La Parentesi di Elisabetta del 23 giugno 2021

L’illegalità delle lotte fonte del diritto

” Le leggi, il diritto e l’ordine sono fondamentalmente contro di noi anche se, combattendo duramente, abbiamo strappato due o  tre diritti che, comunque, dobbiamo difendere continuando a lottare. La lotta radicale femminista e l’obbedienza alle leggi sono due cose che fanno a pugni fra loro.” Rote Zora

Tutti i giorni muoiono persone sul lavoro, è uno stillicidio, ma a meno che non sia la notizia di un’operaia di 22 anni dilaniata da una macchina tessitrice che produce una particolare impressione per un giorno e via, le altre morti vengono vissute dalla gente come routine. Continuamente ci sono donne stuprate o ammazzate da mariti, fidanzati, amanti, ex, padri, figli, conoscenti, famiglia, amici ma è diventata routine anche questa. Tutti i giorni muoiono persone di miseria, fra poco ci sarà un’ondata di licenziamenti da paura dato che l’ultimo ddl Draghi ha decretato la definitiva eliminazione del blocco in due date indifferibili, 30 giugno e 30 ottobre, ma sarà routine. C’è nella popolazione un’assuefazione al male che non è indifferenza, è rassegnazione, una rassegnazione che comporta l’incapacità di indignarsi e di cercare quindi la ragione di quello che succede.

Una cosa però è certa. Questa è una società che si pavoneggia per l’attenzione ai diritti: sicurezza sul lavoro, leggi sempre più severe, legislazione di tutela per le donne, sbandieramento di attenzione nei loro confronti, sbandieramento dei diritti delle minoranze e delle diversità sessuali, parole a iosa sulle tutele riguardanti immigrati e immigrate… pace, giustizia, democrazia… Ma evidentemente c’è qualcosa che non va, cioè c’è tanto che non va, anzi c’è tutto che non va. Tutto questo sbandierare, tutte queste leggi, tutto questo parlare non servono a niente e si rivelano uno strumento sempre più stringente di controllo sociale, danno la netta sensazione che non ci sia niente da fare e contribuiscono ancora di più all’assuefazione al male. Chiaramente è un discorso che abbraccia l’approccio neoliberista di gestione della società in tutti gli ambiti, ma ce ne sono alcuni particolarmente emblematici per l’uso e gli effetti di questi strumenti di legge imbastiti, creati e propinati dal sistema di potere ai subalterni come soluzione di tutti i problemi. Parliamo delle leggi per la sicurezza sul lavoro, di quelle contro la violenza sulle donne e sulle diversità, delle leggi contro il razzismo, di quelle per la <sicurezza> della cittadinanza…Sono solo alcune ma sono tutte <per il nostro bene>.

Nonostante questo, la violenza personale, interpersonale, sociale non è diminuita ma è aumentata e non potrebbe essere diversamente dato che la violenza è lo strumento principale di cui si è dotato lo Stato per risolvere i problemi sul fronte interno e su quello esterno. La violenza dello Stato è aumentata a dismisura.

Una violenza che ha dei misuratori molto indicativi che parlano da soli e che quindi possono essere considerati dei termometri della situazione sociale.

Il primo è sicuramente l’approccio repressivo nei confronti di chi non si dichiara convinto partecipe, in senso lato e non necessariamente politico nel senso stretto del termine, del progetto neoliberista, approccio caratterizzato dalla tendenza a reprimere, condannare, controllare non il reato ma anche solamente il pensiero di una possibile alterità. Basti pensare al caso, successo poco tempo fa, dello studente che a scuola per protesta non ha voluto mettere la mascherina e per il quale è stato messo in atto un trattamento sanitario obbligatorio, Tso, perché evidentemente chi è contrario alle norme stabilite può essere solamente un pazzo. O a quello che è successo nelle carceri di questo paese durante le proteste per la situazione pandemica, tredici detenuti morti durante le rivolte e non si sa bene come…

Il secondo è il dato sui femminicidi che invece di diminuire aumentano e si fanno più tragicamente serrati nonostante le leggi, le norme, i codici rossi, rosa e a pallini, nonostante i centri antiviolenza, gli osservatori e i finanziamenti. Ma la ragione è tragicamente chiara, tutte queste leggi e strutture non fanno che infantilizzare e vittimizzare le donne spingendole all’affidamento, mentre l’unica risposta efficace è quella dell’autorganizzazione, dell’autodeterminazione e della sicurezza economica. Se le donne si organizzassero in piccoli gruppi di autosostegno e difesa, non necessariamente politicizzati, ma di amicizia e di vicinato, se il movimento femminista si decidesse ad aspettare sotto casa i maschi violenti, se…ma l’autodeterminazione è molto pericolosa, si può imparare a pensare da sole…

Poi ci sono le infinite norme e leggi per la sicurezza sul lavoro, i guanti, le scarpe, i caschetti, la cartellonistica, i corsi, le normative europee, ma non viene in mente a nessuno che sicurezza sul lavoro significa lavorare poche ore perché poi il livello di attenzione scende paurosamente? Che non ci devono essere straordinari ma stipendi adeguati? Che i concetti di produttività e di meritocrazia fanno morire la gente? Che il mettersi in malattia è una sacrosanta difesa della propria salute e della propria integrità fisica e mentale?

Poi c’è la così detta sicurezza urbana e sociale e il decoro per cui la città è tutta un divieto, tutta una norma, basta guardarsi intorno, le persone sono trattate come scolaretti dell’epoca vittoriana, appena ti distrai zac! una bacchettata sulle mani e dalla parte del dorso naturalmente. I militari presidiano la nostra vita perché è noto che la gente è disubbidiente e non si sa gestire.

Infine il vastissimo arcipelago delle leggi contro il razzismo e per la tutela delle culture diverse e degli immigrati e delle immigrate…chiaramente la prima cosa da chiedersi è cosa c’entri tutta la suddetta attenzione con la legge n.40/1998 Turco-Napolitano che ha istituito la detenzione amministrativa e i Cpt, Cie, Cpr o come li volete chiamare. Ma non vi fate troppe domande perché potrebbero fare una legge che proibisce di farsi domande così il problema sarebbe risolto alla radice. Continua a leggere

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Boicottiamo la guerra!

Riceviamo dalla rete antimilitarista  di Napoli

https://www.facebook.com/events/208675537799166/?ref=newsfeed

INCONTRO TRA ATTIVISTI E LAVORATORI PORTUALI IN LOTTA CONTRO I TRAFFICI D’ARMI

Alla nostra richiesta di confronto formalizzata nell’appello “ai lavoratori dei porti di Genova, Ravenna, Livorno e Napoli” (v. sotto), abbiamo avuto le prime disponibilità da parte di alcune di queste realtà. Abbiamo perciò fissato un incontro, che si svolgerà su piattaforma, per il 30 giugno 2021 alle ore 18,30.
Riteniamo questo passaggio della massima importanza. Il G7 e il vertice della NATO che si sono appena tenuti hanno fatto emergere l’inasprirsi della competizione commerciale e militare tra il blocco occidentale e le potenze Russia e Cina, definite entrambe dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, “systemic rivals” per la Nato. Prende il via, così, l’Agenda NATO 2030 che prevede non solo il rafforzamento dell’Alleanza ma anche il suo strategico interventismo a ridosso dei confini e dei mari sia russi che cinesi.
Quello che dobbiamo aspettarci, quindi, è un’ulteriore corsa agli armamenti, l’intensificazione delle esercitazioni militari, l’inasprimento dello scontro tra grandi potenze, oggi ancora solo per procura, negli attuali teatri di guerra, il moltiplicarsi delle missioni all’estero a difesa ognuno delle proprie aree strategiche di influenza e nuove guerre.
In questo scenario, la movimentazione delle armi crescerà e le azioni volte a mettere in crisi la logistica militare, come quelle fatte dai lavoratori dei porti di Genova, Livorno, Ravenna, Napoli e di altri porti internazionali come Oakland, diventano cruciali per inceppare la macchina bellica.
L’incontro vuole essere un primo momento di confronto con questi lavoratori e con altre realtà antimilitariste per valutare insieme:
– quale contributo possono dare gli antimilitaristi per la riuscita di queste azioni;
– come rispondere unitariamente alla repressione che colpisce sia questi lavoratori che le realtà antimilitariste;
– come fare rete per rilanciare un movimento contro la guerra
Invitiamo tutti a partecipare e dare il proprio contributo.
Gli interessati potranno richiedere il link di partecipazione inviando un messaggio su questa pagina o all’indirizzo di posta elettronica: antimilitaristicampani@gmail.com

Il link sarà comunicato il giorno prima dell’incontro.

AI LAVORATORI DEI PORTI DI GENOVA, LIVORNO, NAPOLI E RAVENNA
Richiesta di confronto da parte degli Antimilitaristi campani
Gli “Antimilitaristi Campani” ringraziano i portuali di Genova, Ravenna, Livorno e Napoli e i sindacati che li hanno sostenuti per le loro azioni tese ad ostacolare il transito di armi nei porti italiani. Il rifiuto di questi lavoratori di caricare armi dirette in Arabia Saudita, in Israele, in Siria e in altre zone di guerra, esprime la precisa volontà di non essere complici della distruzione e della morte portata al popolo yemenita, al popolo palestinese, al popolo siriano e di altri Paesi oggetto delle aggressioni e delle mire neo-colonialiste delle grandi potenze o delle potenze regionali. Continua a leggere

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La difficoltà di avere difficoltà

La difficoltà di avere difficoltà

[…]Così ora, quando mi chiedono come va, quella frase curiosa, un’affermazione che sembra una domanda – con tutte le sue aspettative di risposta lineare e affermativa, autoconclusoria: tutto bene, grazie – mi sforzo di rispondere nel modo giusto. Una merda. Perché bisogna sapere che stare male è legittimo e la protesta anche di più. Perché la frustrazione de* singol* sia la rabbia di tutti e tutte.[…]

Denys

Ho difficoltà a fare molte cose.

Non so condividere i miei spazi, non senza impazzire. Non so cominciare e finire le cose con facilità. Non me la cavo granché col linguaggio del corpo e le sottili implicazioni emotive dei messaggi sottintesi. Non sempre riesco a comunicare a voce, e anche quando posso, avverto un enorme peso nel tradurre le mie immagini in lessico intellegibile. Non posso tollerare  i programmi stravolti di punto in bianco. Non so gestire più di un impegno al giorno, massimo due, per le mie energie limitate e per via dell’angoscia e del disorientamento che mi porta la gestione simultanea o sequenziale delle mie istanze quotidiane. Non esco molto di casa perché mutare spesso ambientazione mi stressa molto. Non ho realmente idea di come ci si faccia delle amicizie, o di come si manutengano i rapporti umani: devo i miei residuati di socialità a tutte quelle persone che fanno lo sforzo di perseguire la mia compagnia. Ho bisogno di fare tutto sempre allo stesso modo e di obbedire a piccole e grandi compulsioni utili e inutili che non sono dettate dallo sfogo di un’ossessione ansiosa ma da un’innata, non estirpabile, tendenza alla routine, e non posso non ammettere che mi sento a disagio nel continuare questo paragrafo rompendo lo schema che mi fa iniziare le frasi con un bel non. Ho dei sensi che funzionano in modo intenso e bizzarro, offrendomi la capacità di causarmi disgusto fino al vomito di fronte a molti sapori e consistenze; sentirmi benedetto sulla terra per le deliziose, friabili onde sonore di tarallo masticato sull’autobus dalla passeggera dietro di me; scoppiare in una immensa crisi di rabbia notturna graffiandomi le braccia e sbattendo la testa contro il mobiletto del bagno per via della irritante frequenza dei miei che russano e dell’insopportabile nenia di slinguazzamento che fanno i gatti nei loro riti di toelettatura, poiché dormiamo nella stessa stanza da vent’anni con buona pace del mio ineluttabile bisogno di privacy; avvertire la benché minima variazione di temperatura dunque non riuscire a tenere in mano una tazza moderatamente calda e ciononostante uscire spesso di casa con un abbigliamento inviso a ogni briciolo di buonsenso meteorologico, sudando a fiotti o sfidando la morte per ipotermia con gagliardo sorriso futurista e mani cianotiche. Regolare amministrazione autistica.

Molto tempo fa mi sono accorto di queste difficoltà senza accorgermene davvero. Ho assunto presto la consapevolezza che la mia percezione non corrispondeva alle percezione delle persone che incrociavo. Non che sia poi così difficile quando chiunque ti fa notare che una buona parte dei tuoi modi di fare e d’essere sono per così dire inappropriati, fuori luogo, strani. Dove non sono arrivato io con arguto dedurre, c’è arrivata la pressione sociale con le persuasive argomentazioni della persecuzione fra pari; anche fra dispari, vista l’annosa abitudine delle persone dotate di un potere ad abusarne. Lezione appresa. Diverso non si può, trovarsi in una brutta situazione è un crimine imputabile anche se non è un crimine e anche se non è stato commesso. I bravi bambini obbediscono. Io ho obbedito. Per fortuna ho quasi smesso, ora consumo solo mezzo pacchetto al giorno.

Questo livello di realtà colora tutta la mia vita, il mio stare nel mondo, come anche il cambiarlo. Lo spazio e l’agire tradizionale della politica extraparlamentare – ma anche di quella parlamentare,  la quale però non ho mai vissuto e praticato, e mai accadrà – consiste in un insieme di implicite regole sociali le quali per lungo tempo ho tentato di capire e assecondare, inutilmente, quali diplomazie, narcisismi, bisogni d’appartenenza, omologazione, idiosincratiche intollerabilità di vario genere. La peggiore pretesa è però la straziante richiesta di abdicare la propria persona in favore di un’abnegazione totale, noncurante delle priorità, delle limitazioni e delle necessità individuali e sociali, figlia quell’idea assurda e reazionaria che è l’indipendenza: essere isole, che si sanno bastare da sole o che in questo modo amano raccontarsela; questa indipendenza, che non rappresenta le abilità legate all’autonomia personale, ma il cerotto  applicato su quell’esigenza palpabile che sono i nostri rapporti di interdipendenza reciproca, in termini di affetto, di cura, di soddisfacimento dei bisogni più e meno elementari; viene chiesto insomma di favorire fatica e intelletto a un gruppo, un collettivo, una rete – esattrici di lavoro emotivo che non ne restituiscono altrettanto – che sì, fornisce una forma primitiva, grossolana e distruttiva di supporto, ma soltanto a chi possiede la possibilità e la pazienza di farne porta e soltanto a costo di distruggerl* pian piano, spogliandol* infine del diritto alla sopravvivenza in nome di qualcosa di più grande, così grande da inghiottire contraddizioni, idiosincrasie, umanità. Che libertà è mai questa? Che giustizia porta con sé?  La libertà di farsi tiranneggiare da una comunità terribile, più fascista di quella che ci mette i piedi in testa di solito. La giustizia, quella delle forche. Continua a leggere

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Scrivere storia, raccogliere memorie, fare militanza

<Scrivere storia, raccogliere memorie, fare militanza>*

Contro la gravissima intimidazione personale e politica di cui è stato oggetto in questi giorni Paolo Persichetti e in difesa della stessa possibilità di parola, di pensiero e di azione di tutte noi.

Le donne che venivano chiamate streghe non avevano nessun potere magico, in realtà. Semplicemente riuscivano a vedere le cose meglio. Le vedevano per quel che erano – perché erano nate con la capacità, o il dono (o, forse, la maledizione) di non avere filtri sugli occhi né sulla mente: nessuno di quei filtri che spesso ci portiamo appresso senza nemmeno rendercene conto, che ci dicono come dobbiamo vedere le cose per essere accettati, per sembrare giusti, per apparire ciò che dovremmo essere – per autoconvincerci che davvero siamo ciò che vogliamo far apparire. Loro non ce l’avevano – perché la conseguenza, o la causa, del loro dono o maledizione era anche questa: non aver paura della solitudine, non aver bisogno di riempire il silenzio di chiacchiere vuote, voler qualcosa di diverso da un ruolo da recitare sul palcoscenico insieme a tutti. Per questo venivano isolate. E per questo facevano paura – come fa paura chi dice la verità: e spesso si preferisce accusarlo ed annientarlo pur di non sentirla, pur di non volerla vedere.

E per questo ancora oggi esistono le streghe – ed esiste chi le vuole bruciare. Siamo streghe quando ci poniamo domande, quando vogliamo capire. Quando ci ribelliamo ad una regola, quando ragioniamo con la nostra testa. Quando non abbiamo paura di esplorare le nostre ombre, ammettere i nostri difetti, confessare ciò che vogliamo.

Siamo streghe – e, anche se volete continuare a bruciarci, siamo sempre qui.

(Catherine Black)

  • il titolo è preso da un intervento all’interno dell’Incontro Nazionale Separato<Memoria collettiva, Memoria femminista> organizzato dalla Coordinamenta femminista e lesbica e che potete trovare nelle nostre auto produzioni.
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Genova/ presidio contro la sorveglianza speciale/15 giugno

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In attesa del 17/ per rinfrescarci la memoria

CHE COS’E’ PER TE LA MILITANZA? ATTO I

Podcast dell’iniziativa “Che cos’è per te la militanza?” del 15 settembre 2018

Testo di apertura e di invito alla discussione.

Sempre più spesso viene usato il termine “attivista” per nominare chi prende parte alle lotte politiche o le costruisce. Nel mondo femminista “attiviste”, ma anche “ragazze”, perfino “amiche”, sono i nomi che vanno per la maggiore. Quasi a definire non una collocazione politica, bensì di gruppo o un generico impegno nel sociale che spesso tracima nel volontariato. Il termine “femminista”, invece, è usato troppo spesso a sproposito come grimaldello per far passare politiche funzionali al potere. Il termine “compagna” è caduto in disgrazia e usato solo in ambiti ristretti.

Sempre più si fa ricorso al generico termine “donna”, tornato prepotentemente nelle chiamate per manifestazioni, convegni, o nei volantini e nelle iniziative.

“Una generazione, per anni, si è riconosciuta chiamandosi compagna” (dicevamo nell’<Incontro Nazionale Separato sulla Violenza Maschile/Il personale è politico, il sociale è il privato> che abbiamo fatto come Coordinamenta insieme a tante altre compagne) e la parola sugellava un patto di appartenenza e solidarietà, qualche cosa ben oltre i gruppi politici e i loro programmi, qualcosa di difficilmente verbalizzabile proprio per la ricchezza della sua estensibilità. Compagna e femminista, ancora ieri provocavano vibrazioni che penetravano fin dentro gli abissi del disagio e della solitudine che pure c’erano anche allora. Ma, se sono le parole che fanno le cose, disfare quelle parole che sono, allo stesso tempo, categorie di rappresentazione e strumenti di mobilitazione, ha contribuito alla smobilitazione di quello che, un tempo, si chiamava femminismo”.

Abbiamo sempre detto, inoltre, che il termine “donna” non ci appartiene. Non è l’appartenenza al genere femminile che ci definisce, bensì l’oppressione che subiamo e che si caratterizza in questo momento storico, capitalista/neoliberista, con connotati particolari, tra cui la strumentalizzazione della violenza su di noi e i percorsi meramente emancipatori portati avanti da donne che si prestano, consapevolmente o meno, a perpetuare l’oppressione delle altre donne e degli oppressi tutti.

Confrontandoci su queste problematiche ci siamo rese conto che anche il termine “sorellanza” deve andare incontro ad una ridefinizione. La sorellanza non è determinata dalla mera appartenenza al medesimo sesso biologico ed è necessario, oggi come ieri, riconoscere chi è e chi non è nostra sorella.

Il femminismo è fortemente attraversato dalla classe.

Che cosa significa, quindi, fare militanza, scegliere da che parte stare, essere militanti?

L’egemonia culturale del sistema ha una forza devastante mentre noi siamo continuamente scisse.

Ognuna di noi fa parte di collettivi, gruppi politici, separatisti e non, prepara volantini, comunicati, fa riunioni, assemblee, discute e si rapporta con le altre e si trova anche a sopportare denunce e processi…e, allo stesso tempo, nella quotidianità siamo spinte non solo ad adeguarci ai meccanismi del sistema, ma a diventare catena di trasmissione dei valori dominanti.

Spesso siamo ricattate, come ad esempio sul lavoro, costrette a subire modalità a cui ci sottrarremmo volentieri. Ma quello che colpisce è che spesso, invece (forse per paura o forse per disillusione), accettiamo in automatico misere condizioni di vita dando addirittura per scontate alcune, troppe, cose.

Ci è capitato di vedere un documentario del 1970 delGruppo Dziga Vertovche si intitola “Le lotte in Italia” in cui la militanza viene narrata attraverso le parole di una compagna. Ci ha stupito l’attualità di quello che dice. Riteniamo normale andare all’università, fare gli esami, ascoltare la lezione di un professore, poi uscire a fare una manifestazione e portare in piazza altre idee. Oppure accettiamo in famiglia un rapporto lontanissimo dai nostri desideri e, magari, ribadiamo con i parenti atteggiamenti che con le nostre compagne/i non avremmo mai.

Oggi, allo stesso tempo, le relazioni sono profondamente mutate, la tecnologia digitale ci ha così coinvolte che non riusciamo a comunicare se non attraverso di essa. Politicamente e privatamente, siamo parte di un universo continuamente connesso ma di cui noi non gestiamo assolutamente nulla, anzi ne siamo al servizio. Un meccanismo a cui siamo così assuefatte da non accorgerci che mentre comunichiamo protesta e antagonismo e organizziamo lotte ci stiamo muovendo come in una scatola trasparente, osservate ed usate da chi detiene veramente il banco. Oppure ce ne accorgiamo? E se ce ne accorgiamo, facciamo finta di niente o pensiamo che sia possibile sottrarsi?

Ma non vogliamo assolutamente innescare meccanismi di tipo colpevolizzante, che sono invece caratteristici del sistema, e nemmeno indulgere a visioni del tipo “cambia te stessa e cambierai il mondo” che troviamo di chiaro stampo cattolico.

Come femministe abbiamo sempre detto che il nostro privato è politico. Questa consapevolezza ci appartiene, è parte fondante del nostro impegno, ma, in questo caso, ci interessa indagare quanto in automatico siamo, nel nostro quotidiano privato e pubblico, catena di trasmissione dei valori dominanti, quanto forte sia l’egemonia culturale del sistema neoliberista/patriarcale e cosa possiamo fare per disinnescare questo meccanismo.

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 10 giugno 2021

Zardins Magnetics di giovedì 10 giugno 2021

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

FM 90.0 MHz https://radioondefurlane.eu/
https://www.facebook.com/radiazioneinfo/
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

Gli argomenti:

* In mare, alle frontiere, sul lavoro, nelle carceri e nella storia, le
stragi le fa lo Stato. Solidarietà a Juan, Anna, Alfredo e a tutte/i le/i
compagne/i rinchiusi nelle patrie galere e sotto processo. Presidio a
Trieste venerdì 11 giugno.

* Per il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, contro l’obiezione di
coscienza e la violenza sui nostri corpi, organizziamoci per informarci e
non sentirci più sole.
Obiezione Respinta a Udine!
Organizza la Coordinamenta Transfemminista di Udine, sabato 12 giugno.

Per contatti:
liberetutti@autistiche.org

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Che cos’è per te la militanza? ATTO II

Femminismo: paradigma della Violenza/ Non Violenza 

CHE COS’E’ PER TE LA MILITANZA? ATTO II

Il percorso di indagine <Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza> che abbiamo iniziato già da tempo intende analizzare la demonizzazione che il sistema di potere attua nei confronti della così detta violenza politica trascinandola in un ambito delinquenziale e contrapponendo a questa <la democraticità del confronto> e <il sereno confronto fra le parti> dimenticando volutamente e volendo far dimenticare la differenza tra aggressori ed aggrediti, dominanti e dominati, la società divisa in classi e lo sfruttamento di esseri umani e natura. Nell’iniziativa del settembre 2018 avevamo affrontato in questa ottica il tema della militanza e di quanto in effetti il nostro agire fosse spesso condizionato dal pensiero del nemico.

Ma cosa c’è stato tra il settembre 2018 e il giugno 2021? C’è stato un periodo di vuoto a perdere in cui sono state portate alla luce tutte le contraddizioni del femminismo, della sinistra di classe e della militanza, in un processo già innescato da tempo ma che ancora non era stato smascherato fino in fondo e in cui sono state definitivamente svuotate le parole di cui la militanza si nutriva. I dogmi codificati che definivano quella <normalità> che avevamo cercato di smontare come strutturante del paradigma della Violenza/Non Violenza sono tutti venuti alla luce. Il capitalismo neoliberista ha usato lo spauracchio di una pandemia per accelerare un cambiamento epocale della società attraverso la creazione di uno stato emergenziale di guerra in cui, con la scusa della salute pubblica, lo scientismo di Stato, assurto a vera e propria religione, ha decretato quello che potevamo e non potevamo fare, quello che era lecito per il nostro corpo e per la nostra mente e quello che non lo era, in un delirio securitario e di controllo sociale che però non ha visto la maggior parte delle persone e della sinistra di classe, esclusi pochi esempi additati come irresponsabili, ribellarsi inorridite bensì adeguarsi ai diktat del potere in nome della paura di una malattia. L’ondata di rivolte in Cile nella primavera del 2020 ci ha consegnato uno slogan lapidario <non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema>, frase quanto mai veritiera perché il problema era proprio la normalità di una società disumana in cui la predazione del pianeta e degli esseri umani ha raggiunto livelli di non ritorno, in cui il capitale ha superato se stesso nel porre a profitto perfino l’anima degli sfruttati/e. Però questa frase è vera anche per il capitalismo neoliberista perché non ha nessuna intenzione di tornare alla sua precedente normalità bensì di creare una società nuova, di operare uno stravolgimento epocale dei rapporti tra dominanti e dominati improntato da una parte ad una schiavitù volontaria all’interno di una società altamente tecnologizzata in cui la sottrazione al dominio dovrebbe risultare praticamente impossibile e dall’altra alla creazione di rifiuti umani non utili e non necessari al modello sociale imperante di cui il capitale in effetti non sa che farsene e non ha ancora deciso che destino avranno.

​Lo Stato ha usato il paradigma della Violenza/Non Violenza proprio per demonizzare tutti/e quelli/e che ponevano in atto ribellione e alterità contro questo progetto scatenando contro ogni atto di resistenza i cittadini <per bene>, in un silenzio generale quasi assordante. Che cosa ha provocato una tale perdita di coscienza e di pensiero? Perché sono andate perse del tutto categorie guida del fare politico come autonomia, autodeterminazione, autorganizzazione? E, dato che siamo femministe e nella nostra pratica politica scegliamo di partire da noi, che cosa significa un posizionamento cardine della nostra lotta come <il corpo è mio e decido io?>

Di tutto questo vorremmo parlare.

Coordinamenta femminista e lesbica

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Sabato 12 giugno/Marcia popolare No Tav!

È ORA DI DIRE BASTA!

<Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e deve mettersi in gioco in prima persona. Domani potrebbe essere tardi.>

notav.info

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5 giugno /In ricordo di Mara

Margherita Cagol, Mara, militante delle Brigate Rosse, nasce a Sardagna di Trento, l’8 aprile 1945. Viene uccisa dai carabinieri il 5 giugno 1975 ad Arzello d’Acqui in Piemonte.

Dedicata a Mara

Assunzione di irresponsabilità

Ieri abbiamo avuto molto da fare
stamane sui quotidiani dicono che siamo avventati
dovremmo piantare i semi di un mondo nuovo
prima di dare fuoco senza riserve al presente

avremmo dovuto farlo secondo gli standard
del rapporto sociale mediato dalle immagini
di repubblicapuntoit o di facebook
cosa dirà mai l’opinione pubblica,
oh madonna santa protettrice dei sondaggisti:
rimetti a noi le nostre belle paternali
come voi non le rivolgete alle rivolte estere

forse non abbiamo le parole giuste
forse non abbiamo gli strumenti adeguati
ma d’altronde le stelle dimostrano
che per illuminare la notte del mondo
ci vuole qualcosa che brucia
e per quel che ne so
la cenere è concime.

Denys

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7 giugno a Modena/ Presidio contro l’archiviazione

CI SONO MORTI CHE PER LO STATO PESANO COME PIUME

Da poco più di un anno dalla strage del carcere di Sant’Anna il tribunale di Modena sarà chiamato a decidere sulla interruzione delle indagini inerenti le cause di morte di ben otto sulle nove vittime di quella terribile giornata.
L’archiviazione è stata richiesta alla procura, proprio nel marzo appena trascorso, nonostante numerose incongruenze tra gli elementi di interrogazione.

Quando vuole, la Giustizia italiana si rivela alquanto celere nonché senza vergogna nel permettersi di dichiarare che ad essa, nonché agli addetti penitenziari che la rappresentano, “non si può addebitare alcuna responsabilità …
Come già per i continui casi di suicidio nelle carceri, ora persino rispetto ad una strage di tale portata, l’unica cosa che possono, evidentemente, gli organi di Giustizia statale, è l’arroganrsi di svincolarsi dalla realtà del proprio coinvolgimento sulle sorti di chi reprime.
Pare valga più la conservazione di una pena inflitta che la sopravvivenza di un detenuto.

LUNEDI 7 GIUGNO ALLE H. 11, PRESIDIO CONTRO L’ARCHIVIAZIONE
in Corso Canalgrande presso il Tribunale di Modena

Comitato di Verità e Giustizia per i Morti del Sant’Anna

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Strage di Modena/il rischio di un colpo di spugna

Strage di Modena/Il rischio di un colpo di spugna

di Alexik   carmillaonline.com

E’ prevista per lunedì prossimo presso il Tribunale di Modena l’udienza per decidere dell’archiviazione del fascicolo riguardante la morte di otto detenuti nella rivolta del carcere Sant’Anna.
Tre mesi fa il procuratore aggiunto Giuseppe Di Giorgio, assieme alle PM Lucia De Santis e Francesca Graziano, ha chiesto di passare un bel colpo di spugna sulla peggiore strage carceraria della storia della Repubblica, e in particolare sulla fine di Chouchane Hafedh, Methani Bilel, Agrebi Slim, Bakili Ali, Ben Mesmia Lofti, Hadidi Ghazi, Iuzu Artur, Rouan Abdellha.1
La procura di Modena ha motivato la richiesta di archiviazione addebitando i decessi “alle complicazioni respiratorie causate dall’assunzione massiccia di metadone, in qualche caso accelerato e aggravato dall’assunzione di altri farmaci o da specifiche condizioni personali”, ed escludendo per tutti  “l’incidenza concausale di altri fattori di carattere violento“.
La procura sostiene inoltre che “nell’immediatezza della rivolta risulta essere stata tempestivamente assicurata assistenza sanitaria a tutti i detenuti da parte del personale sanitario intervenuto…  Risultano essere stati fatti quindi, nel contesto emergenziale, pure gravati dall’emergenza legata al COVID-19, tutti i necessari controlli, con interventi terapeutici di contrasto in loco, ove possibile, o con invio ai presidi sanitari cittadini nei casi più gravi“.

Sarà, ma il  bilancio di nove morti non depone a favore di questa narrazione edulcorata, smentita ormai da numerose testimonianze.
Fra queste, i racconti delle donne che l’otto marzo 2020 sono accorse davanti ai cancelli del Sant’Anna, avvertite della rivolta dal fumo nero che si innalzava dal  tetto del carcere, visibile da gran parte della città.

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/giovedì 3 giugno 2021

Zardins Magnetics di giovedì 3 giugno 2021

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

FM 90.0 MHz https://radioondefurlane.eu/
https://www.facebook.com/radiazioneinfo/
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

Gli argomenti:

* Una testimonianza dal CPR di Gradisca d’Isonzo
* L’evasione di Prospero – una lettura – seconda parte
* Aggiornamenti sulla Palestina
* Solidarietà agli antisionisti di Milano

per contatti
liberetutti@autistiche.org

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2 giugno al poligono di Teulada

https://www.facebook.com/aforas2016/

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2-12 giugno 2021-GIORNATE DI MOBILITAZIONE

In mare, alle frontiere, sul lavoro, nelle carceri e nella storia… le stragi le fa lo Stato!

2 – 12 GIUGNO 2021 – GIORNATE DI MOBILITAZIONE 

Solidarietà con chi lotta, con i rivoltosi nelle carceri del marzo 2020, con le compagne e i compagni sotto processo.

Blog in aggiornamento per iniziative e materiali
https://mobilitazioni.noblogs.org/

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