Femminicidio

FEMMINICIDIO

Elisabetta Teghil

12/07/2010

Non c’è giorno in cui una donna non venga ammazzata dal padre, dal marito, dal figlio, dall’ex, dal fidanzato o dall’amante.

Abbiamo gridato nelle piazze che le donne le uccidono gli uomini, che l’assassino ha le chiavi di casa, che il problema non è di ordine pubblico e che nessuna legge sulla sicurezza deve sfruttare i nostri corpi e le nostre morti.

Assistiamo tutti i giorni al dipanarsi di una violenza senza pari. I detenuti si suicidano nelle carceri in un impressionante stillicidio, muoiono di “morte naturale” negli istituti penitenziari ragazzi di 23 anni che, guarda caso, hanno assistito ad un pestaggio, viene ucciso chi è fermato per un controllo come Aldrovandi, chi viene portato in una tenenza dei carabinieri come Uva o viene fermato per un po’ di erba come Cucchi. E’ stata reintrodotta la pena di morte extra-legem  : a chi  non si ferma ad un posto di blocco si spara a vista. Gli autori della violenta e assassina repressione al G8 di Genova e dei pestaggi a Bolzaneto e alla Diaz vengono promossi (grazie governo di centro-sinistra!). Gli operai lavorano dodici ore al giorno e muoiono come alla Thyssen ,ma non basta, le loro condizioni continuano a peggiorare: l'”accordo “di Pomigliano è un ritorno all’ ‘800.

Anche i “bravi cittadini” sono chiamati a dare il loro contributo. Le aggressioni e i pestaggi ,anche mortali, nei confronti delle persone di colore aumentano. La caccia ai rom è diventata uno sport nazionale e va di pari passo con la loro deportazione in posti isolati, monitorati dalle telecamere, con l’obbligo di fornire le impronte digitali. Anche per i minorenni(e per il loro bene!). Si internano le/gli irregolari con la creazione del concetto di detenzione non per reato ma per condizione, fioccano condanne non per quello che si fa, ma per quello che si è. Anche le amministrazioni locali, di destra e di sinistra, non vogliono essere da meno: vietano di chiedere l’elemosina, di sedere sui marciapiedi ,di bere per strada, riempiono le città di telecamere e zelanti funzionari in divisa sparano ai writers.

Le televisioni ci fanno vedere le inumane condizioni in cui vivono gli immigrati, i lavoratori stagionali, ma non per condannare questa società, responsabile di questa disumanità, ma per criminalizzare le vittime. E che dire di magistrati e poliziotti che querelano la sorella di Uva e la madre di Aldrovandi?

Noi siamo consapevoli che il femminicidio si è sempre perpetuato nel tempo ed è trasversale, ma lo stillicidio a cui assistiamo ha radici in quello che succede qui e ora.

E’ una società che ha promosso la violenza delle istituzioni e dei cittadini contro i più deboli, la prevaricazione e l’aggressione come modalità di porsi con i diversi, la possibilità di scaricare sul più debole frustrazioni e impossibili rivincite: tutto questo viene sdoganato anche  nel rapporto dell’ uomo con la donna.

In una società che ha fatto del sopruso sostanza di vita, perché il sopruso non dovrebbe sostanziare il rapporto che gli uomini hanno con le donne e legittimare l’uso della violenza per ottenere ciò che si vuole?

In una società dove una pensionata ligure, che aveva lavorato una vita in fabbrica, muore di fame, di freddo e di stenti, dove una marea di sfratti provoca suicidi, dove chi perde il lavoro si brucia vivo, dove un bambino muore avvolto dalle fiamme perché cade la candela che rischiarava la stanza dato che alla famiglia avevano staccato la luce, dove l’unica misura di autoconsiderazione è il successo e il tracollo economico finisce in tragedia familiare, dove non c’è più partecipazione umana per gli sconfitti, ma disprezzo, la perdita da parte del maschio del ruolo e della “proprietà” affettiva lo autorizzano a reazioni violente in sintonia con il clima culturale-politico corrente.

E’ in questo contesto che la violenza maschile già presente e insita nel rapporto dominante del maschio sulla femmina, viene esaltata.

Oltre tutto, questa società ottiene due “ottimi” risultati : si autoassolve, scaricando la colpa sugli esecutori e, secondo un’ormai abituale strumentalizzazione, introduce forme di repressione sempre più accentuate e funzionali al controllo sociale.

Contemporaneamente, la riproposizione dei ruoli a tutti i livelli sociali, dalla scuola con la reintroduzione del preside-padrone e del 5 in condotta, al mondo del lavoro con la gerarchizzazione esasperata e la meritocrazia, alle donne con il tentativo di ricondurle al lavoro di cura, ai valori della famiglia e della maternità, porta ad una automatica riproposizione del ruolo che il maschio già si autoriconosce e cioè di parte dominante nel rapporto con la donna e al conseguente tentativo di recuperarlo ogniqualvolta lo veda in pericolo.

Infine, ce ne accorgiamo da tanti segnali, è in atto un tentativo di ribaltare la violenza che le donne subiscono, facendone ricadere la colpa sulle donne stesse che, nel rivendicare emancipazione, libertà e “perfino” autodeterminazione, avrebbero dimenticato femminilità, dolcezza e disponibilità “proprie” del genere, provocando dolore e scompaginamento nelle coppia, nella famiglia, nel maschio e in loro stesse. Sono da leggere in questo senso la sentenza di pochi giorni fa sulla donna “con un carattere forte”, sentenza secondo la quale non esiste violenza da parte del maschio se la donna tenta di tenergli testa, la legge sull’affido condiviso, il tentativo di psicanalizzare e psichiatrizzare i comportamenti e le scelte femminili.

Per questo dobbiamo fare chiarezza politica. Ribadire che chi aderisce ai valori di questa società ed, in  particolare, a come oggi si presenta nella sua configurazione neo-liberista che vede tutti i partiti e i partitini compatti nelle scelte di fondo, è partecipe e responsabile di tutti i crimini che questa stessa società induce e provoca.

Chi condivide ed è partecipe di questo progetto ne è complice e corresponsabile e noi femministe dobbiamo autorganizzarci e lottare.

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