Per un 2021 di lotta e di resistenza, perché non dobbiamo cedere

Continuare ricominciando da qui

TATTICA E STRATEGIA
COSTRUIRE I PICCOLI GRUPPI!
SMONTARE I CARDINI DEL NEOLIBERISMO!

Il neoliberismo si è affermato. Siamo in una società modellata su una scala di valori che fino ad una decina di anni fa ritenevamo impensabile. In uno scenario di lotta interna alla classe borghese da cui è uscita vincente l’iperborghesia, in cui sono state proletarizzate le classi medie e le classi subalterne fortemente impoverite, le varie forze della “sinistra” riformista in questi anni si sono fatte carico di costruire, per conto del capitale transnazionale, un’egemonia culturale fondata su concetti come legalità, ”sicurezza” trasformata in paura sociale e militarizzazione, controllo sociale esasperato, annullamento delle conquiste degli anni ’70, individualismo, meritocrazia, produttività, scomparsa
della lettura di classe, disaffezione alla politica, qualunquismo e
fascistizzazione del pensiero comune.
È da qui che dobbiamo ripartire. Dal chiederci come possiamo smontare questa organizzazione di pensiero prima ancora che delle specifiche soggettività, avendo ben presente che una caratteristica propria del neoliberismo è inglobare le istanze antagoniste, metterle al proprio servizio, trasformarle in merce. E tenendo anche conto che lo spazio della contrattazione, per una precisa scelta politica, è stato chiuso unilateralmente dal potere, che ha lasciato aperto solo quello del collaborazionismo.
È necessario quindi porsi un problema tattico ed uno strategico e cercare forme di lotta diverse da quelle adottate finora.
La forma manifestazione è tollerata solo come processione in cui si chiedono delle grazie, che non verranno mai elargite, e che rafforzerà il sistema perché presenterà lo Stato come interlocutore. L’opinione pubblica è costruita secondo una mentalità fascistoide, securitaria e legalista. Di conseguenza, l’humus sociale in cui far vivere le lotte, che necessariamente dovranno avere carattere di rottura con l’ordine vigente, è estremamente limitato.
Il controllo sociale è asfissiante e quindi chi lotta al di fuori del rito della messa sarà esposto alla minaccia di pagare un prezzo molto alto, sia dal punto di vista personale che economico, attraverso la miriade di sanzioni amministrative che il sistema ha
potuto attuare grazie al consenso costruito dalla sinistra riformista.
Dal punto di vista tattico è necessario ripartire dal piccolo gruppo come struttura di base dell’autodifesa femminista e della pratica di costruzione politica.
È un patto tra donne che si conoscono e si fidano reciprocamente e costruiscono sapere in autonomia. I gruppi fanno rete, le reti fanno produzione politica. Non serve una preparazione specifica, né una presa di coscienza particolare se non la consapevolezza e la necessità del reciproco sostegno. Noi non crediamo nella delega, negli esperti e nelle esperte, crediamo nella condivisione dei saperi e nella loro moltiplicazione. Crediamo nella crescita politica e nella presa di coscienza della collocazione di genere e di classe che il rifiuto della delega e la consapevolezza delle proprie possibilità organizzative creano e incentivano; crediamo nella presa in carico dei propri desideri; crediamo che la volontà di realizzarli e la consapevolezza che solo noi possiamo essere in grado di farlo può portare le donne a cercare strumenti di uscita da questa società.
Ogni gruppo creerà i propri strumenti, ogni gruppo si industrierà per smontare i cardini del neoliberismo, ogni gruppo non lotterà solo per sé ma, lottando per destituire i momenti fondanti di questa società, si costituirà come parte di un progetto generale.
Il rapporto di reciproca fiducia, proprio perché ci si è scelte, è più importante del freddo sciorinare di comportamenti standard. Le uniche maestre di se stesse possono essere solo le donne. Non esistono metodi precostituiti, esiste il bagaglio esperienziale
messo in comune. L’immediatezza del soccorso, la garanzia del gruppo, la presenza effettiva è un deterrente per qualsiasi maschio che voglia produrre violenza, molto più dell’asettica e lontana presenza di un ufficio aperto a ore stabilite, con prestabiliti meccanismi di intervento. Oltre tutto la vigilanza fra donne permette una presa di coscienza delle situazioni potenzialmente violente con molto ma molto anticipo.

Questa organizzazione capillare non è sostitutiva dello Stato sociale ma avere servizi, facilità di accesso all’indipendenza economica, facilità di accesso alla casa per tutte e tutti, è frutto di un rapporto di forza e non di richieste e tanto meno di collaborazione con le istituzioni. E per ottenere questo non è la lotta categoriale che deve essere messa in campo bensì quella strategica dello smontaggio dei cardini del neoliberismo.
I due momenti tattica e strategia sono inscindibili e l’uno rimanda all’altro. E’ impossibile costruire una lotta intrecciata di genere e di classe se non si costruisce l’autonomia delle donne contemporaneamente sia sul piano del reciproco supporto che su quello organizzativo generale, perché l’abitudine alla delega annienta le possibilità di difendersi autonomamente e fa dimenticare la possibilità dell’autorganizzazione, infantilizza i soggetti che non sanno più scegliere da soli, ma si aspettano la salvezza da qualcun altro. Questo assunto riguarda non solo le donne ma gli oppressi tutti e la nostra lotta potrebbe costituire un valido esempio.
Dal punto di vista strategico, porsi l’obiettivo di smontare i momenti fondanti del neoliberismo significa impostare lotte politiche. Trovare il legame tra lotte diverse significa non farne una sommatoria ma portarle a sintesi. Nella scuola, tanto per fare un esempio, significa lottare contro la struttura gerarchica, contro il preside padrone, contro la gerarchia insegnanti alunni, contro il controllo, contro la scuola azienda, contro il
legame scuola-lavoro, contro la meritocrazia… nel nostro specifico, per esempio sul posto di lavoro, non ci dovrebbe interessare affatto fare carriera come e quanto gli uomini, ci dovrebbe interessare smontare il concetto di meritocrazia, rifiutare la gerarchia,
smontare la retribuzione basata sugli incentivi, togliere di mezzo il controllo dell’orario… e potremmo continuare all’infinito perché ogni ambito, pur nella sua specificità, contiene i cardini da smontare.
La struttura di dominio patriarcale e capitalista-neoliberista è piramidale, verticistica, gerarchica ed è, quindi, sulla struttura che le lotte devono incidere. È necessario, proprio per questo, tracciare una linea imprescindibile di rottura tra le donne che si sono messe al servizio del potere e che supportano e propagandano la scala di valori e le scelte neoliberiste e la restante stragrande maggioranza delle donne che queste scelte le subisce.
La lotta femminista può essere di grande aiuto alla lotta di tutti gli oppressi perché, nonostante la deriva interclassista e collaborazionista che alcuni settori della lotta delle donne hanno preso in questi ultimi anni, le donne hanno ancora una capacità molto forte di riconoscersi nella comune oppressione. Questa capacità fino agli anni ’70 era propria delle classi subalterne che avevano la chiarezza del loro sfruttamento. Le faceva partecipi di una comune speranza e si riconoscevano nell’orgoglio dell’appartenenza. Ora non più, lo sfruttato è solo povero e dato che viene ritenuto colpevole della sua stessa povertà se ne convince lui stesso e se ne vergogna, e non vuole riconoscersi nel suo simile, ma anzi scarica la sua rabbia su chi è ancora più povero di lui.
Le donne si riconoscono ancora, si guardano e si leggono in un comune sfruttamento e questa è una grande forza che non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo disperdere. Mai come oggi è importante che il femminismo sia pratica storica di liberazione, cosciente, organizzata, che sia conquista di una vita mai vissuta.

Questa voce è stata pubblicata in Autodifesa femminista, Autorganizzazione, Capitalismo/ Neoliberismo e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.