Per riflettere insieme/Patriarcato,cultura e struttura
In queste ultime settimane altri episodi di violenza sulle donne hanno riempito la bocca dei nostri cari media coadiuvati dai social network che fungono da amplificatore dei più bassi istinti maschilisti, patriarcali e razzisti dell’uomo o della donna medio/a. Melito, dove l’ennesimo stupro di gruppo è stato giustificato dall’opinione di tutto il paese, prassi che ci ricorda molto Montalto di Castro. Il suicidio/assassinio di Tiziana, giustificato dall’uso della sua sessualità e dallo sfruttamento che questa società sempre più bigotta e fintamente aperta grazie alla globalizzazione del web, mette al rogo nuove streghe. Rimini, dove lo stupro di un’amica viene ripreso da altre ragazze e mandato su whatsup. Partendo da questi eventi, sentiamo la necessità di ribadire il nostro punto di vista al di là delle chiacchiere che girano delle varie donne emancipate portatrici insane di femminismo di Stato e di maschi che, come dice Daniela Pellegrini, sono portatori della “cultura del cazzo”. Siamo sempre più convinte che la risposta sia la destrutturazione del patriarcato.
IL PATRIARCATO E’ STRUTTURA, LA CULTURA maschilista e patriarcale NE DISCENDE.
E’ IMPENSABILE CREDERE DI POTER CAMBIARE LA CULTURA senza cambiare la struttura e, CON QUESTO, MITIGARE O ADDIRITTURA ELIMINARE IL PATRIARCATO.
Senza attaccare la struttura, cioè senza battersi contro la gerarchia, la meritocrazia, l’autorità, la mercificazione, la proprietà, in qualsiasi modo si presentino in questa società, è impossibile pensare di cambiare la struttura patriarcale che altro non è che la differenziazione lavorativa assegnata ai sessi biologici trasformati in ruoli sessuati e il loro sfruttamento attraverso la costituzione di una struttura gerarchizzata in cui il maschile ha funzioni di dominio e il femminile di soggezione per l’ottenimento del maggior rendimento possibile delle soggettività messe al lavoro: lavoro salariato, lavoro di cura, lavoro riproduttivo. Su questo è stata costruita una cultura e dei modelli che vengono presentati come “normali” e addirittura “naturali”.
Impostando discorsi che non intaccano la struttura si ottiene il risultato opposto, si fornisce al capitalismo, in questo momento nella sua veste neoliberista che ha assunto in pieno il patriarcato con modalità specifiche, la possibilità di riciclare il patriarcato stesso sotto nuove vesti e riperpetuare la nostra oppressione con modalità “moderne”.
Proprio per questo e in relazione alle ultime vicende di cronaca, vi proponiamo una serie di analisi e pensieri fatti in questi anni perché possano essere motivo di riflessione
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/12/podcast-della-trasmissione-del-1022016/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/12/burloni7900/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2011/09/16/femminicidio/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/07/06/coordinate-di-fondo/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/02/15/bestie-a-luci-rosse/
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/09/podcast-della-trasmissione-del-7012015/
“Mi dicevano
è meglio se sorridi a bocca chiusa.
Mi dicevano è
meglio se ti tagli i capelli lunghi,
così crespi,
sembri ebrea.
Mi zittivano nei ristoranti
guardandosi intorno
mentre gli specchi sopra il tavolo
riverberavano beffardi in infiniti
riflessi un volto rozzo, squadrato.
Mi chiedevano perchè
quando cantavo per le strade.
Loro alti, grandi al tè
coi loro modi melliflui, didattici
io con gli occhi sul piattino
che cercavo di nascondere la bomba
a mano nella tasca dei calzoni,
e mi rannicchiavo dietro il pianoforte.
Mi deridevano con riviste
piene di seni e merletti, contenti come pasque
quando il primogenito del dottore
sposava una ragazza tranquilla e carina.
Mi raccontavano storie
di signore eleganti e sportive
e le loro diverse carriere.
Mi svegliavo la notte
con la paura di morire.
Costruivano schermi e divisori
per nascondere il desiderio
non bello a vedersi
a sedici anni
inesperta disperata
mi abbottonarono dentro vestiti
a fiori rosa.
Aspettavano che io finissi
per riprendere la conversazione.
Sono stata invisibile,
strana e soprannaturale.
Voglio il mio vestito nero.
Voglio che i capelli
mi si arriccino selvaggi.
Voglio riprendere la scopa
dall’armadio dove l’ho rinchiusa.
Stanotte incontrerò le mie sorelle
nel cimitero.
A mezzanotte
se ti fermi al semaforo
nel traffico umido della città,
guarda se ci vedi contro la luna.
Noi gridiamo,
noi voliamo,
noi ricordiamo e non smetteremo.”
STREGA (1969) di JEAN TEPPERMAN