Riceviamo da una compagna di Napoli il volantino che segue importante e condivisibile.
NO AL GREEN-PASS PER LA CIRCOLAZIONE
LIBERTA’ SENZA CONDIZIONE
<Se il semplice fatto di vivere è un diritto concesso, il prodotto di un ricatto, allora la vita stessa diventa una prigione e la lotta per la libertà diventa lotta per la vita.>
Un gruppo di cittadine e cittadini napoletani contro il Green-pass
Fin dall’inizio della pandemia, abbiamo assistito ad un’alleanza, per certi versi inedita, fra potere politico e scienza medica. Certamente, in una situazione di emergenza pandemica, il parere medico diventa fondamentale; tuttavia, in questa particolare congiuntura, abbiamo visto la terapia medica diventare addirittura un nuovo modello di governance politica.
È stato un cambiamento di non poco conto, che ha portato con sé innumerevoli conseguenze. La prima e più rilevante riguarda il dibattito pubblico e democratico che, di fronte alla priorità assoluta assegnata alla “salute pubblica”, è stato brutalmente sospeso.
Abbiamo visto la scienza farsi dogma, per bocca di certi suoi rappresentanti spalleggiati da politici ed opinionisti, negare ogni dialettica e tradursi in un nuovo, paradossale “ipse dixit”, diventando un feticcio, un mistico totem cui affidare a occhi chiusi la salvezza, rinunciando ad adoperare proprio quelle risorse critiche e analitiche che ne dovrebbero costituire l’essenza e il metodo peculiare. Opinioni divergenti sulle strategie più utili ad affrontare la pandemia, espresse da medici e ricercatori parimenti autorevoli, sono state brutalmente censurate o schernite.
Da due anni, cioè da quando la pandemia è scoppiata, siamo vittime di una riduzione coatta e mortificante del nostro orizzonte esistenziale alla sola dimensione biologica: ormai ci percepiamo, siamo descritti e ci trattiamo, perfino, esclusivamente come potenziali incubatori del virus della Covid-19.
Il virus ha giustificato, da parte dei governi che si sono susseguiti, il ricorso continuativo allo “stato di emergenza”, una misura che, implicando la sospensione di tutti i diritti fondamentali, o denota uno stato di guerra o diventa il contrassegno più eloquente della transizione ad una dittatura.
Per i cittadini e per le loro relazioni private, fortemente influenzate dalla narrazione dominante dei media, focalizzata esclusivamente e in modo martellante sul dato sanitario e sull’andamento del contagio, il virus è diventato il parametro assiologico supremo su cui modellare ogni giudizio e ogni opzione.
Da due anni siamo indotti a concentrarci esclusivamente sui livelli di garanzia, relativamente al contagio, che possiamo reciprocamente esibire o attestare ad ogni contatto, con tutto ciò che questo comporta in termini di ossessioni profilattiche, di censure autoinflitte, di inibizione dell’emotività, di accanimento delatorio, di rinuncia antropologicamente e culturalmente inammissibile a pratiche fondative della civiltà, come l’accompagnamento alla morte e il compianto funebre, e di abdicazione irrazionale ad ogni disamina critica di fronte all’onnipervasivo ed unico “rimedio”, il vaccino, presentato come la panacea “normalizzante”.
Abbiamo sopportato, in questo clima, divieti contraddittori, vessatori e ipocriti; abbiamo subito restrizioni severe della libertà di movimento, la prima e più naturale libertà di tutti i viventi; abbiamo dovuto osservare il cosiddetto “coprifuoco”, un termine che evoca non a caso e in modo del tutto specioso uno stato di guerra, adoperato per predisporre la popolazione ad accettare la dismissione quasi totale delle libertà di circolazione e manifestazione del dissenso, in ragione di una condizione di emergenza sanitaria. Continua a leggere