La Parentesi di Elisabetta del 26/10/2016 e Podcast

“Nessuna è al riparo”

coniglia

clicca qui

Le socialdemocratiche e le riformiste sono tutte tese a far passare il concetto che le leggi possano essere strumento di limitazione del potere qualora si riesca ad apportarvi alcuni “miglioramenti”. Ne deriva una richiesta allo Stato di collaborazione tutta indirizzata a fare presenti “buone ragioni” e “ottimi motivi” per cui il potere dovrebbe accogliere istanze di cambiamento.

Dimenticano volutamente che il potere capitalista e patriarcale è assoluto e che la sua limitazione può venire soltanto da un rapporto di forza tale da poter imporre delle regole o di trasformarle.

Il collaborazionismo, invece, rafforza il potere e paradossalmente aggrava le stesse oppressioni che socialdemocratiche e riformiste dicono di voler combattere.

Le Istituzioni sanno benissimo che il legalismo le rafforza e, in un gioco delle parti, tanto subdolo quanto, allo stesso tempo, manifesto e reiterato, danno spazio a chi chiede di rapportarsi con lo Stato fornendogli, attraverso la stampa, i media, l’associazionismo e una pletora di strutture culturali, la patente di antagonista, alternativa, femminista.

L’autonomia femminista ha denunciato sempre l’arbitrarietà delle regole esistenti e la brutalità del rapporto di forza tra generi, classi, etnie. Ma il buonismo disonesto dei linguaggi politicamente corretti, della “convivenza civile”, delle quote rosa, degli “appelli allo Stato”, ha portato un attacco mortifero alle lotte del movimento femminista nel loro impegno a leggere, delle regole, la vera sostanza.

In questo modo si è costituita una legalità femminicida che ha permesso al potere attraverso la menzogna, l’inganno, la falsificazione, la mistificazione di riappropriarsi delle lotte femministe attuando con la modalità estremamente violenta della delega la ricomposizione sotto l’ombrello dello Stato delle istanze di liberazione.

La socialdemocrazia riformista, destra moderna, incarnata nel PD, è un’economia criminale, non tanto perché si fonda sulla violazione delle regole faticosamente contrattate nel passato dal lavoro nei riguardi del capitale, quanto perché tale violazione sistematica non è più considerata un crimine, se non nella visione autolesionista, chissà quanto in buona fede, dei legalisti.

Il crimine invece è nella violenza che si esplica e si perpetua nei commissariati, nei Cie, nelle carceri, nelle caserme, nella militarizzazione dei territori, nelle “guerre umanitarie”, in famiglia…nelle piazze …contro ogni forma di protesta e di alterità.

Il crimine è nella “normalità” di questa società disumana.

La violenza non è un elemento particolare ed occasionale della relazione istituzioni- cittadine/i e delle relazioni sociali, ma ne è l’elemento fondante e riproduttivo.

Nessuna ne è al riparo, come nessuna/o sarà al riparo dalla guerra mondiale in cui ci vogliono trascinare. Non ci saranno fronti, non ci sarà più distinzione fra zone militari e zone civili.

La messa in discussione dell’organizzazione sessuata, mette necessariamente in discussione l’organizzazione gerarchica, autoritaria, verticistica che si esplica sul fronte interno nei riguardi delle oppresse e degli oppressi e sul fronte esterno nei riguardi dei popoli del terzo mondo, da cui, il patriarcato per un verso ed il capitale per un altro, non possono prescindere. Non è trasfigurando le istituzioni che migliora la nostra condizione di genere oppresso, ma attraverso la capacità di abbattere le costruite differenze tra il maschile e il femminile, smascherando la pretesa di trasformare la storia in natura e l’arbitrio culturale e politico in naturale. L’approccio socialdemocratico ha sostituito il concetto stesso di lotta politica con quello di delega, ha lavorato in modo che il patriarcato e le strutture patriarcali fossero percepite come qualcosa di esterno, di altro, di sovrapposto rispetto a questa società e si è risolto nella promozione individuale di alcune a scapito della stragrande maggioranza delle donne tutte, trasformando il femminismo in un arcipelago di associazioni di categoria abilitate dalla controparte a parlare a nome delle donne, nella misura in cui le stesse si sono appiattite e hanno aderito ai valori e agli interessi patriarcali. E’ lo stesso approccio con cui le Ong e le Onlus affrontano il dramma del terzo mondo, dove non denunciano le guerre neocoloniali, non mettono in discussione la depredazione delle ricchezze di quei popoli, ma portano aiuti umanitari. Ma quelli che fanno le guerre neocoloniali e a vario titolo partecipano, compresi gli stuoli di Ong e Onlus, forma attuale dei missionari di vecchia memoria, sono, al di là delle belle parole, contro i popoli del terzo mondo, così come le socialdemocratiche e riformiste, al di là delle belle parole, sono contro le donne ed il femminismo.

Il femminismo è qualcosa di ben diverso dal collaborazionismo ed appartiene a tutte quelle che si oppongono con tutti i mezzi possibili alla società patriarcale e neoliberista, basata sul ricatto economico e sulla mercificazione, sulla guerra e sulla militarizzazione, tentando di strappare i veli che nascondono la verità.

 

Questa voce è stata pubblicata in I Nomi Delle Cose, La Parentesi di Elisabetta, La Parentesi di Elisabetta, Podcast, Trasmissione RoR - I Nomi delle cose e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.