Tutto il laboratorio postvittimista!

Visto l’interesse che ha suscitato e di cui siamo molto contente, pubblichiamo integralmente il laboratorio postvittimista di Nicoletta Poidimani

http://www.nicolettapoidimani.it/?page_id=337

Da vittime a soggetti. Laboratorio (pubblicato l’8 novembre 2013,  aggiornato il 25 novembre 2013 e il 23 marzo 2014)

Quella che segue è la sintesi di un laboratorio che da oltre un anno sto portando in luoghi molto differenti tra loro, dalle università a situazioni di movimento. L’obiettivo è quello di fornire strumenti critici che permettano di individuare alcuni dispositivi vittimizzanti per decostruirli in prospettiva postvittimista.

Nella prima parte del laboratorio si analizzano i dispositivi di costruzione sociale dei due generi, femminile e maschile, per poi porre una particolare attenzione al ruolo svolto dalle immagini vittimizzanti nel “naturalizzare” la contrapposizione uomo>forte/donna>debole (aspetto, questo, su cui qui non mi soffermo, rimandando al mio Oltre le monocolture del genere). Viene poi proposta una galleria delle immagini più ricorrenti che accompagnano gli articoli dei giornali on-line su casi di violenza contro le donne o che sono state utilizzate in campagne antiviolenza anche internazionali, rilevando il processo di indebolimento delle donne veicolato e rafforzato da queste rappresentazioni. Si mostrano, successivamente, alcuni esempi di immagini e campagne non vittimizzanti, rilevando come la stragrande maggioranza delle immagini utilizzate corrisponda al primo gruppo, mentre è assai raro trovarne del secondo.

La seconda parte del laboratorio si svolge in gruppi; ciascun gruppo deve individuare una tematica riguardante una delle innumerevoli forme di violenza maschile contro le donne e costruire una campagna di taglio postvittimista elaborandone slogan ed immagini. Dopo di che ciascun gruppo presenta la propria campagna e se ne discute collettivamente.

Ovviamente questo laboratorio è copyleft e auspicabilmente riproducibile; chiedo solo che se ne nomini, per correttezza, l’ideatrice…

Dopo anni di paziente lavoro da parte delle donne, il termine femminicidio è entrato a far parte del linguaggio mediatico. Ma, d’altra parte, non è cambiata la rappresentazione delle bambine, delle ragazze e delle donne di tutte le età contro le quali cui è indirizzata la violenza. I giornali on line, ad esempio, quando scrivono di casi di abusi/violenze domestiche/violenze sessuali, spesso accompagnano il testo con immagini oggettificanti e vittimizzanti.

Tali immagini, esattamente come quelle utilizzate nelle pubblicità, nella stragrande maggioranza dei casi rappresentano parti del corpo e solo di rado il corpo intero, per altro con il volto nascosto – dalle mani o da altro.

Queste rappresentazioni, così come i contenuti degli articoli stessi, intrisi di morboso voyeurismo, sortiscono come effetto l’indebolimento delle donne stesse. 
Il medesimo dispositivo viene spesso riproposto anche nelle campagne antiviolenza.

Se il modo in cui le donne vengono rappresentate è lo specchio della società in cui si vive, occorre distruggere queste rappresentazioni per liberare l’immaginario e mettere in atto un mutamento radicale nella relazione con noi stesse e tra generi. Anche cominciando a rappresentare la nostra forza di reagire possiamo sviluppare la fiducia in noi. Proviamo, allora, ad avventurarci in un percorso che ci fornisca strumenti critici per analizzare i processi socio-culturali di indebolimento delle donne ed affrontare la violenza contro le donne da una prospettiva post-vittimista, con una particolare attenzione alle strategie di empowerment – inteso come processo continuo di sviluppo di competenze e capacità e di recupero dei nostri saperi e desideri.

Mostrerò, ora, alcune tra le più frequenti immagini vittimizzanti utilizzate dai media on line e dalle campagne antiviolenza. L’uso ricorrente di queste immagini rischia di rendercele, in qualche modo, quasi familiari, ma vederle tutte in una volta ne rovescia l’effetto, rompendo la consuetudine, e le rende ancor più eloquenti, smascherandone la strategia sottesa.

MANI
Non si tratta mai di mani che fermano l’aggressore…

…eppure basterebbe così poco per trasmettere il messaggio opposto, come dimostra questa immagine tratta da una mostra di Isabel Lima del 2008

 

BOCCA
Bocche inesistenti, cucite, mute;
bocche che non sono in grado di urlare la propria rabbia

 

SANGUE E LIVIDI
Sempre lividi “passivi”: non ci sono mai nocche insanguinate per aver tirato un pugno in faccia all’aggressore…

Non manca la versione “fashion” (immagini pubblicate dalla rivista bulgara di moda Twelve nel 2012; una modalità anticipata, l’anno precedente, dallo stilista Le Mindu in una sfilata londinese, e ormai diventata consuetudine)

 

SOLITUDINE
Isolamento e disperata solitudine sono dominanti, e quando anche la donna è con altre, l’isolamento permane

Anche quando si parla di un centro di ascolto per uomini maltrattanti, è la solitudine femminile ad essere rappresentata per pubblicizzarlo, non la violenza maschile

 

L’UOMO
L’attore della violenza non è mai rappresentato se non come un pugno, un’ombra minacciosa; evoca più il “babau” che non il familiare o conoscente violento

E se anche si parla di interventi a supporto delle vittime di violenza o di donne che reagiscono, ecco che le immagini veicolano il messaggio opposto.
Si notino le date degli articoli, intorno al 25 novembre…

 

STALKING
Ho suddiviso in tre gruppi le immagini che più frequentemente accompagnano gli articoli dei giornali on line sui casi di stalking
Nel primo gruppo troviamo le immagini più utilizzate; in esse la donna non si accorge dello stalker e/o si trova generalmente sola, in luoghi bui o isolati

Nel secondo gruppo, invece, la donna si volta e guarda lo stalker, adottando una buona strategia di autodifesa: mai far finta di non accorgersi di essere seguite e voltare le spalle!

Il terzo gruppo è inquietante, perché chi guarda l’immagine è indotta/o ad identificarsi con lo sguardo dello stalker

In tutti e tre i gruppi prevalgono immagini in cui lo stalker è uno sconosciuto – a volte perfino nascosto sotto un cappuccio!
Eppure, come nella maggior parte dei casi di violenza contro le donne, anche nello stalking l’attore è, generalmente, l’ex marito/fidanzato, o comunque una persona conosciuta.
Che bisogno, avrebbe, quindi, di nascondere la propria identità?
Come per il femminicidio, anche quando i media trattano di casi di stalking assistiamo ad una mistificazione che vittimizza ed indebolisce le donne.
In questo caso con l’ulteriore perversione di farci perfino identificare con lo sguardo dello stalker…

 

CROCEFISSIONE
In una cultura intrisa di cattolicesimo, non può mancare la rappresentazione vittimizzante per antonomasia… anche in opere artistiche di denuncia e nella vita virtuale! 

 

NELLE PUBBLICITÀ
La violenza è agita o ridicolizzata – mi limito, qui, volutamente a questi tre casi, perché l’uso mercificato del corpo femminile nelle pubblicità veicola in generale un immaginario oggettificante e, dunque, disumanizzante

 

SEMI DI POSTVITTIMISMO
Le mani che veicolano un messaggio contro la violenza maschile ci portano lentamente verso la devittimizzazione, ma non sono sufficienti

Il ‘punctum’ delle immagini postvittimistiche è lo sguardo – uno sguardo di donna non più sfuggente né terrorizzato, ma (auto)determinato
[l’immagine in basso a sinistra è anch’essa di Isabel Lima]

Ed ecco come è possibile indirizzare agli uomini, con stili diversi fra loro, delle campagne antiviolenza senza vittimizzare le donne

 

25 NOVEMBRE 2013: COME VOLEVASI DIMOSTRARE…

“Il mio obiettivo era quello di  utilizzare l’espediente della provocazione e del pugno nello stomaco per riflettere e dibattere su un argomento così delicato e importante che non era naturalmente mia intenzione banalizzare o ridurre a stereotipo”, afferma l’assessora alle Pari opportunità e al welfare della Regione Liguria nel suo comunicato stampa. Eppure non solo non ci vedo alcun “pugno nello stomaco” in questo manifesto…

…ma mi permetto anche di aggiungere che la medesima immagine (che comunque non mi piace: ancora una volta si tratta di un pezzo di corpo e non di una donna intera) avrebbe potuto mandare ben altro messaggio:

nomeansno

E non si tratta di una questione ideologica, visto che anche un’adolescente sa come trasformare in pratica il concetto che NO SIGNIFICA NO! – come mi ha gentilmente segnalato il blog I racconti della Gorgone e come tante donne hanno sperimentato nella vita:

Quattordicenne aggredita alla fermata dell’autobus, reagisce a ombrellate
La ragazzina, con la sua pronta reazione, è riuscita a mettere in fuga l’uomo. […]
Viene aggredita da un uomo ma riesce a metterlo in fuga prendendolo a ombrellate. È accaduto a martedì pomeriggio a Buccinasco. Protagonista dell’episodio, una ragazza di 14 anni. La studentessa era appena scesa alla fermata dell’autobus quando è stata avvicinata da un uomo. Lo sconosciuto le ha messo una mano sulla bocca per impedirle di gridare ma la ragazza ha subito reagito colpendolo con l’ombrello. L’aggressore è quindi fuggito. Secondo l’identikit fornito dalla studentessa sarebbe un italiano tra i 30 e i 40 anni, alto e con i capelli scuri e lunghi. […]
20 novembre 2013 (dal Corriere)

UN ESEMPIO DI POSTVITTIMISMO
“Visibilizzare le mestruazioni per visibilizzare il corpo come spazio politico”. La pratica di strada delle spagnole Sangre Menstrual non solo rompe con il millenario interdetto mestruale ma, al contempo, rovescia il dispositivo patriarcale che ha bisogno di demestruare (e, aggiungerei, depilare, deodorare, ecc.) il corpo femminile allo scopo di ipersessualizzarlo e possederlo – per poi magari massacrarlo – a proprio piacimento dopo averlo ridotto ad analogo di una bambola gonfiabile.

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