Nicoletta Dosio da Atene

Nicoletta Dosio da Atene

http://contropiano.org/internazionale/item/33168-atene-unita-popolare-discute-il-da-farsi-a-partire-dai-quartieri

Giovedì 24 settembre, sera, quartiere di Ambelokipi. Il comitato locale di Laikì Enotita, Unità Popolare, si riunisce per valutare i risultati elettorali, ma soprattutto per interrogarsi sul futuro.
La saletta è piena: persone di tutte le età, tanti i giovani e le donne, qualche vecchio militante che ha vissuto l’occupazione nazista e i tempi durissimi della guerra civile , molti anziani perseguitati ed esuli ai tempi dei colonnelli, ma anche gente comune, senza un passato politico particolare, attivatisi nei comitati del NO Memorandum.
Temevo di trovare un’assemblea triste, scoraggiata e astiosa; invece mi trovo ad ascoltare interventi lucidi e coraggiosi, che analizzano a fondo la sconfitta, ma non concedono spazio alla disperazione né si lasciano inghiottire da quello che un intervenuto definisce “il deserto del reale, la desertificazione della società, non casuale, disegnata da coloro che hanno le regole del mondo tra le mani”.
All’interno di tale deserto il successo elettorale di Syriza non è una solida vittoria della volontà popolare, ma soltanto un miraggio, la fata morgana che nasconde il vuoto orizzonte e la morte vicina.

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Cesaria Evora-Angola

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Ricominciamo!!!!!!

Ricomincia

“I NOMI DELLE COSE” la nostra trasmissione sugli 87.90 di Radio Onda Rossa, tutti i mercoledì dalle ore 20,00 alle 21,00!

onda nina

Vi aspettiamo in onda mercoledì 7 ottobre!!!!

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Click Song

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Cose nostre.

Cose nostre. Un ciclo di incontri sul ciclo!

Le aperture serali della Consultoria sono un momento per costruire consapevolezza di noi stesse, dei nostri desideri e dei nostri limiti, per rompere con le nostre certezze, guardare alle nostre contraddizioni, organizzare la nostra lotta. Troviamoci in un’atmosfera calda e accogliente, e confrontiamoci sui temi che più ci stanno a cuore e le questioni che incidono sulla nostra salute.

Portiamo letture, condividiamo riflessioni personali, beviamoci qualcosa insieme!

COSE NOSTRE | Un ciclo di incontri sul ciclo.

Mercoledì 30 settembre, dalle 19 alle 22 | Assenza e presenza del ciclo: significati culturali e sociali.

Mercoledì 21 ottobre, dalle 19 alle 22 | Il vissuto corporeo del ciclo.

Mercoledì 11 novembre, dalle 19 alle 22 | Le età in cui il ciclo non c’è.

Durante gli incontri sarà possibile prendere i materiali che ci hanno portato ad avere nuovi spunti, ad approfondire delle riflessioni. Portatevi una chiavetta USB: no copyright!

E in programmazione per dicembre… FESTA IN ROSSO!

consultoria 1

 

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L’Italia è sotto controllo totale della NATO

Intervista di Tatiana Santi ad Alex Zanotelli.

Fonte: http://it.sputniknews.com/italia/20150916/1167336.html.

L’Italia è sotto il controllo totale della NATO. A dimostrarlo sono le numerosissime basi militari americane sparse per il Paese, la trasformazione della Sicilia in un centro tecnologico di droni, aeroporti adibiti a massicce esercitazioni internazionali, sistemi di guerra probabilmente pericolosi per la salute come il Muos.

Ora, come può l’Italia avere una politica estera indipendente se è totalmente militarizzata dalla NATO? I media questa domanda non se la pongono, del resto le basi militari americane sono praticamente un tabù sulla stampa italiana.

I cittadini però potranno pur sapere quello che avviene sul loro territorio? Nel frattempo si avvicina la più grande esercitazione NATO dai tempi della guerra fredda, la “Trident Juncture 2105”, ospitata anche dal Belpaese. L’importante è essere consapevoli del ruolo fondamentale che ha l’Italia nei giochi di guerra firmati NATO. C’è però chi lancia l’allarme e dice “no” alla guerra e alla Nato come Padre Alex Zanotelli, che ha gentilmente rilasciato un’intervista in merito a Sputnik Italia.

– Padre Alex, qual è il suo punto di vista sulle esercitazioni NATO “Trident Juncture 2015” che si svolgeranno in Italia quest’autunno?

– Siamo davanti alla più grande esercitazione militare mai fatta dopo il crollo del muro di Berlino. Le esercitazioni si svolgeranno dal 3 ottobre fino al 6 novembre con la partecipazione dei rappresentanti di tutte le fabbriche di armi. Parliamo di una cosa imponente che esprime la militarizzazione di questo nostro sistema economico e finanziario. Il comando centrale sarà proprio Napoli, a Lago Patria. Ecco perché noi a Napoli ci stiamo mobilitando per una manifestazione nazionale del 24 ottobre nel cuore di queste esercitazioni. Continua a leggere

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Miseria e arroganza del suprematismo

Miseria e arroganza del suprematismo

Dal blog dakobaneanoi, un interessante intervento di Dilar Dirik, giustamente impietoso nel mostrare le miserie della whiteness e dei suoi privilegi.
Buona lettura!

L’immaginazione di alcuni esponenti della sinistra che vanno in Rojava dai paesi a capitalismo avanzato e si aspettano di trovare lì una rivoluzione senza macchia, perfetta, priva di contraddizioni, liscia e compiuta – e buttano via tutto quando non appare come se la sono raffigurata nelle loro versioni imbiancate che servono solo a rinforzare la loro struttura ideologica – illustra molto bene una questione più ampia della sinistra in Occidente: essa è troppo d’élite per conoscere le realtà sociali di base (perché la maggior parte di queste persone interessate non sono affatto “la base”: sono ontologicamente borghesi, a prescindere dalla loro presunzione), troppo positivista per cogliere le profonde questioni sociali che hanno molto più a che fare con le speranze e i dolori  storico-emotivi delle persone che con le strutture teoriche, e troppo pigra per sforzarsi e provare la fatica di mobilitare quello che astrattamente chiamano “il popolo”.

Il maggior problema  della sinistra bianca è quello di essere più occupata a parlare di radicalismo in modo inaccessibile, con compagni di lotta che godono degli stessi privilegi e dello stesso vocabolario, piuttosto che risolvere veramente i nodi gordiani della società.

In particolare, il maschio bianco istruito ha il lusso e il privilegio di poter visitare ogni luogo di rivoluzione, di appropriarsene a suo piacere e di criticarlo, senza clausole e senza mai sentire la necessità di guardare nel proprio cortile. [Non potrò mai perdonare l’arroganza della donna che, dopo aver trascorso tre giorni in Rojava, ha detto con disinvoltura “Sono andata in Afghanistan nell’anno X ed erano molto meglio organizzati di voi, ragazzi”].

Con un gigantesco senso di proprietà senza responsabilità, può unirsi a livello internazionale, separarsi a livello locale, e viceversa.

Egli non ha alcuna identità, come invece la hanno le persone che vivono attraverso le rivoluzioni: trascende etnia, nazionalità, genere, classe, sessualità, fisicità, ideologia.

È l’incarnazione del difetto, lo status quo, non può vivere o conoscere il significato della devianza. Non sa che la maggior parte delle lotte inizia con una richiesta di riconoscimento, di un posto nella storia, perché è lui a scriverlo. Così egli spesso non riesce a cogliere le motivazioni rivoluzionarie al di là della teoria.

Ecco perché rinuncia così facilmente alla solidarietà con le lotte per un purismo ideologico che è forse una delle più grandi espressioni del suo privilegio – può permettersi di essere ideologicamente puro in modo dogmatico, teoricamente coerente, perché il suo interesse per una lotta non è questione di vita o di morte, non è questione di sopravvivenza, ma di mero interesse personale.

Avendo incontrato molte di queste persone nell’ambito della solidarietà per il Rojava, la maggior parte delle quali è completamente ignara del danno emotivo che sta creando, mi sembra che il fascino che esercitano su di loro l’anarchismo, la democrazia radicale, il femminismo, ecc., spesso abbia più a che fare con il rifiuto dell’autorità per proteggere le proprie anguste libertà individuali che non con l’organizzare davvero una società che sia politicamente consapevole.

Quanti fra questi credono davvero che una madre di dieci figli che non sa leggere possa avere una maggiore consapevolezza politica di loro? Quanti darebbero fiducia a questa donna perché diventi responsabile delle decisioni? Quanti di coloro che rifiutano la leadership di Öcalan in modo così dogmatico in realtà mettono se stessi e “il popolo” sullo stesso livello? Quanti avrebbero la pazienza e lo spirito di sacrificio per dedicarsi completamente ad una comunità, al punto da essere disposti a morire per quella? Continua a leggere

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I soldati israeliani uccidono una ragazza palestinese

Una studentessa palestinese è stata uccisa dai soldati israeliani ad un check point perché non ha voluto farsi perquisire dai soldati maschi.

http://contropiano.org/articoli/item/33011

L'esercito israeliano uccide una ragazza disarmata

Un omicidio in diretta, sotto gli occhi delle telecamere, a un check point israelino nei pressi di Hebron, in Cisgiordania. Una ragazza palestinese di 18 anni, Hadeel Hashlamon, studentessa assolutamente disarmata, è stata di fatto fucilata sul posto dai soldati di Tsahal.

Per circa mezz’ora è rimasta a terra, trascinata come un animale o un pacco, ancora viva. Quando l’ambulanza è finalmente arrivata non c’era però più nulla da fare.

Nei video si vedono i soldati sparare, a distanza. Non si nota nessun coltello, come invece hanno dichiarato gli assassini subito dopo, per giustificarsi. Al contrario, li si può osservare ridacchiare e mostrare assoluta indifferenza per quella giovane donna rantolante ai loro piedi.

L’unica sua “colpa” è quella di aver rifiutato di farsi perquisire dai soldati maschi, come riportato daall’associazione Youth Against Settlements. «Hadeel arriva al check point. Si rifiuta di farsi perquisire da soldati di sesso maschile. Si dirige verso l’uscita e viene colpita: prima alle gambe, poi al petto. Cinque proiettili in tutto. Nella sua borsa c’erano soltanto dei libri».

Un crimine orrendo che ha scatenato, naturalmente, le proteste degli abitanti di Hebron e nuove violenze dai parte degli sgerri dell’apartheid.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=fk3mAhJjDxA

 

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Sfidiamo il presente!

sfidiamo il presente

24 – 25 – 26 – 27 Settembre – Roma quattro giornate di confronto, discussione e incontro

#Sfidare il presente!

Lotte e conflitti nel movimento e per i movimenti

Con ritmo irregolare ma costante gli ultimi anni hanno definitivamente messo in luce come la promessa di un mondo capace di regolare da sé il mercato del lavoro, la produzione e la redistribuzione delle risorse sia stata tradita. Dopo decenni di egemonia sostanzialmente incontrastata, l’ideologia neoliberista scricchiola. Un’epoca storica si affaccia sull’orlo di una crisi di nervi, una civiltà intera è sospesa e trattenuta su un baratro. Crisi, recessione e ristrutturazione definiscono il piano instabile e in tensione del presente globale, costellato da un progressivo aumento della violenza sistemica per riprodurre un comando sempre più rapace e distruttivo di vite e ambienti. Uno scenario con cause di lungo periodo e novità recenti, entro il quale stanno continuamente ricombinandosi gli equilibri di potere senza riuscire però a trovare stabilità.

Nei territori in cui viviamo conflitti di ogni genere attraversano il tessuto sociale, mostrandoci che non siamo tutti sulla stessa barca, con buona pace di chi affermava la necessità di remare insieme.

Un caleidoscopio eterogeneo di lotte, forme di rifiuto, campi di contesa e contrapposizione, talvolta espliciti talaltra carsici, latenti, potenziali, delinea un informe spazio di potenzialità per aprire fratture nel nostro tempo. Queste correnti sociali, nell’attuale carenza di forme magnetiche che possano aggregarle e di forze che possano completamente liberarne le energie, sono ancora contenute in limiti che vanno ricercati anche nelle idiosincrasie e nelle carenze di capacità politica antagonista. Tuttavia all’interno di questo magma gli ultimi anni hanno anche prodotto, dentro tale quotidiano movimento, centinaia di attiviste/i e militanti che stanno coraggiosamente crescendo nelle lotte e nello scontro, spendendosi con generosità e osando laddove è necessario. Continua a leggere

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#Colosseo#lavoltabuona#cultura ostaggio dei sindacati (secondo Renzi)

#Colosseo#lavoltabuona#cultura ostaggio dei sindacati(secondo Renzi)

 di Nella

Oltre all’uso a buffo dell’aggettivo “buono” che quasi mi ricorda quando a mensa, da bambina, ti presentavano quei piatti orribili dicendoti: “Mangia è buono!!” questo è lo stesso effetto che mi fa quando ne parla Renzi, uno che rappresenta il presente e il futuro della politica neoliberista.

Secondo Franceschini la gestione dei beni culturali dovrebbe essere pubblica perché “la misura è colma” “sono beni essenziali”. Posto il fatto che sarebbe necessario definire cosa è necessario visto che i beni necessari come la casa, un esempio per tutti, ce li tolgono, ricordiamoci che proprio loro hanno provveduto a gestire il patrimonio culturale come un bene commerciale da privatizzare e esternalizzare, rendendo possibile l’accesso alla cultura solo a pochi e sempre sotto la forma di Grande Evento.

Tutto svuotato, rimane solo l’apparenza.

Seguiamo delle mode imposte dal neoliberismo, basti pensare all’Expo che ha coinvolto la produzione culturale mainstream e accademica con stage, corsi universitari, mostre come l’ultima sulla nutrizione all’Ara Pacis.

Poi, cosa succede ai lavoratori e alle lavoratrici, alle persone, non conta,  non importa che abbiano contratti da fame, orari spezzati, che non vengano pagate le indennità o gli straordinari, interessa solo che stiano al loro posto, puliti e ordinati, tutto in funzione del turista, manco più del cittadino/a, alla faccia di chi ancora sostiene che i poteri forti non sono transnazionali.

Non difendo certo i sindacati confederali come CGIL, CISL, UIL ma mi fa ridere che la “carissima Susanna” sia ri-diventata di sinistra solo per aver detto che è normale fare un’assemblea di lavoratori e che addirittura sia il Fatto a giustificarli dicendo che hanno rispettato la burocrazia!!

Compila il modulo per fare il ribelle, grazie!

L’egemonia culturale neoliberista oramai ha reso il cittadino/a medio/a COLLABORAZIONISTA, un individuo che si arrangia come può per non morire,  che si sposta di un centimetro alla volta ma non verso il miglioramento ma per adeguarsi allo status quo.

Mi ricorda tanto il film “L’arte di arrangiarsi” dove il borghese sopravvive perché camaleontico.

In tutto questo la solidarietà sembra morta, o comunque anche qui non è per tutt# esiste solo se hai una tua rete di salvataggio. Nessuno appoggia i lavoratori, anzi  questi vengono linciati sulla pubblica piazza perché il turista di turno è indignato per il disagio o vengono precettati come è successo agli autisti dell’Atac, perché lo sciopero non deve disturbare “il primo giorno di scuola” e il cittadino qualunque si infuria e si indigna chiedendo licenziamenti.

La colpa è più in alto non guardate per terra.

A questo si aggiunge pure il collaborazionismo legato a un perbenismo di facciata:  adéguati a chi ti ordina di pascolare solo in quello spazio recintato, indìgnati per una scritta e pulisci i muri o  dipingi i muri solo se ti danno il permesso! l’arte di strada è di moda, ma di “strada” non  è rimasto nulla, nemmeno la location.

L’arte non è per tutti, il lavoro deve essere sfruttato.

Altro che lavoratori unitevi! Ci vorrebbero unire  ma contro chi “imbratta” e chi “provoca disservizio”; questo è facile perché sono stati distrutti e smontati tutti i luoghi di resistenza al neoliberismo, siamo nell’epoca del transnazionale. Però c’è qualcosa che si può fare, un nemico vicino da combattere e  che sappiamo dove trovare, parlo del PD che da molto tempo ormai attua leggi che permettono lo smantellamento di Cultura, Sanità, Scuola e Diritti.

Potremmo non pagare i biglietti dell’autobus, del cinema e dei musei, e sia chiaro che autoridursi le spese non c’entra niente  con il non pagare gli stipendi, perché dato che la cultura è profitto sono le grandi multinazionali che al massimo ci rimettono con gli incassi, non il lavoratore.  Non ci facciamo irretire con l’idea che noi siamo l’azienda e  che  se lavoriamo meglio miglioriamo anche la nostra vita. La nostra vita dovrebbe essere altro.

Se un governo “permette” ai privati, all’economia transnazionale di mortificarci, di avvilirci, di calpestarci e di sottometterci oltre ogni misura, allora il patto sociale è rotto da chi ci opprime e quindi dovremmo riprenderci quello di cui abbiamo bisogno, e con bisogno voglio intendere tutto ciò che vogliamo. E noi vogliamo tutto!

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Amalia Rodrigues

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Bikini Kill/wdc 1992

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giovedì 24 settembre

ADESSO BASTA! E’ ORA DI SCEGLIERE!

Negli ultimi mesi si sono verificati molti casi di violenza sulle donne
negli spazi che, come compagne e compagni, viviamo. E’ nata spontanea la
voglia di vederci per dare delle risposte, ma anche per costruire un
luogo di riconoscimento e di presa di posizione pubblica contro la
violenza.

Speravamo che definendoci compagno o compagna avessimo ormai assunto
l’antisessismo e la lotta al patriarcato come necessari, innanzitutto
mettendo in discussione gli atteggiamenti maschilisti e di possesso che
agiamo nelle relazioni, sia intime che collettive.

Evidentemente non è così, se bastassero l’asterisco e la chiocciola
quando scriviamo avremmo fatto la rivoluzione!

Le compagne femministe hanno sempre preso posizione e fatto un lavoro
comune(anziché di nuovo collettivo) sulla violenza, ma continuano a
scontrarsi con le dinamiche che s’innescano intorno all’ aggressore:
minimizzare, sminuire e isolare la compagna, relegare la violenza
all’ambito del privato. Una vera e propria rete di protezione interna
che può arrivare a far passare la reazione all’aggressione come un
attacco alla realtà politica in cui è avvenuta la violenza.

Quando si dice «non vogliamo fare processi» in realtà si produce un
meccanismo di giustificazione per cui si elude il confronto collettivo e
si istituiscono mille processi informali alla donna, alimentati dal
chiacchiericcio, che costituiscono un’ennesima violenza.

Nominare la violenza e le sue dinamiche per scardinarle non è fare un
processo. Parlare di antisessismo, maschilismo, patriarcato, criticarsi
nell’agire oppressivo, porsi delle domande fà sì che si possano dare
delle risposte collettivamente.

Ora è necessaria un’assunzione di responsabilità e una presa di
coscienza dei privilegi del proprio genere e dei ruoli assunti come
maschi, soprattutto se bianchi ed eterosessuali.

E’ ormai necessario che i compagni si formino sulle questioni di genere
e scelgano concretamente le pratiche per combatterli, scardinando i
meccanismi di delega e i ruoli educativi normalmente attribuiti alle
compagne.

Che genere di relazioni vogliamo? Ci possiamo fidare di rapporti non
basati sull’antisessismo? Vogliamo continuare a condividere spazi con
compagni che tengono stretti i propri privilegi? Che genere di conflitto
possiamo agire nei nostri spazi? Quali strumenti ci diamo per costruire
luoghi in cui siamo a nostro agio? In cui siamo libere di arrabbiarci,
usare il sarcasmo o l’ironia contro il sessismo e il machismo dei
compagni?

Adesso basta! E’ ora di scegliere!

Le relazioni di potere ci tolgono forza nelle lotte che portiamo
avanti. Affrontarle e sovvertirle è imprescindibile! I panni sporchi non
si lavano in famiglia, ma collettivamente.

Per questo abbiamo iniziato ad incontrarci come donne in un’assemblea
aperta ed in continua evoluzione. Vogliamo costruire una rete di
sorellanza in cui sia possibile riconoscersi, ascoltarsi, sostenersi
reciprocamente e trovare insieme le pratiche di autodifesa.

Il prossimo incontro sarà giovedì 24 settembre alle 19 dalle Cagne
Sciolte, via ostiense 1

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Le donne nigeriane e non solo

Sull’espulsione di massa dal CIE di Ponte Galeria

http://hurriya.noblogs.org/post/2015/09/18/sullespulsione-di-massa-dal-cie-di-ponte-galeria/

Durante questa lunga estate di prigionia, numerose delegazioni istituzionali e para istituzionali hanno attraversato i corridoi del CIE, per accendere i riflettori sulle loro storie e per acquisire consenso in un momento di forti tensioni sul tema dell’immigrazione . Dichiarazioni, interviste, comunicati stampa e interrogazioni parlamentari hanno dipinto queste donne infantilizzandole e negando, attraverso lo stigma della “vittima di tratta”, la loro scelta di intraprendere un viaggio. Il focus mediatico nasconde la macchina delle espulsioni e la violenza delle frontiere, creando storie e personaggi, “dimenticando” sistematicamente che dietro queste storie ci sono delle persone. Questa narrazione, ed il fare di loro un gruppo, è stata funzionale a dividerle dal resto delle persone recluse, creando allo stesso tempo una differenziazione “tecnica” fra chi porta sul corpo segni evidenti di tortura e chi no, come se solo questo potesse definire l’identità o la storia di una persona. Sappiamo che ognuna di loro ha una storia diversa, tanto quanto tutte le persone internate nei CIE. Continua a leggere

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Settembre andiamo, è tempo di….. lottare

“…La donna merce è senza <coscienza per sé> è coscienza del capitale che opera per il suo tramite. Dominio reale del capitale significa assoggettamento della coscienza individuale delle donne ai programmi di comportamento patriarcali; è il trionfo della <coscienza illusoria di sé>, una catena che va spezzata e si può spezzare solo ponendo le proprie pratiche sociali in rapporto antagonistico con l’intera società borghese patriarcale…”

orto insorto

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