In fuga 4 (da una madre o tra le sue braccia)

Da http://scateniamotempeste.wordpress.com
 
Ti svegli una mattina e non solo c’è l’aria di neve ma fuori c’è un paesaggio lunare e devi camminare con i doposci, che se li chiamano moonboot qualcosa c’entra di sicuro. Prendo il treno per la città che amo e lì sono tutti con il cappottino leggero, non c’è traccia di neve e ci sono 16 gradi in più: non sembra nemmeno la stessa Italia e non lo è. Poi ci sono facce di gente che conosco e che mi fa piacere abbracciare e stringere e ci sono facce nuove in questa ansia di socialità, che mi fa parlare tanto e ridere con il mio “fondo di tristezza infondo all’anima”. Vorrei camminare sul lungotevere ma non c’è tempo. Il tempo me lo consumano i treni, le fermate della metropolitana, i chilometri a piedi, che anche il viaggio è vita ma a volte abbiamo bisogno di arrivare e sentirci a casa, sotto la neve o sul lungotevere, ovunque ci sia un riferimento caro, dietro qualsiasi porta abbia il nome di casa. E mentre cammino, che qui sembra che stia per arrivare la primavera e invece arriva l’inverno, penso. Penso che tutti i “cristiani” stanno per festeggiare il natale, spesso con sfrenata aria consumistica e che purtroppo anche a me toccheranno giorni a tavola a fare sorrisi di facciata ai parenti, non a tutti, che qualcuno si salva. Che poi vorrei dire al mondo che sono agnostica, che per me questa festa non ha senso, non ha nemmeno senso come festa familiare, che la famiglia ti capita, mica te la sei scelta, e la mia famiglia più vera l’ho da anni ritenuta quella degli amici e delle amiche, anche se alcuni e alcune sono stati dei punti di riferimento ballerini, ma tant’è che me la sono sempre svangata grazie a loro più che grazie ai parenti. Poi penso a mia madre e a mio padre e mi sento ingiusta, perché loro ci sono sempre stati più delle loro possibilità materiali, mentali e culturali. Penso a mia madre, che è un po’ forte e un po’ fragile e che ha cresciuto questa donna un po’ forte e un po’ fragile, che sarei io. Le addosso la colpa delle mie fragilità e non la ringrazio mai per la forza che mi obbliga ad avere quando è svenevole e si impressiona, quando va in panico e non sa gestire emotivamente situazioni normalissime. Io ho sviluppato quella forza che lei non ha per compensazione. Penso che sono fortunata perché a volte capisce senza che io dica nulla, anche se non mi comprende magari davvero in profondità, che siamo di due generazioni che sono due mondi diversi. Quando non approva è scontro. La sua presenza è ingombrante ma è anche viva e io, da adulta, devo imparare a gestirla. Non comprende i miei carpiati sentimentali quando sa che mi sto buttando a capofitto nel dolore e vorrebbe che ne stessi fuori e io mi chiedo se fa così per salvare la mia moralità o se per difendermi dal fallimento. Non glielo chiederò mai. Ci sono delle distanze fra noi. Distanze che non si colmano perché non è una mamma amica. È una madre scomoda. Non gradirebbe tutte le persone che frequento, le mie idee politiche, il rossetto troppo rosso di alcune sere, il mio nuovo tatuaggio, la disinvoltura di certe mie avventure, l’alcool a profusione di alcuni weekend, le scritte sui muri, neppure questo blog capirebbe. Il fatto che non sappia queste cose mi rassicura e, in un certo senso, la tutela. Eppure in questa città che amo on il clima molto più caldo di quello della mia città, vorrei che fosse qui a tentare di capire cosa dirò quando dovrò leggere un mio pezzo su ciò che per me significa essere femminista oggi e vorrei che, pur senza condividere ogni singola parola, pensasse – lei che si schernisce tanto – che c’è qualcosa di suo anche in questo, qualcosa di lontano, dei suoi vent’anni, che magari non ricorda più, ma che io vedo e che, oltre all’amore di figlia, mi fa tornare da lei ogni volta che fuggo, e ogni volta che fuggo anche da lei.
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