Podcast del monologo “Io, Ulrike, grido” all’interno dell’iniziativa del 25/5/2018

“Io, Ulrike, grido”

Monologo di Martina Giusti (tratto dal testo di Dario Fo e Franca Rame) all’interno dell’iniziativa “La norma e la legalità” Sezione Controllo/Paradigma della Violenza-Non Violenza del 25 maggio 2018

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Stralcio dal testo “Io,Ulrike, grido” di Dario Fo e Franca Rame in Tutta casa, letto e chiesa, Edizioni F.R. La Comune, Milano, 1981 

Nome: Ulrike. Cognome: Meinhof. Di sesso femminile. Età: 41 anni. Sì, sono sposata. Due figli, nati con parto cesareo.

Si, divisa dal marito. Professione: giornalista. Nazionalità: tedesca. Sono qui rinchiusa da quattro anni in un carcere moderno di uno Stato moderno. Reato?

Attentato alla proprietà privata e alle leggi che difendono la suddetta proprietà e il conseguente diritto dei proprietari ad allargare a dismisura la proprietà di tutto.

Tutto: compreso il nostro cervello, i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri gesti, i nostri sentimenti e il nostro lavoro e il nostro amore. Tutta la nostra vita insomma.

Per questo avete deciso di eliminarmi, padroni dello Stato di Diritto. La vostra legge è davvero uguale per tutti, meno per quelli che non sono d’accordo con le vostre sacre leggi. Voi avete sollevato alla massima emancipazione la donna; infatti, pur essendo una femmina, mi punite proprio come un uomo.

Vi ringrazio. Mi avete gratificata del più duro carcere: gelido, asettico, da obitorio e mi sottoponete alla più criminale delle torture, cioè “la privazione del sensoriale”.

Che espressione elegante per dire che mi avete seppellita in un sepolcro di silenzio. Un silenzio bianco; bianca è la cella, bianche le pareti, bianchi gli infissi, di smalto bianco perfino la porta, il tavolo, la sedia e il letto, per non parlare del cesso.

La luce al neon è bianca, accesa sempre: giorno e notte.                   

Ma qual è il giorno, e quale la notte? Come posso saperlo? Attraverso la finestra passa sempre una stessa luce bianca. Una luce finta come è finta la finestra e finto è il tempo che mi avete cancellato, dipingendomelo di bianco.

Silenzio. Silenzio dal di fuori, non un suono, un rumore, una voce. Dal corridoio non si sentono passi, né porte che si aprono o si richiudono. Niente!

Tutto silenzio e bianco. Silenzio nel mio cervello, bianco come il soffitto. Bianca la mia voce se provo a parlare.

Bianca la mia saliva che mi si aggruma agli angoli della bocca. Silenzio e bianco nei miei occhi, nello stomaco, nel ventre che mi si gonfia di vuoto. Come in un acquario, galleggiante nel silenzio, come un pesce giapponese senza pinne a ventaglio mi trovo sospesa. Sensazione perenne di vomito. Il cervello mi si stacca dal cranio al rallentatore vagando per l’acqua di luce nella stanza. Di polvere sciolta come un detersivo nella spaventosa lavatrice è tutto il mio corpo: lo raccolgo… lo metto insieme… mi ricompongo… No! No! Devo resistere… non riuscirete a farmi impazzire… Devo pensare! Pensare! Ecco penso… Penso a voi, voi che mi tenete in questa tortura: vi vedo appiccicati col naso schiacciato al gran cristallo di questo acquario dove m’avete messo a galleggiare, e mi guardate interessati. Vi godete lo spettacolo… Temete che io sappia resistere… Temete che altri come me e i miei compagni tornino a cercare di guastarvi il bel mondo che avete inventato.

Che grottesco, a me togliete ogni colore e fuori il vostro mondo fradicio e grigio l’avete ridipinto a tinte sgargianti, perché nessuno se ne accorga, e costringete la gente a consumare tutto a colori: avete colorato di rosso sgargiante gli sciroppi al lampone, e che importa se procurano il cancro, d’arancio brillante gli aperitivi. Fate trangugiare ai bambini verde smeraldo e giallo cromo, riempite di coloranti velenosi il burro e la marmellata. Come pagliacci impazziti tingete perfino le vostre donne: rosa garanza sulle guance, azzurro pervinca e violetto sulle palprebre e rosso cinabro sulle labbra e unghie dipinte con tutti i colori impossibili da carnevale d’oro e d’argento , verde e arancione e perfino blu di cobalto.

E costringete me nel bianco perché il mio cervello si frantumi e scoppi in tanti coriandoli: i coriandoli del vostro carnevale, del vostro Luna Park della paura.  Sì, ostentate tanta sicurezza, ma è solo la gran paura che vi fa tanto crudeli e pazzi. Per questo avete bisogno di continuo baraccone e baccano, di tante luci al neon colorato dappertutto e vetrine e suoni e fracasso e la radio e la filodiffusione sempre accesa dappertutto nei vostri grandi magazzini, nelle case, in macchina, nel bar, perfino a letto quando fate l’amore. E’ la paura del silenzio che imponete a me… perché voi sì avete il terrore di star soli con il vostro cervello… perché avete orrore del dubbio che questo vostro non sia il migliore dei mondi… ma il peggiore: il più squallido.

E mi avete chiusa nell’acquario solo perché… No, non sono d’accordo con la vostra vita. No, non voglio essere una delle vostre donne confezionate sotto cellophane. Non voglio essere presenza tenera di piccole risate di sorrisi stupidamente allettanti alla vostra tavola del sabato sera in un ristorante con menù vario ed esotico e con sottofondo di musiche idiote ma filodiffuse. E dovermi sforzare di essere quel tanto triste e ammiccante e al tempo pazza e imprevedibile e poi sciocca e infantile e poi materna e puttana e poi all’istante ridere pudica in falsetto a una vostra immancabile trivialità.

Oh, eccolo un leggero fruscio: si apre la porta, appare una guardiana, mi guarda come se non esistessi, come fossi trasparente. Non dice una parola, ha in mano un vassoio con il pranzo. Lo posa sul tavolo, se ne va. Richiude. Di nuovo il silenzio.

Cosa m’han portato da mangiare? Hamburger. Un bicchiere di succo di pompelmo. Verdura cotta, una mela. E poi si preoccupano che non mi salti in testa di suicidarmi. Infatti il piatto è di carta. Non c’è coltello né forchetta, solo un cucchiaio di plastica molle, che sembra gomma. No, non vogliono che io decida di eliminarmi. Spetta loro decidere. Quando sarà il momento giusto ci penseranno di persona, mi daranno l’ordine di suicidarmi e dal momento che in questa cella non ci sono sbarre alla finestra per potere appendere un lenzuolo torto e una cinghia e quindi impiccarmi mi daranno una mano loro… o anche più di una mano. Un lavoretto pulito. Come tutta pulita è questa socialdemocrazia, che si prepara a uccidermi… in buon ordine.

Nessuno sentirà un mio grido, né un lamento… tutto in silenzio, con discrezione, per non turbare i sonni sereni dei cittadini felici di questa nazione pulita… e ordinata.

Dormite, dormite, gente pasciuta e attonita della mia grande Germania e anche voi dell’Europa, gente benpensante, dormite sereni come morti! Il mio grido non vi può svegliare… Non si svegliano gli abitatori di un cimitero.

Gli unici ai quali crescerà l’odio e la rabbia, lo so, saranno quelli che stanno giù a sudare e crepare nella sala-macchine della vostra grande nave: gli immigrati turchi, spagnoli, italiani, greci, arabi e i fottuti, sfottuti da tutta Europa e le donne, tutte le donne che hanno capito la loro condizione di sottomesse, umiliate e sfruttate, loro capiranno anche perché mi trovo qui e perché questo Stato ha deciso di ammazzarmi… proprio come una strega al tempo delle streghe. E si convinceranno, o lo sono già, che anche oggi è sempre tempo di streghe per il potere.

E le streghe devono stare ai telai, alle macchine, alle presse, alla catena, al rumore, al fracasso, agli stridii… plaff…tritritri….vlam hahaha! Tritritri, vhoom, vhoom… Pressa! Fluuuttss… il maglio! Blamm! Il trapano! Frufrufrufru…. Il motore popopopo….. le caldaie ploch, ploch, ploch…

Che bello il rumore, il baccano, il fracco! Ah ah ah l’avete inventato voi padroni, per il vostro profitto… e io ne approfitto.

Basta col silenzio! Me lo faccio da me il rumore. Presa: flutts… il maglio: blamm blamm… il trapano: frufrufru… le caldaie: ploch, ploch, ploch…. Il gas! Esce il gas! Fa tossire: achrf achrf achrf!

La catena: vai ritmo vai coi tempi ritmo, plaf pochh sblam bengh tramp pungh sgnaf tuh tuh frr frr!

Basta!

Basta! Fermate le macchine, silenzio!… Che bello il silenzio, grazie carcerieri che mi date questo straordinario piacere del silenzio… assoluto… oh come sto assaporando, godendo… ascoltate come è dolce, ristoratore… sono in Paradiso… Carcerieri, giudici, politicanti vi ho fregati… non riuscirete mai a farmi uscire pazza, dovete ammazzarmi da sana… in perfetta salute di mente e di spirito… e tutti capiranno, tutti sapranno con certezza che siete degli assassini, un governo, uno Stato di assassini.

Vi vedo già correre a nascondere il mio cadavere, bloccare la porta ai miei avvocati… No, Ulrike Meinhof non si può vedere… Si, si è impiccata. No, non potete assistere all’autopsia. Nessuno. Solo i nostri periti di Stato, che hanno già decretato… La Meinhof si è impiccata. Ma non ci sono segni di strangolamento sul collo… nessun colore cianotico al collo… in compenso ci sono lividi su tutto il corpo! Fatevi in là, circolate, non guardate! Proibito scattare foto, proibito chiedere un perizia di parte, proibito esaminare il mio cadavere. Proibito. Proibito pensare, immaginare, parlare, scrivere, proibito, tutto proibito! Sì, tutto proibito!

Ma non ci potrete mai proibire di sghignazzare di tanta vostra imbecillità, imbecillità classica di ogni assassino.

Pesante come una montagna è la mia morte… centomila e centomila e centomila braccia di donne l’hanno sollevata questa immensa montagna e addosso ve la faranno franare con una terribile risata!                                                                                                               

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