Il sogno di una cosa
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Alle compagne e ai compagni del Movimento Rivoluzionario Sardo: Colonialismo e Liberazione Nazionale, appunti per una critica costruttiva.
– Il principio della nazionalità, deve uccidere uno dopo l’altro, ovunque, i sistemi centralizzatori della burocrazia, i corpi privilegiati, gli eserciti permanenti, gli stati. (Bakunin)
– Nulla è più prezioso dell’indipendenza e della libertà. (Ho Chi Minh)
– La rivoluzione sociale non è possibile senza la conquista dell’indipendenza. (Simon Mossa)
Con questo scritto vorremmo confrontarci su alcune tematiche secondo noi imprescindibili, che ultimamente risultano carenti nelle analisi e nell’agire rivoluzionario in Sardegna, infatti pur constatando che alcune realtà abbiano svolto un buon lavoro soprattutto per quanto riguarda l’informazione sulla tematica antimilitarista, contribuendo a rilanciare la lotta, l’azione diretta e la partecipazione attiva contro l’occupazione militare; notiamo un passo indietro per quanto riguarda le istanze anticolonialiste, di indipendenza nazionale e di autodeterminazione della Sardegna. Tematiche che spesso vengono relegate come delle chimere o delle mere espressioni intellettuali, o accantonate in nome di un generico internazionalismo, dimenticando la nostra storia e di quanto queste siano, e lo siano sempre state, vive, attive e significative. Da sempre i Sardi hanno resistito agli invasori e ai colonizzatori di turno: romani, castigliani, piemontesi o italiani; solo per citare alcuni esempi della storia contemporanea novecentesca, ricordiamo come i fermenti politici che seguirono la carneficina del primo conflitto mondiale, in cui morirono circa 14000 proletari Sardi, diedero vita al P.S.d’Az. e a una forte “corrente” nazionalitaria, bloccata dall’avvento del fascismo. Durante la seconda guerra mondiale, nel 1943, venne fondato il Partito Comunista di Sardegna d’ispirazione sovietista e gramsciana, sbaragliato da Togliatti e da altri dirigenti del P.C.I. tra cui Velio Spano. In seguito il pensiero indipendentista si amplia con le analisi/tesi di Antonio Simon Mossa, e dagli anni ’70 buona parte dei rivoluzionari sardi si collocano sul piano anticolonialista, per l’indipendenza e l’autodeterminazione. Dal “Circolo città-campagna” a “Su populu sardu”, “Sardegna libertaria”, “Iskra”, “Sardennia contra s’istadu”, “Antagonismu”, il “Comitato del proletariato prigioniero sardo deportato”, l”‘U.A.S.”, “Nihil”, “Confedertzione de sos comunistas sardos”, “Fraria”, compresi “MAS” e “Sos Istentales” e tante altre sigle e situazioni hanno posto la discriminante anticolonialista nel loro agire, finanche un partitino della nuova sinistra come “Democrazia Proletaria Sarda” incluse nel suo statuto la finalità dell’autodeterminazione. Certo ben altra cosa dal pessimo esempio che hanno dato e stanno dando i vari partitini indipendentisti e sovranisti, che succubi dei loro leaders, spesso in lite fra loro per una leadership da due soldi, che impastoiati alle istituzioni e incrostati di derive opportuniste sono più che altro interessati ad inseguire le tornate elettorali; un indipendentismo, il loro, interclassista e istituzionalizzato, lontano da qualsiasi carica conflittuale e spesso pronto a dissociarsi alla prima occasione dalle azioni dirette di strada o clandestine. Ma le derive legalitarie e talvolta controrivoluzionarie di questi non devono impedirci di affrontare la questione nazionale da un punto di vista rivoluzionario, anzi dovrebbe spronarci a recuperare una credibilità agli occhi del popolo sardo – usiamo il termine popolo nella prospettiva della sua esistenza storica negata dalla dominazione coloniale – portando un po’ d’aria nuova e vivacità in quel sentimento “sardista” e ribelle diffuso nel corpo sociale dell’isola. Continua a leggere