Sorveglianza sociale e sorveglianza speciale

SORVEGLIANZA SOCIALE E SORVEGLIANZA SPECIALE

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A dicembre il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della misura di sorveglianza speciale per Zac (ora prigioniero nel carcere di Terni) per due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla
sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.
La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua.
Ad oggi, la guerra contro il nemico interno si è sovrapposta irrimediabilmente a quella contro il nemico esterno, in un unico movimento per l’accumulo di predominio politico, economico e culturale che va innanzitutto a svantaggio delle popolazioni e degli oppositori.
In questo quadro l’accorpamento della magistratura antimafia e antiterrorismo (2015) ha generato una macchina strapotente che si autoalimenta con sempre nuove inchieste e mezzi a disposizione per sorvegliare sempre più persone o far credere di farlo, con l’obiettivo di instillare la paura e fare il vuoto intorno a chi viene colpito più direttamente.
Contro ogni distinzione tra colpevoli e innocenti, che è puro arbitrio dell’inquisizione democratica, sostenere le ragioni della rivolta e le identità messe sotto attacco, è una questione di autodifesa collettiva. Gli strumenti repressivi sempre più duri che vengono usati contro determinate categorie di persone sono destinati ad espandersi. L’ampliamento del regime del 41 bis, la storia recente dello strumento repressivo del 270 (associazione sovversiva), l’imputazione di Zac per 270 quinquies (autoaddestramento), il pacchetto sicurezza, il decreto Caivano, l’estensione della sorveglianza e della carcerazione a tutti i livelli, ne sono un esempio. Su questa stessa scia, i sindacati autorganizzati
vengono accusati di associazione a delinquere, la lotta dei disoccupati organizzati diventa
estorsione, gli scontri in strada puniti con l’aggravante camorristica, le pubblicazioni o gli striscioni censurati con l’accusa di istigazione a delinquere o apologia di terrorismo.
Anche l’estensione delle misure di prevenzione e del dispositivo della “sorveglianza speciale” –storicamente usate per punire poveri, briganti e antifascisti – è una delle tante conseguenze della fusione di apparati antimafia e antiterrorismo e della necessità di equiparare l’armamentario di guerra contro la criminalità organizzata e quello (mediatico, giuridico, linguistico) contro i dissidenti. Non è un caso che nell’odierno stato di emergenzialità permanente queste misure vengano richieste e elargite automaticamente e parallelamente all’accusa di terrorismo – come nel caso di Zac – o anche ben prima. Basta essere costretti in una delle categorie costruite, col linguaggio e col diritto, come “socialmente pericolose”, per vedere le proprie residuali “libertà”, già di per sé
forme illusorie del sistema democratico, ulteriormente ristrette dalla sfilza di obblighi e divieti prescritti dalle misure di prevenzione. Questo sistema è storicamente espressione di una radicata cultura del sospetto e della tendenza, fin dalla colonizzazione del Sud Italia, a trasformare le questioni sociali, gli ideali e le lotte in problemi giudiziario-criminali.
Fino ai nostri giorni, quando l’obbligo di dimora, il domicilio coatto, il coprifuoco, il divieto di frequentare luoghi pubblici e di intrattenimento, che sono l’armamentario dispiegato dalle misure di prevenzione, sono stati oggetto di una sperimentazione di massa in tempi di guerra contro un nemico invisibile, quando il terrorista era un virus, e tutti indiscriminatamente, dovevano mettersi al riparo seguendo le regole di distanziamento sociale, umano e politico.
La morale securitaria che connota il XXI secolo e il terrorismo di Stato che opera attraverso l’apparato mediatico e giudiziario antiterroristico porteranno all’estensione su scala sempre più ampia di questi strumenti già impugnati contro gli oppositori del passato, grazie all’indeterminatezza costitutiva della norma e all’attuale momento storico. Tradendo i presupposti dello stesso (raccapricciante) diritto borghese, nato sul principio (comunque di impossibile applicazione se laddove c’è Stato non c’è libertà) che il corpo dovesse restare “libero” fino all’accertamento in sede processuale di una presunta colpevolezza (che non è già vero nel caso della carcerazione preventiva), le misure di prevenzione avvinghiano alle loro catene di carta intere categorie di persone senza alcun bisogno di processare degli atti come reati, perché a essere “rea” è già solo la personalità, l’ambiente, la condotta, l’idea. Questi dispositivi di psicopolizia, del resto, non sono volti a punire “reati”, ma a evitare che possano verificarsi, perciò impongono sequele di processi alle intenzioni, o meglio, ai pensieri potenzialmente trasformabili in atti… prima che si
trasformino in atti. La sorveglianza speciale, quindi, è potenzialmente elargibile a chiunque, persino (si veda il decreto Caivano) a degli adolescenti. Un mezzo strapotente.
La criminalità organizzata di Stato che ha ipotecato le nostre vite al capitale sembra avere campo sempre più largo per reprimere il dissenso e per poter eseguire il prelievo necessario alla ristrutturazione capitalistica in corso, resa possibile dalla transizione digitale. Questa neoschiavitù, in cui ogni corpo è diventato una miniera da cui estrarre dati, è la più infame delle estorsioni. Continua a leggere

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8 marzo 2024/ FPLP/ La guardiana del sogno e lo scudo della rivoluzione

Poster del PFLP per la Giornata Internazionale della Donna “L’8 marzo, La donna palestinese La guardiana del sogno e lo scudo della rivoluzione”

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 7 marzo 2024

Zardins Magnetics di giovedì 7 marzo 2024

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

Gli argomenti:

✓ Aggiornamenti sulle lotte contro la società della sorveglianza, la detenzione amministrativa e tutte le galere, la fabbrica delle espulsioni, il patriarcato, l’intelligenza artificiale, tutte le frontiere, il capitalismo e il colonialismo… E mai finisce

✓ “Discorrendo di rivoluzione”  E. Malatesta 23 novembre 1922

Ascolta la diretta:
FM 90.0 MHz
https://radioondefurlane.eu/

Riascolta le trasmissioni passate:
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

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7 marzo al fianco della resistenza palestinese!

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Contro il Sistema-Israele!

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Per Barbara/ Un giorno le generazioni future vinceranno anche per te.

Nonostante il nostro separatismo e la scelta di pubblicare solo firme di donne, rimbalziamo da Contropiano questo ricordo molto bello di Vincenzo Morvillo per Barbara Balzerani.

Addio Barbara, la lotta fino all’ultimo respiro

Non sono le immagini, le foto, le tracce segnaletiche di una rimembranza fatta di effimera riproduzione del realeche in questo momento voglio andare a riprendere per riannodare i fili di un discorso troncato d’improvviso.

E forse, amica mia, non sono neanche le parole che pure costituivano e costituiscono, per te e per me, la malta con cui edificare palazzi di racconti su frontiere di vento e cristallo.

Quelle frontiere spazzate, abitate da pezzenti ubriachi sui marciapiedi del Capitale.

No, per riavvolgere il nastro di una memoria che il potere vorrebbe smagnetizzata non ho bisogno di icone o di codici convenzionali.

Ma di spazi bianchi, di pause, di sospensioni che palpitano di silenzio tra una suffisso e una desinenza smarrite sulla pagina.

Dissonanze del ritmo. Sincopi della Storia che non amavi lineare. Ma spezzata in una jam session jazz tra le note dei dannati che mandano in pezzi gli orologi. Quelli fabbricati da chi si crede il padrone del Tempo.

Quante volte parlando al telefonoho ascoltato queste sospensioni gravide di attese. Questi sospiri interlocutori che non dicevano eppure significavano.

Danze di un respiro – giusto il titolo del tuo ultimo libro – che lasciavano presagire la promessa di un’ intesa stipulata nel passato, ma deflagrata nel futuro.

Fummo parte di uno stesso percorso che succederà ancora. Una rivoluzione che prende le mosse dall’etica di una vita in eccesso.

Perché niente è più puro, più etico, più umano di un’esistenza che ha fatto i conti con l’azzardo della morte. Con la scommessa della vita. Con la dannazione della lotta per la sopravvivenza.

Nulla di meno. Sopravvivere alla laida legge del pensiero che si pretende univoco nel suo pensarsi e pensare le strutture sociali e le relazioni tra esseri.

Pensiero di mercato. Pensiero di consumo.

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A Trento contro il G7/ contro l’Intelligenza Artificiale

Il comunicato/ testo dell‘Assemblea romana contro il green pass in sostegno del corteo contro il G7 sull’IA di Trento del 9 marzo prossimo (concentramento ore 15, piazza Duomo) e le mobilitazioni nei giorni seguenti.

Contro_il G7_IA

– CONTRO IL G7 –
– CONTRO L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE –

Il 15 marzo ci sarà a Trento una riunione del G7 sull’Intelligenza Artificiale (IA) a cui parteciperanno i ministri per l'”innovazione”. Quando si parla di IA la gente normalmente immagina dei robot che con sembianze semi umane si aggirano in un’atmosfera un po’ fantascientifica facendo lavori al posto degli umani, quindi è molto difficile spiegare che si tratta invece di un progetto di chi detiene il potere, un progetto a tutto campo e anche molto pericoloso. L’IA è una disciplina per l’ingegnerizzazione e il funzionamento di macchine basato sull’informatica, dalle dimensioni più grandi alle micro. Macchine che cercano di conoscere, imitare e “potenziare” (o meglio modificare) l’intelligenza umana, le sue funzioni cognitive e i comportamenti sociali. Ciò avviene con processi di apprendimento automatico, generazione profonda di contenuti tramite “reti neurali”, sistemi di interconnessione tra sensori, macchine, protesi e cervello o altri organi umani.
Le “tecnologie convergenti” guidate dall’approccio cibernetico cercano di integrare in
un’unica piattaforma “intelligente” l’informatica quantistica, la robotica, i nanomateriali, le biotecnologie, la sensoristica, le neuro-tecnologie, la psicologia   economico comportamentale e l’analisi delle reti di comunicazione sociale. Questi sistemi si basano
sulla capacità di assimilare moli grandissime di dati, elaborarli e dare soluzioni a problemi
complessi in tempi molto veloci. Possono essere usati nei più svariati campi, da quello militare a quello medico, dalla gestione ambientale all’agricoltura, dall’organizzazione dello Stato a quella di fabbrica, dal sistema scolastico a quello giuridico, dalla narrativa, al cinema, alla propaganda politica, al giornalismo. Anche per questo la loro applicazione non incontra grosse resistenze.

Chiaramente le previsioni, le soluzioni e le narrazioni sfornate dall’IA dipendono dai dati che vengono inseriti e dagli algoritmi con cui sono modellate. I dati possono essere assolutamente falsi e funzionali ai risultati che si vogliono ottenere, ai mondi che si vogliono creare. Gli obiettivi e gli interventi sono sempre determinati da indirizzi politici dei poteri, benché i risultati cui ci si dovrebbe affidare siano quasi sempre molto incerti se non palesemente errati. Il fideismo tecnocratico produce automatismi e condizionamenti a tutti i livelli, con un’aura di presunta saggezza, neutralità e inevitabilità che tende a restringere sempre più la possibilità di critica e lotta politica. Continua a leggere

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Barbara ci ha lasciate

Barbara Balzerani compagna, amica, sorella ci ha lasciate. Il dolore è troppo grande per riuscire a scrivere altro. A lei dedichiamo il nostro 8 marzo.

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9 marzo a Viareggio/ Palestina e Medioriente nelle attuali trasformazioni geopolitiche

Dalle Donne In Cantiere

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Domenica 3 marzo a Ponte Galeria

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8 marzo 2024 con le Donne che resistono!

a cura di Donne de Borgata.

DONNE CHE RESISTONO Storie di donne nella resistenza, dalle borgate romane alle partigiane combattenti.

«A un certo punto, sentimmo voci salire da via Magna Napoli e vedemmo comparire un gruppo di civili armati con fucili a tracolla, rivolti alle nostre finestre: ci invitavano a scendere per portare aiuto ai militari che combattevano. A quell’invito pensai che anch’io avrei potuto essere utile in un luogo dove si combatteva: “Io vado” dissi a mia madre. “Ma sei matta! Ma che ci va a fare una donna? Quell’invito è rivolto agli uomini”. “Vado a vedere. Donne e uomini saremo tutti utili”». Carla Capponi, GAP centrali di Roma, nome di battaglia Elena.

E utili lo sono state davvero le donne nella Resistenza. Ragazze combattenti che nei GAP hanno compiuto attentati nelle città e che hanno fatto parte delle formazioni partigiane sulle montagne e nelle pianure. Donne delle borgate romane, spesso di origini proletarie e con famiglie numerose a carico, che hanno scelto la Resistenza, contro ogni pronostico: le loro storie, spesso dimenticate, sono fatte di sabotaggi, piccole e grandi ribellioni e supporto logistico imprescindibile per le formazioni partigiane in clandestinità. E poi donne che hanno organizzato e partecipato a manifestazioni e scioperi, che hanno diffuso stampa clandestina e trasmesso informazioni e che sono state staffette, telegrafiste, infermiere. Donne che hanno preso le armi e hanno scelto di combattere in prima fila contro l’occupante nazifascista. E che per questo che sono state incarcerate, torturate e uccise.

Durante la resistenza le donne hanno deciso di sovvertire i ruoli predeterminati e di prendere parte al processo di liberazione del paese: hanno scelto di essere partigiane. Una scelta che spesso è stata dimenticata o ridimensionata dietro un “anche”: quante volte abbiamo sentito dire che “alla Resistenza hanno partecipato anche le donne”? Come se fossero soggetti estranei, “naturalmente” destinati alla cura, alla protezione e alla riproduzione di vita, più lecitamente destinate a essere vittime di violenza, più che ad esserne parte attiva.

Eppure, la presenza attiva delle donne nelle esperienze di liberazione nazionale e rivoluzionarie e nelle lotte anticoloniali e antimperialiste, il loro protagonismo nelle lotte sociali, ambientali e territoriali e la loro partecipazione in formazioni armate è stata storicamente una costante in tutto il mondo. Donne che hanno opposto resistenza in passato e che resistono ancora oggi, come ci insegnano le donne Palestinesi.

Sta a noi oggi ricordare le loro storie, a partire dall’esperienza di liberazione del nostro paese, e diffondere il loro esempio, anche per chi oggi resiste e lotta per una società libera dall’oppressione e dallo sfruttamento: donne, ragazze e libere soggettività delle borgate, studentesse, precarie, disoccupate e migranti.

Ne parliamo venerdì 8 marzo, dalle 18.30 al GAP, via dei Sabelli 23, con Eva Muci (Ricercatrice), Lidia Martin (Storie in movimento) e la Coordinamenta femminista e lesbica.

A seguire dj set con Sailor Trash!

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8 marzo 2024/ SI! la questione palestinese è una questione femminista.

8 marzo 2024/ Il femminismo e la questione palestinese

SI! la questione palestinese è una questione femminista.

Qualche mese fa un collettivo femminista palestinese ha detto che “la questione palestinese è una questione femminista” Si, è vero, è una questione femminista. Ma non lo è perché le donne palestinesi vengono uccise a migliaia, non lo è perché si sono caricate e si caricano sulle spalle la lotta quotidiana per la sopravvivenza del loro popolo e della loro terra, non lo è perché vengono arrestate, incarcerate, torturate nelle carceri israeliane e anche qui dimostrano coraggio, determinazione, capacità di azione e di autorganizzazione. Non è una questione femminista nemmeno perché le donne partecipano attivamente alla resistenza e alla lotta anche in armi. Tutto questo è importantissimo e di grande spessore. Ma la questione palestinese è una questione femminista perché il femminismo è un movimento politico di liberazione delle donne dall’oppressione e, con le donne, degli oppressi tutti e si fonda su alcuni principi imprescindibili, inderogabili e non negoziabili.

Il femminismo si batte contro il dominio e il possesso, lotta contro il patriarcato, contro l’autoritarismo e la gerarchia che sia tra persone, tra sessi, tra popoli, tra stati ed è quindi antimperialista, rifiuta la mercificazione della vita, è anticapitalista, antirazzista, anticoloniale, antisessista, antifascista.  Si batte contro la normatività e le discriminazioni, contro le strumentalizzazioni, contro il militarismo, contro la legge del più forte.

In questa società la legittimità dei mezzi garantisce la giustezza dei fini. La legalità è legittimità riconosciuta, la violenza legale è, pertanto, l’unica violenza legittima. Infatti la violenza viene praticata in e nei confronti di un’area sociale che non coincide con quella dei detentori del potere. E lo sforzo è tutto teso affinché questo uso della forza e i relativi comportamenti violenti siano accettati e interiorizzati nel costume dei più. (Coordinamenta femminista e lesbica, Femminismo: paradigma della violenza/non violenza, 2022, p.11)

Il femminismo si può definire tale se, e solo se, percorre strade di liberazione negli infiniti modi in cui queste strade possono essere percorse. Non può essere ridotto all’emancipazionismo, che deve essere un mezzo e non un fine, né alle lotte categoriali, agli orticelli protetti, alle quote rosa, alle promozioni personali, alle cordate per la spartizione del potere, al collaborazionismo.

Si batte per l’autodeterminazione e l’autodifesa e ritiene importantissima l’analisi politica rivolta all’individuazione del nemico, che si tratti del fronte esterno o del fronte interno.

È proprio in questo senso che la nostra storia e la nostra esperienza ci hanno insegnato a distinguere sempre tra aggressore ed aggredita. Sappiamo fin troppo bene che cosa significhi mettere sullo stesso piano chi esercita sistematicamente violenza per scelta, per impostazione, per quell’abitudine all’arroganza che deriva dalle posizioni di potere, e chi invece si difende, si organizza, resiste e cerca di liberarsi. Sappiamo fin troppo bene cosa significhi il tentativo sistematico nei tribunali, da parte delle istituzioni, delle forze di polizia, della società benpensante, di mettere sullo stesso piano l’uomo che la violenza la esercita e la donna che la subisce, con un ribaltamento mistificante delle posizioni attraverso il quale è la vita della donna che finisce per essere giudicata e rivoltata come un calzino.  Sappiamo fin troppo bene tutto questo e sappiamo anche benissimo che le donne aggredite non sono e non devono essere per forza buone e perfette: sono intelligenti o stupide, paurose o coraggiose, attente o superficiali… come tutti gli altri esseri umani, ma sono oppresse e sono aggredite e sono sfruttate e sono uccise, e questo è inaccettabile!

Tutto ciò vale nei rapporti interpersonali, nei rapporti con il maschile, vale nei rapporti fra popoli, vale nella collocazione rispetto all’aggressione imperialista portata avanti in questo momento storico dagli Stati Uniti e dalla Nato, con la collaborazione attiva in particolare dei paesi europei, Italia in prima fila, nei confronti della Russia con la guerra in Ucraina.

Vale per l’aggressione sistematica e continua, per il colonialismo spietato, per l’arroganza sionista di Israele nei confronti della Palestina. Continua a leggere

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8 marzo 2024/ La questione palestinese è una questione femminista

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Manifestazioni a Roma per la Palestina: questo pomeriggio e sabato 2 marzo

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9 marzo a Trento/ Contro l’Intelligenza Artificiale!

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