Dalle detenute del carcere di Trieste

Riceviamo e pubblichiamo

DALLE #DETENUTE DEL CARCERE DI TRIESTE

Proposta di #battitura nazionale dentro le carceri per il 1 febbraio

Oggi 23 gennaio si è svolto un presidio sotto il carcere di Trieste.
Fin da subito i detenuti e le detenute hanno raccontato che da giorni vanno avanti gli scioperi del carrello, e questa mattina si è svolta anche una battitura. Notizia quest’ultima uscita anche su TgR del FVG.
Come altre volte dalla sezione femminile ci sono arrivate notizie sulla situazione interna. Situazione che si presenta simile in tutte le carceri italiane in questo periodo. Le detenute raccontano della totale assenza di attività al di fuori della cella. Questa situazione fa si che esse stiano la maggior parte del tempo rinchiuse, dinamica questa che va avanti da mesi portando all’esasperazione le persone. Alcune si rifugiano nelle cosiddette “terapie”, altre iniziano ad avere problemi di tenuta psicofisica, senza contare l’assenza dell’assistenza sanitaria, come una detenuta epilettica che da 4 mesi attende delle visite, o altre che non vedono la psicologa da molto tempo nonostante le loro problematiche e richieste. Inoltre la posta raccomandata arriva sempre in ritardo di 14 giorni, senza contare che alla nostra casella postale non arrivano lettere né dal maschile né dal femminile nonostante la posta inviata.
È evidente che la situazione dentro è il risultato delle politiche del Ministero di Giustizia e del DAP, ma anche dei magistrati di sorveglianza, i quali fanno si che le carceri rimangono sovraffollate. Dalle loro parole si capisce che la discussione dentro sul ruolo di psicofarmaci, terapie alternative, prevenzione della diffusione del Covid-19 e vaccini, è in corso.
Le detenute chiedono esplicitamente di divulgare a tutti i detenuti e detenute delle carceri, a parenti, amici e solidali fuori, a giornali e media, le ragioni della battitura che faranno il 1 febbraio alle ore 15.30 e chiedono una presenza di supporto all’esterno.
Le loro rivendicazioni sono:
1) Essere sottoposte a tamponi ed esami del sangue sierologici, piuttosto che essere costrette alla vaccinazione.
2) Indulto
3) Domiciliari per le persone con problemi sanitari e gravi patologie e per i detenuti in residuo di pena
Seguiranno aggiornamenti riguardo al presidio di sostegno alla battitura delle detenute.
Invitiamo i compagni e compagne a divulgare con i propri canali questa proposta delle detenute di Trieste.
Assemblea contro il carcere e la repressione

liberetutti@autistiche.org

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Gli incestuosi sono uomini come gli altri

Alcuni giorni fa, ai primi di quest’anno, in Francia è stato reso pubblico da Camille Kouchner un caso di incesto all’interno della sua famiglia che ha fatto molto scalpore. Questa la notizia: <Accusato di abusi e incesto, si dimette il noto politologo francese Olivier Duhamel. Il racconto nel libro della figlia acquisita, Camille Kouchner, in cui denuncia il suo patrigno di aver abusato del fratello gemello quando erano adolescenti.>

Riportiamo da incendo.noblogs.org un’intervista ad un’antropologa francese che si è occupata per molti anni di questa problematica e che ha scritto un libro riedito da poco sull’argomento. Mentre condividiamo l’analisi che lei fa dell’incesto come elemento strutturante della società patriarcale in quanto legato alla figura maschile di dominio  ed uso dei corpi che il maschio ritiene gli appartengano e condividiamo il fatto che gli incestuosi siano uomini come gli altri, troviamo debole la conclusione che auspica una sensibilizzazione della società come se una problematica strutturale non mettesse in causa l’organizzazione sociale nel suo complesso.

N.B. nell’intervista vengono nominati i bambini al maschile ma ci si riferisce a bambini e bambine, ragazzini e ragazzine…

<GLI INCESTUOSI SONO UOMINI COME GLI ALTRI>

Per l’antropologa Dorothé Dussy non dovremmo vedere l’incesto come una patologia ma come un meccanismo strutturale dell’ordine sociale.

L’antropologa Dorothé Dussy, autrice dell’opera <Le Berceau des dominations, amthropologie de l’inceste>(La culla delle dominazioni, antropologia dell’incesto) (fuori catalogo, ripubblicato da Pocket in aprile) ha condotto per anni interviste a vittime e autori d’incesto.

-Nel tuo libro parli della banalità dell’incesto e arrivi al punto di dire che struttura l’ordine sociale …

-Questo è l’intero paradosso di un ordine sociale che ammette l’incesto ma lo proibisce in teoria. Da settant’anni in Nord America, in Europa, in Francia: resta la stessa prevalenza di abusi sessuali su minori all’interno della famiglia, che varia dal 5% al ​​10% dei bambini secondo i sondaggi. Non è una successione di piccole congiunture che si accumulano, piuttosto un meccanismo strutturante dell’ordine sociale. Si fonda sul silenzio attorno alle pratiche incestuose: i bambini – e i loro parenti con loro – vengono socializzati con questa ingiunzione a tacere e a perpetuarla una volta che sono adulti. Viene così trasmesso di generazione in generazione.

-Quali sono i meccanismi di questa legge del silenzio?

-Non possiamo capire come funzioni l’incesto se ci atteniamo strettamente al rapporto tra chi mette in atto e chi subisce l’incesto: dobbiamo considerare anche l’intorno. L’incestuoso – non necessariamente il padre, ma il patrigno, lo zio, il cugino, il fratello maggiore – è quasi sempre un uomo che gode di una posizione dominante all’interno della famiglia. Ed è tutta quanta vincolata al silenzio: il coniuge, gli altri figli, i nonni, il resto dell’entourage frequentato nella quotidianità o in vacanza. Dall’aggressore alla vittima, il vincolo al silenzio si gioca su più registri: quello della seduzione, della clandestinità (“È il nostro piccolo segreto”) o della minaccia (“Tua madre soffrirà se parli”). Spesso non servono nemmeno le parole. L’incesto funziona sempre attraverso un meccanismo di retribuzione: quelli che mettono in atto l’incesto costruiscono la sensazione di aver estorto un servizio sessuale al bambino in cambio di un regalo. Questo dà loro l’impressione di aver pagato la vittima e che l’atto non sia quindi un problema.

-Anche una volta rivelato, la famiglia spesso preferisce negare o sminuire l’incesto e fare quadrato attorno all’autore?

Sì. Il cuore dell’ordine sociale è il funzionamento incestuoso della famiglia. Questa può funzionare molto bene, anche con un membro che ne aggredisce altri quotidianamente per anni. D’altro canto se il fatto venisse svelato, si fermerebbe tutto. Quindi, per mantenere l’ordine familiare, la famiglia si chiude nel silenzio. In generale, escludendo la vittima che svela i fatti. La famiglia Duhamel è un caso da manuale: i bambini Kouchner non vedevano più la loro madre. A parte la zia e alcune persone che hanno preso le distanze, tutti hanno continuato a frequentare questa cerchia familiare. Chi ha svelato è stato escluso.

-Gli autori di incesto sono spesso molto ben integrati nella società. Dobbiamo scostarci quindi dal mito del mostro incestuoso? Continua a leggere

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I Puntini sulle A/Materiali per il quinto incontro

Materiali per il quinto incontro de                                            <I Puntini sulle A>

<Il multilavoro delle donne nel capitalismo neoliberista>

Storia e memoria

-M. C. Cappello, Nel dominio del tabacco, Edizioni Kurumuny, Palermo 2019 …sullo sfondo di un miracolo economico impercettibile, il libro indaga il lavoro, la vita, le lotte collettive delle tabacchine salentine nel primo ventennio repubblicano.

-Il lavoro delle donne nella grande guerra/uno snodo per l’ingresso delle donne nel lavoro fuori dalla famiglia

-La storia politica del pantalone

Sul lavoro salariato

-L’immondo del lavoro/le cottimiste del lusso da radiocane.info

-Avete visto il film <Louise-Michel> Francia 2008? assolutamente da vedere!

-La lotta delle facchine della Youx<“Tu devi scegliere tra me, Dio e lo stipendio, perché lo stipendio te lo do io e io sono il tuo Dio …”

Per Maria<Non si può vivere per anni sul ciglio del burrone…>

Sul lavoro riproduttivo e di cura

“Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato. La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo. Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà è un incidente sul lavoro.” <Il punto zero della rivoluzione>Silvia Federici. Ombre Corte 2012

Mariarosa Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Venezia, Marsilio Editori, 1977/Gruppi per il salario al lavoro domestico.1972

Lavoro: materiali per una discussione femminista sul lavoro e oltre

Nel nostro specifico il rifiuto del lavoro riproduttivo e di cura rappresenta la consapevolezza del ruolo che ci è attribuito in questa società patriarcale e capitalista, rifiuto coniugato a quello del lavoro produttivo che ci viene assegnato come lavoratrici all’interno del percorso emancipatorio e che ci divide in due percorsi, quello di serie B a cui è destinata la stragrande maggioranza delle donne che possono essere ricacciate nel ruolo domestico e tradizionale qualora non servano e quello di serie A delle donne che si prestano in cambio della propria promozione personale a diventare partecipi attive del neoliberismo e del patriarcato.

-due trasmissioni de “I nomi delle cose”  una su “Il rifiuto del lavoro” del 15/05/2013 e l’altra su “Il rifiuto del non-lavoro, lavoro di cura e lavoro riproduttivo” del 22/05/2013, con i link e i riferimenti degli articoli che legano l’attualità alla storia e alla teoria.

-L. Abbà, G. Ferri, G. Lazzaretto, E. Medi, S. Motta, La coscienza di sfruttata, ed. Mazzotta 1975

Sulla flessibilità

Michelle Perrot, Le tre età della disciplina industriale nella Francia del XIX secolo, in Cultura operaia e disciplina industriale, annali della fondazione Basso, Milano, 1982;

A. Bellavitis, S. Piccone Stella, Flessibili, precarie, in Genesis, rivista della società italiana delle storicheottobre 2008, n. VII/1-2

E. Betti, Donne e precarietà del lavoro in Italia, in I. Massulli, Precarietà del lavoro e società precaria nell’Europa contemporanea, Roma 2004;

E. Betti, Precarietà e fordismo. Le lavoratrici dell’industria bolognese tra anni Cinquanta e Sessanta, in Zazzara G.,Tra luoghi e mestieri. Spazi e culture del lavoro nell’Italia del Novecento, Venezia, 2013

A. Groppi, Il lavoro delle donne, Roma 1996

Sull’emancipazionismo

-E.Teghil, Le patriarche/in Femminismo materialista, Bordeaux, 2015

-C Morini, La serva serve/le nuove forzate del lavoro domestico, Deriveapprodi 2002

-C.Morini, Per amore o per forza/femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Ombre Corte,2010

Sulla patriarcalizzazione della società

S.Ongaro, Le donne e la globalizzazione, Rubettino, 2001

-Autovalorizzazione, etica della devozione, profilazione

-Il lavoro e il tempo della vita < “Ho pensato a quanto spiacevole sia essere chiusi fuori e ho pensato a quanto peggio sia essere chiuse dentro”   Virginia Woolf

[…] Ma tutto questo a noi non è nuovo. A noi donne è sempre stata chiesta la dedizione assoluta al nostro lavoro-non lavoro, il lavoro riproduttivo e di cura. Nel lavoro di cura e riproduttivo non esiste la differenziazione tra il tempo del lavoro e il tempo libero, non esistono ferie e vacanze. Il coinvolgimento nelle sorti dell’impresa, vale a dire della famiglia, intesa anche nella sua accezione più varia ed allargata o ristretta, moderna o post moderna, è totale. Il tempo della vita è assimilato al tempo del lavoro e il tempo del lavoro a quello della vita in una perenne sovrapposizione e coincidenza. Il capitale, in particolare, è stato così bravo, poi, da ammantare il tutto di connotati romantici. L’amore romantico è quello che permette il nostro asservimento volontario al lavoro di cura e riproduttivo, quell’alienazione gioiosa che il neoliberismo vuole oggi dai lavoratori e dalle lavoratrici per cui ci si realizza solamente in una dedizione assoluta e senza rimpianti perché questo è il nostro unico orizzonte possibile. E per chi non ci sta, come per le streghe, stigma, condanna ed esclusione sociale. La nostra esperienza di genere oppresso può essere più che mai utile in questo passaggio storico per suggerire, escogitare, trovare e mettere in atto vie di fuga e percorsi di ribellione. Più che mai genere e classe e meno che mai quote rosa e recinti protetti.[…]

-Lo sciopero delle donne: interclassismo e spoliticizzazione

-Trasformazioni in corso nei rapporti di riproduzione Paola Tabet

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Far vivere il grido

Il capitalismo E’ la pandemia

“Muovetevi il meno possibile perché altrimenti il sistema non reggerà”.

da https://vitalista.in/  31 ottobre 2020Niente e nessuno è neutrale in questo mondo. Niente e nessuno può essere neutrale in un mondo ordinato dalla guerra di classe, sulla linea della razza, nella riproduzione del patriarcato e per la predazione di tutto il vivente.
Un comando è tale perché rivolto a chi deve sottomettere.
Un comando di sistema è necessario per la irriducibilità di un sistema alla vita.
Quello che il sistema non reggerà è l’irriducibilità delle nostre vite al sacrificio cui le destina.
Il sistema non reggerà perché non può funzionare per la riproduzione della nostra vita invece che per quella dell’economia. Che il sistema non reggerà è un dato di fatto a misura di un mondo fatto dal capitale.
Se lo sfruttamento non può ammalarsi ma può solo ammalare noi non possiamo ammalarci nel tempo di lavoro: dunque diventa quarantena tutto e solo il tempo che resta fuori dal lavoro. Ovvero deve cessare di esistere un tempo fuori dal lavoro.
Bar e ristoranti sono contagiosi nel tempo libero ma non quando vai al lavoro o a un pranzo di lavoro.
Nel tempo libero bisogna confinare chi consuma ma non chi lavora correndo di casa in casa per fare consumare anche nel confinamento.
Ammassarsi sui mezzi pubblici contagia ma i mezzi pubblici non possono aumentare.
Sui mezzi pubblici per diminuire il contagio non devono diminuire i lavoratori ma chi non lavora.
Bisogna tenere a casa gli studenti ma non i bambini: il cui confinamento graverebbe sul lavoro.
Il virus contagia nella scuola secondaria superiore ma non nella scuola dell’obbligo.
Non bisogna muoversi, bisogna stare in casa, ma gli sfratti non si possono fermare.
Gli uffici vanno svuotati con il telelavoro, ma non possono andarci le fabbriche, i campi e gli hub della logistica.
Le carceri e i lager del sistema di apartheid istituzionale sono esclusi dalla preoccupazione del contagio, devono continuare a riempirsi per trattenere, sottomettere dividere e ricattare la forza lavoro necessaria agli hub, ai campi, alle fabbriche.
Si possono istituire nuovi focolai di contagio se si tratta di istituire nuovi lager come sulle navi dette di quarantena. E si istituiscono nuove estensioni dello stato di eccezione che regola le vite oppresse in questo mondo.

Lo stato di eccezione si prende il mare che ci circonda per prendere il controllo delle vite da sottomettere proprio come prende il controllo del nostro tempo per prenderci interamente sotto il capitale.
È vero: è una questione di vita o di morte. Nella pandemia come nella predazione del vivente e del pianeta.
Tutta la vita messa al lavoro. Tutta la vita sottomessa al capitale. Tutta la vita messa in questione.
Un grido dalle carceri a marzo. Un grido dai lager, dai campi, dagli hub ogni giorno. Un grido dalle strade di Napoli, di Torino, di Milano da una settimana.
Come una eco del grido che sale da maggio a oggi da Minneapolis a Philadelphia.

Il sistema deve saltare. Il sistema è il capitalismo. Il capitalismo è la pandemia.
Nessuna risposta possiamo avere sulla vita.
Nessuna richiesta dobbiamo fare se si tratta della nostra vita.
Dobbiamo agire. Imparare a fare eco. Fare vivere il grido.
Cessare di vivere sotto la regola dello stato di eccezione.
Creare il reale stato di eccezione.
Muoverci. Fermare tutto.
Attaccare le infrastrutture produttive. Andare a prendere il denaro.
Distruggere la merce. Scioperare la metropoli. Abitare senza pagare.
Sovvertire i saperi. Distruggere ogni carcere. Abolire la polizia.
Vivere altrimenti. Fare vivere ogni eco. Imparare a vivere come un grido di vita del mondo.
Essere infanzia del mondo. Ridare vita alla terra.

La vita trova una via.

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I Puntini sulle A/ il nuovo appuntamento!

Quinto appuntamento de <I Puntini sulle A>

sabato 30 gennaio 2021

<Il multilavoro delle donne nel capitalismo neoliberista>

con Concetta Cappello/ Tania Lombardo/ Elisabetta Teghil

dalle 15 alle 18 al Cantiere Sociale Versiliese , Via Belluomini 18 a Viareggio, gli incontri sono per sole donne.

Anche se le date sulla locandina della seconda parte degli incontri, per cause non dovute alla volontà delle organizzatrici, sono variate e si naviga a vista, la riportiamo comunque come riferimento generale.

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Il vecchio capo come il nuovo capo

Negli Stati Uniti in concomitanza con l’insediamento di Biden sono scesi in piazza i movimenti anticapitalisti e contro il neoliberismo e il suo portato neocoloniale, suprematista, distruttivo consapevoli delle scelte politiche neoliberiste e guerrafondaie che hanno sempre caratterizzato Biden e, noi femministe, ricordiamoci sempre chi è Kamala Harris.

da infoaut.org

“Mentre la transizione da Trump a Biden cambierà sicuramente drasticamente il contesto delle lotte sociali, dei conflitti di classe e dei movimenti di massa negli Stati Uniti – le realtà fondamentali della disuguaglianza razziale e della ricchezza, la repressione statale, le ricadute ecologiche e il declino delle condizioni materiali non lo faranno molto presto, non importa chi è il presidente. Il compito dei movimenti autonomi anticapitalisti e anticoloniali quindi non è solo quello di adattarsi e crescere con il terreno in evoluzione, ma di continuare a organizzarsi e mobilitarsi nelle rispettive comunità; costruire basi di sostegno e comunità di resistenza di fronte al capitalismo neoliberista e al suprematismo bianco.”

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Con le/gli studenti del liceo Kant in lotta

Questa mattina le/gli studenti del Liceo Kant, qui a Roma, in occupazione, sono stati aggrediti dalla polizia.

Qui un video https://www.facebook.com/watch/?v=113544600650417

La così detta pandemia ha dato e sta dando modo al sistema di potere di portare a termine una ristrutturazione della scuola, a tutti i livelli, che distrugge, con la DAD e con tutti i dispositivi di controllo gerarchico, selettivo, di isolamento, di selezione classista, l’idea stessa di didattica come accesso al sapere sociale per permettere la costruzione di individualità isolate e disponibili a qualsiasi forma di sfruttamento incapaci di riflettere e reagire. Per fortuna serpeggia insofferenza e consapevolezza.

A proposito del percorso neoliberista nel mondo della scuola vi linkiamo le riflessioni femministe che abbiamo fatto in questi anni.

1-Scuole sicure, controllo assicurato

2-Al liceo Virgilio è arrivato anche il SAP(sindacato autonomo di polizia)

3-I carabinieri al Liceo Virgilio!

4-DOSSIER/DALL’UNIVERSITA’ AI CONTESTI CIVILI: LA MILITARIZZAZIONE DEL SOCIALE“La paura determinerà la politica europea e internazionale dei prossimi anni” Marco Minniti, Ministro dell’Interno.

5-Riflessioni femministe sulla scuola

6-Delle prassi infami dell’alternanza scuola-lavoro

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sabato 23 gennaio 2021 /presidio contro il carcere a Trieste

Dalle compagne dell'<Assemblea permanente contro il carcere e la repressione>

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Riprende l’autoformazione femminista!/ I Puntini sulle A!

I PUNTINI SULLE A!

Carissime, dopo esserci confrontate abbiamo deciso di riprendere l’autoformazione femminista, per varie ragioni: prima di tutto perché ci fa bene al cuore il confronto tra compagne e perché siamo stufe di dover sentire solo discorsi su covid e vaccini, come se al mondo non esistesse più nient’altro, come se lo sfruttamento capitalistico e la violenza patriarcale fossero lontani ricordi, mentre mai come oggi si manifestano in tutta la loro ferocia.

Ci sembra, quindi, importante ripartire con un incontro su donne e lavoro – o, meglio, sul multilavoro delle donne.
Abbiamo sentito le compagne che avevamo invitato per l’incontro, poi annullato, del 16 gennaio e abbiamo trovato in loro una forte risonanza.
Per questo si è deciso insieme che sabato 30 gennaio si terrà al Cantiere sociale versiliese l’incontro di autoformazione riservato alle donne IL MULTILAVORO DELLE DONNE NEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA, con Concetta Cappello, Tania Lombardi ed Elisabetta Teghil. Come sempre dalle 15 alle 18.
Saremo felici di rivedervi e riprendere insieme il filo di un discorso e di un percorso necessari a rafforzare le nostre difese immunitarie anticapitaliste e antipatriarcali.
Vi aspettiamo!

Nic e le Donne in Cantiere

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La banalizzazione del male

http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1569

Tante sono le cose che mi stanno nauseando in questi mesi in cui il covid sembra l’unico problema che ci riguardi.

In questa monodimensionalità riduzionista di ogni discorso, una questione più di tutte mi fa infuriare: il proliferare dell’uso del termine negazionismo.

Non bastanti i ‘negazionisti’ del covid – categoria in cui si ritrova infilato/a a forza chiunque non si allinei col discorso dominante – ora ci sarebbero anche i negazionisti della neve. Manca solo di sentir definire negazionista chi non crede nell’esistenza di una o più divinità…

Ma il negazionismo ha una sua precisissima connotazione storica e politica. Gli studi di Enzo Collotti sono preziosi per comprenderne l’ideologia e il progetto sottesi. L’uso inappropriato e volutamente sommario di questo termine non fa che ridimensionare le responsabilità storiche di fascismo e nazismo.

Processo, per altro, in atto da decenni – e, va detto, anche con la complicità di certa sinistra venduta al neoliberismo.
La condanna politica dell’antifascismo militante, dalla Volante Rossa <http://www.colibriedizioni.it/fuoricollana/schede/volante.html> ad oggi, il moltiplicarsi di inviti al dialogo e alla libertà di parola di neofascisti e neonazisti, sono stati soltanto alcuni degli strumenti di questo processo, i cui effetti si rispecchiano anche nel rafforzarsi delle reti nazifasciste e nel loro riorganizzarsi sul piano militare.

Anche questa banalizzazione del male alimenta l’immonda cloaca ideologico-politica che ci sta sommergendo in questi mesi – e da cui non sarà semplice uscire per lungo tempo, se mai ci riusciremo.

Occorre ridare senso e rigore alle parole che usiamo e rifiutarci di parlare un linguaggio che umilia le nostre intelligenze. Occorre tornare a ragionare, a confrontarci e a non permettere alcuna laida operazione sulla nostra storia e sul nostro presente. E per fare tutto questo occorre ritrovare la nostra dignità. Senza timori.

L’immagine del post è tratta dalla copertina degli atti del convegno “Nazismo oggi. Sterminio e negazionismo” (Brescia 10.12.1993)

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Dana e altre detenute in sciopero della fame

Tutta la nostra solidarietà e vicinanza a Dana e alle altre detenute che hanno cominciato lo sciopero della fame

notav.info

Abbiamo appreso la notizia che da questa mattina (21 gennaio 2021) Dana e altre due detenute hanno cominciato lo sciopero della fame, costrette dalla grave situazione che stanno vivendo all’interno del carcere delle Vallette.

Sono importanti le motivazioni che le hanno spinte a questa forma di protesta pacifica:

  • La diminuzione delle ore di colloquio previste per legge (anche in videochiamata)
    Le sei ore che ogni detenuta ha a disposizione per legge per effettuare colloqui in presenza che, sospesi per via della pandemia Covid-19, sono stati sostituiti da video chiamate che però non mantengono mai il monte ore settimanale complessivo, ma al contrario lo diminuiscono se non direttamente dimezzato.

Questo mancato mantenimento delle ore di colloquio familiare previste per legge, colpiscono duramente il diritto all’affettività garantito dal Ministero di Grazia e Giustizia, ma non solo, vanno a calpestare la dignità delle detenute e dei detenuti.

  • Il secondo punto delle motivazioni dello sciopero tratta il tema dei colloqui in presa in tempi di restrizioni dettate dai DPCM emanati dal Governo.

Dal momento in cui il carcere ha riaperto la possibilità di effettuare le visite familiari, tantissimi parenti si sono recati al carcere per effettuare le prenotazioni, solo che una volta presentatisi in loco, a tutti quelli provenienti da fuori Torino è stato vietato l’accesso al carcere con la scusante della Zona Arancione. Come se non fosse un motivo di primaria necessità quello di incontrare i propri parenti detenuti. Ma non solo, sono stati respinti e colpevolizzati per essersi presentati, nonostante non sia giunta a loro alcuna comunicazione da parte della Casa Circondariale.

A fronte di questa immotivata privazione, il carcere delle Vallette non prevede ad oggi alcuna forma sostitutiva che garantisca le 6 ore di colloquio anche sottoforma di video chiamata.

Per queste ragioni da questa mattina Dana, S. Calabria e M.E. Calabrese hanno iniziato lo sciopero della fame che porteranno avanti ad oltranza fino a che non saranno nuovamente garantiti i loro diritti. Continua a leggere

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Allucinante!

Oggi, 19 gennaio, a Torino nel quartiere Aurora, in un momento socialmente devastante sotto tutti i punti di vista come quello che stiamo attraversando, i nostri esimi governanti hanno trovato il tempo e il modo con un’arroganza fuori misura di sgomberare <Serrande Occupate>, occupazione abitativa di una palazzina di cinque piani in Corso Giulio Cesare 45.

https://www.infoaut.org/precariato-sociale/torino-sgombero-poliziesco-all-alba-delle-serrande-occupate-in-corso-giulio-cesare-45

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Le case che eravamo

Un bel film di Arianna Lodeserto per riflettere sulla città che eravamo, su quella che siamo, su quella che ci stanno preparando, la smart city, e su quello che dovremmo fare…

“Le case che eravamo”

case soffitte, case marrane/ case tende e capanne/ case grotte e caverne/ case foglie e lamiera/ case tangenti e tangenziale/ case non assegnate/ case strade/ sono le case nuove e le case liberate/ brevi interstizi nell’ingordo speculare.

E sono pure le maglie mobili/ di un quartiere/ riscritto tutto d’un fiato/ che abbiamo corso per riprenderci/che abbiamo spezzato/per non sopprimerci/ che abbiamo(infine) compreso.

clicca sulla foto

Questo film è dedicato a chi/su questa terra e sulle altre/in questo tempo e negli altri/ è ancora in cerca di una casa.

E poi a Cecilia Mangini, e a mia Nonna./ All’essere donna, all’essere in lotta.

Scritto e montato da Arianna Lodeserto

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Processo NO TAP/dichiarazione spontanea di una compagna

da ilrovescio.info

Processo contro 90 NO TAP e dichiarazione spontanea di una compagna

Nella mattinata di questo venerdì 15 gennaio, la Pm ha formulato nell’aula bunker del carcere di Lecce le richieste di condanna nei confronti di 90 No Tap, imputati in un processo che cita diversi episodi di lotta in un arco di tempo che va dal 2017 al 2018. I reati sono di vario tipo, da violenza e resistenza a pubblico ufficiale a violazione del foglio di via da Lecce e Melendugno, i luoghi dove più si è sviluppata la lotta contro la multinazionale del gasdotto. Le condanne richieste in primo grado vanno da un minimo di 2 mesi ad un massimo di 2 anni e 3 mesi.

Durante l’udienza una compagna ha esposto una dichiarazione in merito alle accuse che le vengono poste, qui di seguito ne pubblichiamo il testo.

Sono imputata, in questo processo, per aver violato ripetutamente l’ordine che mi vietava di essere presente sul territorio di Lecce e Melendugno. Alcuni poliziotti, in veste di testimoni, hanno sottolineato che deliberatamente, in spregio al loro servizio di osservazione, io trascurassi di nascondermi o di camuffare il mio aspetto. Le molte fotografie che mi ritraggono confermano questa osservazione. In effetti, ho sempre partecipato alle manifestazioni e ai vari momenti di protesta senza badare a quella prescrizione e senza nascondermi. E ho spesso preso la parola, come molti altri, per ribadire le ragioni di quelle mobilitazioni che in due anni hanno coinvolto un gran numero di persone. Non me ne vogliano i signori della questura, ma ritengo che le ragioni che mi portavano nelle zone interdette, rischiando le imputazioni che qui mi vengono mosse, fossero altra cosa che lo spregio per la digos di Lecce. Si tratta di ragioni che rinuncio ad esporre in tuttala loro ampiezza e profondità, anche perché ritengo che un’aula di tribunale sia la sede meno adatta allo scopo. Basterà dire che, non a caso, le ragioni a cui alludo sono tutte rappresentate nell’elemento mancante nelle cronache rese dai poliziotti qui testimoni, che tratteggiano uno scenario piuttosto semplificato, piatto, diciamo bidimensionale, in cui le forze dell’ordine fronteggiano un gruppo di facinorosi sullo sfondo di cantieri, cancelli, strade poderali, uliveti. Le mie ragioni, invece, sono tutte nella terza dimensione, quella dello sfondo. Si tratta di luoghi che hanno subìto lo sfregio indelebile di un’opera aberrante, il gasdotto TAP. Un’opera imposta dall’alto e sempre rifiutata dagli abitanti perché stravolge ecosistemi delicati, mette a rischio la salute umana, disturba l’economia locale. Quell’opera, in definitiva, rappresenta la voracità del capitale transnazionale di fronte al quale le comunità locali dovrebbero soccombere. L’impressionante mobilitazione di uomini in divisa a difesa del Consorzio Tap e contro i contestatori dell’opera ha reso palese a molti l’asservimento dello Stato a quelle, superiori, ragioni. La militarizzazione di un vasto territorio e la sospensione della libertà di movimento al suo interno, questo sì, in spregio alla popolazione, sono solo alcune delle ragioni che mi hanno consigliato di partecipare anziché desistere, di recarmi nei luoghi vietati, anziché rispettare i divieti che mi sono stati imposti. Così ho scelto di rispondere ad un mio personale imperativo etico, tralasciando l’ingiunzione dell’autorità e presentandomi nei luoghi preclusi.

Mio unico rammarico è, semmai, di non aver fatto abbastanza efficacemente.

https://comunellafastidiosa.noblogs.org/post/2021/01/16/processo-contro-90-no-tap-aggiornamenti-e-dichiarazione-spontanea-di-una-nostra-compagna/

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Dare voce a chi non ha voce

Riceviamo e diffondiamo:

Sono giorni sempre più difficili per chi è in carcere e per noi che abbiamo i nostri cari lì dentro. Non mancano le proteste perché la situazione è al collasso. Anche a Rebibbia il Covid è arrivato come una tempesta e ci sono molti contagi.

Al g12 la situazione è la seguente: i contagi da Covid sono saliti vorticosamente al punto che l’intera sezione è stata posta in isolamento con conseguente divieto di colloqui visivi con i nostri cari fino a data da destinarsi. Numerose sono state le telefonate dai detenuti e le mail che abbiamo ricevuto nelle quali raccontano di uso di manganelli e di gas fumogeni nelle celle per contenere da parte della Celere una protesta più che pacifica e più che giustificata come diversamente è stato detto invece dalla Direzione di Rebibbia,  da parte della sezione, che ha espresso la volontà di capire che cosa stesse succedendo e la richiesta più che giustificata di aumentare le misure di sicurezza che quotidianamente vengono a mancare per ovvi e risaputi motivi di capienza delle celle stesse. I detenuti della sezione sono stati rinchiusi nelle loro celle h 24 in un misto tra soggetti sani e soggetti contagiati. Senza possibilità di essere protetti perché non sanno dove collocarli visto anche il sovraffollamento che caratterizza il carcere di Rebibbia. Ci teniamo a raccontare la verità perché ogni volta le voci dei detenuti non escono, le proteste sembrano sempre senza ragione e il comportamento delle guardie eternamente giustificato. Ci sono persone che oltre al Covid, erano già in gravi condizioni di salute e che sarebbero dovute uscire da mesi per non rischiare ulteriormente la vita con una pandemia che sta uccidendo in tutto il mondo. In tutto questo i magistrati sembrano non tenere conto della pandemia che sta dilagando in carcere con continui rigetti sulle richieste di sfollamento e di differimento delle pene sostenendo che la situazione è sotto controllo e che il covid non c’è.

Il Covid c’è eccome ma non ne parlano!!!!Il Covid è entrato a Rebibbia e sta dilagando e ha già ucciso. Ne vogliamo parlare noi e dare voce ai nostri cari da qui fuori. Dare voce alla paura… la loro e la nostra. Dare voce al DIRITTO ALLA SALUTE che non va negato “a” e “da” nessuno!

Parenti e amici dei detenuti

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