Che cos’è per te la militanza? ATTO II

Femminismo: paradigma della Violenza/ Non Violenza 

CHE COS’E’ PER TE LA MILITANZA? ATTO II

Il percorso di indagine <Femminismo: paradigma della Violenza/Non Violenza> che abbiamo iniziato già da tempo intende analizzare la demonizzazione che il sistema di potere attua nei confronti della così detta violenza politica trascinandola in un ambito delinquenziale e contrapponendo a questa <la democraticità del confronto> e <il sereno confronto fra le parti> dimenticando volutamente e volendo far dimenticare la differenza tra aggressori ed aggrediti, dominanti e dominati, la società divisa in classi e lo sfruttamento di esseri umani e natura. Nell’iniziativa del settembre 2018 avevamo affrontato in questa ottica il tema della militanza e di quanto in effetti il nostro agire fosse spesso condizionato dal pensiero del nemico.

Ma cosa c’è stato tra il settembre 2018 e il giugno 2021? C’è stato un periodo di vuoto a perdere in cui sono state portate alla luce tutte le contraddizioni del femminismo, della sinistra di classe e della militanza, in un processo già innescato da tempo ma che ancora non era stato smascherato fino in fondo e in cui sono state definitivamente svuotate le parole di cui la militanza si nutriva. I dogmi codificati che definivano quella <normalità> che avevamo cercato di smontare come strutturante del paradigma della Violenza/Non Violenza sono tutti venuti alla luce. Il capitalismo neoliberista ha usato lo spauracchio di una pandemia per accelerare un cambiamento epocale della società attraverso la creazione di uno stato emergenziale di guerra in cui, con la scusa della salute pubblica, lo scientismo di Stato, assurto a vera e propria religione, ha decretato quello che potevamo e non potevamo fare, quello che era lecito per il nostro corpo e per la nostra mente e quello che non lo era, in un delirio securitario e di controllo sociale che però non ha visto la maggior parte delle persone e della sinistra di classe, esclusi pochi esempi additati come irresponsabili, ribellarsi inorridite bensì adeguarsi ai diktat del potere in nome della paura di una malattia. L’ondata di rivolte in Cile nella primavera del 2020 ci ha consegnato uno slogan lapidario <non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema>, frase quanto mai veritiera perché il problema era proprio la normalità di una società disumana in cui la predazione del pianeta e degli esseri umani ha raggiunto livelli di non ritorno, in cui il capitale ha superato se stesso nel porre a profitto perfino l’anima degli sfruttati/e. Però questa frase è vera anche per il capitalismo neoliberista perché non ha nessuna intenzione di tornare alla sua precedente normalità bensì di creare una società nuova, di operare uno stravolgimento epocale dei rapporti tra dominanti e dominati improntato da una parte ad una schiavitù volontaria all’interno di una società altamente tecnologizzata in cui la sottrazione al dominio dovrebbe risultare praticamente impossibile e dall’altra alla creazione di rifiuti umani non utili e non necessari al modello sociale imperante di cui il capitale in effetti non sa che farsene e non ha ancora deciso che destino avranno.

​Lo Stato ha usato il paradigma della Violenza/Non Violenza proprio per demonizzare tutti/e quelli/e che ponevano in atto ribellione e alterità contro questo progetto scatenando contro ogni atto di resistenza i cittadini <per bene>, in un silenzio generale quasi assordante. Che cosa ha provocato una tale perdita di coscienza e di pensiero? Perché sono andate perse del tutto categorie guida del fare politico come autonomia, autodeterminazione, autorganizzazione? E, dato che siamo femministe e nella nostra pratica politica scegliamo di partire da noi, che cosa significa un posizionamento cardine della nostra lotta come <il corpo è mio e decido io?>

Di tutto questo vorremmo parlare.

Coordinamenta femminista e lesbica

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