La nostra è una lotta per il futuro di tutt*!

La nostra è una lotta per il futuro di tutti! Lettera di Dana dal carcere.

da notav.info

Car* tutt*,
sono al sesto giorno di detenzione ed ho iniziato a comprendere i complessi meccanismi che regolano la vita delle detenute. Anzi, mi correggo, inizialmente sono complessi, poi capisci un paio di principi base e tutto diventa più chiaro. Mi spiegherò meglio dopo.

Al mattino mi sveglio ancora convinta di essere a casa, poi non appena lo sguardo mette a fuoco qualche dettaglio, realizzo di trovarmi qui ed è e devo dire che la sensazione mi fa svegliare repentinamente. Le giornate sono scandite da una serie di eventi che si ripetono sempre uguali a se stessi: vitto (colazione), aria/doccia, vitto (pranzo), aria/doccia, vitto (cena). Mi sveglio però molto prima fuori è ancora buio, ma in sezione iniziano a pulire le lavoranti, si sente odore di caffè, le agenti parlano ad alta voce. Sono ancora nella sezione nuovi giunti, a metà dell’isolamento domiciliare (prevenzione covid) e qui le celle sono chiuse 24 ore su 24. Si esce solo per andare all’aria, farsi la doccia, incontrare avvocati ed eventualmente per chi lo richiede educatrici, psicologa, prete ecc.

Essendo praticamente in isolamento, ho avuto modo di conoscere solo le detenute che come me sono in isolamento domiciliare (passiamo  l’aria insieme) e sono davvero grata queste donne che mi hanno accettata come una sorella. La solidarietà è concreta, materiale ed umana, c’è qualcosa che fa la differenza perché nei momenti di sconforto c’è sempre qualcuno, che nel nostro caso da dietro le sbarre della cella, interrompe le attività che sta svolgendo per una chiacchierata, una battuta, ecc. Stamattina una detenuta ha cantato, benissimo oltretutto, per una mezz’oretta e ci ha tutte rilassate.
Devo ammettere che l’impatto col carcere, soprattutto se sai che dovrai rimanerci per un po’, è forte, violento.

Il sistema carcerario, nonostante se ne dica, non ha nulla di educativo. È una punizione, severa e bisogna fare appello agli strumenti più profondi di sé per poterlo affrontare. Continua a leggere

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La malasanità in carcere è tortura

Riceviamo dalle compagne di Udine il volantino distribuito sabato

PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON I DETENUTI
DEL CARCERE DI VIA SPALATO
UDINE 26 SETTEMBRE 2020

Stamattina ci troviamo qui, presso la sede del Sert, “Servizio
tossicodipendenze”, di Udine, in solidarietà con i prigionieri del carcere
di via Spalato, dove muore almeno un prigioniero all’anno.
Il 15 marzo di quest’anno è morto dentro il carcere, per overdose di
psicofarmaci e metadone, Ziad, un ragazzo di 22 anni. Per molte
settimane questa morte v e n n e tenuta nascosta dalle istituzioni
carcerarie, e anche da quelle civili, e completamente ignorata dai mezzi
di comunicazione. Temevano proteste e rivolte dentro il carcere, e
ancora bruciava il ricordo delle rivolte carcerarie dell’8-9 marzo in tutta
Italia.
Poi, come è già successo per altri detenuti nel recente passato, anche
questa morte, nella narrazione delle istituzioni, diventa “per cause
naturali”, ed è così che se ne lavano le mani.
Altra però è la verità di ciò che è accaduto.
Questo giovane arrivava dal carcere di Rebibbia: appena arrivato al
carcere di Udine, per il malessere che provava, aveva cominciato a
chiedere farmaci, e ha trovato medici che non si sono fatti problemi a
dargliene in quantità. Dopo mesi che non ne aveva bisogno, nei giorni
precedenti la morte gli viene somministrato anche il metadone (20 ml al
giorno). Già il secondo giorno di assunzione di metadone Ziad inizia a
stare male e la mattina del 14 marzo chiede di andare all’ospedale,
senza essere ascoltato. Nel pomeriggio scende in infermeria e chiede di
non assumere metadone. Il personale infermieristico insiste perché
assuma almeno 10 ml, e gli porta il metadone in cella perché sta male. I
compagni di cella dicono che nel pomeriggio aveva gli occhi girati in su,
poi si è un po’ ripreso. Poi, il mattino seguente, il 15 marzo, non si è
svegliato. I compagni di cella hanno chiesto aiuto e il defibrillatore non
funzionava, un agente ha tentato di rianimarlo a mano. In attesa dei
sanitari del 118, che con la calma sono arrivati per portarlo via nel sacco
nero.
Siamo qui per denunciare quello che i detenuti del carcere di Udine ci
hanno detto più volte: la malasanità in carcere è tortura.
Infatti guardie, ispettori, sovrintendenti da un lato; operatori socio
sanitari, infermieri e medici con educatori e psicologi da un altro;
insieme a funzionari e magistrati costituiscono un blocco micidiale.
Attraverso: condizioni di vita degradanti sul piano igienico e sanitario,
modalità ostili di relazione, atteggiamento di complicità tra le varie
istituzioni, costrittività, abusi e disfunzionalità di ogni genere, e grazie a
una legislazione punitiva (il Testo Unico in materia di stupefacenti,
309/1990, che ha le proprie motivazioni storiche nella deleteria war on
drugs di Ronald Reagan) e che ha portato ad avere attualmente quasi il
60 % di detenuti reclusi in via Spalato in carico a questo Sert.
Chi lavora in questo Sert è complice di questo degrado, il vero degrado:
prodotto da chi, con il pretesto della “sicurezza”, crea paura e sospetto,
militarizza le città, fa la guerra a poveri/e, migranti e ribelli.
Chi lavora in questo Sert, e chi lo dirige e organizza, è complice nel
progettare e mettere in opera, in obbedienza a tribunali e uffici del
ministero di giustizia, i programmi di terapia farmacologica
afflittivi/punitivi e standardizzati destinati ai reclusi.
Lo scopo di questi trattamenti “terapeutici” non è quello di fare stare
meglio i detenuti che vi sono sottoposti, ma è quello di impedire loro di
protestare e fare valere i loro diritti di persone davanti all’istituzione
carceraria, e di annientare così i potenziali conflitti. Inoltre i detenuti che
sono sottoposti a questi pesanti trattamenti psicofarmacologici, anziché
trovare una via di uscita alle problematiche di dipendenza, le vedono
aggravarsi. Questi trattamenti servono a far star buone le persone, a
pacificarle, fino alla pace del cimitero, come successo con Ziad.
In carcere metadone e psicofarmaci uccidono.
Basta overdose di Stato!
Dalla parte di chi si ribella e lotta,
fuori e dentro le galere!
Assemblea permanente contro il carcere e la repressione Udine-Trieste

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26 settembre 1935/Nascita del P.O.U.M.

Che vieni a fare qui, chiede uno, non è posto per passeggiate questo. Gli mostro la mia tessera di miliziana, poi, socchiudendo la mantella che mi avvolge dalla testa ai piedi, gli faccio vedere le tre stelle da capitano appuntate sulla camicia[…] mi precipito all’ufficio del comando per sapere se ci hanno chiamato da qualche parte, se l’ordine di muoversi è arrivato[…] <La mia guerra di Spagna> Mika Etchebéhère, capitana di una colonna del Poum.

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Dana: se difendere un territorio è un crimine e viverlo un’aggravante.

Dana sabato ti veniamo a trovare! Presidio al carcere delle Vallette ore 17:30

notav.info

LIBERTA’ PER DANA

Sabato 26 settembre andiamo a portare il nostro saluto e il nostro affetto a Dana, oltre le sbarre che la tengono ingiustamente reclusa!
Non si può fermare il vento!

Ore 17:30 – Torino – Casa Circondariale Lorusso Cutugno, Capolinea del 3

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I Puntini sulle A!

Vi ricordiamo che ricomincia  l’autoformazione femminista!!!! Organizziamoci per partecipare: il primo appuntamento sarà il 17 ottobre!!!

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Lezioni di storia

Lezioni di storia/piccole riflessioni sull’asservimento e sul controllo.

Elisabetta Teghil da Femminismo materialista, Bordeaux 2015, p.219

Theodor W. Adorno e Max Horkheimer scrissero nel 1947 “Dialettica dell’Illuminismo”. Il libro fece molto scalpore perché nazismo tedesco e mercificazione americana erano posti sullo stesso piano, tanto più scalpore perché i due, di origine ebraica, erano fuggiti dalla Germania negli anni ’30 e sarebbero tornati nel paese di origine negli anni ’50 ed entrambi erano in un posto di osservazione privilegiato perché sia in Germania che negli Stati Uniti avevano esercitato la professione di professori universitari

Entrambi, riflettendo sull’Europa che avevano lasciato e sulla società americana che li aveva accolti nel loro esilio, sottolinearono l’asservimento totalitario delle masse non solo attraverso i metodi tipici del fascismo, ma anche attraverso la mercificazione propria della società americana.

Denunciavano la riconversione di questo mondo al fascismo, la sua corruzione guidata soprattutto dalla TV che ricostruisce il mondo visibile a immagine del capitale e , più in generale, del potere. Questa interagisce con il telespettatore/trice che, in definitiva non è altro che il cittadino/a, per manipolarlo/a, dominarlo/a e, come obiettivo, produrne uno nuovo/a.

Invitavano a demistificare la verità del potere e concludevano che l’antidoto contro il falso, il manipolato, il filtrato che veniva dall’informazione, e in particolare da quella televisiva, sulla lettura dell’esistente doveva necessariamente ancorarsi alla trasformazione del mondo, che vivere dentro le strutture del capitale aveva un senso solo in maniera antagonistica e che pertanto ciò avrebbe richiesto all’individuo la necessità di prendere posizione, di schierarsi. Solo questo avrebbe potuto dare la speranza di una vita che non fosse impostata gerarchicamente e prefigurata da chi il potere lo detiene e ha la pretesa di programmare ognuno/a di noi ancora prima della sua nascita. E ravvisavano l’assoluta necessità di cominciare a recuperare la memoria della storia.

E’ qui, nel mezzo dell’essere vivente, che si apre una creatività utile a fertilizzare il mondo in cui viviamo.

Avevano individuato come l’uomo occidentale si rappresentasse come il punto centrale verso cui tutto e tutti dovessero tendere e come tutto quello che si allontanava da quel modello fosse considerato barbaro e incivile.

Questa lettura si è rivelata precisa e puntuale.

Oggi si realizza compiutamente nel momento in cui la vita intera è metabolizzata dal neoliberismo che ha prodotto una società messa al lavoro in ogni aspetto dell’esistente, in cui le dinamiche dello sfruttamento si diffondono sull’intero tessuto sociale.

Lo sfruttamento si irradia a tutto campo in tutti i segmenti della società.

Non c’è nessuna crisi, ma il trionfo del neoliberismo che ha esteso le modalità del comando che c’erano nella fabbrica alla società intera. Il tessuto sociale ne è sconvolto: tutto è merce, la precarietà è diffusa, la disoccupazione provocata volutamente, l’istruzione e la sanità pubbliche smantellate, spezzettate e svendute al privato, le guerre si susseguono a ritmi sempre più serrati e sono utilizzate per creare un nuovo ordine.

Violenza ed ingiustizia, violazione delle sovranità nazionali, del diritto internazionale, azzeramento delle conquiste frutto delle lotte sono le coordinate dentro cui il neoliberismo, forma compiuta dell’autoespansione del capitale, si muove.

Noi viviamo in questa stagione, in questo passaggio storico, perciò dobbiamo coltivare la passione per la libertà politica, l’amore per l’uguaglianza sociale, la rivolta contro la povertà e l’impegno per la sconfitta del patriarcato e tutte insieme dobbiamo camminare per ottenere la liberazione senza la quale siamo come dei criceti che girano in tondo e non vanno da nessuna parte..

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Il tempo è adesso.

Orologi e cacciaviti. Tempo, praxis, storia.

da https://www.carmillaonline.com/2020/09/08/orologi-e-cacciaviti-tempo-praxis-storia/ 

una recensione di Silvia De Bernardinis all’ultimo libro di Barbara Balzerani, Lettera a mio padre, DeriveApprodi, Roma 2020, pp. 112, 12,00 euro

Una lettera al padre. Un viaggio nelle fenditure della propria storia personale, dove arriva forte l’eco della storia collettiva degli oppressi. Trasmissione di esperienza, di lasciti del Novecento operaio, ed anche di fratture insanabili. Storie personali tra padre e figlia che sono al tempo stesso storie di classe e di appartenenza che scorrono lungo il secolo breve delle rivoluzioni. Conti da far quadrare, in cui come sempre l’umano e il politico si tengono indissolubilmente.

Come nei libri precedenti di Barbara Balzerani, anche Lettera a mio padre, edito da DeriveApprodi, è una discesa e un’immersione nelle crepe della Storia, tra gli scarti della storia ufficiale senza i quali però nessuna storia può essere raccontata se non trasfigurandola, e nessuna via di fuga collettiva da un sistema sociale basato su profitto, sfruttamento e miseria, pensata. È questa la scrittura e la concezione della Storia che Barbara propone nei suoi libri, messa a punto con sempre più affinata maestria nel suo ormai ultraventennale percorso letterario.

Una prospettiva che permette di cogliere le dissonanze, i punti di frattura che smentiscono la presunta linearità del tempo e dei fatti. Un viaggio che posa lo sguardo sugli “invisibili al potere”, interni alle “dissonanze della vita collettiva”, compagni di viaggio che Barbara ha incontrato sulle strade percorse in questi anni di difficile resistenza, fuori dal terreno viscido dell’indistinto che tutto fagocita, laddove è possibile lo squarcio di luce che smaschera i meccanismi pervasivi di un sistema di sfruttamento stritolante, dove è possibile la rottura imprevista, l’incontrollabilità al potere. Ma anche lontano dai sentieri ormai infertili di quel Novecento che ha attraversato e che l’ha attraversata nelle viscere. E da questo viaggio torna restituendoci un quadro a più colori, a più voci e accenti, tessuto in trame di inconciliabilità al capitale che assumono un volto che si fa sempre più riconoscibile. Continua a leggere

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C’eravamo, ci siamo e ci saremo!!!!

Dana e Stefano liberi subito!!!!

https://www.notav.info/

Sono venuti che era ancora notte e sono venuti in forze. Hanno la paura di chi sa di avere torto.

Questa mattina alle 5, con un blitz in pieno stile, con blindati e celerini, le forze dell’ordine hanno applicato la paradossale sentenza nei confronti di Dana emessa dal Tribunale di sorveglianza di Torino nella persona della giudice Elena Bonu. Ma ad attenderli hanno trovato il popolo No Tav deciso a sostenere Dana in questo momento e a non far passare sotto silenzio questa vergognosa prepotenza contro una donna, una compagna e contro un intero territorio.

<<<<Per questo motivo stasera, alle 20:30 ci troveremo a Bussoleno in Piazza Cavour per una fiaccolata in cui portare tutta la nostra solidarietà a Dana e a Stefano, gridare il nostro disgusto e la nostra determinazione. Resisteremo un metro, un giorno, un’ora più di loro!>>>>

Un intero quartiere di Bussoleno è stato militarizzato per ore, impediti gli accessi agli abitanti del paese che volevano testimoniare con un gesto d’affetto la loro vicinanza a Dana. Nonostante il dispiegamento di forze però i No Tav sono riusciti a raggiungere la casa e a gridare forte il dissenso verso questa ingiustizia. Una marcia della vergogna per chi è venuto a prelevare Dana, che ha reagito con spintoni a giovani e anziani, minacce e insulti. La Digos di Torino si è distinta come al solito nell’esercizio dell’arroganza verso chi lotta per difendere la propria valle. Continua a leggere

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La parola e la cosa.

La parola e la cosa.A proposito di progetto rivoluzionario

da ilrovescio.info

Editoriale                 

Come è già stato scritto da più parti, l’epidemia di Covid19 ha messo nelle mani dei padroni un formidabile “coltello” per accelerare il modo di produzione informatico. Storicamente il capitalismo ha prima privato gli umani dei propri mezzi di produzione e sussistenza, e solo successivamente ha potuto sfruttarne il lavoro. Si tratta di quella che Marx, deturnando polemicamente un’espressione dell’economista borghese Adam Smith, chiamava “accumulazione originaria” o “accumulazione primaria”. La divisione sociale tra sfruttati e sfruttatori, ragionava il pensatore tedesco, non si basa affatto sulla maggiore parsimonia che avrebbe permesso agli uni di possedere i mezzi di produzione e comprare il lavoro degli altri, possessori unicamente delle proprie braccia: a preparare la rivoluzione industriale furono almeno tre secoli di furto delle terre comuni e di leggi draconiane contro i poveri. Se oggi questa storia «scritta negli annali dell’umanità a caratteri di sangue e di fuoco» si sta ripetendo tale e quale in Africa (dove a partire dai primi anni Ottanta gli espropri della terra vengono operati dagli Stati locali su spinta della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale), il capitale non ha mai smesso di rinnovare la propria accumulazione prendendo di mira le “risorse” più diverse. La cosiddetta digitalizzazione, verso cui i governi indirizzeranno buona parte dei “fondi per la ripresa”, trova la propria fonte nell’esperienza umana, che per divenire “big data” dev’essere letteralmente vampirizzata dalle macchine dette “intelligenti”. In questa nuova opera di rapina organizzata del vivente, tutto ciò che non viene filtrato da una rete di computer e sensori – la solitudine della coscienza o l’imprevedibilità dell’incontro faccia a faccia – dev’essere sostanzialmente eliminato. Il tipo di propaganda mediatica che sta circolando in questo periodo è indicativo oltre che inquietante, e ci dice molto di quanto il capitale stia investendo – non solo in termini monetari o militari, ma anche culturali e simbolici – su un mondo a distanza, dove tra umano e umano, tra umano e natura, si collochi sempre un dispositivo informatico (“distanti ma uniti”, dice infatti la propaganda governativa). Tra criminalizzazione delle passeggiate, inviti alla delazione e costante disciplinamento poliziesco, i vari media di regime hanno annunciato l’inizio di una nuova èra, in cui il gesto della stretta di mano va a finire in un museo (come in una vignetta di un giornale straniero), gli amanti si masturbano davanti a una webcam, gli amici fanno “party” in rete ecc. In quest’opera di condizionamento di massa, ciò che più rileva è che il “distanziamento sociale” non viene affatto porto come consiglio per affrontare una situazione temporanea, o registrato come semplice dato di fatto legato a circostanze comunque transitorie. Al contrario lo si dà per scontato, come si dovesse vivere in “stato di emergenza pandemico” per l’eternità. Altro segnale di investimento propagandistico e ideologico è il modo in cui tutti i media hanno attribuito i diversi attacchi subiti dalle antenne 5G in varie parti del mondo a forme di complottismo più o meno deliranti. Alla base di questa operazione mediatica stanno alcuni studi scientifici particolarmente apprezzati negli ambienti steineriani, studi secondo i quali l’elettromagnetismo di reti e antenne indebolirebbe l’apparato immunitario dei viventi favorendo la propagazione di malattie. Non solo il fatto che queste ricerche abbiano attirato l’interesse di chi vede “cospirazioni” ovunque non squalifica affatto il loro valore; ma soprattutto, restringere ad esse le ragioni per opporsi al mondo “smart” (ovvero al tecno-totalitarismo in preparazione di cui il 5G è l’infrastruttura materiale) è un’operazione che si commenta da sola, spacciando il tutto per una sua (minima) parte. Non c’è affatto bisogno di vedere un legame diretto tra Coronavirus e 5G per avversare il modo di produzione informatico: per combattere un progetto che mira a privarci di tutto ciò che ci rende umani le ragioni non solo si sprecano, ma sono semplicemente assolute. Tocca anche riconoscere, come spesso accade, che la propaganda menzognera di regime ha anche un suo rovescio di verità. È purtroppo vero che un mondo come questo – con i suoi allevamenti intensivi, le sue devastazioni dell’ambiente naturale, la sua titanica produzione di nocività e, per chi può permetterseli, i suoi spostamenti “facili” tra i cinque continenti – produrrà sempre più epidemie, e più in generale delle catastrofi di cui gli Stati si arrogheranno la gestione militarizzata. Ma le “soluzioni” dello Stato e dei suoi comprimari tecnoindustriali, ovvero dei principali responsabili di tutte queste sciagure, non potranno che aggravarle. Per guardare solo a un aspetto, nel mondo ci sono circa 3 milioni di server, ospitati da mezzo milione di data center, diversi dei quali consumano ogni giorno tanta elettricità quanto una città di 30.000 abitanti. Anche senza pensare alla loro ricaduta diretta sulla salute, pensiamo a quanto questi mega-server già incidano sul surriscaldamento globale e cosa comporterà il loro incremento, quando la rete mira a coprire la totalità delle interazioni umane sul pianeta. Senza per forza rimarcare quanto sia patogena una vita senza rapporti diretti, o con rapporti ridotti al minimo, basterebbe già questo per capire come le “cure” del governo – il tracciamento tramite app che renderà gli smartphone ancora più necessari a fare qualsiasi cosa, la promozione del lavoro da remoto ecc. – siano ben peggiori del male.

La retorica di regime va rovesciata anche da un altro punto di vista. Nell’inaugurare i primi passi della “fase 2” – che mentre ha allentato un po’ le briglie ai passeggiatori solitari, ha sciolto completamente gli ormeggi alle industrie, “perché l’economia deve ripartire” – il premier Conte ha parlato di rischio calcolato. Dobbiamo anche noi assumerci fino in fondo questa prospettiva, ma dal nostro punto di vista. Se ci pensiamo bene, non solo vivere è sempre rischiare, ma è ontologicamente impossibile farlo senza interagire con gli altri e con la materia. Una vita in cui tutti fossero sempre tra le mura domestiche significherebbe semplicemente l’estinzione umana per fame e sete: per sopravvivere dobbiamo per forza uscire e avere contatti tra noi, almeno in una certa misura e secondo certe modalità. Rovesciare il discorso significa scegliere misure e modalità in autonomia. Ragionarne e trovarle adesso, prima che il guinzaglio governativo si accorci di nuovo col ricatto di nuove ondate epidemiche, è letteralmente cruciale. Come già hanno urlato alcuni facchini in lotta, bisogna dire con forza che “se possiamo lavorare, allora possiamo anche protestare”, spezzando il ricatto terroristico del manovratore che non vuole essere disturbato da “assembramenti”. Più in generale, bisogna affermare chiaro e tondo che quale sia il rischio da correre, e perché e come, ce lo calcoliamo da soli; perché ad essere in gioco è la nostra vita, e nient’affatto solo per il virus. Piano piano lo stanno cogliendo in diversi, come quei genitori, studenti, bambini ed educatori che hanno di recente protestato contro la didattica a distanza o le mascherine imposte ai più piccoli, con tutto il loro carico di disumanizzazione. Affrontare un’epidemia è senz’altro complicato. Nessuno, neppure i pretesi “esperti”, è in grado di fornire una visione “oggettiva” della situazione, e men che meno di come potrà svilupparsi. È quindi importante che nei diversi contesti – come quelli di lotta – ci sia un confronto anche sulle precauzioni da prendere, con rispetto e ascolto delle diverse esigenze e ragionamenti, senza dar niente per scontato. Ma come vogliamo viveree cosa rende una vita degna di essere vissuta, è e sarà sempre di più la vera posta in gioco. Continua a leggere

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Vogliono arrestare le nostre idee ma le idee sono come il vento

Domani mercoledì 16 settembre presidio permanente a Bussoleno!

da https://www.notav.info/

Di questo si tratta, la sentenza che ha colpito Dana è il frutto di un vero e proprio processo alle idee. Ad indicarlo chiaramente sono le motivazioni, non ancora depositate ma trapelate, che la giudice Elena Bonu ha addotto nel rifiuto delle misure alternative al carcere, ma è anche la natura stessa della pena comminata.

Una pena evidentemente spropositata: due anni per aver partecipato ad un’iniziativa durata 10 minuti, in cui la “colpa” di Dana sarebbe stata quella di spiegare ad un megafono i motivi della protesta.

Il movimento No Tav all’epoca dei fatti era in mobilitazione permanente da lunedì 27 febbraio, in seguito alla caduta di Luca dal traliccio. Giorni di rabbia e dolore, ma anche di determinazione, nonostante le cariche e gli scontri che continuavano a susseguirsi.

I No Tav quel giorno avevano deciso di liberare i caselli di una delle autostrade più care d’Italia, la Torino Bardonecchia, che dal lunedì della stessa settimana fino al giovedì era già stata occupata in maniera permanente dal movimento. Il senso di quella iniziativa era, ancora una volta, sottolineare l’enorme sperpero di denaro pubblico destinato alla costruzione dell’opera.

Il reato di Dana non è stato tanto quello di aver partecipato alla liberazione dei caselli, di per sé un reato trascurabile (sono centinaia i casi in cui processi che riguardavano iniziative del genere si sono risolti in pene modeste o addirittura in assoluzioni), ma è evidentemente quello di essere parte con determinazione e protagonismo di una delle lotte popolari più longeve ed efficaci del nostro paese, che ha messo in discussione governi e assetti istituzionali e che è la bestia nera di chi specula e devasta l’ambiente. La sua “responsabilità” è quella di essere stata per anni uno dei volti pubblici, una delle voci con cui il movimento ha parlato, ha gridato le proprie accuse verso un sistema ingiusto che ignora i reali bisogni dei territori.

Una delle motivazioni della sentenza con cui sono state rifiutate le misure alternative è che Dana non si sarebbe allontanata nè dal movimento No Tav nè dal territorio continuando a vivere in valle a Bussoleno. Lei è colpevole dunque di non aver abiurato le sue idee, di non essersi fatta intimidire dalle persecuzioni che quotidianamente colpiscono gli attivisti e le attiviste del movimento e di aver continuato a lottare con generosità, senza risparmiarsi. E’ colpevole di non aver voluto lasciare un territorio dove risiedono i suoi affetti, dove resistono le montagne che ha imparato ad amare e conoscere: un territorio che viene dipinto come un tessuto criminogeno. Gli abitanti della valle che si schierano contro il TAV in questa narrazione vengono considerati alla stregua di banditi invece che cittadini preoccupati per il proprio futuro e quello del territorio, già ferito, in cui vivono. Un processo alle idee che ricorda altri tempi, tempi in cui in giro per la valle venivano affissi cartelli con scritto “achtung banditen”, tempi in cui le donne che si opponevano al potere costituito erano soggette alla “caccia alle streghe”. Continua a leggere

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Podcast degli Incontri pubblici su Corpi tra confino e conflitto a Milano e a Tradate

Pubblichiamo i podcast di alcuni stralci degli Incontri pubblici svoltisi a Milano e a Tradate su <Corpi tra confino e conflitto>

con Nicoletta Poidimani e Elisabetta Teghil, coautrici in  <KRISIS.Corpi, confino e conflitto> (Ed, Catartica) e i curatori di <Lo spillover del profitto/ capitalismo, guerre ed epidemie>>(a cura di Calusca City Lights)

Gli incontri sono stati estremamente interessanti e tantissimi gli spunti emersi, ringraziamo tantissimo gli organizzator* di entrambi!

<<<<<Mercoledì 9 settembre 2020 incontro pubblico organizzato da Calusca City Lights, Archivio Primo Moroni, Csoa Cox 18  in via Conchetta 18, alle 18 e 30 a Milano su <Corpi tra confino e conflitto>

Ascolta qui l’introduzione e l’intervento di Elisabetta Teghil

<<<<<Giovedì 10 settembre 2020 incontro pubblico dalle ore 20:30 alle 23:55 <CORPI TRA CONFINO E CONFLITTO> organizzato da Kinesis, Via Carducci 3, Tradate (Varese)

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sabato 12 settembre 2020- I/le Gilets Jaunes stanno manifestando a Parigi

I/le Gilets Jaunes stanno manifestando in questo momento a Parigi!!!!!

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La Parentesi di Elisabetta del 9/09/2020

“Il progetto e la sponda”

Dalla distruzione delle istanze collettive alla distruzione del soggetto

                                                                                    < Dire fare  baciare  lettera  testamento…>                                                                  Filastrocca per un gioco infantile

Vi ricordate questo gioco infantile? Era basato sulle penitenze. Il malcapitato/a doveva  pagare pegno  e sottostare a delle penitenze che suo malgrado era lui/lei stesso/a a scegliere. Ad occhi chiusi doveva toccare la mano di un compagno/a scegliendo un dito: le cinque dita della mano corrispondevano a dire, fare, baciare, lettera, testamento e ad una relativa penitenza ed era veramente difficile dire quale fosse la peggiore.

Con riferimento alla situazione politica, economica, sociale e personale, gli italiani non sanno quale dito scegliere, qualunque sia la loro scelta pagheranno pesantemente. E non solo gli italiani/e, parliamo del nostro paese solo per semplicità di riferimenti e perché siamo qui.

Il neoliberismo si è caratterizzato per la distruzione delle istanze e delle strutture collettive, per la destituzione di partiti, sindacati, forme politiche organizzate, delle stesse istituzioni rappresentative delle nostre democrazie occidentali diventate democrazie autoritarie e democrazie di mercato in cui l’uno e l’altro aspetto non sono in contraddizione bensì due facce della stessa medaglia. Le grandi raffigurazioni politiche ma anche sociali ma anche religiose che costituivano nei secoli passati il riferimento in cui la persona poteva ritrovarsi e costituirsi sono state smontate in nome dell’autonomia del soggetto a cui è stato imposto il farsi da sé in una costruzione personale che viene propagandata come il massimo della libertà di scelta, di azione, di realizzazione. Si sperimenta così una nuova condizione soggettiva della quale però nessuno possiede le chiavi di interpretazione, tanto meno le nuove generazioni a cui è stata negata perfino la conoscenza e l’esperienza del passato recente.

Il neoliberismo ha la pretesa  di spingere l’individuo a definirsi attraverso la sua autonomia, e non più mediante il suo riconoscimento in uno spazio collettivo e a dare di sé una definizione autoreferenziale. Autonomia che è in particolare giuridica, vale a dire che l’autonomia giuridica, così come la libertà mercantile, eventualmente totale, sono assolutamente congruenti con la definizione autoreferenziale del soggetto. E l’economia di mercato avrebbe la pretesa di farsi carico dell’insieme del legame personale e del legame sociale. Il soggetto resta così invischiato in un presente dove si gioca tutto e se fallisce come succede nella stragrande maggioranza dei casi la sensazione di impotenza è totale. La medicalizzazione delle vite, strette tra depressione e illusione di onnipotenza, diventa così generalizzata e la fiducia in uno scientismo capace di risolvere i problemi personali, devastante e acritica. Continua a leggere

Pubblicato in Capitalismo/ Neoliberismo, La Parentesi di Elisabetta, Storie | Contrassegnato , , , , , | Commenti disabilitati su La Parentesi di Elisabetta del 9/09/2020