Réflexions autour d’un tabou : l’infanticide
(traduzione della Coordinamenta / quarta puntata)
Ouvrage collectif paru en juillet 2009.
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C’era una volta una storia di leggi
Ci è sembrato importante rilevare come la società ha legiferato nel corso dei secoli sul ventre delle donne a seconda del contesto sociale, economico, politico, morale e religioso. E’ utile quindi raccontare lo sviluppo delle diverse regolamentazioni che riguardano la gravidanza. Sembrerebbe palese, ma ci sembra buono ricordarlo, che la legge è una fotografia dei rapporti di forza presenti nella società. Quindi quando si tratta di legiferare sulla procreazione, la costante è la dominazione patriarcale. A seconda delle epoche le legislazioni sono state un po’ più o un po’ meno repressive nei confronti delle donne sospettate d’infanticidio.
Definizione giuridica dell’infanticidio
Il primo testo di legge scritto su questo argomento nel moderno Stato francese è l’Editto del 1556 promulgato da Enrico II. Questo rende obbligatoria la dichiarazione di gravidanza e infligge la pena di morte alla madre in caso di decesso di un neonato non battezzato. Nel 1791 nel contesto rivoluzionario viene votato il codice penale. Questo sopprime qualsiasi riferimento alla morale religiosa e fa sparire la nozione di infanticidio.
Il crimine di infanticidio riappare nel 1810 nel codice napoleonico (articoli 300 e 302). La colpevole, allo stesso modo dell’assassino, dell’avvelenatore o del parricida, incorre nella condanna a morte. Per essere infanticidio il crimine deve essere commesso su un nuovo nato senza che sia specificata la differenza tra un neonato e un bambino. E’ nel 1835 che questo punto è precisato dalla Corte di Cassazione riguardo ad un arresto: c’è infanticidio quando il neonato non è stato dichiarato all’ufficio dello Stato civile, vale a dire entro tre giorni dalla nascita (articolo 55 del codice civile). Dopo questo lasso di tempo non si tratta più di <infanticidio> ma di <assassinio>. Un secolo e mezzo più tardi, il primo marzo del 1994, una modifica del codice penale abroga gli articoli relativi all’infanticidio. Questo atto è da allora in poi qualificato come <assassinio di un minore di meno di quindici anni>. Viene aggiunta una circostanza aggravante se l'<autore> è un ascendente diretto. La pena conseguente è l’ergastolo (dopo il 1994 nessuna donna è stata condannata a questa pena). L’infanticida perde la sua specificità e le donne accusate di questo delitto sono giudicate come chiunque altro, uomo o donna, accusato del crimine su un minore. Tuttavia persiste in questa legge, all’interno di un articolo relativo alle circostanze dell’atto delittuoso, l’espressione <madre infanticida>.
Morale, giustizia, giurie popolari.
In qualunque epoca, le giurie popolari delle corti d’assise saranno nella maggior parte dei casi restie a mandare le donne al patibolo. Per contrastare questa <clemenza>, nel corso dei secoli il legislatore si è adoperato per cambiare le pene previste per ottenere malgrado tutto la condanna. Così nel 1824 questi prevede, nel caso in cui non sussistano le circostanze attenuanti, non più la pena di morte ma quella dei lavori forzati a vita. Questa pena sembrava ancora troppo pesante ai giurati popolari che erano restii a pronunciarla. Nel 1832 il codice penale viene nuovamente modificato, non sono previsti più i lavori forzati a vita ma per una determinata durata. A partire dal 1863, il giudizio è spostato dalla corte d’assise ai tribunali correzionali se non ci sono prove che il neonato sia nato vivo. La donna allora non è più accusata di assassinio ma di <occultamento di bambino>. Sarà quindi giudicata unicamente dai magistrati e non più da una giuria popolare. Come addetti ai lavori questi devono solamente applicare la pena prevista che va fino a cinque anni di prigione. Se, fino al 1900, le donne sono raramente giudicate colpevoli, quindi il più delle volte assolte, è perché l’infanticidio non era all’epoca pensabile come crimine premeditato. Sono delle <circostanze fuori dall’ordinario> che spingono queste <donne vittime> a questo atto inimmaginabile. Per riconoscere questa circostanza particolare, la legge del 21 novembre 1901 impone che la distinzione sia fatta nelle questioni di assassinio di bambini tra i casi di <ladri> perseguiti per omicidio e assassinio e quelli perseguiti per <infanticidio>. L’infanticidio può comportare una pena ai lavori forzati, modulata a seconda che sia riconosciuta o no la premeditazione.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in un contesto dove è necessario ricostruire e ripopolare il paese, è votata la legge del 1954 che prevede una pena unica per infanticidio che va dai dieci ai venti anni di reclusione.
Evoluzione dei costumi nella società e penalizzazione dell’aborto.
Verso il 1875 la società è investita da un crollo demografico che segue alla trasformazione socio-economica dell’epoca: la povertà, ma anche la speranza di un salto sociale fanno sì che le famiglie siano meno numerose; le classi abbienti limitano la prole per evitare la dispersione del patrimonio; l’eccesso di mortalità infantile diviene inaccettabile; i metodi contraccettivi cominciano a diffondersi ( Metodo Ogino, diaframma, preservativo).
La demografia diventa uno strumento politico di gestione del paese. I neo-malthusiani propongono la riduzione delle nascite per lottare contro la povertà ma anche contro il capitalismo (riduzione della mano d’opera a buon mercato), contro le guerre (meno soldati) e per<liberare la donna dalle maternità ripetute che sono di ostacolo alla sua emancipazione>.
Contro queste tesi, le associazioni per la natalità incitano ad un aumento delle nascite<in nome della pace sociale, dell’interesse nazionale e della protezione della razza>: la concorrenza per il lavoro all’interno delle famiglie operaie numerose le rende più docili; occorrono molti uomini per la guerra; l’immigrazione dalle colonie rappresenta un pericolo per l’identità nazionale.
Lo Stato sceglie il campo di quelli che spingono per la natalità e dà nel 1902 un bonus alla nascita che è per la nascita di un maschio il doppio di quello per una femmina (venti franchi contro dieci). La guerra del 1914 rafforza questa posizione. Le tesi neo-malthusiane sono considerate come un tradimento nazionale. E’ in questo contesto, dove la maternità è usata politicamente, che viene votata la legge del 1920. Questa rende l’aborto un crimine passibile di una pena da sei mesi a tre anni di prigione e proibisce la contraccezione. Allo stesso modo reprime chi è considerato complice e chi pratica l’aborto e ogni propaganda anticoncezionale.
In seguito, di fronte all’inefficacia della repressione e alla relativa tolleranza dei tribunali, il legislatore vara tre testi successivi per rendere più dura la legge:
-nel 1923 le pene in caso di aborto sono rese più pesanti e la media delle assoluzioni davanti ai tribunali correzionali passa dal 72% al 20%;
-nel 1941, l’infanticidio è punito con pene dai tre ai dieci anni di prigione senza possibilità di grazia né di circostanze attenuanti;
-nel 1942 l’aborto diventa un crimine contro la sicurezza dello Stato passibile della pena capitale e vittima di questa legge è Marie-Louise Giraud giustiziata nel 1943 per aver aiutato le donne ad abortire. Questa legge viene abrogata alla Liberazione.
Legiferare per controllare la riproduzione
Le modificazioni legislative alle volte alleggeriscono le pene, alle volte le appesantiscono. In ciascuna epoca i governanti adattano le leggi a seconda delle necessità e dei valori dominanti. Questi valori rispondono a diversi fattori che riguardano la morale, la religione, la necessità economica (povertà, recessione), il rilancio industriale e il consumo (baby-boom), l’evoluzione del concetto di come viene considerato il bambino, l’apparizione della nozione di igiene di vita (creazione del concetto di protezione materna e infantile, del libretto sanitario).
Ma, nell’evolversi della legislazione non è stato mai abbandonato il principio della proibizione dell’interruzione volontaria di gravidanza e dell’infanticidio contenuti nella legge del 1920.
Undici proposte di legge saranno presentate dal 1956 al 1967 per tentare di ammorbidire questa legge, ma sono state tutte respinte.
Le lotte del dopoguerra
Nel 1956 viene creata l’associazione Maternità Felice il cui scopo è di ottenere la legalizzazione dei mezzi anticoncezionali. Nel 1960 diventa Movimento francese per la pianificazione familiare(MFPF) che apre nella totale illegalità i primi centri di informazione e di prescrizione in materia di contraccezione. Alcune azioni militanti impongono un dibattito parlamentare su questo tema dal 1965. Il primo deposito di un progetto di legge per la legalizzazione della contraccezione presentato da Lucien Nuewirth ha luogo nel 1966. La legge è adottata e promulgata il 28 dicembre 1967. Questa sospende gli articoli 3 e 4 della legge del 1920 sulla proibizione della diffusione della contraccezione. A partire da questa data la Pianificazione familiare può svilupparsi legalmente, informare e diffondere i mezzi di contraccezione.
Nel 1975 la legge Veil sospende in parte l’articolo 317 del codice penale per cinque anni e autorizza l’aborto a certe condizioni: durante le prime dieci settimane di gravidanza e con il consenso preliminare dei genitori per le minorenni.
Tra il 1975 e il 1979 la sua applicazione è difficile. la forte contrarietà del corpo medico, specialmente dei ginecologi, e la mancanza di mezzi e di <personale motivato e volontario>complicano l’accesso delle donne a questo diritto anche se scritto in una legge. Durante questo periodo le donne continuano a fare azione politica per la depenalizzazione totale dell’interruzione volontaria di gravidanza e reclamano da subito la sua iscrizione immediata nelle prestazioni gratuite della sanità pubblica. Questo permetterebbe un trattamento giudiziario in regime correzionale come semplice reato dato che la legislazione continua a qualificare l’IVG fuori termine legale come atto criminale passibile di corte d’assise.
Queste lotte e rivendicazioni degli anni’70 e ’80 per il diritto delle donne a disporre dei loro corpi impongono un’evoluzione della legislazione che inquadra questo diritto. E’ in un clima di dibattito tempestoso e sullo sfondo della propaganda antiabortista che la legge Veil-Pelletier è definitivamente promulgata nel 1980. Questa mette fine al movimento di rivendicazione delle donne che esigevano la depenalizzazione dell’aborto e solleva però la domanda< sul rispetto di ogni essere umano dall’inizio della vita>. Non abroga la legge del 1920 e l’aborto resta proibito salvo che in particolari condizioni molto precise.E allo stesso tempo instaura la protezione del feto dopo le dieci settimane di gravidanza e racchiude in precisi limiti la libertà delle donne di disporre del proprio corpo.
Nel 1982 l’IVG è resa gratuita nelle strutture pubbliche.
Il 23 settembre 1988 un laboratorio farmaceutico ottiene per la Francia l’autorizzazione a commercializzare la RU486, la pillola abortiva che permette l’IVG fino alla quinta settimana di gravidanza( quarantanovesimo giorno di amenorrea).
Sullo sfondo delle polemiche che denunciano la banalizzazione dell’atto, le pressioni religiose portano il laboratorio a sospendere a distribuzione[…] il 4 luglio 2001 la legge Veil-Pelletier è modificata: il tempo legale dell’IVG viene portato da dieci a dodici settimane di gravidanza, l’accesso delle minori all’aborto è concesso senza il consenso dei genitori[…]
Delle conquiste fragili
La proibizione per una donna di disporre liberamente del proprio corpo in caso di gravidanza è tutt’ora in vigore. I pochi diritti acquisiti non cessano di essere rimessi in discussione[…] Quando avremo il diritto di disporre liberamente del nostro corpo? nell’attesa sono i legislatori, insieme agli esperti di ogni risma, che ne dispongono a loro piacimento!