Quattro passi verso l’8 marzo/4

Materiali di riflessione

Quarto passo

 Autonomia, autorganizzazione, autodifesa femminista

<L’autonomia è un modo di lettura della società capitalista/patriarcale, dei suoi protagonisti, del modo di distribuzione dei suoi poteri, della dinamica del suo sviluppo, che prevede la presa in carico direttamente da parte nostra dei nostri desideri e la consapevolezza della possibilità di realizzarli.
Pertanto, è una teoria di liberazione. E’, quindi, il rifiuto della delega, non solo perché la delega dà ad altri soggetti, al di fuori di noi, l’autorizzazione a lottare, chiedere, decidere al nostro posto, ma, soprattutto, perché questi soggetti, non essendo noi, portano avanti, per noi, esigenze che, nella migliore delle ipotesi, credono nostre, nella peggiore e più comune, sono invece loro. La capacità di produrre autonomia, per esempio, la classe operaia l’ha espressa compiutamente negli anni ’70, quando, in contrasto con le lotte sindacali che contrattavano più o meno orario, più o meno salario, più o meno lavoro, gli operai hanno preso in carico, appunto in autonomia, quello che era il sentire loro proprio e cioè lo sganciamento del lavoro dal rendimento e “il rifiuto del lavoro salariato”.
Non è possibile dunque delegare alle organizzazioni sindacali, ai partiti, allo Stato, a soggetti esterni la nostra liberazione, dato che solamente chi vive concretamente lo sfruttamento può incidere profondamente nelle lotte, e la collaborazione con le Istituzioni e le loro protesi compresi i partiti e i sindacati è controproducente e dannosa poiché così non si fa che riprodurre un modello sociale in cui c’è chi è predisposto a decidere e chi a subirne le conseguenze (con relativa definizione delle competenze e dei ruoli). Per questo solamente la realizzazione di un’organizzazione autonoma dei soggetti sociali sfruttati può modificare il senso stesso delle relazioni umane e far si che non si riproducano forme di gerarchia e dominio. Questa prospettiva di liberazione ci lega inevitabilmente a tutti e tutte coloro che lottano contro la società capitalistica poiché una reale liberazione non può esistere in una società che si fonda sullo sfruttamento di una classe sull’altra. La nostra lotta deve necessariamente essere sottrazione al comando sul lavoro, nell’oppressione di genere, nelle gerarchie sociali, in un rifiuto netto del principio gerarchico in cui è incardinata questa società. L’autonomia è un tessuto di comunicazioni e organizzazioni, ricco di lotte, informazioni, conoscenze e saperi che si oppone alla società capitalista
e patriarcale e della quale è alternativa. L’autonomia, permette la nostra crescita e il nostro arricchimento affrancate dal dominio del plusvalore, è sintesi sociale diversa e contrapposta a quella della società neoliberista patriarcale, alla società seriale che si realizza nell’universo dei ruoli. E’ affermazione di una diversità irriducibile. E’ capacità di esprimere rottura e identità politica, di scardinare il controllo sociale che si manifesta nel dominio culturale e sociale prima ancora che in quello militare e repressivo. E’ la riappropriazione di un tempo liberato dal lavoro salariato, dal lavoro di cura, dai
ruoli, ed è coscienza e tessuto di comunicazione e organizzazione sociale. E’ la non partecipazione alle cicliche ristrutturazioni capitalistiche e patriarcali e la capacità di allargare i propri spazi. L’autorganizzazione è la ricerca e la messa in atto, all’interno di un insieme oppresso, di strumenti per poter realizzare i desideri espressi dall’autonomia. Autonomia e autorganizzazione sono due entità che si rapportano dialetticamente, non c’è un prima e un dopo. L’autorganizzazione è quindi il riconoscimento che i settori subordinati in un’organizzazione sociale di oppressione e sfruttamento, sono
in grado di produrre al proprio interno gli strumenti necessari per liberarsi. Ci sono degli elementi di base che definiscono l’autorganizzazione in un’ottica femminista, ossia che sono in grado di produrre all’interno dell’insieme di genere, oppresso dalla società patriarcale/capitalista, strumenti necessari al percorso di liberazione:
– l’orizzontalità dei processi decisionali che non ha nulla a che fare con la “teoria del consenso”, con le “decisioni a maggioranza” e con la così detta “democrazia dal basso” che fa sempre riferimento, comunque, ad un’autorità superiore, ad esempio lo Stato, a cui rimettere le decisioni prese.
– il lavoro politico per la presa di coscienza di genere che è costituito dal rapportarsi con le “donne” che costituiscono l’insieme oppresso e dall’analisi delle contraddizioni e delle oppressioni, in un rapporto dialettico tra teoria e pratica.
– la messa in comune delle esperienze e delle sperimentazioni così che la condivisione crei realmente una crescita collettiva facendo fronte alla sproporzione che nella società capitalistica c’è tra chi può accedere ad un’istruzione qualificata e alla cultura e chi non ha le possibilità materiali per sperimentare e conoscere.
– l’anti-istituzionalità perché un reale percorso di liberazione è alternativo e incompatibile con le strategie e le finalità che hanno le componenti istituzionali. Queste (partiti, partitini, sindacati, associazioni ecc..) mirano o a incentivare lo sfruttamento o tutto al più a migliorare le sproporzioni esistenti tra le classi, i generi, le etnie mentre il nostro obiettivo è l’eliminazione delle classi, dei generi ecc …
E’ evidente quindi che non esistono scorciatoie o compromessi sulle prospettive che dobbiamo darci come femministe e che deve essere sempre chiara la necessità dell’uscita dalla società patriarcale e capitalista quale obiettivo e continuo riferimento delle nostre lotte.>

 

-Un passo avanti:dalla parte delle donne che reagiscono alla violenza

-Avremmo dovuto riprenderci la notte e invece ci siamo ritrovate sole con le telecamere

-ROTE ZORA/La resistenza è possibile!

La sfida per il movimento femminista è di realizzare un progetto antagonista che si misuri con la globalità dell’oppressione di genere e con la critica del vivere quotidiano perché il patriarcato è un rapporto sociale assunto oggi nel metabolismo sociale neoliberista. Il neoliberismo ha chiuso in maniera unilaterale ogni spazio di contrattazione per precisa scelta ideologica e ha lasciato aperto solo lo spazio del collaborazionismo. La socialdemocrazia è stata ed è la principale naturalizzatrice di questi principi. Quindi non si tratta tanto di sconfiggere dei soggetti quanto l’ambiente costruito dai dispositivi semantici, discorsivi, di controllo che rendono possibile il perpetuarsi del patriarcato e del capitalismo

E’ necessario costruire, trovare, inventare nuove forme di lotta. Finché saremo subalterne alla logica della legalità, della norma, del politicamente corretto, del realistico non si riuscirà ad intravvedere la fine della società patriarcale. Ogniqualvolta, invece, saremo in grado di deporre questi assunti quella fine sarà più prossima.

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