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Il paradigma dell’amore romantico è parte fondamentale della strutturazione socio-economica di assoggettamento delle donne come idealizzazione della felicità dipendente da qualcun altro, come inadeguatezza e mancanza senza la metà che ci dovrebbe completare per destino, che porta le donne, educate fin dall’infanzia nell’attesa del principe azzurro, nelle sue più svariate accezioni modernizzate, a considerare la conquista dell’ “amore” come realizzazione imprescindibile, a tollerare la violenza nel rapporto, a considerare la sofferenza come prezzo da pagare pur di mantenere l’affetto dell’altro, a non considerarsi mai persona compiuta in sé.
L’amore romantico è uno dei fattori più insidiosi a sostegno della violenza sulle donne ed è una strutturazione così forte che il sistema è riuscito a far entrare così profondamente nella nostra costruzione personale da investire anche i rapporti non eteronormati.
[…] Che mondo è il mondo neoliberista? Un mondo in cui manca l’alternativa: caduto il comunismo, il capitalismo non deve più giustificare le sue premesse, il potere neoliberista non si legittima attraverso un discorso “di parte”, ma attraverso argomenti quali “imparzialità”, “efficienza”, “problem solving”, “competenza tecnica”. Parallelamente, nell’orizzonte neoliberista vi è spazio per uno Stato fortemente eticizzato (tutore), per un ritorno forte alla confusione tra categorie morali e politiche, per norme e comandi sempre più invisibili e meno “legali”. Ad esempio siamo pieni di codici etici e deontologici che mancano di sanzione perché la sanzione non serve: il comando è direttamente valore, introiettato e riprodotto secondo uno standard comportamentale (v. fidelizzazione degli impiegati, delazione, “subsorveglianza”). Questa una delle manifestazioni dell’“egemonia culturale neoliberista”
Che trasformazioni sono avvenute nel linguaggio e nell’immaginario “antagonista” durante vent’anni di pacificazione ed egemonia culturale neoliberista?
Alcuni esempi:
– abbiamo introiettato la “meritocrazia” come forma di gestione del potere imparziale e trasparente, anzi “giusta”!
– non sappiamo più dare significato al concetto di “riforma” o “riformismo” (da avanzamento delle condizioni materiali dei lavoratori, a processo di ristrutturazione permanente del capitale a danno delle classi subalterne);
– non usiamo più le parole “comunista” o “socialista” per descrivere, ad esempio, i movimenti dell’america latina, ma concetti come “movimenti progressisti e di sinistra”;
– si dice che la violenza contro le donne è un problema strutturale, ma poi si tratta il patriarcato come un fenomeno meramente culturale e ci si apre al “dialogo costruttivo” con guardie e magistrati;
– si tornano ad usare parole come “sorella” o “amica” al posto di “compagna”, perché sono parole che nell’uso comune non costringono le donne a scegliere la propria parte in termini di lotta di classe;
– si assume, anche da parte dei movimenti politici, la logica del problem solving e della competenza tecnica come fonte di legittimazione al proprio intervento politico che però, per questa via, diventa assistenzialismo se non vero e proprio collaborazionismo (cooperative, centri antiviolenza… ci sarebbe da citare la Critica al programma di Gotha)
Quali sono allora le forme di conflitto dentro all’egemonia culturale neoliberista? Non lo sappiamo, ovviamente. Ma sappiamo che dobbiamo ripartire da qui: dall’interrogarci sulla fondatezza delle pratiche di lotta e dei discorsi politici che mettiamo in campo. Troppo spesso le nostre azioni politiche sono ritualizzate (cortei commemorativi, scioperi preavvisati) e musealizzate (es. gender studies). Altre volte sembrano invece rompere con il nostro quotidiano normalizzato, ma spesso sono solo carnevali (rotture della normalità circoscritte e regolate).[…] Femminismo:paradigma della Violenza/ Non Violenza pp.181,182
I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica
Venezia, dopo una partecipata assemblea, occupata la sede di San Sebastiano (Lettere) contro il 41 bis in solidarietà ad Alfredo. Assemblea in corso, domani giornata ricca di iniziative!
«Orso-che-corre trascorre oltre venti anni nel braccio della morte, dove si ammala gravemente: quasi cieco, ridotto su una sedia a rotelle e con il cuore ferito severamente da due infarti. La sua storia evidenzia un aspetto essenziale dell’agonia nella death row [braccio della morte]. Due mesi prima dell’esecuzione Ray Allen viene sottoposto, per decisione istituzionale, a un sofisticato intervento chirurgico al cuore. Lo Stato decide che deve essere tenuto in vita, per essere ucciso, sessanta giorni dopo, con una iniezione letale» (*).
La vicenda di Ray Allen/Orso-che-corre – Ya-nu-a-di-si, nella sua lingua nativa – è senza dubbio paradigmatica dell’intreccio tra sadismo istituzionale, monopolio statale della violenza e burocrazia che caratterizza la gestione dei corpi reclusi.
Ugualmente paradigmatica è la minaccia – e, purtroppo, la possibilità concreta – di sottoporre a nutrizione forzata Alfredo Cospito, recluso in regime di 41bis e da oltre tre mesi in sciopero della fame contro quello stesso regime di tortura.
Sottrarre e negare al recluso ogni possibilità di autodeterminazione è la dimostrazione più lampante e feroce di quanto il regime carcerario rappresenti esclusivamente la volontà di vendetta dello Stato: se vuoi vivere ti seppellisco vivo/a, se vuoi morire ti tengo in vita a forza (lasciandoti sepolto, ovviamente!), affinché tu non possa MAI fare del tuo corpo uno strumento di resistenza al monopolio statale della violenza.
Alcuni anni fa ho avuto occasione di visitare una mostra sulla storia dello sciopero della fame, allestita a Kilmainham Gaol, ex carcere dublinese dove furono rinchiusi e fucilati anche i principali esponenti dell’Insurrezione di Pasqua del 1916. Una sala della mostra era dedicata proprio alla nutrizione forzata, cui furono costrette tanto le suffragette incarcerate negli anni ’10-’20 quanto le militanti repubblicane Dolours e Marion Price nei primi anni ’70 del secolo scorso ed erano esposti anche gli strumenti (di tortura!) utilizzati per questa violenta pratica coercitiva, poi dichiarata non-etica dall’Associazione medica mondiale nel 1975.
A cinquant’anni di distanza da quella dichiarazione non solo le cose non sono cambiate ma, come due anni di pandelirio hanno ampiamente dimostrato, il monopolio statale della violenza va a braccetto con la sovradeterminazione, da parte istituzionale, delle scelte individuali di vita e di morte così come di quelle relative alla salute e alla cura.
La riduzione capitalistica degli esseri umani a merci, la definitiva reificazione-alienazione dell’individuo nelle mani dello Stato e del Kapitale passa anche – e prima di tutto – attraverso la negazione e la criminalizzazione di ogni forma di autodeterminazione.
Per questo le lotte contro il carcere e contro tutte le istituzioni totali e le loro propaggini nelle istituzioni ordinarie sono lotte femministe, oltre che libertarie e anticapitaliste, come già le nostre compagne ci hanno dimostrato un secolo fa.
(clicca sull’immagine per ingrandirla)
Il silenzio del femminismo mainstream su carcere e istituzioni totali e la ricorrente richiesta di leggi contro la violenza maschile sulle donne, oltre a dimostrare un’ignoranza storica abissale sono i chiari segnali di una volontà collaborazionista con chi si arroga il monopolio della vita, della morte e dell’agonia altrui.
(*) Nicola Valentino, Le istituzioni dell’agonia. Ergastolo e pena di morte, Sensibili alle foglie 2017
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AL FIANCO DI ALFREDO/ contro l’ergastolo e il 41bis
In questi giorni un fine giurista, pur esprimendosi a favore della revoca del regime di 41-bis nei confronti di Alfredo Cospito, ha voluto ridurre la sua lotta ad un «caso umano»: che non si pensi di farne un «caso giuridico», soprattutto se ciò significa mettere in discussione la legittimità di un intero istituto. L’affermazione, del tutto insensata, manifesta chiaramente la preoccupazione della parte sedicente democratica e liberale di questo Paese. Poiché la dura lotta portata avanti da Alfredo è potenzialmente in grado di radicalizzare le lotte sociali e antagoniste, essa deve essere depoliticizzata e ricondotta alla logica neutralizzante del discorso umanitarista: la tortura di Stato è accettabile nella misura in cui, come un altro esponente della classe dominante ha voluto sottolineare, è «compatibile con la salvaguardia della vita umana».
A questa ipocrisia rispondiamo che chi, in questi mesi, sta lottando al fianco di Cospito si pone obiettivi che vanno ben oltre la mera sopravvivenza biologica. In un sistema in cui il patto sociale si è ridotto a un patto di “sicurezza”, dove il valore della libertà viene scomposto in singoli diritti, garantiti in modo intermittente e distribuiti con il contagocce (!) in modo diseguale tra le diverse classi sociali, le nostre rivendicazioni non si fermano certo alla tutela dell’esistenza biologica: come abbiamo ribadito ogni giorno durante il cosiddetto periodo pandemico è la qualità della vita di cui vogliamo e dobbiamo riappropriarci. Ed è proprio questo che la classe dominante vuole evitare. È per questo che ora corre ai ripari, nella speranza, tra l’altro, che le sue responsabilità finiscano nel dimenticatoio. Ma noi non dimentichiamo che il 41-bis è uno dei tanti frutti di un percorso ultradecennale (iniziato negli anni ’70 con la legge Reale, proseguito negli anni ’80 con la legge Gozzini e, poi, negli anni 2000 con le leggi antiterrorismo) di sviluppo e radicamento, nel “nostro” “democratico” ordinamento nazionale, del «diritto penale del nemico»: un circuito parallelo di “giustizia” che riserva pene rigidissime ed esemplari a soggetti ritenuti pericolosi per l’ordine costituito. Un diritto penale, incentrato su ciò che un imputato rappresenta e non su ciò che fa, nato per contrastare le organizzazioni rivoluzionarie e poi esteso anche ad altri soggetti (come, ad esempio, i migranti, ma recentemente anche i sindacati) mediante il solito, sempre latente, dispositivo emergenziale che con il manifestarsi della sindemia ha, per la prima volta, investito in pieno le vite dell’intera popolazione.
La feroce repressione che si sta abbattendo su Alfredo è un avvertimento a tutte/i le/i sfruttate/i. La criminalizzazione che sta colpendo coloro che si battono per e al fianco di Alfredo fa parte di quella strategia di creazione del nemico interno che in maniera sempre più evidente si dimostra essere vero e proprio paradigma di governo. L’idea di un’alleanza tra anarchici e mafia propugnata dalla politica e poi ripresa e amplificata dalla maggior parte dei media è solo l’ultimo esempio. Negli ultimi tre anni, al fine di abituare la popolazione a fare sacrifici, il “no vax”, il “putiniano”, “l’uomo degli sprechi” nelle emergenze del carovita e dell’energia sono stati costruiti come soggetti devianti. Tutto per sottacere che è la stessa società capitalista, strutturalmente fondata sullo spreco e su trasformismi quali la green economy tecnocratica, ad esacerbare i problemi sociali. Il potere ha chiuso da tempo ogni spazio di mediazione e negli ultimi anni ha drasticamente ridotto anche gli spazi di agibilità politica e di espressione di dissenso.
Se il 41-bis, l’ergastolo e l’ostatività sono le punte di un sistema oppressivo fondato sul doppio binario repressivo e premiale, la lotta contro questi dispositivi repressivi e contro tutti gli altri strumenti del controllo sociale riguarda tutte/i. Per una prospettiva rivoluzionaria e di classe, non integrata nei meccanismi di sfruttamento, al fianco di Alfredo lottiamo contro la società del controllo, del disciplinamento e del collaborazionismo.
Testo di lancio per le mobilitazioni di questo weekend a Milano – Contro il 41bis e l’ergastolo, fuori Alfredo dal 41bis
Condividiamo il testo di lancio per le mobilitazioni di questo weekend a Milano
Venerdì 3 febbraio alle ore 18 al presidio in piazza Duca D’Aosta
Sabato 4 febbraio alle ore 14.30 al presidio all’ingresso del carcere di Opera
“Contro il 41bis e l’ergastolo, fuori Alfredo dal 41bis”
Non è da ora che assistiamo ad un acuirsi dell’utilizzo di forme repressive per gestire le contraddizioni sociali: l’uso di reati associativi per le lotte per la casa, le lotte sindacali, la criminalizzazione dei movimenti ambientalisti, il controllo del territorio attraverso operazioni militari mass mediaticamente spettacolari che colpiscono prevalentemente i soggetti più deboli e divisi, per non parlare del ricatto nei confronti dei migranti, necessari come forza lavoro, utili finché deboli ed invisibili.
Significative in tal senso sono la condanna di primo grado per “associazione a delinquere” ai compagni del comitato di lotta per la casa del Giambellino; le medesime imputazioni toccate ai sindacati di base Si.Cobas e USB per le lotte nel settore della logistica; le denunce per associazione a delinquere ai disoccupati di Napoli; il decreto anti-rave il cui scopo sarà anche in funzione anti-picchetto/presidio, e, non ultime, le retate alla Stazione Centrale e i lacrimogeni contro le lunghe file di immigrati in coda per il permesso di soggiorno a Milano.
Carcere e repressione sono elementi strutturali ineliminabili per le società che vivono di differenze, sopraffazione e sfruttamento. Sono una necessità che si manifesta ancor più violenta nei momenti di crisi o ‘di guerra’ come quello attuale, in cui è necessario, per la stessa sopravvivenza del sistema, silenziare qualsiasi dissenso, idea di trasformazione sociale e annullare qualsiasi conflitto che lo esprima in forme e modi diversi.
In nome di una emergenza che muta ma non finisce mai: la norma regola e il carcere punisce. Di tutti i dispositivi carcerari il 41bis e l’ergastolo sono la punta più alta, una forma di annientamento fisico e sociale totale. Una forma di tortura da cui si esce solo abiurando la propria identità o scambiando il proprio posto con qualcun altro.
per richiedere copie scrivi a coordinamenta@autistiche.org
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2022/05/27/e-nato-e-nato-il-nostro-ultimo-libro-e-nato/