalista è caratterizzato di per sé dal comando di fabbrica esteso a tutta la società, dalla gerarchizzazione e dalla specializzazione e parcellizzazione del lavoro. Oltre tutto ora le caratteristiche del lavoro di cura e riproduttivo cioè gratuità e dedizione assoluta e senza limiti temporali, il neoliberismo configurazione attuale del capitalismo li ha trasferiti a tutto il mondo del lavoro.

Lo stillicidio dei femminicidi, degli stupri e della violenza sulle donne a cui stiamo assistendo ha le radici in quello che succede qui e ora, nelle modalità in cui il patriarcato è stato assunto dalla società del capitale.

La società neoliberista ha promosso la violenza delle Istituzioni e dei cittadini/e contro i più deboli, sia che si tratti dei poveri/e di casa nostra, sia che si tratti dei/delle migranti, ribadendo razzisticamente la piramide gerarchica tra cittadini occidentali e popoli del terzo mondo. Ha promosso la prevaricazione e l’aggressione come modalità di porsi con i diversi, la possibilità di scaricare sul più debole frustrazioni e impossibili rivincite: tutto questo viene sdoganato anche nel rapporto dell’uomo con la donna.

In una società che ha fatto del sopruso sostanza di vita perché il sopruso non dovrebbe sostanziare il rapporto che gli uomini hanno con le donne e legittimare l’uso della violenza per ottenere ciò che si vuole? Perché mai un uomo che viene spinto a prevaricare il collega di lavoro per la carriera, a pugnalarlo alle spalle per uno scatto meritocratico, a fare strame di solidarietà, sensibilità sul posto di lavoro perché sono caratteristiche perdenti, dovrebbe essere altro nel rapporto interpersonale?

Perché mai chi viene abituato a considerare i popoli del terzo mondo come inferiori, infantili e incapaci di governarsi tanto da essere bombardati, impoveriti, falcidiati con le guerre “umanitarie” dovrebbe avere una considerazione diversa nei rapporti interpersonali nei confronti di chi ha accanto e che il modello patriarcale gli ribadisce tutti i giorni che è sostanzialmente da “educare”, da “proteggere”, da “tutelare”, da “guidare” e quindi, di fatto, incapace di gestirsi da sola?  

E’ in questo contesto che il rapporto dominante/dominata impostato dal patriarcato viene esaltato. Oltre tutto questa società ottiene due “ottimi” risultati: si autoassolve scaricando la colpa sugli esecutori e riducendo il tutto ad una questione culturale e, secondo un’ormai abituale strumentalizzazione, introduce forme di repressione sempre più accentuate e funzionali al controllo sociale.

Contemporaneamente la riproposizione dei ruoli a tutti i livelli sociali, dalla scuola con il preside-padrone al mondo del lavoro con la gerarchizzazione esasperata e la meritocrazia, alle donne con la divisione in donne di serie A, cooptate nella gestione del potere per perpetuare l’oppressione delle altre donne e degli oppressi tutti, e donne di serie B che devono sopperire alla distruzione dello Stato sociale, porta ad una automatica riproposizione del ruolo che il maschio già si autoriconosce e cioè di parte dominante nel rapporto con la donna e al conseguente tentativo di recuperarlo ogniqualvolta lo veda in pericolo.

Infine, ce ne accorgiamo da tanti segnali, è in atto un tentativo di ribaltare la violenza che le donne subiscono facendone ricadere la colpa sulle donne stesse che nel rivendicare emancipazione, libertà, autodeterminazione, avrebbero dimenticato le caratteristiche “proprie” del genere e cioè femminilità dolcezza e disponibilità provocando dolore e scompaginamento nella coppia, nel maschio e facendo del male a loro stesse.

Per questo dobbiamo riportare l’analisi e le lotte contro la violenza maschile su binari politici e ribadire che chi aderisce ai valori di questa società neoliberista, è partecipe e responsabile di tutti i crimini che questa stessa società induce e provoca, comprese le donne che i valori di questa società fanno propri perché sono direttamente responsabili della violenza che colpisce le donne tutte. Se vogliamo veramente gettare degli zoccoli negli ingranaggi del patriarcato dobbiamo batterci contro i ruoli, la gerarchia e la meritocrazia a tutti i livelli sociali. 

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Contro la violenza maschile sulle donne

“Contro la violenza maschile sulle donne”

COMBATTERE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE SIGNIFICA:

  • trovare forme di autodifesa e autorganizzazione
  • ribellarsi ed aiutare le donne a ribellarsi
  • combattere i meccanismi che in questa configurazione sociale incentivano ed aumentano le possibilità di violenza.

Per questo l’autodeterminazione delle donne non può essere svincolata da una critica radicale al sistema capitalistico/neoliberista. La società neoliberista, infatti, sdogana la violenza gerarchica per favorire i rapporti di subordinazione e mercificazione. La liberazione della donna è inseparabile dalla lotta di classe, dalla lotta per una società dove non ci sia sfruttamento e non può significare in alcun modo partecipazione alla gestione dell’attuale sistema di potere. Per questo riteniamo che l’emancipazione sia stata uno strumento di “pacificazione sociale”. Molte donne sono diventate attraverso l’emancipazione parte integrante ed attiva del sistema di potere della società patriarcale e del relativo controllo sociale. Mentre prima perpetuavano il dominio patriarcale con l’accettazione passiva e/o partecipe dei ruoli loro assegnati, ora agiscono direttamente violenza contro le altre donne.

  • combattere i linguaggi, gli atteggiamenti sessisti
  • combattere le parole “politicamente corrette” come “convivenza civile”, “sereno confronto fra i sessi”, “affido condiviso”, “partecipazione e scelta responsabile”, “educazione alla convivenza”… che strumentalizzando le lotte delle donne, confondono l’aggredita con l’aggressore e mettono sullo stesso piano chi la violenza la subisce e chi la esercita
  • battersi contro le leggi securitarie
  • battersi contro i ruoli e contro il controllo sociale
  • smascherare i meccanismi che opprimono e dividono buone/i e cattive/i, omologate/i e non omologate/i, diverse/i.
  • affrontare il tema della violenza esercitata dalle donne contro le donne anche nei rapporti di coppia e affettivi, dato che i meccanismi ed i valori della società patriarcale sono fortemente introiettati.
  • cercare di scardinare il rapporto di potere all’interno dei rapporti affettivi ed il concetto di famiglia ed il concetto stesso di coppia, sia etero che non, come microcosmo in cui si riproducono dinamiche di sopraffazione
  • analizzare la violenza sulle donne partendo da noi e quindi dal personale che è politico. Perché le problematiche del rapporto tra i sessi vengano tirate fuori dalla sfera privata e se ne riconosca la valenza politica.
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La Parentesi di Elisabetta del 20/09/2017

“La pagliuzza e la trave”

  “Si rivela qui non soltanto la generale insufficienza del primo immaturo stadio della rivoluzione, ma anche la difficoltà propria di questa rivoluzione proletaria, la peculiarità di questa situazione storica. In tutte  le rivoluzioni precedenti i contendenti entravano in lizza con la visiera alzata: classe contro classe, programma contro programma, stendardo contro stendardo. Nell’attuale rivoluzione i difensori del vecchio ordinamento non entrano in lizza sotto lo stendardo caratteristico delle classi dominanti, ma sotto lo stendardo di un ‘partito socialdemocratico’. Se la questione fondamentale suonasse apertamente e onestamente: capitalismo o socialismo, oggi non sarebbe possibile nessuna esitazione, nessun dubbio, nella grande massa del proletariato.” Rosa Luxemburg/Rote Fahne, 21 dicembre 1918

Uno dei principi fondanti del neoliberismo è la rottura del patto sociale. Rottura unilaterale e drastica. Questa scelta è evidente in ogni campo e in ogni aspetto dell’agire politico e del vivere quotidiano. Ha attraversato e attraversa i più svariati contesti e soggettività. Nella messa in atto da parte del potere di questa scelta unilaterale sono stati presi di mira di volta in volta i più diversi strati sociali con una tecnica che ormai è eclatante e manifesta, sotto gli occhi di tutti. Uno strato sociale viene circoscritto, isolato, accusato, a seconda dell’occasione e della specificità, di assenteismo…ruberie… interesse privato…scarsa produttività… evasione fiscale… parassitismo…delinquenzialità…. e dato in pasto al resto della popolazione che viene spinta a stigmatizzarlo, indirizzando insoddisfazione, rancori, difficoltà di vivere…contro la categoria presa di mira. Così si assiste alla guerra agli impiegati pubblici, agli insegnanti, ai piccoli commercianti, ai professionisti, agli immigrati…di volta in volta accusati di essere la causa dell’impoverimento generalizzato, del disagio, del tracollo dello Stato sociale. Il sistema ottiene due risultati evidenti: spinge alla guerra fra poveri e/o impoveriti frantumando il fronte dell’insoddisfazione e fa dimenticare le vere cause e le vere ragioni della povertà diffusa e generalizzata qui da noi e delle guerre neocoloniali sul fronte esterno che costringono alla fuga popolazioni intere.

La ripresa delle lotte sociali oggi diviene un passaggio fondamentale anche perché dove c’è resistenza nasce una nuova cultura. Ma le lotte, meritorie e faticosamente messe in atto, che si tratti di casa o di migranti, di scuola o di lavoro ripropongono modalità che siamo abituati ad usare ma che appartengono ormai ad un mondo che non esiste più. La soluzione che prospettano è di fatto quella di un ritorno a Keynes dimenticando che non è vero che lo Stato non è presente in questa stagione, ma lo è nell’apparato bellico che è diventato un vero e proprio volano dell’economia. Si taglia la sanità, l’istruzione, lo Stato sociale, ma si incrementa contemporaneamente l’apparato militare e l’organico delle tante polizie che circolano in questo paese compreso l’apparato di riscossione, tassazione e guerra alla così detta evasione fiscale, che è di fatto un’altra polizia. E’ una scelta. Ed è evidente che le lotte portate avanti finora questa scelta non la incrinano minimamente. Di fronte c’è un muro e neanche di gomma perché a sbatterci contro ci si fa veramente male. Questo sistema da molto tempo ha messo in atto delle contromisure capillari rispetto alle rivolte e alle contestazioni e ha già dato per scontato da diverso tempo che ci sarebbero state. Inutile stare qui ad elencare il controllo a tappeto del territorio, la militarizzazione di intere aree geografiche, le telecamere, i controlli telefonici e telematici, l’invasività della polizia e della magistratura, i servizi sociali di stampo poliziesco,  la chiamata alle armi di tutte le soggettività e organizzazioni che si prestano a stigmatizzare ogni forma di opposizione che esca dai binari del collaborazionismo.

Ogni segmento della società che si confronta, sia pure da punti di vista differenti, con il potere, nel momento in cui reclama giustizia sociale, deve fare i conti con il carattere ottocentesco, medioevale, nazista di questa società.

Quando una lotta viene messa in campo assistiamo al ripetersi di un percorso: situazione insostenibile… lotta… cariche e repressione debordante… fermi, arresti, sanzioni amministrative… a cui si risponde con appelli e anche fattiva solidarietà e altra manifestazione…fermi, denunce, sanzioni penali e amministrative… e così via, in un continuo mordersi la coda. Il potere non dà mai risposte, se non di comodo, formali, che restano lettera morta e che sono un’evidente presa in giro e va imperterrito per la sua strada. Una vera e propria macchina da guerra che in pochi anni ha completamente cambiato dalle fondamenta la struttura sociale. Continua a leggere

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Non siete soli/e!!!! Catalunya lliure!!!!

Catalunya lliure!!!!!

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22 settembre “Come se non ci fosse un daspo”

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