Mai contro sole

E’ appena uscito per le Edizioni Bordeaux l’ultimo libro di Elisabetta Teghil

 <Il percorso di liberazione se anche è un sogno non è meno reale  di un passo, il sogno senza il passo si dissolve nel cielo delle idee, ma il passo senza il sogno arranca nel pantano. Il passo e il sogno disegnano un progetto politico […] E dovremmo partire strappando il velo a un capitalismo che si è messo una maschera buonista e “democratica” e che così si è spinto a definire e a leggere la sofferenza come una colpa personale e perciò l’io sofferente umiliato, maltrattato viene derubricato dalla sua sofferenza e reinserito nel mercato come merce. Un capitalismo per il quale ogni colpa è sempre dell’essere umano che è bacato, fallato e attanagliato da un intimo disordine da combattere ricorrendo alla medicina, al marketing, alla psicanalisi e alla polizia, per cui il conflitto sociale non può che essere un malinteso, le lotte, le ribellioni, gli scioperi, i picchetti  non possono che essere un disordine intimo da sciogliere in un modo, nell’altro o nell’altro ancora.

In questa società pervasa da inquietudini, da angosce, da sconcerto perfino un granello di umanità può essere uno zoccolo nell’ingranaggio. E’ necessario costruire un baluardo contro il dilagante e vincente neoliberismo che è la realizzazione di una società contemporaneamente feudale, ottocentesca e nazista> 

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La Parentesi di Elisabetta del 18/07/2018

“Sintesi patriarcale e neoliberista”

Pochi giorni fa, la Corte di Cassazione ha rinviato a nuovo processo per la rideterminazione della pena, un caso di violenza riguardante due uomini che hanno stuprato una donna. La rideterminazione dovrebbe secondo i giudici di Cassazione riguardare uno sconto di pena perché essendosi la donna “volontariamente “ubriacata, l’aver abusato di lei in uno stato per cui non sarebbe stata in grado di autodeterminarsi, non può essere considerata un’aggravante. Inoltre proprio per questo, la donna che era andata di sua spontanea volontà a cena con i due uomini, avrebbe raccontato al Pronto Soccorso la violenza in maniera confusionaria.

Intanto mettiamo un punto fermo. Esercitare violenza su una persona che si trova in una situazione di incapacità di difendersi qualunque sia la ragione di questa incapacità, è chiaro che è un’aggravante, prima ancora che per ragioni etiche, giuridiche, legali per semplice buon senso. Se si accettasse il principio che è necessario chiarire le ragioni di questa incapacità, si aprirebbero le porte a qualsiasi tipo di abuso.

Ma come mai dei giudici prendono decisioni di questo tipo? Perché non c’è niente di neutrale, tutto è legato ad interessi di parte, tanto più per la magistratura: l’ordine neoliberista è allo stesso tempo strumento di repressione e metabolismo sociale. Ma siccome questa verità è inconfessabile ci si trincera dietro il cavillo giuridico e l’applicazione della legge, le norme che mancano e la riga da cambiare. Mentre la sostanza è tutt’altra: qui entrano in gioco due specificità, una di genere e una di classe.

Le donne che subiscono violenza nei processi diventano le principali imputate, viene tirata in ballo la loro vita privata, il loro carattere, vengono setacciate le amicizie, vengono sviscerati gli aspetti psicologici, sociali, caratteriali, politici della loro esistenza. Oltre al tipo di abbigliamento, alla modalità di porsi, alla credibilità personale dedotta da una vita che viene giudicata più o meno “regolare”, dentro o fuori la così detta norma accettata e codificata.

Il patriarcato si muove a difesa dei propri interessi, ha la necessità di mantenere concetti quali gerarchia e possesso, sia in campo materiale che affettivo. Così le frasi più ricorrenti nei confronti di una donna che subisce violenza sono “se l’è cercata” “andava in giro da sola di notte” “frequentava luoghi poco raccomandabili” “tradiva il marito” “aveva tanti grilli per la testa” e ora ci aggiungiamo “si ubriacava <volontariamente>”.

Ma il patriarcato è legato a doppio filo con l’ordine sociale neoliberista che lo ha assunto a proprio uso e consumo e l’uno e l’altro si rimbalzano a vicenda principi e norme cosicché a vicenda si rinforzano.

Uno dei principi base dell’ordine sociale neoliberista è il principio di colpevolizzazione. Coinvolge ogni aspetto della quotidianità, della vita delle persone, ma anche interi ambiti sociali, ma anche intere popolazioni.

Se non riesci sul lavoro, se ti licenziano è colpa tua perché non sei stata abbastanza abile, non hai saputo cogliere le occasioni che ti sono state date. Non hai un rapporto familiare felice? È colpa tua perché non sai mediare, non metti in atto quella che vien chiamata capacità di rapportarsi con gli altri. Sei povera? È colpa tua, questa società ti offre tutte le possibilità di realizzazione e di autopromozione, e quindi vuol dire che sei incapace e stai bene dove stai. I migranti e le migranti sbarcano qui disperati/e? È perché a casa loro non vogliono darsi da fare, non vogliono lavorare, vogliono essere mantenuti qui da noi. Se ti buttano fuori di casa è colpa tua perché ti sei messa nelle condizioni di non poter pagare l’affitto, se ti portano via i figli è colpa tua perché fai una vita irregolare e magari ai margini della legalità e di conseguenza… se ti stuprano è colpa tua, potevi stare attenta e soprattutto potevi fare a meno di ubriacarti.

Nella sua illusione legalitaria, il femminismo riformista pensa che rapportarsi con lo Stato possa cambiare l’ordine patriarcale, che sensibilizzare giudici, poliziotti, politici, anche nella versione <rosa>, possa modificare l’organizzazione sociale e si dimentica o fa finta di dimenticarsi che i principi ideologici che informano patriarcato e neoliberismo possono essere scardinati solamente sovvertendo questo ordine sociale.

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Moltiplichiamo la rabbia femminista!

Varie città – Francesco Concari stupratore e infame

riceviamo e diffondiamo:

“Nelle scorse settimane in varie città della penisola sono comparsi questi manifesti.

CONTRO STUPRATORI, INFAMI E LORO COMPLICI! MOLTIPLICHIAMO LA RABBIA FEMMINISTA!

Da diffondere!

giusto per rinfrescare le idee…

FRANCESCO CONCARI STUPRATORE E INFAME!

Abbiamo da poco saputo che una compagna è indagata per minacce e diffamazione in seguito ad una denuncia/querela di Francesco Concari dell’aprile 2017. La ragione di questa denuncia sta nelle prese di posizione della compagna contro lo stupro di Parma compiuto da Concari, Pucci e Cavalca nel 2010 in via Testi a Parma.

Contro stupratori, infami e loro complici!

Moltiplichiamo la rabbia femminista!

“Questi manifesti sono apparsi negli ultimi giorni in centro città a Trento.”

https://roundrobin.info/2018/06/varie-citta-francesco-concari-stupratore-e-infame/

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Riflessioni su un tabù: l’infanticidio/quinta e ultima puntata

Réflexions autour d’un tabou : l’infanticide

(traduzione della Coordinamenta / quinta e ultima puntata pp. 24-27)

qui la prima puntata pp.7-8

qui la seconda puntata pp.9-12

qui la terza puntata pp.13-17

qui la quarta puntata pp. 18-23

Ouvrage collectif paru en juillet 2009.

https://infokiosques.net/spip.php?article860

Perché ci sono ancora degli infanticidi oggi che abbiamo a nostra disposizione la contraccezione e l’aborto per prevenire o interrompere le gravidanze non desiderate? Questa è la domanda che viene sistematicamente posta quando si affronta questo tema. ci è parso importante rivisitare questi mezzi e la loro attuabilità.

In vitro, in vivo…e la libido?

Il successo delle lotte delle donne per l’accesso alla contraccezione ha fatto sì che questo sia diventato il solo modo accettabile socialmente di non avere bambini. Di conseguenza il ricorso ad altre forme di regolazione delle nascite è analizzato nella migliore delle ipotesi come un fallimento, nella peggiore come un errore o un crimine.

La contraccezione è oggi descritta dal mondo medico come infallibile, efficace e adattabile ad ogni donna.

Quando una donna deve scegliere un mezzo di contraccezione è raro che il/la medico/a  che farà la prescrizione si interessi a lei. E’ una questione di utilità in se stessa senza tener conto dell’adeguatezza alla vita delle donne coinvolte. Un esempio: se hai meno di vent’anni ti parleranno di pillola: se hai dei figli, di sterilizzazione; se hai avuto numerose interruzioni volontarie di gravidanza, ti proporranno l’impianto o l’iniezione trimestrale; se hai un rapporto fisso di lunga durata, ti spiegheranno che il preservativo non conviene più. Soluzioni stereotipate che pretendono di essere delle risposte adattate dal momento che le vere domande non sono state poste. In effetti quand’è che si parla di pratiche sessuali o di stili di vita?

Siamo ritenute tali da saperne abbastanza sulla contraccezione per non avere diritto all’errore, per evitare gravidanze indesiderate. Eppure si sa raramente abbastanza per decidere sul sistema di contraccezione che ci verrà adattato, per fare delle vere scelte.

Se, socialmente, la contraccezione è un affare di donne, in realtà è un affare di medici.

Il progresso tecnico si accompagna ad un controllo sempre più forte degli specialisti sulle nostre vite.

In altri termini, più la tecnologia è sofisticata, più richiede competenze tecniche, meno è possibile l’autonomia per quelle che vi fanno ricorso. Ci si ritrova disarmate davanti ai medici, senza padronanza reale di quello che ci capita, lontano dalle rivendicazioni e dalle pratiche femministe dell’epoca delle lotte per la liberalizzazione della contraccezione di cui noi siamo tuttavia ritenute essere le beneficiarie…

I mezzi di contraccezione sono classificati in funzione del loro livello di efficacia, misurato prescindendo dalle nostre vite. Se, in laboratorio, la pillola è efficace al 99%, è senza tener conto dell’alea della vita vera che comprende delle dimenticanze e degli errori di assunzione. Il discorso scientifico sulla contraccezione idealizzando i mezzi esistenti implica la colpevolizzazione delle donne che saranno le sole chiamate in causa in caso di fallimento della contraccezione.

Non esiste un mezzo di contraccezione efficace al 100% e nessuna vita che somigli ad un laboratorio. E’ un enorme abbaglio pensare che, in questo mondo in cui la contraccezione si vuole efficace, gli aborti, gli abbandoni e gli infanticidi non ci saranno più. 

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Ça ira Ça ira Ça ira, Les aristocrates à la lanterne

Nella stagione neoliberista che vede la nascita e l’affermarsi dell’ iperborghesia transnazionale con caratteristiche di nuova aristocrazia c’è bisogno di una nuova rivoluzione francese con lo spirito del “ça ira”

Il brano risale al 1790  d’autore anonimo.
Dopo la Marsigliese la più celebre canzone della Rivoluzione Francese soggetta ad un’infinità di varianti e la prediletta dalle donne parigine che la cantavano in coro nelle piazze della rivolta.

Versione della Fête de la Fédération (14 luglio 1790)

” Ah ça ira ça ira ça ira
Les aristocrates à la lanterne
Ah ça ira ça ira ça ira
Les aristocrates on les pendra
Et quand on les aura tous pendus,
On leur fichera la pelle au cul!

V’la trois cents ans qu’ils nous promettent
Qu’on va nous accorder du pain
V’la trois cents ans qu’ils donnent des fêtes
Et qu’ils entretiennent des catins
V’la trois cents ans qu’on nous écrase
Assez de mensonges et de phrases
On ne veut plus mourir de faim Continua a leggere

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Tanita Tikaram-Twist In My Sobriety

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Buona estate!!!!

Buona estate!!!

S-VERGOGNAMOCI!!!la“campagna” estiva della coordinamenta

La vergogna è un sentimento che si prova quando si pensa di aver commesso qualcosa di sbagliato…e la domanda è: sbagliato rispetto a cosa, rispetto a chi?

Le scale di valori che si assumono a riferimento non sono neutrali, rispondono a scelte precise e, nella nostra società, a scelte di potere che vogliono far rispettare lo stato di cose presente, mantenere lo sfruttamento, la divisione in classi, la divisione in ruoli sessuati, l’autorità, la legalità, la “moralità”….

La sottomissione non si conquista solo con la coercizione e le punizioni, con il monopolio della violenza, con divieti, sanzioni e obblighi, ma passa anche attraverso l’interiorizzazione di questi divieti e di questi obblighi.
Indurre all’obbedienza con l’autocolpevolizzazione è più efficace.
Si spaccia per “normale” e per “naturale” l’esistente.
Veniamo spinte/i fin dalla nascita ad accettare e fare nostra una scala di valori che serve invece soltanto a perpetuare il dominio, in questo momento, inscindibilmente patriarcale e capitalista-neoliberista .

Il sentimento di vergogna si esprime nei più svariati ambiti….

…ci si vergogna di non avere un lavoro, di averlo perso, ci si vergogna di essere povere/i, di non avere una casa, di non poter pagare le bollette, l’affitto….ci si vergogna perché non si può pagare la retta della mensa scolastica e i bambini vengono additati addirittura dagli altri bambini…. Quante volte abbiamo pensato vorrei, ma meglio tenermi i soldi da parte; vorrei ma devo pagare l’affitto… e scatta in noi la difficoltà, la vergogna del non poter fare. Proviamo vergogna perché la povertà, nella società capitalista, non è solo una condizione economica, ma assume anche un valore morale: povertà è sinonimo di pigrizia, incapacità o perdizione. È segno che non sei stata in grado di farti strada, di venderti bene, significa che non hai “messo a valore” tutto il tempo che avevi a disposizione.

La vergogna è un mezzo di controllo sociale. Continua a leggere

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Lucca – La Croce Rossa costringe al TSO una ragazza che voleva lasciare la tendopoli

Lucca – La Croce Rossa costringe al TSO una ragazza che voleva lasciare la tendopoli

 hurriya

Le informazioni disponibili in rete sono poche ma sufficienti per mettere insieme gli elementi di una vicenda emblematica della serie stratificata di oppressioni che schiacciano i vissuti delle donne che decidono di migrare.

Stiamo parlando della storia di una ragazza diciannovenne proveniente dalla Nigeria, arrivata in Italia con la figlia di 18 mesi. Com’è evidente in un regime di frontiere serrate e sempre più fatte arretrare verso il Mediterraneo, prima, e verso i Paesi di origine e transito, poi, chi riesce ad arrivare in Europa presenta subito richiesta di asilo, anche solo per ottenere un pezzo di carta e organizzarsi la vita o la fuga altrove.
Non sappiamo e non ci interessa la motivazione dietro questa scelta, sta di fatto che questa ragazza decide di fare domanda di asilo e scattano subito le maglie del paternalismo di stato: viene trasferita in una struttura protetta per donne con figl* minori gestita dalla croce rossa italiana.

Anche qui si potrebbe scrivere un trattato sul ruolo infame della CRI nella gestione dei flussi migratori, limitiamoci a ricordare che sempre a gestione CRI è il campo per transitanti localizzato a Ventimiglia, vicino alla frontiera francese, più volte segnalato da chi lotta contro le frontiere e da ONG e associazioni che hanno recentemente indirizzato una lettera ai governi francese e italiano per segnalare la violazione dei diritti fondamentali delle persone in transito, anche dei minori.
Ma che importa, alla croce rossa viene data la gestione di una casa protetta per donne e minori nonostante la retorica buonista sulla “buona accoglienza”, in italia – come altrove – funziona che se fai domanda di asilo, vieni messo in un centro di accoglienza e devi attenerti al regolamento interno del centro.
Ti allontani? Diventi irrintracciabile e quindi per le autorità di polizia stai rinunciando di fatto alla domanda di asilo.
Vuoi andare a vivere da un’altra parte? Impossibile perché le questure sempre più (in particolar modo quelle di Milano, Roma e Bologna) non accettano la dichiarazione di domicilio, ma pretendono la residenza, una vera e non quella fittizia. Quindi se non puoi permetterti un regolare contratto di affitto o se nessuno dichiara di ospitarti, o ti compri una residenza finta oppure anche lì bye bye, irrintracciabile e niente procedura di asilo.
Ti lamenti di come ti viene imposto di vivere nel centro? Anche qui la repressione arriva fulminea: sono sempre più frequenti i casi di revoca dell’accoglienza, di procedimenti penali aperti per danneggiamento, violenza privata e lesioni, di trasferimenti forzati da un centro all’altro.

Così si articola un sistema infantilizzante e paternalista che impone alle persone in viaggio di vivere alle condizioni decise da chi detiene il potere, nell’attesa che sempre chi questo potere lo detiene si riunisca per valutare la veridicità delle storie che impone alle persone di raccontare di fronte a perfetti sconosciuti (i membri delle commissioni territoriali per il diritto d’asilo), persone bianche e privilegiate che sedute a un tavolo si passano le carte da cui dipenderà poi il rilascio di uno status di protezione. Continua a leggere

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La Parentesi di Elisabetta dell’11/7/2018

“Fiches”

 “Con quanta maggior potenza il capitale, grazie al militarismo, fa piazza pulita, in patria e all’estero, degli strati non-capitalistici e deprime il livello di vita di tutti i ceti che lavorano tanto più la storia quotidiana dell’accumulazione del capitale sulla scena del mondo si tramuta in una catena continua di catastrofi e convulsioni politiche e sociali […] Il capitalismo è la prima forma economica dotata di una forza di propagazione; una forma che reca in sé la tendenza immanente ad espandersi in tutto il mondo e ad espellere tutte le altre forme economiche; una forma che non ne tollera altre accanto a sé[…]      Rosa Luxemburg, L’accumulazione del capitale

L’argomento del giorno è l’immigrazione. Non c’è ambito politico, economico, giudiziario, legislativo, sociale, sociologico e culturale che non debba fare i conti con questo.

Il fenomeno dell’emigrazione appartiene a tanti periodi storici. Senza andare troppo lontano nel tempo e nello spazio ricordiamoci le migrazioni italiane negli Stati Uniti, in Canada, in Sudamerica e in Australia. Si tratta di cifre notevoli. Dal 1876 agli anni ’70 del novecento circa 24 milioni di emigranti hanno lasciato l’Italia, con punte di 870.000 partenze nel solo 1913. Migrazioni in cui una parte della popolazione povera andava, anzi veniva spinta altrove in cerca di fortuna per sopperire ad una grave situazione di povertà e di indigenza nel paese di origine.

Nel 1973 l’Italia ha per la prima volta un saldo migratorio positivo. Questo fenomeno da allora in poi diviene costante anche se prende una certa consistenza solo verso la fine degli anni settanta. E’ un’immigrazione che è avanguardia della trasformazione del mercato del lavoro italiano e della segmentazione tra lavoro qualificato e lavoro rifiutato. Sono lavoratrici e lavoratori domestici provenienti dal sud est asiatico o dal Sudamerica ma anche da Somalia, Eritrea, Etiopia e sono anche lavoratori stagionali, come ad esempio i Tunisini che approdano in Sicilia per lavorare nella pesca e nell’agricoltura.

Un cambiamento fondamentale nel tipo e nelle modalità dell’immigrazione verso il nostro paese avviene dopo la caduta del muro di Berlino e la guerra di aggressione alla Jugoslavia. Il flusso di immigrazione dai così detti paesi dell’Est, Romania, Albania, Polonia, Ucraina, ex Jugoslavia…è di proporzioni tali da essere chiaramente visibile a tutti.

Con gli anni novanta cambia anche il tipo di immigrato che viene in Italia, in riferimento al lavoro non è più catalogabile come colui/colei che fa un “lavoro rifiutato” dagli italiani. Sono manovali a giornata, badanti in nero, e poi lavavetri, venditori ambulanti, persone che non hanno una collocazione lavorativa precisa ma fanno quello che trovano e quello che possono. Aumenta a dismisura la così detta irregolarità e clandestinità. E tutto questo si accompagna all’aumento della disoccupazione italiana all’interno della trasformazione neoliberista del mondo del lavoro.

Le migrazioni che avvengono ora sono ancora diverse, hanno la caratteristica di un esodo biblico e i flussi provengono soprattutto dai paesi africani.

Il neocolonialismo ha distrutto le economie di sussistenza, le guerre “umanitarie” hanno destabilizzato e fatto terra bruciata di immensi territori, la predazione delle multinazionali ha inquinato il suolo, l’acqua, l’aria.

Tutto questo ha provocato da una parte il fenomeno dell’inurbamento in immense megalopoli in cui si ammassano persone che hanno abbandonato la terra in cui non riescono più a portare avanti neppure la mera sussistenza e sono ora costrette a vivere di stenti nelle bidonvilles, dall’altra una migrazione senza precedenti, un vero e proprio esodo verso l’occidente, per disperazione e perché l’occidente presenta se stesso con una propaganda mediatica e un immaginario non corrispondente alla realtà.

L’aggressione e la distruzione della Libia hanno aggravato questa tendenza in maniera esponenziale. La devastazione dell’economia di quel paese è avvenuta ad opera di Francia e Stati Uniti con la collaborazione fattiva dell’Italia che ha affossato il rapporto economico privilegiato derivante dal passato coloniale per piegarsi alle politiche neoliberiste. E’ stata così eliminata in Libia un’economia rentier che fungeva da cuscinetto rispetto alle migrazioni sub-sahariane. Guerra voluta e sponsorizzata dal PD e da Giorgio Napolitano.

L’esodo che si sta dispiegando è impossibile da arginare, frenare, mutare. Continua a leggere

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“Sole”

Maria Soledad Rosas “Sole”

23 maggio 1974/11 luglio 1998

[…]la rabbia mi domina in questo momento. Io ho sempre pensato che ognuno è responsabile di quello che fa, però questa volta ci sono dei colpevoli e voglio dire a voce molto alta chi sono stati quelli che hanno ucciso Edo: lo Stato, i giudici, i magistrati, il giornalismo, il T.A.V., la Polizia, il carcere, tutte le leggi, le regole e tutta quella società  serva che accetta questo sistema.

Noi abbiamo lottato sempre contro queste imposizioni e’ per questo che siamo finiti in galera[…]

Sole  

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19° campeggio No Tav dal 19 al 23 luglio!

Anche quest’anno vi diamo appuntamento a Venaus dal 19 al 23 luglio per il 19° campeggio No Tav!

http://www.notav.info/post/19-campeggio-no-tav-dal-19-al-23-luglio/

Un’occasione per fare un punto della situazione sulla nostra e molte altre lotte, ritrovarci ed elaborare nuove idee.

Dopo la grande marcia del mese di Maggio da Rosta ad Avigliana in cui decine di migliaia di No Tav sono scesi nelle strade per ribadire un No irriducibile alle grandi opere inutili, qui come altrove, a Giugno abbiamo preso nuovamente parola tirati in mezzo dalla formazione del nuovo governo.
Come abbiamo detto chiaramente già allora, il Movimento No Tav non ha governi amici, non delega a nessuno la propria lotta ed è consapevole che solo continuando a mobilitarsi potrà essere spina nel fianco di tutti i governi, da destra a sinistra passando dal centro o chissà dove, in attesa di scrivere noi il capitolo finale di questa  lunga storia. Continua a leggere

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In ricordo di Annamaria Mantini

8 luglio 1975/ In ricordo di Annamaria Mantini

“Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.”

Emily Dickinson

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Sul presidio al CPR di Ponte Galeria del 29 giugno

Roma – Sul presidio al CPR di Ponte Galeria del 29 giugno

Venerdì 29 giugno, una ventina di compagnx si è ritrovata ancora una volta davanti le mura di Ponte Galeria per supportare le resistenze quotidiane delle donne immigrate recluse nel lager romano. 

In una fase storica in cui il fascismo, il razzismo e la xenofobia la fanno da padroni, che sia in parlamento o nel bar del quartiere; in un periodo in cui quasi quotidianamente muoiono migranti inghiottitx dal Mediterraneo a causa del regime delle frontiere o vengono ammazzatx biecamente sui luoghi di lavoro o nelle strade; in un momento in cui ogni giorno si assiste quasi inermi e indifferenti alla violenza delle retate e alla persecuzione, marginalizzazione, criminalizzazione e invisibilizzazione di migliaia di individui solo perché nati “nel paese sbagliato”, ancora una volta sappiamo da che parte stare. 

Ancora una volta abbiamo scelto, a dispetto dell’isolamento e della partecipazione esigua, di tornare di fronte al CPR per urlare il nostro odio contro un sistema che esclude, reprime, ingabbia e deporta migliaia di persone; contro uno Stato – e ogni stato – che porta avanti senza tregua la sua guerra colonialista, e quella sì non conosce frontiera alcuna. Nessun confine né limite quando si tratta di depredare, sfruttare, distruggere territori, stuprare e uccidere persone.

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Gulizar Taşdemir

Gulizar Taşdemir

La “democratica” Norvegia, mercoledì 4 luglio  ha estradato in Turchia la militante curda Gulizar Taşdemir, nonostante questa avesse chiesto asilo politico e fossero eclatanti le motivazioni della sua richiesta e nonostante sia noto a tutte e a tutti il trattamento che i prigionieri e le prigioniere politiche subiscono nelle carceri turche. Ma la “democrazia” norvegese è tale, come tutte le socialdemocrazie, solo quando si tratta di qualche servizio sociale in più o di qualche “diritto”sessuale da concedere,  abbondantemente accompagnati da un altrettanto controllo sociale serrato. Ma non quando si tratta di scelte fondanti come l’alleanza atlantica. La Turchia è un membro importantissimo della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg è  segretario generale della Nato dal 2014. E’ in questi casi che si svela la sostanza e la profonda violenza della natura politica delle “democrazie nordiche”.

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La malattia cronica e mentale e la nostra immagine

Carina/Malata: come la malattia cronica e mentale si ripercuotono sulla nostra immagine corporea e rendono la bellezza complicata

https://animaliena.wordpress.com/

di Ariane.

Articolo originale  qui.

N.d.T.: il titolo è un gioco di parole intraducibile tra pretty (carina)/sick (malata) e “pretty sick” (piuttosto malata).

La salute non è binaria. Le persone che soffrono di malattie croniche e/o mentali possono effettivamente essere “malate” (termine di enorme complessità di per sé), ma non siamo in un dato giorno A) malati o B) non malati. Questi disturbi possono durare per tutta la vita o per molti anni, passando attraverso riacutizzazioni e remissioni. Ma non siamo solo “malati”, siamo persone con hobby, partner, amic* e, quando possibile, professioni. Le nostre patologie possono a momenti essere annichilenti, ma non sono noi. Sono solo una parte di ciò che siamo – persone complesse e sfaccettate, come lo sono tutte. Eppure, a volte sembrano esistere norme, percezioni e aspettative assurde sull’aspetto di una persona “malata”. Questo esacerba ulteriormente le già complicate relazioni che viviamo con i nostri corpi.

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Sono stata più o meno malata per la maggior parte della mia vita. Non ricordo davvero un periodo in cui mi sentissi bene per più di una giornata fugace qui o là, e nel corso del tempo la situazione è peggiorata. La maggior parte delle persone che mi conoscono ne sono in qualche modo consapevoli – ho smesso di cercare di nasconderlo molti anni fa. Eppure, sperimento costantemente in che modo il mio aspetto influenzi il modo in cui le persone percepiscono non solo me, ma anche l’esistenza e la gravità della mia malattia. Questo intrecciarsi di percezioni erronee complica le mie interazioni sociali, il senso incerto del sé che ho coltivato e il rapporto che ho con il mio corpo.

Se mi vesto bene in casa, o *gasp* trovo il coraggio di uscire di casa curata, allora sicuramente sono in ripresa e mi sento meglio! O no? Se mi vesto male, mi sto lasciando andare e mi sto “arrendendo”. Certo. Dovrei vestirmi in maniera più sciatta per abbinare i vestiti a quanto mi sento male? I miei pantaloni dovrebbero intonarsi al livello di dolore che provo? Così tanti pensieri mi passano per la testa quando qualcun* dice: “Hai proprio un bell’aspetto!” con un tono sorpreso e rassicurante. Dovrei sorridere e annuire? O dovrei correggerli e rispondere, “Grazie, ma non è il riflesso di come mi sento. In realtà mi sento davvero di merda.” Sarebbe quantomeno imbarazzante… i complimenti sono insidiosi, e contraddirli non è socialmente accettabile.

Tutto questo ha delle conseguenze sugli aspetti pratici della vita quotidiana. Qualcun* mi passa davanti quando sono in coda, senza rendersi conto di quanto mi devo impegnare per restare in piedi senza avere nulla a cui appoggiarmi quando ho le vertigini o sono esausta. Quando sono costretta ad estremi climatici di caldo o freddo per un lungo periodo di tempo, la gente pensa che io esageri o sia una frignona se mi sento svenire o se le mie estremità diventano molto dolorose. Come posso stabilire dei limiti e farmi valere quando non ci sono “prove” di ciò che sta accadendo dentro di me, il che porta alcune persone a credere che non dovrei avere un “trattamento speciale”? Dovrei lasciare bruscamente a metà una commissione? Dovrei evitare escursioni o viaggi? Non dovrei andare a fare la spesa da sola? Posso chiedere di cedermi un posto a sedere sui mezzi pubblici? Posso farlo senza subire sguardi interrogativi,  veri interrogatori o essere giudicata? Verrei trattata allo stesso modo se fossi su una sedia a rotelle o se avessi un bastone? Le mie scarpe graziose mi trasformano in un’imbrogliona? Posso indossare un bel vestito quando mi sento uno schifo? Senza essere perennemente messa in discussione?

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